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Nel 2014 boom delle richieste per “morosità incolpevole” e quasi 80mila i provvedimenti diventati esecutivi, anche nei confronti di persone in condizioni di estrema difficoltà economica o di salute. Nel frattempo le assegnazioni di alloggi popolari procedono a rilento e le situazioni di disperazione si moltiplicano. Quello della crisi abitativa è un dramma che l’Italia affronta da decenni, ma senza riuscire a venirne a capo. Anche perché le soluzioni si rivelano spesso motivo di nuovi problemi, come dimostrano gli scandali dei piani di zona e dell’edilizia agevolata a Roma.
Piani di Zona, l’ennesimo scandalo romano
di MARIO REGGIO
ROMA – Il Giubileo della “misericordia” è alle porte, ma la spietata macchina degli sfratti non si ferma. Mobilitati gli ufficiali giudiziari e i poliziotti, quando il giudice autorizza l’intervento della forza pubblica. Nel 2014 in Italia le richieste di sfratto sono state più di 150mila. Nella graduatoria in testa la Lombardia seguita dall’Emilia Romagna, la Toscana e il Lazio. Gli sfratti colpiscono soprattutto la grandi città dove si concentrano i casi di “morosità incolpevole”, quelli che riguardano le famiglie colpite dalla crisi e che non possono più permettersi di pagare l’affitto.
Nessun blocco previsto nel decreto milleproroghe, in cambio 446 milioni a favore dei Comuni per fronteggiare l’emergenza. Una goccia rispetto all’onda anomala ormai all’orizzonte. Plaude Confedilizia, cresce la mobilitazione delle associazioni che cercano di difendere gli inquilini. Ci sono soluzioni? Una potrebbe essere quella dei “piani di zona”, vale a dire l’edilizia agevolata con finanziamenti regionali a fondo perduto e affitti calmierati. Ma a Roma, ad esempio, il meccanismo si è trasformato in una grande truffa. Tanto da far dire all’ex assessore all’urbanistica, Giovanni Caudo: “E’ un sistema bacato”.
Case senza strade né fogne, a Roma lo scandalo Piani di Zona
Intanto la Procura ha aperto un’inchiesta e stanno per arrivare i primi avvisi di garanzia. Un’altra soluzione ci sarebbe: trasferire gli sfrattati nei “residence” facendo ingrassare i proprietari, visto che i canoni mensili sfiorano i 2mila euro. L’ormai famosa “vacca da munge” di Mafia Capitale. Come arricchirsi con i poveri, tanto paga la comunità. Dietro ogni sfratto c’è comunque un dramma umano, come quello della signora Silvana Mendico, 73 anni, costretta a chiedere ospitalità alle tre figlie.
Sfrattata dall’ex marito, il dramma di Silvana
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Marina Caprioli, 33 anni, quattro figli, sfrattata con l’ausilio della forza pubblica. Ecco la sua storia. “Abitavo a Giardinetti, una casa di 20 metri quadrati ricavata da un lavatoio, piena di muffa. Lavoravo in un negozio di ferramenta. La padrona del negozio è anche la proprietaria della casa. Contratto registrato per 100 euro al mese, in realtà ne pagavo 500 più 65 di condominio. Soldi che la signora mi tratteneva direttamente dalla paga. Per arrotondare, il sabato e la domenica lavoravo in una pizzeria”.
Come spesso succede la precarietà incide sulle vicende personali. “Mio marito ha chiesto la separazione, ma i 300 euro al mese che mi aveva promesso non li ho mai visti. Faceva l’autista e si era fatto mettere in nero per non tirare fuori un euro. Ogni tanto passava a casa ma erano sempre litigate e volavano gli schiaffi. A quel punto ho chiesto alla proprietaria di venirmi incontro perché non ce la facevo più a tirare avanti. Dal febbraio del 2014 ho smesso di pagare l’affitto e lei ha chiesto lo sfratto. A quel punto le ho fatto la causa di lavoro. E lei mi cacciato dal negozio. Nel frattempo ho trovato un nuovo compagno e sono rimasta incinta”. Il 16 giugno del 2015 arriva l’ufficiale giudiziario con al seguito due camionette della polizia. Per qualche giorno viene sistemata in un residence. Appare anche l’assistente sociale del Comune. “Mi ha promesso di trovare una soluzione perché io lì non ci volevo più stare. Ho aspettato ma ‘sta soluzione non è mai arrivata. Allora ho deciso di tornare a casa dei miei. In quella casa ci viviamo in 11, mio padre e mia madre, mia sorella con il figlio, mio fratello, io e il mio compagno assieme ai quattro figli. Noi dormiamo nel salone ma non può andare avanti a lungo”.
Altra storia particolare è quelle avvenuta, sempre a Roma, il 25 novembre. Alle otto di mattina, in via Fillia, nella zona Collatina, Roberta M., madre di due figli minori, attende l’arrivo dell’ufficiale giudiziario con la forza pubblica. Ha perso il lavoro, quindi rientra nella categoria di quelli che non possono pagare l’affitto per “morosità incolpevole”. Ha chiesto aiuto alla Regione Lazio che ha le ha offerto un finanziamento di 8 mila euro. Ma il gestore del piano di zona “via Longoni” non intende ragioni. Il tribunale civile autorizza quindi lo sfratto esecutivo con la forza pubblica. Passano un paio d’ore ma non si vede nessuno. Angelo Fascetti, coordinatore nazionale dell’Associazione Inquilini e Abitanti, che è andato a trovarla, sta per tornare sui suoi passi. Roberta gli offre un caffè. All’improvviso arriva l’ufficiale giudiziario con i poliziotti. I due si barricano in casa. Sale la tensione, Gli agenti si dicono sicuri di entrare. Ma c’è un piccolo, grande, problema. Nell’appartamento ha iscritto la sua residenza parlamentare Roberta Lombardi, deputata di 5 stelle. Impossibile quindi entrare, salvo l’autorizzazione della Camera. “La truffa dei piani di zona – afferma la parlamentare – deve finire, farò di tutto perché ciò avvenga, Non è possibile che decine di migliaia di cittadini che vivono in case costruite con i contributi pubblici continuino a pagare affitti molto più alti di quelli fissati dalla legge”.
Esempi come tanti altri che alimentano il fenomeno delle occupazioni abusive. Un meccanismo infernale e senza fine. Proprio per affrontare l’emergenza casa, esiste una legge, quella dei “Piani di zona”. Ecco di cosa si tratta. Il Comune individua un’area, mette a bando l’appalto per la costruzione di nuove abitazioni. Il progetto prescelto determina l’esproprio del terreno. A quel punto la Regione finanzia, a fondo perduto, in media al 50 per cento, il costo dell’opera. La cooperativa edilizia, o l’impresa che si aggiudica il cantiere, è obbligata a presentare un piano finanziario nel quale devono essere evidenziati i costi, compresi quelli delle opere di urbanizzazione primaria. Adesso arriva il bello. Nessuno ha mai presentato i piani finanziari al Comune di Roma, che avrebbe dovuto esercitare il controllo. Quasi nessun costruttore ha depennato dai costi il finanziamento a fondo perduto della Regione. Cosa è accaduto allora? La truffa ha permesso a cooperative e imprese di imporre affitti o prezzi di vendita gonfiati. Ma la Regione Lazio e il Comune di Roma, che hanno l’obbligo di controllare tutto il meccanismo, nel frattempo cosa facevano? Nella migliore delle ipotesi chiudevano un occhio.
Roma, sfrattati perché la coop ha aumentato il prezzo di vendita
In via Marcello Gallian fanno bella mostra le palazzine di 5 piani tirate su dalla Lega San Paolo Auto. Una delle coop edilizie più gettonate e che si vanta avere fatto sempre campagna elettorale per il Partito Democratico. “Per diventare soci e prenotare l’alloggio hanno versato dai 159mila ai 250mila euro a testa – racconta Angelo Fascetti, coordinatore nazionale dell’Associazione Inquilini e Abitanti – poi è arrivata la richiesta di versamento fuori sacco di 100mila euro. Una parte dei soci si è rifiutata di tirare fuori soldi in più. La Lega San Paolo li ha cancellati dal libro soci ed ha chiesto ed ottenuto lo sfratto esecutivo. Questo nonostante i vertici della cooperativa siano indagati per truffa, concussione ed estorsione aggravata. Una colossale ingiustizia perché il giudice civile non ha tenuto conto che gli ex soci hanno versato l’intero importo pattuito, mentre la cooperativa – conclude – non ha depurato dai costi il finanziamento a fondo perduto ottenuto dalla Regione Lazio”.
Intanto qualcosa, anche se a fatica, si sta muovendo. A parte l’indagine della magistratura, l’allora assessore all’Urbanistica del Comune di Roma, Giovanni Caudo, ha presentato una delibera, approvata dalla giunta, nella quale si obbligano le coop e le imprese ad adeguare gli affitti e i prezzi di vendita, dopo aver depennato il finanziamento regionale. In caso di mancato adempimento il Comune applicherà le sanzioni previste dalla legge. E si tratta di multe salate. “Nei casi più gravi – si legge nella delibera – si arriverà al sequestro degli immobili”. Ora manca solo la firma del commissario straordinario perché la delibera non è riuscita ad arrivare nell’Aula Giulio Cesare.
Morosità in aumento, Milano in piena crisi
di LUCA DE VITO
MILANO – La signora Liliana Tagliaferri, 82 anni, abita in zona piazza San Giuseppe. Per 40 anni ha vissuto in una casa dell’inpdap. Quando è stato venduto il complesso di case, lei non ha potuto acquistare e oggi – sola, senza figli, mai sposata – vogliono mandarla via. Così rischia di veder arrivare la polizia da un giorno all’altro. Anche la Milano dell’Expo ha le sue contraddizioni e, soprattutto, a cominciare dall’emergenza di chi non riesce più a pagare l’affitto e si ritrova senza casa. Il numero di richieste di sfratto all’ombra della Madonnina è uno di quelli che nessuno vuole maneggiare: nelle 14.766 richieste pendenti al Tribunale, ben 10.707 sono per chi non paga l’affitto, mentre solo 2.791 sono per finita locazione (1.268 per altri motivi). La proporzione tra sfratti per morosità e quelli per termine del contratto di affitto, è in aumento: all’inizio del 2014, infatti, il rapporto era di tre a uno, mentre adesso siamo quasi al quattro a uno. Situazione analoga in provincia, con un totale di 7.061 sfratti, dei quali 4.998 per morosità, 1.679 per finita locazione e 384 per altri motivi. A fine giugno il numero degli sfratti eseguiti con la forza pubblica nel 2015 era di 1.491 (dal 2010 la media annuale è di 2.800).
Sfratti, tra i “dannati” di Milano in coda allo sportello della Sicet
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I numeri che fanno ancora più paura sono quelli che riguardano chi uno sfratto lo ha già subito. A Milano ci sono 270 famiglie con sfratto eseguito – e quindi senza un tetto – con in mano l’assegnazione teorica per un appartamento. Sono i più sfortunati di tutti – si tratta di coloro che hanno chiesto una casa popolare in deroga alla graduatoria perché in situazione d’emergenza – e sono in crescita rispetto ai 150 dello scorso anno. Quando non riescono a trovare una soluzione da parenti o amici, dormono in strada o in comunità. A queste cifre si devono poi aggiungere le oltre 3.064 richieste in deroga che sono giacenti presso gli uffici comunali e non ancora valutate. A conti fatti, una marea umana cresciuta negli anni di crisi perché rimpolpata proprio dalla grossa quantità di sfratti per morosità incolpevole.
“La cosa che fa più male – racconta Leo Spinelli, segretario del sindacato inquilini Sicet Cisl che guida gli sportelli dove ogni giorno si presentano decine e decine di persone in difficoltà – è che in passato una soluzione si trovava sempre. Venivano messi negli alberghi, per un periodo temporaneo, e poi gli veniva assegnata una casa”. Adesso non è più così. Già, ma perché? Tra le tante motivazioni, c’è la fatica, apparentemente insormontabile, nel riuscire a rimettere in circolo quelle case popolari vuote che rimangono sfitte. Quasi 10mila alloggi – fra proprietà del Comune e Aler, azienda regionale per l’Erp – che non si riesce a ristrutturare e assegnare. E che sarebbero oro colato per centinaia di famiglie. L’idea del Comune di Milano, però, è diversa: per affrontare l’emergenza abitativa, spiegano, bisogna fare in modo che i privati affittino le case che tengono vuote (a Milano si parla di circa 80mila abitazioni).
“L’emergenza abitativa si è riversata in blocco sull’edilizia popolare a cominciare dalle famiglie sfrattate – ha detto l’assessore alla Casa Daniela Benelli – Ma rispetto a un patrimonio Erp insufficiente, c’è un bacino molto più ampio di alloggi privati, spesso sfitti, che vogliamo rimettere in circolo. Il nostro obiettivo è intervenire prima dello sfratto, evitando che le famiglie restino senza casa e tutelando i proprietari dal rischio della morosità”. L’idea del Comune è stata quella di avviare l’agenzia sociale per la locazione con l’obbiettivo di mediare tra inquilini e proprietari per evitare sfratti e trovare canoni sostenibili. “Ma a qualche mese dall’avvio dell’agenzia e dello stanziamento di risorse come fondo di garanzia – spiegano dal Sicet – i numeri delle morosità incolpevoli rientrate grazie a questi interventi si contano sulle dita di una mano”.
A Torino alloggi provvisori nei container
di GABRIELE GUCCIONE
TORINO – C’è un titolo che Torino avrebbe fatto volentieri a meno di tornare a possedere: capitale degli sfratti per morosità. Nel capoluogo piemontese l’anno scorso si è registrato uno sfratto ogni 227 famiglie. “Per numero di procedure in rapporto alla popolazione – denuncia Giovanni Baratta, segretario regionale del sindacato inquilini Sicet-Cisl – Torino primeggia tra le grandi città metropolitane. La media italiana è di uno sfratto ogni 334 famiglie”.
La tragica media torinese è il risultato di una crisi che ha segnato profondamente il volto dell’ex città della Fiat e che ha cominciato a mietere le sue vittime a cominciare dal 2008. Da allora le procedure di sfratto iscritte nel mandamento del Tribunale di Torino sono più che raddoppiate: da 2.216 si è passati in sette anni a 4.693. L’incremento è stato del 111 per cento. Palazzo di Città, in questi anni, ha cercato di arginare il fenomeno. Negli ultimi tempi, però, la situazione è peggiorata e anche le occupazioni abusive di immobili, un tempo sporadiche nella sabauda Torino, hanno cominciato a diventare più frequenti. Solo l’anno scorso, riferisce il vicesindaco Elide Tisi, “per far fronte all’emergenza sfratti sono stati assegnati 444 alloggi di edilizia residenziale pubblica, sono stati stipulati 320 contratti convenzionati tramite l’agenzia di locazione del comune e sono stati attivati 95 contratti d’affitto garantiti dal fondo comunale Salva Sfratti, che assicura i proprietari dalla morosità a fronte di uno sconto sull’affitto”. Uno strumento innovativo, quest’ultimo, sperimentato per la prima volta nel 2013, con il contributo delle fondazioni ex bancarie, e poi preso a modello dalla nuova legge nazionale sulla casa.
I 4.693 sfratti dell’anno scorso hanno prodotto 1.144 domande di aiuto alla commissione comunale per l’emergenza abitativa: 1.144 famiglie che hanno provato a bussare alla porta del Comune in cerca di aiuto. “L’accoglienza in housing sociale e in alloggi temporanei ha sostenuto 205 famiglie – racconta il vicesindaco di Torino – mentre 1.794 nuclei famigliari usufruiscono del contributo a sostegno dell’abitazione da parte dei Servizi sociali”. In totale, sommati tutti assieme, la città è intervenuta su 2.800 famiglie.
Il fatto è che il fenomeno non sembra voler diminuire, tanto che l’amministrazione ha deciso, nell’ultima riunione della giunta comunale, un intervento mai immaginato prima: la costruzione di un “rifugio per gli sfrattati” capace di dare ospitalità temporanea a 200 persone. Una struttura che sarà ricavata riutilizzando i container dell’ex accampamento degli operai che hanno lavorato al Passante ferroviario torinese.