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Il rapporto del Ceriis (Università Luiss e Fondazione ItaliaCamp): le esperienze di innovazione sociale sono ancora scarsamente sostenibili dal punto di vista finanziario. Serve maggiore interazione tra profit e non profit.
Innovazione sociale al centro dell’attenzione con il secondo rapporto del Ceriis (Centro di ricerche internazionali sull’innovazione sociale), costituito all’interno dell’Università Luiss Guido Carli e sostenuto dalla Fondazione ItaliaCamp. Un documento che si pone l’obiettivo di comprendere e descrivere i principali modelli utilizzati nel nostro Paese al fine di realizzare progetti di innovazione sociale. Temi snocciolati anche nel corso di un convegno organizzato da ItaliaCamp e Agenzia Nazionale per i Giovani nei giorni scorsi alla Camera dei Deputati. Durante il quale, per intendersi, sono stati portati ad esempio di innovazione una società di consulenza a cavallo tra il profit e il non, ma anche una banca e una società che recupera abiti destinati al macero per dar loro una seconda vita.
La caratteristica di base dell’innovazione sociale è quella di soddisfare un bisogno collettivo, in maniera migliore di quanto fatto in precedenza. Ma quali sono gli interventi dei quali ha bisogno la società italiana? Assistenza sanitaria, assistenza sociale, integrazione sociale, formazione e inserimento professionale, cultura e valorizzazione dei beni culturali; miglioramento dell’ambiente e dell’eco-compatibilità delle attività umane, rivitalizzazione delle aree urbane e del territorio, mobilità sostenibile, sicurezza, sviluppo e condivisione di dati e informazioni, condivisione di beni, attività, conoscenze (sharing economy). Perché si faccia innovazione sociale, dunque, il pre-requisito fondamentale è comprenderne il contesto di applicazione e le possibili criticità.
Con l’analisi di 462 casi, il report insiste sulla tipologia innovativa dei progetti analizzati, che può essere di tecnologica o relazionale. “Nel campione”, dettaglia una nota, “non vi è una netta predominanza di una tipologia innovativa rispetto ad un’altra: relazionale (35%), tecnologica (35%), progetti caratterizzati da entrambe le innovazioni (30%). Tuttavia, la maggior parte degli attori intervistati considera quali elementi innovativi della propria offerta di innovazione sociale proprio la relazione, la collaborazione e lo scambio con gli altri attori evidenziando un probabile effetto delle relazioni sul successo dell’innovazione sociale”.
Per quanto riguarda invece la sostenibilità economico-finanziaria, la maggior parte delle iniziative risulta scarsamente sostenibile (54%). Quanto al finanziamento, il rapporto mette in luce che nel 2014 e nel 20151 sono stati stanziati fondi pari a circa 39 milioni di euro. Sono stati censiti nei 2 anni di riferimento un totale di 33 bandi, di cui 6 sono stati lanciati esclusivamente nel 2014 e 19 nel 2015: “La recente nascita del fenomeno necessita ancora del ruolo dello Stato come attore finanziatore dei progetti”, si dettaglia.
Investimenti per tipologia di attore e investimento medio
(cifre espresse in migliaia di euro)
Soggetto finanziatore Privato Pubblico Fondazione Totale
Totale investimenti 1.775 14.935 22.385 39.095
Totale in percentuale 5% 38% 57%
Numero finanziamenti 8 16 10
Media finanziamento 222 933 2.239
I protagonisti dell’innovazione si rivelano senza troppe sorprese le organizzazioni del non profit.
A livello di politiche da attuare, proprio la necessità di un dialogo tra mondo profit e no profit, che fino ad oggi si sono mantenuti sempre distanti, è risultata come centrale. E’ bene invece che i progetti a base etica trovino anche una loro sostenibilità economica.
Indice-e-Prefazione-del-Secondo-Rapporto-sullInnovazione-Sociale