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Diario europeo n. 33
…dove eravamo rimasti? Avevamo compiuto un’analisi sul percorso di completamento della Unione economica e monetaria – quella configurazione politica, economica e strategica che tiene uniti i Paesi membri della U.E. che hanno liberamente adottato la moneta unica; e – di fronte alla prospettiva di una tempistica lenta che rinvia ad una ipotetica “fase 2” e ad un futuro “Libro bianco” calendarizzato per la fine del 2017 – Diario europeo si era chiesto: dobbiamo attendere uno ‘choc’ per convincere i Paesi della ‘ zona euro’ a fare quello che finora non hanno fatto? Lo ‘choc’ è arrivato.
(Da Londra, ‘Diario europeo’, il 24 giugno scorso, ha fatto una prima valutazione della situazione. Tornerà sulle conseguenze, anche giuridiche e istituzionali, del referendum britannico, agli inizi di Settembre, quando il governo U.K. si sarà ricostituito e nel pieno delle sue funzioni – con ritardo grave e inaccettabile, stante il Trattato vigente e sottoscritto anche dal Regno Unito – si assumerà fino in fondo la responsabilità politica, istituzionale e giuridica di scelte – legittime, benintesi e, persino utili se saranno, alla fine, servite a fare chiarezza tra i popoli britannici e tra essi e la Unione europea- che hanno, fra l’altro, prodotto e svelato la débacle di un’ intera classe politica del Regno Unito stesso).
Lo choc, dunque, c’è stato, ma non ci sono state, subito, le risposte adeguate da parte della Unione Europea (il Consiglio europeo successivo al “Brexit” è stato particolarmente afono); neppure sono apparse chiare e nette le consapevolezze sulla situazione da parte di tutti e di ciascuno degli Stati membri. Faccio soltanto due esempi di ‘notizie’ europee: il Paese membro Ungheria, ha annunciato la data di un suo referendum per il 2 ottobre, la domanda alla quale i cittadini saranno chiamati a rispondere, questa volta, è: “Volete che l’Unione europea sia autorizzata a decidere l’insediamento obbligatorio di cittadini non ungheresi in Ungheria senza il consenso del Parlamento”? Mi limito ad osservare che l’Ungheria – quindi anche il suo Parlamento – è membro dell’area Schengen. Altra notizia: le acque agitate della finanza- dopo il fatidico referendum britannico- non sono una esclusiva del Sud Europa e delle sue banche. In Germania i credit default swap a cinque anni – una sorta di assicurazione contro il default- su Deutsche Bank sono saliti dai 184 punti base in data 23 giugno, ai 250 odierni (Unicredit, per dire, ha subito un rialzo da 180 a 226)! In Gran Bretagna, d’altra parte, si sta profilando una fuga dal settore immobiliare, svelando (forse) una (finora nascosta) bolla immobiliare nella mitica Britannia, le cui conseguenze sono tutte da capire. Non solo Mediterraneo, quindi e non solo Eurozona!! Ma torniamo alle sfide e alle responsabilità proprie della Unione europea e specificamente dei membri che compongono la UEM. Il compito di tutti – e senza “primi della classe”, dispensati dai ‘compiti a casa’- è volere le conseguenze di ciò che si è voluto.
Il momento è questo! Non c’è da attendere nessun altro giorno. La risposta deve venire dai 18 Stati che hanno adottato l’Euro. Ma – tra essi – il cuore della responsabilità storica sta soprattutto in alcuni: Germania, Francia, Italia, Spagna. In questi giorni (lunedì 4 luglio 2016), Wolfgang Schauble, potente e avveduto super ministro tedesco, ha rilasciato una lunga intervista al “Corriere della sera” (4 luglio 2016) piuttosto inquietante: appariva nervoso (e a ragione) ma non si capiva quali “decisioni” la Germania è pronta ad assumere per arginare la slavina della disintegrazione dell’Unione e della Eurozona. Certamente, ‘Unione digitale’ e ‘ Unione energetica’, sono due delle, ancora troppo numerose, ‘Politiche comuni’ di cui l’Unione non è ancora dotata. Ma, il ministro Schauble nulla ha detto delle tappe di completamento della Unione economica e monetaria da definire per evitare nuove crisi alla moneta unica e i conseguenti ulteriori sconquassi ai bilanci pubblici di alcuni di questi Paesi. Mentre il pensiero del super ministro va – lodevolmente – alla Unione energetica, su cui le responsabilità della Germania sono prevalenti, considerate le relazioni speciali con la Russia, il completamento della Unione bancaria (la garanzia europea comune dei depositi sotto i centomila), tanto per citare una tappa, tarda ad essere completata per la opposizione del super ministro. Non mancano, peraltro, suggerimenti ed analisi puntuali da parte di intellettuali assolutamente esperti (certamente non meno di Herr Wolfgang); ha dichiarato in questi giorni Lucrezia Reichlin: “C’è sempre meno appetito politico di più Europa e in molti paesi si alzano muri. Eppure anche con le istituzioni che abbiamo si può fare una riforma ‘minima’ che renda la Unione più robusta dal punto di vista economico” (la Repubblica 9 maggio 2016). La professoressa della ‘ London Business School’, insieme ad altri studiosi di varie tendenze, ha elaborato precise proposte per attaccare la madre di tutte le instabilità economiche e finanziarie: i Debiti sovrani pubblici. Dice: “ Instaurare un meccanismo che renda possibile la ristrutturazione del debito pubblico in Paesi non solvibili. Quando un Paese diventa a rischio si adotta una serie di misure preventive, ma oltre un certo limite scatta la ristrutturazione secondo regole certe e conosciute ex-ante. Per evitare attacchi speculativi e prima di applicare questa riforma si deve negoziare il patto per abbattere una parte del debito così da far tornare tutti ai livelli tra il 90-95%. Andrebbe, quindi, creato un Fondo di stabilità che compri una parte del debito di ogni stato e finanzi gli acquisti e i costi per gli interessi con titoli di nuova natura garantiti dalle entrate fiscali future dei Paesi. (…) Non sono eurobond perché le risorse a garanzia sono nazionali e non c’è mutualizzazione del debito.”
Mentre leggevo, pensavo: immagina (“Imagine…” suona in lingua inglese!) l’effetto che farebbe, questa o altre proposte e decisioni – la cui realizzazione benintesi occuperebbe comunque anni a venire – sulla situazione del Brexit e dei tanti, troppi impulsi euroscettici dell’attuale Unione. E, anche, di fronte al Mondo! Chi sarà a prendere sulle spalle questa sfida? Chi sarà il nuovo (europeo, questa volta) ‘Alexander Hamilton’? ( Ministro del Tesoro americano che prese in mano i destini incerti degli Stati americani e indirizzò, definitivamente, nella Storia, gli “Stati Uniti d’America”. Le tappe della costruzione degli Stati Uniti hanno visto in primis la costituzione di un debito comune e solo dopo aver ottenuto un debito comune, fu istituita una moneta comune e fu fatta la proposta dallo stesso Hamilton di una banca centrale; che fu però istituita solo più di cento anni dopo, nel 1913! Nella Europa unita si è fatto il percorso inverso: ma le componenti sono e devono essere le stesse; altrimenti la casa non regge!).
Il momento è questo! “L’esigenza fondamentale è di restituire chiarezza e fiducia all’assetto istituzionale dell’area euro, dal momento che sappiamo che quello attuale è incompleto”, così Mario Draghi intervenendo il 9 Giugno all’appuntamento annuale del ‘Brussels Economic Forum’, organizzato ogni anno a Bruxelles dalla direzione generale ‘Economia e finanza’ della Commissione europea. Draghi, in quella occasione – e non è certamente la prima, ma una delle molteplici nella quali il presidente della Banca Centrale Europea invia moniti e suggerimenti alle Istituzioni europee e agli Stati membri –si è soffermato su: strumenti di bilancio europei per la spesa in programmi comuni, fondi dell’area euro di assicurazione dal rischio di una crisi in questo o quel Paese, istituzioni dell’Unione monetaria, dotate di poteri reali.
Il Comitato Economico e Sociale – relatori: l’italiano Carmelo Cedrone e l’olandese Van Iersel – già nel maggio 2015, ha elaborato un dettagliato e accurato ‘ Parere’ (“Completare l’UEM: il pilastro politico”), distinguendo il percorso per tappe successive (si veda, per una lettura completa www.eesc.europa.eu). “Parallelamente alla convergenza economica – affermano i due relatori – vi è bisogno di legittimità democratica, di un quadro politico solido e di un senso condiviso di un destino comune. A tal fine, misure concrete possono essere intraprese già nel quadro del Trattato attuale e delle altre norme vigenti; a medio-lungo termine, una revisione del Trattato dovrebbe riportare le disposizioni in linea con i requisiti indispensabili di una vera Unione economica e politica. Alla fine del percorso, dovrà risultare chiaro ed evidente che la moneta unica ha un “sovrano”. Scriveva – con una buona dose di preveggenza – la professoressa Lucrezia Reichlin: “Nonostante le tensioni politiche siano in aumento, un’opportunità c’è ed è proprio data dalla prospettiva dell’uscita del Regno Unito dall’Unione o comunque dall’allentamento del suo rapporto con essa. Per cogliere questa opportunità, è essenziale che si rompa l’ambiguità e si chiarisca se l’obiettivo sia una maggiore centralizzazione dei processi decisionali dell’Unione o invece il consolidamento di un sistema decentralizzato a livello nazionale” (‘Le scelte giuste sull’Europa’, Corriere della sera 25 febbraio 2016). Sempre prima dello svolgimento referendario britannico, ministro dell’economia italiano ed europeo, Pier Carlo Padoan (già direttore esecutivo del FMI, poi vice segretario generale e capo economista dell’OCSE), ha dichiarato nel corso del Festival dell’economia di Trento: “Tutti ci auguriamo che la Brexit non ci sia, ma nel caso contrario la BCE sarà in prima fila per scongiurare le tensioni sui mercati e l’Europa farà un forte annuncio di integrazione”. Ben detto, ma mentre l’azione della BCE si è puntualmente manifestata, di “annunci di integrazione” non ne abbiamo visto: né forti né deboli. E della volontà e anche perspicacia di Pier Carlo Padoan non abbiamo dubbi; quindi è nelle altre capitali che bisogna cercare e scovare le non volontà. Insomma, un “annuncio” di integrazione per l’area euro potrebbe – ad esempio – essere che i 5 presidenti delle cinque Istituzioni europee che hanno redatto il Rapporto: “Completare l’Unione economico e monetaria”, nel Giugno 2015, decidano di integrare il loro Rapporto, con un “Allegato strategico”, anticipando le fasi e le scansioni temporali precedentemente indicate! Perché? Perché, il tempo si è fatto breve!
L’accelerazione delle tappe di completamento della Unione economica e monetaria riguarda i Paesi membri che hanno sulle spalle l’opportunità/vincolo della moneta unica.
La manifestazione della loro volontà di intensificare la “loro unione” non dovrà essere percepita come una sfida ai colleghi Paesi membri, ma come un grande atto di fiducia nella comune costruzione unitaria. Ed anche un incoraggiamento a cercare su altri campi, altre sfide e altri terreni comuni nei quali portare avanti la “Comune Integrazione differenziata”.
Qualche giorno prima del referendum britannico, lo psicanalista Massimo Recalcati, analizzava e commentava, così, il mito della “Torre di Babele”: “Quale è il peccato più grande commesso dai babelici? E’ quello di voler realizzare la propria impresa escludendo la possibilità di lingue differenti. Essi, infatti, si radunano attorno a un principio forte di identità: ‘un solo popolo’ e ‘una sola lingua’. Gli uomini della Torre vogliono assaltare il cielo sfidando Dio non solo perché esibiscono la loro ambizione in una spinta ascendente che vorrebbe escludere l’esperienza del limite, ma perché in questo slancio fallico-narcisistico essi vogliono farsi un nome da se stessi” (“La Torre di Babele, simbolo eterno dell’antipolitica”, in ‘ la Repubblica, 12 Giugno 2016).
Ma così non è per la costruzione europea, della quale la realtà della storia fatta insieme fino ad ora e il sogno della futura costituzione comune suonano così: “Noi, Popoli d’Europa, diversi e uniti….”.
PS.
“Diario europeo”: tornerà in ‘edicola’ agli inizi di Settembre. Augura ai lettori e alle lettrici un buon riposo e buone letture.