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C’è chi il sabato sera non ha impegni e cucina per quelli che vivono sotto il cielo della stazione. Chi ha un pomeriggio libero e aiuta i rifugiati a studiare per la patente o dipinge le pareti di un asilo. Benvenuti tra i “volontari liquidi”. Quelli che vorrebbero dare una mano ma non sopportano (o non possono permettersi) un impegno fisso. Poche ore di bontà che, sommate con quelle degli altri, diventano tantissime. La loro forma di altruismo è 2.0: consultano in Rete il calendario di chi ha bisogno, si prenotano quando possono e, magari dopo sei mesi, ci riprovano. Felici di aiutare il prossimo offrendo il proprio tempo ma, soprattutto, di restare senza legami.
Il modello è quello americano di HandsOn Network, la rete di volontariato flessibile già attiva in 12 Paesi (dall’Olanda alla California), e 250 città che in 20 anni ha fornito 25 milioni di ore di servizi. Solo nel 2012 ha messo in moto 2,6 milioni di persone e prodotto un impatto economico di 600 milioni di dollari.
Il volontariato leggero sembra dunque essere la formula che, in un mondo che va sempre di fretta, è riuscito a risvegliare un’inane bontà. Da due anni è arrivato in Italia trionfando tra gli animi più insospettabili. Ad attirarli è la mancanza di rigidità: veloci, elastici e, finalmente, migliori. La prima organizzazione è stata MilanoAltruista, fondata dalla bocconiana
Odile Robotti. In 24 mesi i suoi volontari sono cresciuti di sei volte. Boom che si spiega con la “facilitazione” dell’incontro tra domanda e offerta: “Da noi arrivano persone che non avrebbero mai pensato d’impegnarsi nel sociale, alcuni si limitano a un servizio mordi e fuggi, altri decidono di entrare a far parte di gruppi strutturati. La media d’impegno è 8 ore l’anno a persona, apparentemente poche ma allargando la base dei partecipanti diventano tantissime”.
La figura del volontario 2.0 si sta diffondendo anche nella capitale, grazie a RomAltruista: “Il nostro portale è stato inaugurato alla fine del 2011 e abbiamo già 4mila associati che crescono al ritmo di 300 ogni settimana”, spiega il fondatore Mauro Cipparone. “Il segreto del successo sta nell’offrire attività adatte a tutti, senza appesantirli con la formazione preliminare”. Ma così non si rischia di perdere in qualità? “Per garantirla ci sono i capi-progetto che sostengono e consigliano i volontari”. Chiunque abbia volontà, se guidato da chi ha esperienza, può dunque aiutare i rifugiati politici, cercare badanti, rallegrare i bimbi malati o insegnare l’italiano agli stranieri. La stessa formula che funziona a Trieste: “La difficoltà principale era l’eccessivo impegno delle riunioni”, sostiene uno dei fondatori, Andino Castellano. “Con noi chiunque ha l’opportunità d’inserirsi dove c’è una necessità: modalità che piace soprattutto ai giovani”.
Ma il volontariato 2.0 ha conquistato anche l’Irpinia, che da due mesi ha un sito “Altruista”. Dice il presidente Stefano Iandiorio: “La buona volontà in Italia c’è, l’importante è farla emergere. Questa formula individuale è molto trasversale e spesso crea uno scambio tra giovanissimi e anziani”. Così come Melpyou, in provincia di Modena, network che mette in relazione 80 associazioni e più di mille persone. La racconta il responsabile Emanuele Bellini: “È un’evoluzione del volontariato, tutti gli enti no profit possono scrivere le loro richieste d’aiuto indicando ora, luogo e attività e chi vuole può aiutare come può. Il nostro sogno è che Melpyou diventi un nuovo modo per passare il tempo libero e che migliori la vita di chi aiuta e di chi ha bisogno”.
I. M. Scalise
La Repubblica