1

L’Istituto Italiano Open Data e’ finalmente realta’

open_data

C’è voluto un po’ ma alla fine, dopo una lunga fase di preparazione, si è costituito l’Istituto Italiano Open Data, fortemente voluto anche da Stati Generali dell’Innovazione (l’associazione che più di un nostro blogger rappresenta :)).

L’Istituto si configura come rete di associazioni, organizzazioni, enti, gruppi e persone singole, tutti a sostegno del valore degli Open Data come opportunità di crescita economica. Obiettivo dell’Istituto è quello di catalizzare tutte queste energie e raccordare i diversi protagonisti per far incontrare domanda e offerta e  condividere pratiche, strumenti, tecnologie relative agli Open Data.

Forte di queste energie, appunto, l’Istituto intende anche supportare le organizzazioni governative nella formazione delle politiche sugli Open Data e nella loro attuazione, oltre che per favorire l’incontro con le associazioni, le imprese, i cittadini.

Nei prossimi mesi saranno definite le modalità di collaborazione con queste organizzazioni, da quelle governative come Agenzia per l’Italia Digitale e FormezPA, a enti, associazioni, centri di ricerca e universitari come AMFM,  Archivio Centrale dello Stato, Associazione Informatica Giuridica, CIRSFID – Università di Bologna, Centro Nexa, W3C, Fondazione Bruno Kessler- Centro ICT.

Promosso dagli organizzatori dell’evento italiano dell’International Open Data Day – Stati Generali dell’Innovazione e Regesta.exe – l’Istituto ha tra i fondatori associazioni come Centro Studi Democrazie Digitali, GISIG, Istituto Europeo Pegaso, Italia per il Mondo, IWA Italy, Manager non-profit, OpenGeoData Italia, società in-house come Venis e aziende private come 3D Informatica, Cerved Group, EtcWare, EvoDevo, Forum PA, Lynx, Nexus, Planetek Italia, Sistemi Territoriali, SpazioDati.

Le attività dell’ Istituto Italiano Open Data

Tante le attività che l’Istituto sta pianificando nei prossimi mesi:

  • la realizzazione di piattaforme e processi di condivisione tra tutte le organizzazioni e i soggetti individuali partecipanti;
  • l’organizzazione di incontri e attività di disseminazione per favorire lo sviluppo della comunità degli Open Data in Italia in stretta connessione con il movimento Open Data internazionale.

Inoltre l’istituto intende promuovere e supportare lo sviluppo di tecnologie basate su Open Data all’interno delle organizzazioni  pubbliche e private; definire partnership con Università e Centri di ricerca su problematiche, metodi e tecnologie legate agli Open Data; attivare l’avvio di programmi di supporto alla nascita e allo sviluppo di iniziative imprenditoriali basate sugli Open Data.

Non meno rilevante sarà l’avvio di un Osservatorio per monitorare  lo stato e la qualità di attuazione degli Open Data nella realtà italiana  e fornire anche feedback e proposte agli organi istituzionali di riferimento (Comuni, Regioni, Governo), sulla base delle esperienze già presenti di valutazione.

Infine non potrà prescindere dall’avvio di un confronto sistematico con le organizzazioni governative preposte per supportarle nello sviluppo delle politiche pubbliche in tema di Open Data e la definizione di un piano di attività di disseminazione, comunicazione e sensibilizzazione nei confronti di cittadini, istituti di formazione e imprese sulle finalità e utilizzo dei dati aperti, tra cui è inclusa naturalmente anche l’organizzazione dell’evento italiano dell’International Open Data Day 2015.

  (da pionero.it)




La primavera di Corviale

botticelliE’ stato un lungo inverno durato alcuni anni in cui eravamo in pochi a credere al progetto di Corviale Domani: diciamo la verità eravamo tutti un po’ scettici quando Pino Galeota parlava di Corviale come di una chance per Roma e per l’Italia, o quando Maria Grazia Bellisario lo dichiarava un nuovo modello d’integrazione architettonica e sociale, o quando Monica Melani v’intravedeva un nuovo modello di sviluppo basato sull’arte e la cultura, o quando Stefano Panunzi ci raccontava del tetto più grande del mondo destinato a piazza e produzione di energia ed ortaggi, o quando Alfonso Pascale vi declinava le caratteristiche di una nuova agricoltura sociale e volta al benessere psicofisico, o quando Sandro Zioni c’insegnava a far diventare corviale.com il giornale delle periferie o quando Elisa Longo e Ivan Selloni esercitano la professione di giornalisti sociali.

Dopo questo lungo inverno è arrivata la primavera di Corviale: venerdì 9 maggio sala del Consiglio municipale: concerto del Teatro dell’Opera: l’assessore Barca, da noi intervistato, dichiara: “la vostra suggestione di portare a Corviale, dopo l’Opera, una grande mostra integrando così i 900 metri quadri del Mitreo nel circuito culturale della città è coerente col nostro progetto culturale e ne studierò la fattibilità”; sabato 10 maggio: Open House: la manifestazione internazionale sull’architettura ha coinvolto 3  iniziative a Corviale, inaugurazione del Campo dei miracoli: dichiarazione stampa del Governatore del Lazio Zingaretti: “Corviale dovrà essere uno dei cuori degli investimenti europei: vogliamo dimostrare a tutta Europa che Corviale è nei nostri cuori”.

E’ leggendo questa dichiarazione di Zingaretti che ho capito che a Corviale è sbocciata la primavera, mi sono andato a rileggere ciò che avevamo scritto con Alfonso Pascale e Stefano Panunzi nel manifesto “Corviale verso Europa 2020”: “Si tratta di dar vita ad un Partenariato Pubblico-Privato che intende allargarsi anche ad altri quartieri del Quadrante per candidarsi a gestire in modo integrato i Fondi Europei 2014-2020”.

C’impegniamo a continuare a seguire il progetto in maniera tale da assicurare che dopo la primavera ci siano anche i frutti concreti di un‘estate di Corviale in termini di lavoro, cantieri, riqualificazione, verde, innovazione tecnologica, vivibilità, sicurezza.

 




Smart cities o Grandi Fratelli?

smart-cityLe città si riempiono di sensori e sistemi di controllo per diventare evolute. Ma siamo realmente pronti a gestire le nuove tecnologie escludendo il rischio di ‘tilt’ e di sfruttamento di dati personali?

L

e città per diventare intelligenti si affidano alla tecnologia. E attualmente parlare di tecnologia significa perlopiù riferisi allo sviluppo di sistemi innovativi, integrati e connessi grazie alle immense possibilità offerte dalla rete. Ecco che le città del futuro vengono immaginate (e progettate) come modelli gestiti e controllati attraverso sensori, app e sistemi di monitoraggio che funzionano grazie all’implementazione di software sempre più complessi.

Le insidie che si nascondono dietro il progresso

Il cosiddetto Internet of things affascina per le possibilità che potrebbe offrire, ma al tempo stesso spaventa proprio per la sua fatuità ed inconsistenza. I dati che si raccolgono possono essere considerati sempre attendibili? Quante sono le possibilità che un sistema software possa essere intaccato da hacker e quante quelle di un blackout? I timori e le perplessità sono ormai noti, ma la comunità scientifica non smette di ribadirli. “Le tecnologie IT si stanno diffondendo con una rapidità inimmaginabile e in modo disordinato. E ciò che ne consegue è la mancanza di serie valutazioni dei rischi”, avverte Anthony Townsend, ricercatore senior presso la New York University e autore del saggio “Smart Cities: Big Data, Civic Hackers, and the Quest for a New Utopia”, in cui mette in guardia sull’attuale tendenza a progettare le città basandosi esclusivamente su algoritmi piuttosto che sull’esperienza umana.

Città del mondo sempre più smart e integrate

In tutto il mondo è un prolificarsi di città dove la tecnologia la fa da padrona. Londra, Seul e Stoccolma utilizzano da anni un sistema di sensori per monitorare il traffico e gestire la congestione urbana. Singapore è allo stesso modo interamente gestita da dispositivi di controllo basati su rilevatori di informazioni di ogni genere. Rio de Janeiro è famosa per la sua centrale operativa high-tech dove circa 400 collaboratori monitorano ogni elemento, dal traffico alle parole chiave presenti nei social media locali, con l’obiettivo di individuare tendenze o criticità prima che si verifichino.

Il modello innovativo di Santander
Ma uno dei modelli più evoluti, e a cui progettisti e governatori di tutto il mondo guardano con molto interesse, è tuttora rappresentato da Santander, antica città portuale sulla costa atlantica della Spagna. Un progetto su cui l’Unione Europea ha investito, circa quattri anni fa, più di 11 milioni di dollari per creare un vero e proprio prototipo di smart city che potesse essere replicato anche altrove. Alla base del modello spagnolo, sviluppato grazie alla partnership con la facoltà di ingegneria dell’Università di Cantabria, vi è un sistema di sensori, più di 10 mila, che monitorano ciascun elemento urbano: dall’illuminazione al traffico, dai livelli di temperatura e umidità a quelli delle emissioni nocive, dagli spostamenti delle persone alla quantità di rifiuti. I dati raccolti vengono immediatamente inviati al laboratorio IT dell’Università di Cantabria, che ha il compito di controllarli e di intervenire in caso di criticità.


Ma la rilevazione di dati sensibili non è l’unico aspetto su cui si fonda la “smartness” di Santander. Grande importanza è stata data anche al coinvolgimento dell’interapopolazione in questo percorso verso l’innovazione e l’utilizzo delle nuove tecnologie. Grazie allo sviluppo dell’app “El Pulso de la ciudad” è possibile per i cittadini ottenere numerose informazioni e in tempo reale: si va dalle informazioni sulla viabilità urbana ai tempi di arrivo dei mezzi pubblici. Basta poi puntare lo smartphone su esercizi commerciali o monumenti per ottenere informazioni su orari di esercizio nel primo caso e descrizioni e breve cronistoria nel secondo. Ma l’interattività non finisce qui. L’applicazione permette anche di fotografare un incidente o un guasto (come la canonica buca nel manto stradale) e di inviare al municipio o agli organi preposti la propria lamentela o richiesta di intervento.
L’informatizzazione della città si estende anche alla gestione dei dati pubblici che, grazie a un sistema informatizzato aperto e trasparente sono resi liberamente consultabili da chiunque fosse interessato. Per finire, il lancio di un social network che accoglie al suo interno tutti gli abitanti di Santander, per creare un un nuovo rapporto di collaborazione e interazione tra il popolo e il governo della città.

Il rischio di blackout e di attacco hacker è tutto fuorché remoto

Concettualmente, nulla da obiettare. Ma affidare l’intera gestione urbana al funzionamento di sensori e app aumenta necessariamente il rischio di un blackout di sistema. Il recente ‘tilt’ delle due applicazioni per messaggistica mobile e condivisione delle foto è un esempio lampante di come disfunzioni e interruzioni dei servizi siano una possibilità tutt’altro che remota. Perché i server in caso di sovraccarico possono bloccarsi e i software possono essere facilmente intaccati dagli hacker. “L’esempio del software Y2K, meglio noto come Millenium Bug, è significativo. E ripararlo è costato ad aziende e governi più di 300 mln di dollari- dichiara Towsend, aggiungendo che “il governo israeliano abbia più volte denunciato attacchi esterni ai sensori, fra cui la nota debacle che ha colpito la città di Haifa, mandandola letteralmente in tilt per un paio d’ore.” Ci sono, poi, una serie di aspetti ancora poco considerati, come l’esistenza o meno di dispositivi in grado di gestire queste emergenze o di allertare in tempo la popolazione e sopratutto i responsabili dei sistemi. Non si è ancora pronti, avverte Towsend, per una diffusione così capillare dell’IT.

Città evoluta o Grande Fratello?

Senza considerare, poi, la questione della privacy e quindi quella della sicurezza nella gestione dei dati. I sensori sono in grado di catturare moltissime informazioni e non c’è ancora una chiara legislatura che stabilisca quali sono quelle che possono essere divulgate ed utilizzate e quali quelle che potrebbero, in caso di diffusione, danneggiare enormemente i soggetti coinvolti. Il rischio, avverte Rob Ritchin, direttore del National Institute for Regional and Spatial Analysis dell’Università di Irlanda- è che si passi da una società democratica a una autocratica. Perché mettere una città, e i suoi abitanti, sotto stretto controllo, significa trasformarla in un sistema molto simile a un Grande Fratello.”

link all’articolo




La caccia alle streghe

pascaleLa premiata ditta Pascale & Pascale svela la trama della caccia alle streghe che ha tagliato le gambe all’agricoltura italiana istallando nell’opinione pubblica la paura millenaria del diverso, dell’alieno, del diabolico: la disinformacija che dagli ultimi decenni ha cancellato l’eccellenza italiana della ricerca nel campo delle biotecnologie agroalimentari ha ricacciato il paese nel medioevo delle credulità e delle cacce alle streghe impedendo lo sviluppo di una vera lotta all’onnipresenza della dittatura chimica. In una tranquilla chiacchierata a Centocelle Alfonso e Antonio Pascale ci hanno con pacate e argomentate poche parole raccontato l’incredibile ennesima malastoria italiana: un’Italia che taglia le gambe alle migliori menti della ricerca per inseguire le chimere di una nicchia pauperistica del mercato alimentare mondiale: quella del rimpianto e dell’utopia del “buon tempo antico”. Un “buon tempo antico” fatto di sapori e saperi che si mantengono in vita grazie alla chimica e agli anticrittogamici, un non detto sempre celato dai politically correct sulla cresta dell’onda mediatica da legambiente a greenpeace. La verità sempre celata, come nel miglior medioevo prossimo passato, dell’unica vera strada per combattere la chimica: la predisposizione genetica delle difese antiparassitarie. In altre, semplici, parole un’accelerazione dei normali tempi d’ibridazione dei generi da sempre operata in agricoltura fin dai primordi della storia. Un’accelerazione ideologicamente negata che, però, ci consegna – di fatto – nelle mani della chimica degli anticrittogamici.

articolo collegato: La società scientifica contesta il movimento anti OGM




L’#innovazione che vorrei nei comuni dal 2014 in poi

smart-city

I comuni italiani sono migliaia di enti pubblici territoriali che erogano il maggior numero di servizi essenziali alla collettività. Nei comuni c’è un fabbisogno di innovazione in vari ambiti, per la gestione efficiente della mobilità, dell’ambiente, dell’energia, della cultura, del settore sociale e scolastico, delle aree verdi, dei servizi all’utenza in generale.
L’innovazione nel 2014 dovrebbe permettere almeno:
l’ottimizzazione delle procedure operative interne agli uffici,
l’erogazione di migliori e nuovi servizi all’utenza,
la partecipazione e collaborazione dei cittadini alle scelte di governo locale.
Le amministrazioni comunali conoscono i problemi locali, ma spesso non riescono a individuare le soluzioni più idonee ad uscire dalle criticità, a volte chiedono e pagano nel mercato beni e servizi che poi non risolvono definitivamente i problemi. C’è una difficoltà ad individuare lo specifico fabbisogno di innovazione! Quali tipologie di innovazioni adottare nella Pubblica Amministrazione per superare le criticità, soddisfare i bisogni dei cittadini e migliorare la qualità della vita degli individui?
Un mix armonioso e intelligente di:
Innovazione Sociale (human-culture),
Innovazione di Processo (management),
Innovazione Tecnologica (tech).

[L’innovazione sociale]
è il tipo di innovazione più complessa e difficile da innestare dentro la Pubblica Amministrazione, in quanto deriva da processi non codificati (nè legiferati) e da approcci culturali squisitamente spontanei dei dipendenti e dirigenti, che, anche in caso di assenza di un forte supporto politico (all’innovazione), si propongono come attori di iniziative e progetti nuovi, sperimentali, casuali si ma orientati a funzioni tipiche di una città cosiddetta “intelligente”. L’innovazione sociale fuori dalle stanze degli enti pubblici è facile da individuare e monitorare, basta prestare attenzione alle realtà ormai diffuse dei coworking, dei fablab, dei barcamp, dei guerrilla gardening, degli hackathon, dei crowdsourcing, delle startup che animano i territori. L’ideale sarebbe mettere in diretta comunicazione e collaborazione queste realtà esterne direttamente con i dipendenti e dirigenti della Pubblica Amministrazione. Questa “contaminazione” culturale può portare ad uno svecchiamento delle politiche e metriche gestionali degli enti pubblici a cominciare dalla gestione degli spazi pubblici esterni, degli spazi verdi, o di quelli dismessi e abbandonati. I soggetti e le associazioni private attive nel campo dell’animazione territoriale possono essere di grande aiuto alla Pubblica Amministrazione che spesso non riesce a valorizzare tanti immobili e spazi non utilizzati. Queste contaminazioni culturali e di metodo dovrebbero avvenire con una frequenza temporale costante (es. mensile), diventare nuova consuetudine.
L’innovazione sociale dentro la P.A. si può agevolare attraverso l’utilizzo di format aggregativi quali le GOVJAM ad esempio, utilizzate da qualche anno e con risultati positivi in varie città del mondo. Dipendenti pubblici e soggetti privati a vario titolo ed esperienza si incontrano per 48 ore ed insieme, attraverso l’uso di tecniche di gioco e strumenti multimediali, costruiscono, disegnano progetti utili alla collettività e li caricano istantaneamente su idonei portali web rendendoli pubblici. Un format che da ai dipendenti pubblici e ai soggetti della Società civile ruoli operativi precisi. L’innovazione sociale dentro la P.A. sopperisce alle leggi vigenti che spesso non riescono ad innovare efficacemente i modelli e processi gestionali interni in quanto sono disposizioni imposte e quindi viste come scomode o difficili da attuare. L’innovazione sociale fuori dalla P.A. è libera da schemi e quadri legislativi di riferimento, per questo si diffonde con velocità portando vantaggi nella vita quotidiana di tutti.
L’innovazione sociale dentro la P.A. per realizzarsi si deve alimentare di dipendenti e dirigenti intraprendenti e creativi (ci sono, tranquilli!), con idee nuove, sperimentali, capaci di fare rete dentro la stessa P.A. in maniera trasversale, orizzontale (uso di servizi cloud), in controtendenza alle tradizionali modalità organizzative per compartimenti stagni (la UO, il Servizio, l’Ufficio, il Settore, l’Area). E’ quello che sta succedendo nelle città più intelligenti e lo si legge chiaramente nel Vademecum delle smart cities italiane dell’ANCI (pag. 14): “…organizzazioni costruite in funzione delle policy e dei progetti più rilevanti, piuttosto che (come spesso accade ora) solo in funzione della produzione diretta dei servizi”. E ancora a pag. 17: “Lavorare nell’amministrazione: dalla conoscenza verticale all’integrazione orizzontale. Molte delle città che hanno avviato il percorso di programmazione (smart city, n.d.A.) sono partite dal confronto tra i settori interni dell’amministrazione stessa. Superare la verticalizzazione interna dell’amministrazione è una delle prime sfide delle città in trasformazione.”
L’innovazione sociale dentro la P.A. ha bisogno di utilizzare strumenti di cloud per la condivisione e gestione di dati/informazioni/progetti/attività; senza cloud si resta isolati e fuori dalle logiche operative e collaborative di rete. Capita sovente che più dipendenti, anche appartenenti a diversi enti pubblici, condividono documenti di lavoro su piattaforme online gratuite di cloud di terze parti, ma lo fanno perchè sentono l’esigenza operativa quotidiana di usarli, perchè sono consapevoli dei benefici che ne derivano, quelli sono in qualche modo innovatori che usano strumenti di lavoro spesso non forniti dalle rispettive amministrazioni!
L’innovazione sociale dentro la P.A. deve permettere (data input) e deve gestire (data management) la partecipazione dei soggetti attivi della Società alle scelte di governo del territorio: “core” della democrazia partecipativa. L’innovazione sociale dentro la P.A. serve contemporaneamente a migliorare la qualità interna della P.A. ed a migliorare i rapporti che la P.A. intrattiene con la Società.
L’innovazione sociale nella P.A. è l’uso quotidiano dei social network da parte di ogni singolo ufficio per migliorare la qualità e quantità della comunicazione pubblica con la collettività. Oggi Linkedin facilita la costruzione di partenariati trasnazionali per progetti da presentare a seguito delle call europee.
L’innovazione sociale nella P.A. è pensare alla produzione e rilascio dei dati in formato aperto (open data) nel momento preciso in cui si avvia una qualsiasi attività lavorativa negli uffici che prevede l’uso di dati e informazioni, a partire da quelli già in possesso dell’ente: questo serve non soltanto a raggiungere gli obiettivi imposti per legge di “amministrazione trasparente” (d.lgs. 33/2013), ma anche per dare l’opportunità alla società più creativa di generare applicazioni e servizi innovativi utili a tutti derivanti dall’uso e riuso degli open data.

[L’innovazione di processo]
è necessaria per:
permettere il miglioramento (o ridisegno) delle procedure operative esistenti dentro una Pubblica Amministrazione,
permettere l’ottimizzazione dei flussi di lavoro e dei tempi,
consentire una più efficace interazione e comunicazione tra i dipendenti pubblici,
permettere l’adozione di applicativi gestionali nuovi, più efficaci e user friendly,
permettere ai dipendenti di usare le videoconferenze su piattaforme online gratuite evitando tanti inutili spostamenti fisici o invio di lettere per piccoli chiarimenti e conseguenti rimpalli di competenze con perdite enormi di tempo,
stabilire degli indicatori di performance dei servizi pubblici erogati dagli uffici, (indicatori da rendere online), al fine di dare alla Società e alla stessa P.A. un metro di valutazione realmente oggettivo dell’efficacia del metodo e procedura utilizzata dagli uffici, abilitando in tal maniera la Collettività ad effettuare attività di ranking online in grado di fornire indicazioni alla P.A. per eventuali aggiustamenti.
abilitare i dipendenti all’uso dei servizi cloud per la condivisione/gestione documentale (collaborazione),
permettere a tutti i dipendenti della P.A. la consultazione (data visualisation) delle banche dati georeferenziati, mantenendo solo a chi ne ha il ruolo l’immissione dei dati (data entry),
permettere l’interscambio completo delle banche dati tra i diversi uffici eliminando definitivamente l’invio di carta per richieste dati all’interno dello stesso ente (osceno nel 2014), ecc.
generare la pubblicazione di set di dati in formato aperto (open data), quale procedura automatica abilitata dagli applicativi usati ogni giorno dai dipendenti nello svolgimento delle proprie mansioni,
abbandonare possibilmente per sempre (senza che nessuno si offenda) il vecchio e sudicio fax.
Alla base dell’innovazione di processo si pone l’inevitabile attività di ridisegno dell’architettura interna dei servizi e degli uffici (vecchia di svariati decenni), ovviamente dopo avere condotto un’accurata radiografia/ricognizione delle competenze e ruoli di ogni singola Unità Organizzativa (= la cellula organizzativa di lavoro più piccola dentro la P.A.). Per ridisegnare l’architettura interna dei servizi e degli uffici è necessario che l’intero ente pubblico con le sue figure apicali si metta in discussione, senza mantenere assetti preesistenti consolidati spesso non più in funzione dell’efficacia ed efficienza della governance urbana!
Questo è il punto di partenza per l’innovazione di processo, che può essere generata solo attraverso
una conversione culturale della classe politica, della dirigenza tecnica/amministrativa e dei dipendenti, (c’è anche innovazione sociale in questo punto),
una forte motivazione delle figure apicali delle amministrazioni pubbliche ed il pieno supporto della classe politica che governa l’istituzione (quindi: sindaco + tutti gli assessori + tutti i dirigenti = tutti compatti).
L’innovazione di processo è innovare il modo in cui si lavora, il modo in cui fanno le cose quotidiane dentro gli uffici, innovare le interrelazioni tra gli uffici interni, innovare le relazioni di lavoro tra ufficio e cittadini. Per disegnare i nuovi assetti di un ente pubblico locale, al fine di assicurare una maggiore efficienza/efficacia nel governo del territorio, inevitabilmente bisogna fare riferimento alle 40 professioni ICT dello schema europeo E-competence Framework 3.0, in modo tale che tutto il processo di reingegnerizzazione dell’ente orientato all’uso intelligente dell’ICT sia effettuato da personale dotato di competenze professionali specifiche. Quindi partire dalla redazione e approvazione di un dettagliato Piano ICT comunale, ampiamente condiviso, nel quale stabilire almeno:
competenze ICT da individuare in ogni ufficio assicurando una rete interna con modalità operative omogenee,
obiettivi da raggiungere con i rispettivi tempi e responsabilità,
tecnologie digitali da utilizzare per ottimizzare il lavoro quotidiano,
procedure operative omogenee da seguire nei diversi uffici per ogni servizio da erogare all’utenza,
modalità di monitoriaggio e scelta di indicatori semplici per valutare nel tempo le prestazioni dei vari uffici dell’ente,
modalità operative di partecipazione online dei cittadini all’azione di governo,
modalità di comunicazione online dei vari uffici (amministrazione trasparente, social network vari,…),
ecc.
Nell’era caratterizzata da un uso massiccio di strumenti ICT, i dipendenti di una PA identificati come maggiori esperti “informatici” nelle varie aree devono poter collaborare in rete quotidianamente al fine di implementare costantemente le funzionalità della piattaforma digitale utilizzata, assicurando sempre l’omogeneità, la semplicità e la standardizzazione delle procedure operative in maniera tale che l’avvicendamento periodico di operatori non comporti ritardi nell’erogazione dei servizi all’utenza. Fare in modo che gli applicativi gestionali vengano disegnati e sviluppati con un unica architettura gestionale per tutti i servizi web della stessa PA e avendo in mente che gli utilizzatori finali sono i cittadini, per la maggior parte senza particolari conoscenze informatiche. Evitare al cittadino servizi web che prevedono operazioni quali: scarica il file, stampalo, firmalo, scansionalo, ricaricalo online e quindi invialo, optando per procedure più semplici analoghe a quelle utilizzate nel campo dell’e-commerce (acquisto biglietti aerei, oggetti, ecc.). Un Piano ICT comunale deve stabilire con chiarezza questo e tanto altro ancora.
L’innovazione di processo deve portare all’abbandono delle procedure che comportano ancora l’uso della carta (oppure l’orrenda abitudine di stampare le email), la duplicazione di procedure/attività solo per mantenere gattopardiane abitudini consolidate nel tempo. Richiede l’uso intelligente di applicativi gestionali online (e non sul pc), e open source, in grado di permettere la gestione totale dei flussi di dati/informazioni insieme alla relativa pubblicazione periodica nel portale web istituzionale (raggiungendo gli obbiettivi di “amministrazione trasparente”).
L’entrata in vigore di nuovi obblighi normativi può comportare difficoltà ad un ente non attrezzato con processi gestionali innovativi: lo spettro delle sanzioni per l’inadempienza porta a lavorare comunque, ma perdendo l’efficienza operativa. Viene in mente il Decreto 33/2013 Trasparenza che impone la pubblicazione delle informazioni sulle attività di un ente pubblico, obiettivo estremamente positivo, ma che per la sua completa attuazione comporta il ridisegno degli applicativi gestionali dell’ente se si vogliono evitare duplicazioni di attività e tempi. Mi spiego meglio: è o non è insensato redigere ordinanze, deliberazioni, determinazioni, bandi, capitolati, ecc. attraverso l’uso di editor di testo di terze parti e successivamente impiegare ulteriore tempo per reimmettere le stesse informazioni degli atti citati, con altri software diversi dai primi, su un portale web per ottemperare agli obblighi del D. Lgs.33/2013 Trasparenza ?! Si può fare il lavoro una volta sola andando a soddisfare 2 esigenze diverse se la P.A. fa prima innovazione di processo.

[L’innovazione tecnologica]
permette ed abilita gli individui a co-gestire informazioni e dati e processi partecipativi in maniera tale che la Società ne possa beneficiare in vari campi e nella maniera più totale/completa/ottimale possibile. L’innovazione tecnologica è un fattore fortemente abilitante, che fornisce gli strumenti idonei per fare le cose al meglio, farle in maniera partecipata nell’era dell’Open Government, quindi attraverso flussi di dati/informazioni bidirezionali (dalla e alla Pubblica Amministrazione).
Questa tipologia di innovazione si rivolge sia a chi produce software/hardware che alla vasta platea di utenti dal dipendente pubblico all’associazione, all’impresa, al cittadino. Molte città del mondo già impegnate a realizzare progetti concreti per diventare luoghi intelligenti, cioè luoghi che migliorano la qualità della vita di tutti, hanno sperimentato con successo l’uso delle piattaforme digitali abilitanti, che permettono ai dipendenti di una P.A. e ai cittadini/imprese/associazioni di una Società:
la generazione e condivisione di un flusso bidirezionale di informazioni/dati utili sia alla P.A. che alla Società. A tal riguardo ci viene ancora in aiuto il Vademecum delle città intelligenti (a pag 18) “I data analytics hub: i dati IN comune. Ancora in poche città è possibile osservare all’opera un vero e proprio sistema cittadino che integra in un singolo centro di data analytics i dati provenienti da un grande numero di agenzie su fenomeni centrali come il controllo del traffico, delle emergenze e le infrastrutture dei servizi, insieme anche ai dati generati dai cittadini o dalle imprese”;
la generazione di servizi nuovi online che fino a poco tempo fa la Società non fruiva, si pensi ad esempio alle applicazioni su dispositivi in mobilità o servizi web georeferenziati che possono essere realizzati non solo dalla P.A. ma anche dalla comunità degli sviluppatori e civic hackers che dispongono dei dati pubblici in formato aperto;
la generazione di un senso di fiducia nuovo da parte della Società nei confronti della P.A. che governa i territori;
la gestione ottimale delle procedure di lavoro interna della P.A. con riduzione dei tempi operativi, azzeramento delle duplicazioni, permettendo la dematerializzazione;
la generazione di proposte e progetti da parte della Società (Associazioni, Cittadini, …) che la P.A. può recepire e co-gestire insieme al proponente sulle stesse piattaforme digitali abilitanti (in puro spirito Open Government);
la generazione automatica di set di dati aperti come processo di output delle funzioni operative svolte quotidianamente dai dipendenti, fattore che permette agli sviluppatori di realizzare applicazioni dai contenuti dinamici, aggiornati tempestivamente.
L’innovazione tecnologica, se pianificata, progettata e ingegnerizzata da un ente pubblico sia attraverso la consultazione capillare di tutti gli uffici interni che dei vari soggetti della Società civile (Associazioni categoria, Ordini professionali, ecc), ingloba al tempo stesso l’innovazione di processo.
Le piattaforme digitali abilitanti (dashboard, pannelli di controllo) stanno diventando gli ecosistemi di gestione intelligente del territorio, gli attrezzi per effettuare anche le analisi predittive degli amministratori pubblici, abbracciano ambiti quali: energy management, sicurezza urbana, mobilità, logistica urbana, spazi pubblici, aree verdi, aree sportive, servizi sociali e scolastici, cultura, biblioteche digitali, protezione civile, ecc. Funzionano solo con l’immissione giornaliera di dati e informazioni per poi essere organizzate/elaborate/aggregate/…e rilasciate sotto forma di servizio web utile alla PA e alla collettività.
Vengono chiamati anche Cruscotti Smart City per indicare un pannello di controllo di informazioni, dati, analisi, processi, scenari,… (il caso di Torino nel Vademecum delle città intelligenti, pag. 179).
Le piattaforme digitali devono permettere l’erogazione di servizi cloud per la memorizzazione, gestione e condivisione di una mole notevole di dati/informazioni che un qualsiasi cittadino/associazione, dietro procedura di autenticazione, intende mettere a disposizione della P.A.
L’innovazione tecnologica HW/SW è fondamentale per attuare concretamente l’agenda digitale, per omogeneizzare le “procedure” digitali necessarie alla fruizione di uno stesso servizio pubblico nei comuni del territorio nazionale, che già al nascere sono “procedure diverse” da città a città.
L’innovazione tecnologica nella P.A. deve servire per fare in modo che tutti gli uffici abbiano velocità elevata di connessione alla rete, evitando disservizi causati da tempi lunghi di latenza, e dando priorità alle soluzioni tecniche che minimizzano impatti ambientali e spesa.
L’innovazione tecnologica è essenziale per generare cambiamenti positivi e tempestivi nella Società, la nuova metodologia degli appalti pre commerciali (PCP – Pre Commercial Procurement) potrebbe supportare tantissimo la P.A. italiana nel migliorare le proprie performance nel governo del territorio. E’ auspicabile un ricorso a tale procedura, che consente un ideale incontro tra la P.A. dei servizi e il mondo della ricerca tecnologica (al riguardo il PCP è contemplato dal Programma europeo Horizon2020 [1] – [2] – [3]). Che le nuove programmazioni finanziarie pubbliche nazionali e regionali 2014-2020 (con la Strategia Regionale dell’Innovazione) diano ampio spazio alla metodologia degli appalti pre commerciali per soddisfare meglio i fabbisogni di innovazione tecnologica dei numerosi Comuni. E mentre noi leggiamo una Università slovacca ha persino costruito una piattaforma digitale per la gestione ottimale e smart delle diverse procedure prevista dal PCP.

— Conclusioni non innovative —
L’innovazione è un processo umano che deriva da un attitudine culturale: idee che camminano nella testa delle persone e si trasformano dopo in comportamenti anche senza una legge statale che lo imponga.
Le 3 tipologie di innovazioni elencate devono essere pensate e fuse insieme e non tenute separate da una linea di confine tecnico/amministrativo come spesso avviene nelle funzioni di alcune #PA.
Le innovazioni tutte avvengono realmente quando il numero di soggetti della P.A. e della Società Civile coinvolti nel ridisegno del funzionamento dei servizi pubblici (reingegnerizzazione ICT), è il maggiore possibile = esiste una diretta proporzionalità.
L’innovazione è un processo politico: se i politici che governano il territorio lanciano gli input di azione attraverso piani definiti senza “burocraticizzare” ogni singola iniziativa, l’innovazione sarà oleata ed agevolata per generare mutamenti positivi e rapidi nella Società.
Dai processi di innovazione nessun individuo della Società è escluso: tutti hanno una conoscenza utile, ma devono essere disposti a condividerla facilmente e quotidianamente nella rete = la foresta pluviale è un ecosistema ricco di vita e rigoglioso proprio perchè fatto di tante specie diverse che coesitono (“the Rainforest”, V.Hwang & G.Horowitt, 2012).
_____
Enjoy your innovation

Ciro Spataro (da innovatoripa.it)

link all’articolo

 




Wi-fi unico cittadino, nuova welcome page e bando per il nuovo sito di Roma

wifiOggi abbiamo presentato il progetto di wi-fi unico cittadino, la nuova welcome page del sito di Roma Capitale e annunciato il rinnovo dell’intero sito istituzionale della città.

Iniziamo un percorso nel nome della razionalizzazione e della semplificazione della macchina amministrativa.

Roma aderisce a Free Italia wi-fi ed entro giugno uniremo Digit Roma e Provincia wi-fi avendo così il wi-fi gratuito su tutto il territorio comunale.

Inoltre, la registrazione unica al wi-fi di Roma sarà valida anche in 40 territori d’Italia ed entro l’estate avremo una App che fornirà servizi a cittadini e turisti e a cui si potrà accedere senza autenticazione.

Stiamo costruendo una città che vogliamo diventi sempre più accogliente, sia per i romani e le romane, sia per i turisti che scelgono ogni giorno di visitare le nostre bellezze.

Se consideriamo che ad esempio il sito web di Roma Capitale è stato ideato 10 anni fa, penso che possiamo essere tutti d’accordo nel dire che si tratti di “archeologia del web” e che oggi quello strumento è decisamente obsoleto.

Per questo a breve partirà il bando per il nuovo sito di Roma Capitale.

Il nuovo portale sarà pronto nel 2015 e semplificherà l’accesso ai servizi e favorirà la partecipazione diretta delle romane e dei romani.

Intanto abbiamo deciso di cambiare la welcome page di comune.roma.it rendendola più semplice e immediata.

Ci siamo messi subito al lavoro per studiare possibili soluzioni per aumentare e rendere più fluido possibile il flusso delle comunicazioni dell’ente nei confronti dei cittadini e degli utenti.

La possibilità di trovare facilmente le informazioni principali sul trasporto pubblico locale e la viabilità, sulla vita culturale della città e le offerte turistiche è un obiettivo fondamentale per la nostra amministrazione.

L’accesso ai servizi, infatti, deve essere il perno sul quale far ruotare la macchina capitolina, favorendo il confronto e la partecipazione diretta degli stessi cittadini e l’aggiornamento e l’innovazione degli strumenti sono fondamentali per semplificare la vita delle persone.

Internet è uno strumento indispensabile per la crescita economica, culturale e sociale delle persone e di tutto il Paese ed è questa la direzione verso cui sta andando la capitale d’Italia.

link al sito

 




Smart City, bando per i Comuni delle Regioni Obiettivo Convergenza

smart-cityLa call for proposal “Efisio, finanziare città intelligenti” offre un sostegno concreto nel processo di pianificazione della smart city

Un bando per fornire supporto alle amministrazioni locali per preparare e realizzare investimenti negli ambiti connessi alla smart city, aiutare a superare il gap di capacità tecnica nell’ambito della pianificazione finanziaria degli interventi di sviluppo e accelerare i progetti di investimento per la nascita della città intelligente a partire dalla condivisione di buone pratiche.

A lanciare la call for proposal “Efisio, finanziare città intelligenti” – CLICCA QUI – è Studiare Sviluppo, in collaborazione con l’Osservatorio nazionale Smart city dell’Anci.

Il bando rientra nell’ambito del progetto EPAS – Empowerment delle Pubbliche Amministrazioni regionali e locali, nell’attuazione di strumenti di ingegneria finanziaria finanziato dal Programma Operativo Nazionale Governance e Azioni di Sistema (PON GAS FSE).

Destinatari e caratteristiche delle proposte

Alla call for proposal possono partecipare le amministrazioni comunali, le unioni di Comuni e le altre forme associative di enti locali (consorzi, convenzioni) che rientrano nel territorio delle Regioni obiettivo convergenza. Le proposte dovranno riguardare uno degli ambiti tematici legati alla città intelligente: smart building, smart government, smart energy e smart mobility e transport, avere una dimensione finanziaria di almeno 500mila euro ed essere accompagnate da un’adesione formale attraverso un atto amministrativo (delibera di Giunta o inserimento nel piano triennale opere pubbliche).

Proposte entro il 30 maggio 2014

Le proposte, corredate da tutta la documentazione richiesta (disponibile a questo link), dovranno essere trasmesse esclusivamente via mail e con firma digitale all’indirizzo: efisio@studiaresviluppo.it entro e non oltre le ore 13.00 del 30 maggio.

Per maggiori informazioni è possibile scrivere a: efisio@studiaresviluppo.it.

link all’articolo




Facebook diventa una banca, il profilo sarà anche conto corrente

facebook

Nuova trovata di Zuckerberg. Il social network più conosciuto al mondo punta sull’e-money. Funzionerà come una banca. Gli utenti potranno usare il proprio profilo come conto corrente, fare acquisti e scambi

D’ora in avanti non chiamatelo più Facebook, ma Facebank. Il social network più diffuso al mondo si prepara a cambiare volto. Nuova clamorosa trovata di Mark Zuckerberg che sta per ottenere una licenza di e-money che permetterà agli utenti del social network di depositare denaro sul proprio profilo.

Si tratta solo del primo passo verso un progetto più ambizioso: aumentare le transazioni finanziarie (compreso lo scambio di soldi tra amici). La licenza dovrebbe arrivare dal Paese europeo che più di ogni altro strizza l’occhio fiscale alle multinazionali, l’Irlanda. L’autorizzazione è talmente vicina che Facebook si è già mosso per cercare alleati. Avrebbe illustrato il progetto a tre startup londinesi (TransferWise, Moni Technologies e Azimo) specializzate nel trasferimento di denaro online via smartphone.

Mr Facebook non si accontenta degli imponenti introiti pubblicitari. Zuckerberg non ha mai fatto mistero di voler diversificare il business della piattaforma. Le transazioni finanziarie potrebbero essere la soluzione. Già oggi la legge permette al social di vendere app. Nel 2013 l’azienda ha transato 2,1 miliardi di dollari. Una somma che deriva quasi interamente dall’acquisto dei giochi e sulla quale Facebook applica una commissione del 30%. Se l’affare si allargasse dal bacino delle app al mare dei pagamenti online, Zuckerberg incasserebbe l’ennesimo jackpot. Tornando al progetto Facebank, restano da sistemare alcuni nodi legali. In particolare in Ue il concetto di e-money è ancora abbastanza vago. E poi resta da capire in quanti si fideranno di Facebook in maniera tale da affidargli i propri risparmi.

link all’articolo