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SCANNER 3D PER LA STAMPA 3D

scanner-3dArticolo di proprietà del portale www.stampa3d-forum.it

Gli scanner 3D sono dispositivi che ci permettono di ottenere modelli 3D da oggetti esistenti. Questi dispositivi rilevano le superfici che rientrano nel proprio raggio d’azione memorizzando le informazioni ottenute e rielaborandole, producendo in conclusione una descrizione matematica per punti dell’oggetto scansionato. In altri termini, un modello 3D digitale.

 

Le tecnologie per gli scanner 3D sono diverse e differiscono soprattutto per:

 

  • la meccanica: gli scanner 3D possono essere fissi o mobili. Quelli fissi dispongono generalmente di un piano che ruota, sopra al quale viene posizionato l’oggetto da rilevare. Quelli mobili sono impugnati da un operatore che deve avere la cura di puntarlo contro l’oggetto interessato, rilevandone le superfici.
  • la tipologia di raggi che lanciano verso l’oggetto desiderato.

 

SCANNER 3D LASER A TEMPO DI VOLO

 

Questi dispositivi utilizzano una luce laser che viene riflessa sulla superficie dell’oggetto rilevato. Il sensore del laser cronometra il tempo di volo, ossia il tempo che ci mette il fascio di laser a tornare all’origine in seguito essere rimbalzato sulla superficie rilevata, potendo definire se un determinato punto è più o meno vicino al diodo laser che emette l’impulso di luce. Questa misura è possibile in quanto la velocità della luce è costante, sarà quindi il tempo di andata e ritorno dell’impulso luminoso laser che definirà la posizione nello spazio del punto battuto. La precisione di uno scanner 3D laser a tempo di volo dipende quasi esclusivamente dalla precisione con cui esso riesce a misurare il tempo di volo.

 

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scanner 3d stampa 3d
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SCANNER 3D CON SISTEMA A LUCE STRUTTURATA

 

Gli scanner 3D con sistema a luce strutturata proiettano sulla superficie dell’oggetto da rilevare un fascio di luce. La deformazione del pattern proiettato definisce la posizione dei punti che compongono l’oggetto, permettendo ad una telecamera di calcolarne le coordinate tridimensionali attraverso una triangolazione.

 

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scanner 3d stampa 3d
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SCANNER 3D ECONOMICI

 

Sono diverse le aziende che si sono lanciate nel mercato degli scanner 3D vedendo l’aumentare dell’interesse nei confronti di questi utili pezzi di tecnologia. Stiamo parlando, per esempio, degli scanner di MakerBot, Rubicon 3D e Structure Sensor.

 

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Esistono poi altri metodi più smanettoni per scansionare degli oggetti 3D. Uno dei più conosciuti è quello che sfrutta il potenziale del Microsoft Kinect. Proprio così, l’accessorio per la famosa XBox 360 può essere trasformato in uno scanner 3D low cost grazie ai suoi driver open source e a diversi software scaricabili online. Altro metodo economico è quello di utilizzare una macchina fotografica o uno smartphone e software open source per elaborare le immagini ottenute. Per maggiori informazioni su questo metodo di rilievo vi rimandiamo a questo articolo su 3D ArcheoLab.

link all’articolo

 




3D ARCHEOLAB: LA STAMPA 3D PER I BENI CULTURALI

archeolab-scannerArticolo di proprietà del portale www.stampa3d-forum.it

Le tecnologie di rilievomodellazione e stampa 3Dstanno rivoluzionando il settore dei Beni Culturali, creando nuove forme di documentazione, fruizione e divulgazione. Proprio la tecnologia della stampa 3D, associata alle moderne tecniche di rilievo tridimensionale open source, consente di ottenere in tempi rapidi e a costi contenuti riproduzioni fisiche di reperti archeologicielementi scultorei oarchitettonici che possono essere utilizzati a scopi differenti: per studio e ricerca, per la didattica con le scuole, per l’allestimento di percorsi museali alternativi.

 

In quest’ottica è nato 3D ArcheoLab, un progetto di tre giovani professionisti dei Beni Culturali: Giulio Bigliardi, Sara Cappelli e Sofia Menconero. L’obiettivo del progetto 3D ArcheoLab è quello di permettere a tutti il libero e pieno accesso al nostro patrimonio culturale, facilitandone la fruizione attraverso ilsuperamento delle barriere geografiche, fisiche e culturali. A questo scopo, 3D ArcheoLab utilizzatecnologie 3D libere, open source e low-cost per creare  nuove forme di conoscenza, divulgazione e accessibilità del nostro patrimonio.

 

3D ArcheoLab si rivolge a tutti quei musei che vogliono rinnovare il proprio percorso espositivo e i propri servizi online e offline, attraverso un approccio più tecnologico, più innovativo e più coinvolgente.

 

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Il primo passo è quello di creare una galleria fruibile liberamente online, anche in mobilità, e popolata di modelli 3D di reperti museali (un esempio: 3d-archeolab.sketchfab.me). Il team di 3D ArcheoLab è infatti specializzato nella realizzazione di rilievi e modelli 3D ad alta risoluzione di oggetti utilizzando esclusivamente software libero e open source.

 

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Il secondo passo è quello di riprodurre gli oggetti rilevati in 3D attraverso la tecnologia della stampa 3D. Tali riproduzioni sono gli strumenti più efficaci per creare originali attività didattiche per le scuolee per gli studenti, nella convinzione che l’approccio tecnologico e lo sviluppo di soluzioni innovative che riuniscono educazione e intrattenimento sia il modo più efficace per migliorare la conoscenza del nostro patrimonio culturale tra le giovani generazioni.

 

Infine, le riproduzioni vengono utilizzate per allestire all’interno dei musei percorsi tattili per non vedenti, in modo da garantire anche a loro un’esperienza di visita completa, troppo spesso legata solamente a testi descrittivi in braille o ad audioguide che in alcun modo riescono a restituire la complessità di un reperto.

 

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Al momento 3D ArcheoLab ha attiva una collaborazione con il Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria di Perugia e con l’Accademia Valdarnese del Poggio di Montevarchi; ha inoltre in corso un progetto su Parma, in collaborazione con il costituendo On/Off FabLab Parma. Infine, collabora conOpen Téchne e l’Istituto di Formazione e Ricerca della Federazione Italiana Club e Centri UNESCO nell’organizzazione di attività di formazione nel campo del software libero e dei Beni Culturali.

 

3D ArcheoLab: dall’oggetto reale alla riproduzione 

 

Il miglior modo che abbiamo oggi per una corretta documentazione di un qualsiasi oggetto è il rilievo tridimensionale, poiché consente di ricreare un modello virtuale identico all’originale, metricamente corretto e fotorealistico. Un modello 3D ci permette di estrarre un qualsiasi rilievo bidimensionale dell’oggetto, come prospetti, piante o sezioni, nonché di ricreare materialmente l’oggetto grazie alla tecnologia della stampa in 3D. Uno dei limiti principali ad un uso diffuso delle tecnologie di rilievo 3D (su tutte laser scanning e fotogrammetria) nell’ambito dei Beni Culturali è dato dal costo elevato per l’acquisto delle strumentazioni necessarie e delle rispettive applicazioni, spesso nell’ordine delle decine di migliaia di euro.

 

Tuttavia, oggi esistono tecnologie e software liberi e open source che, partendo da semplici immagini digitali, consentono di ottenere un accurato rilievo 3D semplicemente utilizzando una macchina fotografica digitale, anche compatta, e un PC di medie prestazioni, come un notebook.

 

Il primo passaggio fondamentale è ovviamente l’acquisizione di buone fotografie digitali. In questa fase è certamente utile l’utilizzo di una buona macchina fotografica, anche se camere compatte e addirittura smartphone hanno dato buoni risultati (qui un esempio). In certe situazioni può essere molto utile l’uso di un cavalletto, sopratutto in luoghi chiusi con poca luce dove il rischio di ottenere immagini mosse è molto alto; è infatti da evitare l’uso del flash. Può risultare utile anche l’uso di un manfrotto nei casi in cui l’oggetto da fotografare sia particolarmente alto e diventi impossibile scattare fotografie anche della parte più elevata dell’oggetto. Quando scattiamo le fotografie dobbiamo sempre considerare la tridimensionalità dell’oggetto che abbiamo di fronte. Per ottenere un rilievo completo e accurato è indispensabile scattare foto tutt’attorno all’oggetto: su tutti i lati, sopra e, se possibile, anche sotto. Ogni porzione dell’oggetto deve comparire in almeno tre fotografie e ogni foto deve avere un margine di sovrapposizione del 60% circa con quelle adiacenti. In pratica, si scatta una prima fotografia, poi ci si sposta un po’ di lato e se ne scatta un’altra, e così via finché abbiamo compiuto un giro completo attorno all’oggetto e non siamo tornati al punto di partenza; è consigliato scattare una fotografia almeno ogni 15 gradi di spostamento.

 

Il software

 

Una volta scattate le fotografie dell’oggetto, possiamo elaborarle con il software libero Python Photogrammetry Toolbox – PPT. Dopo aver aperto il software (è possibile installarlo sia su GNU/Linux che su Windows: si rimanda al sito dello sviluppatore per tutti i dettagli), il primo passo è caricare la cartella contenente le immagini nel tab “Check Camera Database” e qui inserire la larghezza in mm del sensore CCD della macchina fotografica che abbiamo utilizzato (se non si ha a disposizione il manuale, basta fare una veloce ricerca su Google). Il secondo passo è caricare la cartella delle immagini nel tab “RunBundler“: questo processo orienterà nello spazio le immagini ricostruendo i punti di presa di ciascuna immagine. Al termine di questo processo PPT crea una cartella temporanea con i risultati parziali dell’elaborazione. Il secondo e ultimo passaggio consiste nel caricare tale cartella temporanea nel tab “RunCMVS/PMVS” e al termine di questo passaggio il software avrà creato una nuvola di punti 3D degli oggetti che abbiamo fotografato; il risultato, in formato PLY, è visibile all’interno della solita cartella temporanea (percorso /tmp/”nome-cartella-temporanea-creata-da-PPT”/pmvs/models/).

 

Per visualizzare il risultato possiamo utilizzare il software libero MeshLab: qui è possibile caricare la nuvola di punti creata da PPT, ripulirla dai punti in eccesso e creare la mesh lanciando il comando “Surface Reconstruction: Poisson” (sul canale YouTube degli sviluppatori si trovano molti tutorial).

 

La stampa 3D

 

A questo punto ci basta esportare il file in formato STL e aprirlo con un software di slicing, come CURA o Slic3r, per creare il file GCODE da dare in pasto ad una stampante 3D.

 

Il progetto 3D ArcheoLab sta rivoluzionando il mondo dei Beni Culturali in modo innovativo, sfruttando software open source e nuove tecnologie che piano piano stanno diventando accessibili a tutti.

 

Per chi volesse approfondire l’argomento del software di Slicing per un oggetto 3D, consigliamo la consultazione della guida apposita a CURA SlicerLINK

 

Giulio Bigliardi

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GUIDA A CURA SLICER -BASE-

scanner 3DArticolo di proprietà del portale www.stampa3d-forum.it

Il processo di produzione di un oggetto 3D si può suddividere in 3 grandi categorie: lamodellazione, lo slicing e la stampa.
In questo articolo entreremo nel vivo del processo che maggiormente influisce sulla qualità finale dell’oggetto: lo slicing. Per farlo utilizzeremo un software libero chiamato “Cura”.

 

Ma cos’è lo Slicing?

 

Dopo aver creato il nostro oggetto 3D tramite i programmi di modellazione (LINK alla nostra guida alla modellazione), abbiamo bisogno di convertire il disegno in un linguaggio comprensibile dalla nostra stampante 3D.  Qui entra in gioco il nostro programma Cura Slicer, che grazie ad una serie di parametri impostati dall’utente elabora il modello 3D, calcolando il percorso più efficiente che la nostra stampante 3D deve fare per ottenere il risultato migliore.

 

Perché Cura?

 

Esistono moltissimi software predisposti a fare questo genere di operazioni ma sicuramente i punti di forza di Cura rispetto ai suoi competitor sono la semplicità e l’ottima user-experience, riuscendo così ad ottenere ottimi risultati agendo su un numero essenziale di parametri. In più è un software libero: Cura è scaricabile dal sito della Ultimaker (QUI) ed è disponibile per tutti i SO quali Windows, Mac OS e Linux.

 

Il primo avvio

 

Una volta installato ed avviato Cura ( lo potete scaricare gratuitamente a questo link), dovremmo settare il software in modo da farlo comunicare con la nostra stampante. Per far ciò andremo nel menu  “Machine->Machine settings..  “

 

Machine_settings

 

  •     Maximum width: lunghezza del piano di stampa (asse X).
  •     Maximum depht: profondità del piano di stampa (asse Y).
  •     Maximum height: Altezza del piano di stampa (asse Z).
  •     Serial Port: lasciare AUTO.
  •     Baudrate: selezionare il baud della vostra  elettronica.

 

 

 

 

 

I Parametri base

 

Nella parte sinistra della schermata di Cura è possibile accedere ai parametri di personalizzazione dello slicing.
Cura

 

– Quality

 

Questa sezione è dedicata alla qualità della stampa, che andrà ad influire anche  sul tempo finale della stampa: una maggior qualità richiede un maggior tempo di lavorazione:

 

  • Layer height: è l’altezza del layer, quindi di ogni singolo strato depositato dall’ugello dell’hotend: influisce direttamente sulla qualità della stampa (valore consigliato da Cura: 1/4 del diametro del vostro ugello);

 

layer Height

 

  • Shell Thickness:  é lo spessore delle pareti, che va espressa come multiplo del diametro dell’ugello di estrusione. Esempio: avendo un ugello di 0.5 e impostando la Shell a 1.0, verranno generate 2 linee perimetrali (in genere da 2 a 4 linee);

 

  • Enable retraction: se spuntata, abilita la retraction della quale parleremo dopo. (default: ON)

 

 

 

– Fill

 

Con questi due parametri andremo a modificare i criteri di riempimento dell’oggetto: cosa che influirà sulla resistenza meccanica del pezzo stampato:

 

  • Bottom/Top thickness: è lo spessore delle pareti superiori e inferiori del modello, dovrà essere un valore multiplo del Layer Height. Esempio: con un Layer Height di 0.2 per avere 3 strati pieni si imposterà questo campo con 0.6 (solitamente da 2 a 4 layer);
  • Fill Density: è il valore espresso in percentuale della quantità del riempimento: impostando 25%, il riempimento del modello sarà composto da 25% di materiale e 75% vuoto. Maggiore sarà il riempimento e maggiore sarà il materiale utilizzato ma anche la solidità del pezzo. (valore consigliato minimo: 25% );

 

raft_25%                               raft_60%

 

– Speed temperature

 

In questa sezione di Cura si settano i valori di velocità e temperatura di stampa essenziali per la buona riuscita del modello:

 

  • Print Speed: agendo su questo valore si modifica la velocità della stampa: all’aumentare della velocità diminuisce la qualità e la durata della stampa (si utilizzano valori compresi tra 30 e 60, si puo arrivare fino a 120 mm/s);
  • Printing temperature: temperatura di stampa dei materiali (PLA 210- 180° , ABS 210-230°, Nylon 230-260°), questi parametri sono indicativi, la temperatura ottimale di stampa per lo stesso materiale varia molto in base al produttore della plastica e anche dal colore (ovviamente si parla in misura di 3-4 gradi massimi);

 

– Support

 

Cura è in grado di disegnare automaticamente i supporti per l’adesione al piatto e se necessario il supporto per le parti a sbalzo (bridge):

 

  • Support type: è  la selezione del tipo di supporto per modelli con sbalzi, difficilmente viene utilizzato per le prime stampe e quindi normalmente viene settato su None;
  • Platform adhesion type : questo campo ci interessa maggiormente di più, è il tipo di supporto per l’adesione al piatto, il Brim estende il primo layer oltre ai contorni del modello per aumentare considerevolmente l’adesione al piatto di stampa, mentre Raft crea uno strato aggiuntivo che verrà stampato tra il piatto e l’oggetto, cosa che rende più difficoltosa l’eliminazione del surplus di materiale ( consiglio: Brim );

 

– Filament

 

  • Diameter: è il diametro del filo, va cambiato ogni volta che si cambia la bobina dalla quale si sta stampando, si consiglia di utilizzare il calibro in quanto il diametro del filo può variare di o,4mm da bobina a bobina;
  • Flow: valore percentuale della quantità di materiale estruso, non dovrebbe essere necessario modificarlo;

 

-Advanced

 

Per ora vediamo solo due opzioni della tendina advanced che sono necessari per un primo settaggio del software

 

Advanced

 

– Machine

 

  • Nozzle size: è il diametro del nostro ugello di estrusione, un nozzle con diametro minore ci permetterà di inseguire una qualità sempre maggiore ( solitamente 0,5 – 0,4 – 0,35 – 0,3 ).

 

 

 

– Retraction

 

Ecco che siamo arrivati alla famosa retraction che avevamo anticipato all’inizio della guida, praticamente è l’azione di ritirare il filo fuori dall’estrusore, per poter fermare l’estrusione ed evitare il gocciolamento, deve essere eseguito quando l’estrusore si sposta da un punto all’altro senza dover depositare materiale:

 

  • Speed: velocità con la quale viene eseguirà la retraction, da non aumentare eccessivamente per evitare slittamenti (tra 90 e 140 mm/s);
  • Distance: la lunghezza della retraction, dipende dal nostro tipo di estrusore di diretto ( con il motore sul carrello dell’hotend) oppure bowden (motore solitamente ancorato al telaio della stampante) , Diretto: 4-5mm , Bowden: 8-16mm;

 

 

 

 

 

Eseguiti tutti questi settaggi saremo in grado di caricare il modello 3D ed esportare il relativo GCode, oppure inviarlo direttamente alla nostra stampante.

 

E con questo abbiamo visto tutti i parametri base per configurare al meglio la nostra stampante con Cura slicer. Se si riscontrano dei problemi durante la stampa, molto probabilmente agendo su questi valori riuscirete a sistemarli. Inoltre, mentre inserite alcuni parametri, Cura stesso vi informerà se c’è qualcosa che non va.

 

Ovviamente, per qualsiasi problema o necessità di chiarimento potete chiede consiglio sul forum della nostra community. Buone stampe!

Leonardo Bertè

 

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Ecco perché si è costituito l’Istituto Italiano Open Data

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C’è un grande potenziale da sfruttare, anche per le aziende. Come dimostrano numerosi casi europei e americani. L’Italia ora può unirsi a questa schiera. Vediamo come

Naturale conseguenza di un percorso iniziato nel febbraio 2013 con la prima edizione italiana dell’International Open Data Day, la costituzione dell’Istituto Italiano Open Data, avvenuta a maggio, da parte di associazioni, imprese private e aziende pubbliche, è un passo importante per lo sviluppo di quest’area dalle grandi potenzialità in diversi settori, dalla trasparenza delle pubbliche amministrazioni all’efficienza dei processi pubblici al mercato del digitale.

Alcune brevi riflessioni su questi fronti possono aiutare a comprendere quando sia urgente ridare spinta ad una strategia che era stata avviata nel 2012 con il decreto Crescita 2.0, ma che non ha proceduto con la necessaria forza e rapidità.

Trasparenza ed efficienza

Open Data è spesso utilizzato come sinonimo di dati accessibili in una logica di piena trasparenza, in qualche modo limitandone la portata. Anche  nei punti enunciati dal governo per la riforma della PA, che pur mette in evidenza l’importanza dell’apertura dei dati, una sezione è dedicata a “Gli Open Data come strumento di trasparenza. Semplificazione e digitalizzazione dei servizi” e non “Gli Open Data come strumento di trasparenza, semplificazione e digitalizzazione dei servizi”.  Eppure è proprio così, come diverse risposte dei dipendenti pubblici hanno rilevato: realizzare la produzione di dati in formato aperto è sostenibile economicamente nel tempo soltanto se si passa attraverso una profonda revisione dei processi e quindi anche delle soluzioni per la loro digitalizzazione. In questo senso, l’intervento sugli open data non può che correlarsi con azioni atte a migliorare interoperabilità ed efficienza della digitalizzazione dei processi organizzativi, sfruttando al contempo i feedback dagli utilizzatori dei dati per migliorarne la qualità (e, di conseguenza, rivedendo e migliorando la qualità dei processi). Per la pubblica amministrazione, l’efficienza va coniugata a monte con gli interventi sulla trasparenza, non ricercata a valle. E trasparenza, oggi, vuol dire soprattutto Open Data.

Come deriva dalle riflessioni di Gianluigi Cogo, infatti, la pubblicazione di documenti in formato PDF (o, peggio, immagine) determina una situazione in cui diventa praticamente impossibile per i cittadini andare “oltre” il documento, passando ad un’analisi dei dati contenuti, incrociati con altri dati o provenienti da altre amministrazioni. Ed è lo stesso principio di “trasparenza” che rischia di venir meno. Allo stesso modo diventa impedimento la disponibilità parziale dei dati (come ad esempio l’informazione sui beneficiari delle spese pubbliche, quasi mai presente).

Purtroppo, nonostante il principio dell’Open Data by default sia stato introdotto per legge (sempre nel decreto Crescita 2.0 del 2012), il livello di attuazione è ancora estremamente basso e molto lasciato alla buona volontà della singola amministrazione. Nei termini esposti dall’AgID, il rapporto sullo stato di valorizzazione del patrimonio pubblico rispetto alla pubblicazione dei dati in formato aperto “evidenzia come in termini di qualità e di riutilizzo/valore economico la situazione italiana sia molto frammentata con poche realtà virtuose e tante ancora molto lontane dal raggiungimento di tali obiettivi”.

L’opportunità per le imprese

Siamo certamente nell’epoca dei dati, in cui è fondamentale la capacità di gestirli e di analizzarli per prendere decisioni (da quelle quotidiane e operative a quelle strategiche). Gli open data possono rappresentare, in questo contesto, una formidabile materia prima per lo sviluppo.

Non è un caso che McKinsey abbia stimato in 3 trilioni di dollari l’anno il business che può essere sviluppato sugli open data, di cui ben 900 miliardi di dollari nella sola Europa, dove si può stimare un tasso di crescita annuo del 7%.  In particolare i dati geospaziali possono svolgere un ruolo fondamentale (la stima per il Regno Unito è di 13 milioni di sterline l’anno per il 2016), ma anche i dati meteo aperti possono supportare lo sviluppo di un business applicativo significativo, di almeno 1,5 miliardi di dollari negli USA. Se si considera anche l’indotto derivato dalla disponibilità di dati meteo più accurati, la stima basata sull’analisi di siti comeWeather.com è di circa 15 miliardi di dollari tra prodotti e servizi.

L’effervescenza del mercato già inizia a essere consistente, dove si è operata una spinta strategica significativa. Ma nonostante lo sviluppo sia rilevante (dal 2009 al 2013 le iniziative sugli open data a livello internazionale sono passate da 2 a oltre 300) c’è ancora molta strada da fare. Alcuni esempi:

  • sono poco più di 40 i Paesi che si sono dotati di portali Open Data;
  • dei 77 paesi analizzati dall’Open Data Barometer, solo il 55% ha qualche  iniziativa di Open Government Data;
  • solo il 7% dei dataset presenti nel sito statunitense data.gov è sia “leggibile da macchina” sia sotto licenza aperta.

In Europa i Paesi più attivi sono Regno Unito, Svezia e Norvegia, mentre oltre oceano sono gli Stati Uniti ad avere intrapreso con decisione la strada dello sviluppo del business con gli open data. E per far questo, la strategia scelta passa attraverso alcune iniziative chiave, come l’analisi di impatto realizzata nell’ambito didata.gov, con l’approfondimento del modello di business e delle soluzioni innovative applicate ai diversi campi dell’istruzione, dei trasporti, dell’energia, della finanza, dei prodotti di consumo, dei servizi in generale (con esempi come Porch.com nel campo delle costruzioni o iTriage nel settore della salute); o dell’iniziativaGovLab da parte dell’università di New York, che ha censito 500 aziende che utilizzano i dati aperti governativi in modo innovativo, per analizzarle e poter dare suggerimenti sui modelli più efficaci su questo tipo di business. In questo contesto è anche la recente costituzione dell’Istituto Open Data statunitense, ispirato sempre al riferimento internazionale principale, l’Open Data Institute (ODI) fondato da Tim Berners-Lee.

Ed è chiaro così che i benefici degli open data vanno oltre una maggiore trasparenza e una partecipazione civica rivitalizzata. “L’impatto degli open data è enorme” ha di recente affermato Erie Meyer, esponente dell’Office of Science and Technology Policy del governo statunitense, “e, quanto più continuiamo a rendere i dati più facili da usare e condividere, quanto più le imprese possono battere sui dati in modi innovativi e farne beneficiare gli americani.”

E quindi, l’Istituto Italiano Open Data

Su questo solco è anche l’iniziativa dell’Istituto Italiano Open Data, ispirata anch’essa all’ODI, ma nata interamente in un ambito di associazioni e imprese e quindi con una maggiore propensione all’obiettivo dello sviluppo del business. L’Istituto, infatti, si configura come rete di associazioni, organizzazioni, enti, gruppi e persone singole, e vuole avere la duplice funzione di catalizzatore di energie e capacità e di raccordo tra i diversi protagonisti  sugli open data, per favorire l’incontro tra domanda e offerta, lo scambio e lacondivisione di pratiche, strumenti, tecnologie, la valorizzazione degli open data come opportunità di crescita economica.

Verso le organizzazioni governative, in primo luogo AgID e FormezPA, l’Istituto si propone come risorsa di supporto e confronto nella formazione delle politiche sugli open data e nella loro attuazione, oltre che per favorire l’incontro con le associazioni, le imprese, i cittadini.

Tante le attività che l’Istituto sta pianificando, dalla definizione delle modalità di collaborazione con organizzazioni pubbliche e centri di ricerca e universitari, ad iniziative di formazione e sensibilizzazionesul territorio, all’istituzione di un Osservatorio finalizzato a monitorare  lo stato e la qualità di attuazione degli Open Data nella realtà italiana  e fornire anche feedback e proposte agli organi istituzionali di riferimento (Comuni, Regioni, Governo ), sulla base delle esperienze già presenti di valutazione.

Seguendo la logica che deve informare tutte le iniziative di sviluppo e di crescita, soprattutto nelle politiche dell’innovazione: fare rete, mettendo a sistema le eccellenze che già ci sono, valorizzando le competenze già presenti, sfruttando l’enorme potenziale del riuso e della condivisione, è l’unica strategia possibile.

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Nello Iacono (agendadigitale.eu)

 




Linee guida per le competenze digitali

lineeOn line le linee guida Agid-Formez PA per sviluppare le competenze digitali in Italia e definire gli obiettivi minimi per favorire una cultura digitale tra i cittadini, tra i dipendenti della pubblica amministrazione e per gli addetti ai lavori. Per il settore pubblico sono 4 le linee di attività riportate nelle linee guida: sviluppo delle competenze digitali per tutti, sviluppo dell’e-leadership per chi ha la responsabilità di orientare le scelte di una pa, lo sviluppo di competenze verticali dei dipendenti per le figure impegnate in funzioni di alto contenuto tecnologico infine attivare una rete di condivisione della conoscenza tra tutti.

Il volume è stato presentato al ForumPA 2014.

“Digital skills are fundamental to an effective use of ICT”, lo dice l’ultimo rapporto della Commissione Ue sull’attuazione dell’agenda digitale in Europa, pubblicato lo scorso 28 maggio.
E il nostro Paese ha ancora molta strada da fare: se in Europa il 39% dei lavoratori ha scarse competenze digitali e il 14 % non ne ha affatto, in Italia ben il 50%  ha scarse  competenze digitali, cioè un lavoratore su due, contro il 27% che ne è completamente privo.

Se passiamo al settore pubblico prima di parlare di digital skills occorre dare uno sguardo all’età.Nel settore pubblico il 40% dei dipendenti ha tra i 50 e i 59 anni, il 35% ha tra i 40-49 anni (fonte Corte dei Conti, Relazione 2011 sul Costo del lavoro pubblico); solo il 18,5% ha meno di 40 anni.
Altro dato: la maggior parte di essi, ben il 29%, si concentra nel comparto della scuola il luogo ideale dove gli studenti dovrebbero accrescere le loro competenze, anche digitali.

Nell’UE  il 41% dei cittadini ha interagito con le pubbliche amministrazioni via internet. Tra gli italiani, il 21% ha avuto tale interazione negli ultimi 12 mesi.

La scarsa cultura digitale tra coloro che lavorano è uno specchio di quanto avviene in tutta la popolazione: in Italia il 34% dei cittadini non ha mai usato internet contro il 21% in Europa.

programma_nazionale_cultura_formazione_competenze_digitali_-_linee_guida

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Pubblicato il secondo rapporto “Smart City index” di Between

smart-cityBetween_Smart_City_Index_2014




DA CORVIALE RIPARTE L’UTOPIA DI PERIFERIE UMANE

AgriculturalUrbanism2Da simbolo di degrado a segnale di riscossa: le periferie diventano il fulcro della partita per il rilancio economico/sociale.

Il là l’ha dato Renzo Piano pianocon l’ovvia e semplice constatazione che nelle periferie c’è lo spazio e il bisogno del cambiamento urbanistico.

Ed è dalle periferie che può partire la grande chance delle smart city, le città dal volto umano che aiutano a salvare l’ambiente producendo nel contempo benessere, servizi, occupazione e cibo a km zero.

E’ questa la partita che può aiutare Renzirenzi a lanciare il grande piano keynesianokeynes che immagina per riaccendere l’economia e l’occupazione: partire dai bisogni dei cittadini più disagiati per costruire una macchina urbanistica  e amministrativa che offra risposte in termini di servizi e di vivibilità.

Scuole e ricerca, innovazione e green economy: questi i cardini di un “rammendo” delle periferie delineato da Piano.

Non a caso sono le stesse parole d’ordine del consorzio di associazioni che con corviale_domani_11 ha da tempo impostato un progetto complessivo di rigenerazione del Quadrante di Corviale.

Un consorzio che si è confrontato con urbanisti, amministratori, economisti, ricercatori senza perdere mai il contatto con le esigenze di servizi e sicurezza degli abitanti.

Ritrovare le ragioni dell’utopia significa proprio questo: coniugare il rilancio urbanistico/economico con i bisogni dei cittadini.

L’articolo di Francesco Erbani su REPUBBLICAdel 27 maggio “Basta costruire, gli architetti ora rigenerano” non a caso parte proprio dai progetti su Corviale dell’architetto Daniel Modigliani modiglianicommissario dell’Ater di “aprire il pian terreno e installarvi servizi e altre attività e per consentire il passaggio dalla strada agli orti che sono alle spalle dell’edificio, così da alimentare le relazioni con il quartiere.” Un’idea quindi di interazione tra la città del cemento e la campagna dei 1.200 ettari di parco del Quadrante da sempre propugnata da Alfonso Pascale pascaledi Corviale Domani con la realtà delle Fattorie Sociali che proprio il 6 giugno s’incontrano al Forum del Terzo Settore per la costituzione di una rete cittadina anche in previsione dell’Expo 2015 dedicata all’alimentazione. expoErbani su Corviale prosegue con  Modigliani: “Sul tetto sono previsti verde e impianti per la raccolta dell’acqua e il risparmio energetico” riprendendo il progetto del prof. Stefano PanunziAnnuncio-partenza-Corviale dell’Università del Molise tante volte propugnato nei due Forum che la direttrice del servizio di Architettura del  Ministero dei Beni Culturali Maria Grazia Bellisario

The Making of / Artisti al lavoro in tv

ha promosso con Corviale Domani.Last but not least il progetto di rigenerazione di Corviale sarà il 2 giugno alla trasmissione “I visionari” di Corrado Augias.augias

Quale auspicio maggiore per far ripartire da Corviale l’utopia di periferie umane.

Tommaso Capezzone




Energia. Clima, Finmeccanica: “Ecco Di-Boss per edifici smart”

smart-cityUn cervello ‘green’ nei nostri edifici che ottimizzi il consumo energetico, riduca le emissioni di CO2, mantenendo inalterati i livelli di comfort dei residenti. Tutto questo è’Di-Boss’ (Digital-Building operating system solution), un sistema di Selex Es, azienda di Finmeccanica, presentato questa mattina a Roma presso il Centro studi americano durante il convegno ‘Innovation 4 smart soluzion’. Il sistema che rende ‘intelligenti’ gli edifici è stato lanciato sul mercato ed entro il 2015 dara’ un volto ‘smart’ a 16 grattacieli di Manhattan, a New York.sistema di bossBannernewsletter_Thumb

 

Di-Boss, che fino ad oggi e’ stato installato su quattro grattacieli di proprieta’ di Rudin Management Company, e’ il primo esempio di sistema operativo creato da un team composto da rappresentanti dell’industria, universita’ e di proprietari di edifici.

 

“Il progetto nasce dall’esperienza dell’azienda nel campo dell’integrazione di sistemi per il controllo, applicata sia in campo civile che militare- spiega il presidente di Finmeccanica Gianni De Gennaro- l’alta tecnologia, infatti, non e’ ne’ militare ne’ civile: e’ duale, e’ un valore in se’ ed e’ chiamato a rispondere alle richieste multidisciplinari che emergono dalla societa’: sicurezza, ambiente, cultura, sostenibilita’ economica”.

 

La chiave di volta “per il successo delle politiche ambientali sta nell’innovazione, nella capacità cioè di creare le condizioni più favorevoli affinché si possa realizzare quella ‘low carbon strategy’ che ci vede tutti impegnati- sottolinea il ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti,intervenendo al convegno- è una sfida che possiamo vincere se sapremo lavorare insieme, legislatori e imprenditori, europei ed americani”.

 

Il sistema intelligente Di-Boss, di Selex Es, azienda di Finmeccanica, e’ in grado di ‘far parlare’ lo stesso linguaggio a tutti i singoli sotto-sistemi complessi che gestiscono le specifiche funzionalita’ degli edifici come distribuzione elettrica, distribuzione del riscaldamento e del condizionamento, gestione degli ascensori, sistema idrico e di illuminazione, controllo degli accessi, sistemi antincendio e di sicurezza, rete Ict, energie rinnovabili e storage energetico, veicoli elettrici”.

 

Di-Boss e’ un sistema intelligente che impara dalla propria esperienza, in grado anche di proporre soluzioni e raccomandazioni. Il ‘cervello’ puo’, ad esempio, individuare il momento ottimale per l’accensione o lo spegnimento del riscaldamento/condizionamento, variandolo in base ai comportamenti registrati in passato, al flusso di utenti presenti in quella data ora nell’edificio, anche in funzione delle previsioni climatiche.

di Serena Tropea (da www.dire.it)

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