1

Agenda digitale: documento per programmazione 2014-2020

agenda digitaleNel corso della Conferenza delle Regioni del 5 agosto 2014 è stato approvato un documento sulla programmazione dell’Agenda digitale 2014-2020.

Già nel 2013 era stato approvato un “Contributo delle regioni per un’Agenda Digitale a servizio della crescita del Paese” (vedi “Regioni.it” n.2315). Il nuovo documento è un altro passo in avanti per un’Agenda Digitale che permetta al Paese di passare alla fase esecutiva della digitalizzazione infrastrutturale, nel rispetto dei principi delle politiche regionali dell’Europa.
Si intende così organizzare i livelli e gli strumenti di intervento sugli obiettivi dell’Agenda Digitale europea e dell’Agenda Digitale italiana.
Il digitale può liberare la crescita e funzionare da volano. Le Regioni propongono un insieme di azioni in piena collaborazione interregionale per rendere sostenibile la loro realizzazione. L’attuazione delle agende digitali regionali è uno strumento per arrivare ad un vero cambiamento strutturale del Paese. In questo quadro si può favorire  una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva da qui al 2020.
L’Agenda Digitale è un’idea di futuro, una visione dell’Italia e delle Regioni nell’era digitale, non è un documento programmatico di settore, né solo l’articolazione di un insieme di azioni o interventi. In pratica l’agenda deve ergersi a vero piano industriale e non solo documento di auspicio e indirizzo per l’ adeguamento infrastrutturale e culturale.
L’Italia deve attuare interventi strutturali per essere in grado di sfruttare appieno le opportunità del digitale per produrre cambiamento nell’economia, nel tessuto sociale e nelle istituzioni. L’Italia ha straordinari punti di forza culturali, sociali ed economici per essere protagonista della rivoluzione digitale anche in Europa e nel mondo.
Le politiche per il digitale devono quindi concorrere a creare un quadro normativo ed un ecosistema digitale favorevole alla crescita economica, alla volontà di investire ed innovare, allo sviluppo delle reti tecnologiche (infrastrutture), delle reti sociali tra le persone, delle reti tra istituzioni e tra le imprese.
Per questo occorre una mobilitazione delle migliori energie del Paese per affrontare l’emergenza del divario digitale culturale che ostacola lo sfruttamento delle nuove opportunità del mondo digitale: occorre superare la logica dell’informatizzazione dell’esistente e ripensare i processi profondamente, cambiare l’organizzazione del lavoro sia nel pubblico che nel privato, scoprire nuovi mercati e modelli di business, affrontare le sfide sociali emergenti con l’innovazione sociale, accrescere la partecipazione e l’inclusione, migliorare la qualità della vita, affermare nuovi diritti.
Il Documento integrale è stato pubblicato della sezione Conferenze del sito www.regioni.it :
Documento Approvato – PROGRAMMAZIONE 2014-2020: LE AGENDE DIGITALI PER LA CRESCITA



Alfabetizzazione digitale: gli otto principi cardine

internet cose

Alcune amministrazioni locali hanno intrapreso, o stanno intraprendendo, attività di alfabetizzazione digitale della popolazione. Mi permetto, di seguito, di elencare alcuni principi di fondo da osservare per evitare di ingenerare inutili aspettative, e per ottenere risultati duraturi nel tempo.

1) Non si è alfabetizzati digitali una volta per sempre. Il mondo dell’Information Technology è in costante trasformazione. Il mondo dell’Information Technology muta a velocità mai conosciuta nella storia del genere umano. L’alfabetizzazione digitale deve dare gli strumenti culturali per scavare con curiosità questo mondo e trarne tutti i benefici disponibili.

2) L’alfabetizzazione digitale non andrà rivolta solo agli anziani, come comunemente si pensa. Tutta la popolazione, a partire dai principali decisori e Stakeholders, versa in un penoso stato di divide digitale. Avere un tablet sotto il braccio o usare il telepass non è sintomo di alfabetizzazione digitale.

3) L’alfabetizzazione digitale è un moderno diritto di cittadinanza. Internet è una straordinaria miniera di sapere. Bisogna però conoscere e condividere dove c’é l’oro da scavare e dove invece c’é solo inutile pietrisco. Tuttavia, non tutti sono (e saranno) interessati ad Internet. Molte persone di ogni generazione vivono bene senza Internet. Non facciamogliene una colpa.

4) Abbandoniamo quell’aria di superiorità che contraddistingue i “guru del digitale”. Internet non è una religione, né costituisce la terra promessa. Se vogliamo che Internet si affermi come strumento di progresso civile ed economico (quale può essere) non abbiamo bisogno di sprezzanti sacerdoti. Per affermare la cultura di Internet abbiamo bisogno di utili e umani volontari.

5) L’alfabetizzazione digitale è, prima di tutto, una lezione di consapevolezza. Internet é la rivoluzione della conoscenza e del sapere. Internet é uno strumento nelle mani del genere umano per dialogare meglio.

6) L’alfabetizzazione digitale non si riduce ad insegnare a spedire una mail o ad accendere un account su Facebook. Né tantomeno l’alfabetizzazione digitale è una lezione ai dipendenti comunali sulle inutili leggi che impediscono a Internet di affermarsi nella Pubblica Amministrazione. L’insegnante é un umanista che si è impadronito del web.

7) L’alfabetizzazione digitale è una lezione sulla sharing society (prima ancora che sulla sharing economy). Alfabetizzare é insegnare le virtù, i vantaggi, le modalità della condivisione.

8) ….. traete ora tutte le considerazioni che volete sulle cosiddette “competenze digitali”. L’alfabetizzazione digitale non é una cosa da affidare agli informatici.

link all’articolo




Sistema wireless per ridurre la congestione del traffico

traffico-150x150Il MIT lancia RoadRunner, un dispositivo che sfrutta lo standard wireless 802.11p e che mappa le aree cittadine, stabilendo un numero massimo di vetture in ingresso e l’offerta di percorsi alternativi.

Tratti stradali a pedaggio, app che avvertono sul livello di congestione del traffico, navigatori in grado di suggerire percorsi alternativi. Sono diverse le soluzioni proposte dal mercato per migliorare la viabilità stradale ma nessuna finora ha realmente risolto il problema, sopratutto in quelle aree urbane particolarmente congestionate.
Ora ci prova il MIT con un sistema GPS chiamato RoadRunner, che è stato accolto con fervore all’Intelligent Transportation Systems World Congress, svoltosi a Detroit la scorsa settimana, dove è stato presentato e premiato come ‘uno dei progetti più innovativi’.

Un modello per Singapore

Il dispositivo, creato ad hoc per la città di Singapore, si propone come alternativa ai sistemi attualmente vigore, che prevedono la delimitazione di alcune aree accessibili soltanto attraverso il pedaggio, opportunamente segnalate da alcuni trasmettitori radio installati nei vari punti strategici. RoadRunner, invece, è un dispositivo palmare installabile direttamente nel cruscotto delle auto e che, dalle prime simulazioni, è in grado di aumentare dell’8% la velocità della vettura durante i periodi di picco. I ricercatori si sono avvalsi dei modelli stradali ricavati dal sistema di pedaggio vigente ma modificando quei modelli- e quindi incoraggiando o scoraggiando percorsi alternativi- si potrebbero avere dei risultati nettamente più efficienti. “Con il nostro sistema, è possibile disegnare un poligono sulla mappa e dire, ‘voglio controllare questa intera regione'”,spiega Jason Gao, uno degli sviluppatori del sistema.

Test

Il sistema è stato testato su 10 vetture a Cambridge, in Massachusetts. Se il test su 10 auto non è sufficiente per influenzare la viabilità è stato però utile per valutare l’efficienza del sistema di comunicazione e dell’algoritmo utilizzato.

Stabilire un numero massimo di vetture

Il primo principio su cui si basa RoadRunner è l’assegnazione di un numero massimo di vetture che possono accedere in una determinata zona. Qualsiasi vettura deve ricevere un’autorizzazione virtuale che i ricercatori chiamano “gettone.” Se non vi sono più ‘gettoni’ disponibili, il dispositivo seleziona percorsi alternativi che conducono l’automobilista passo per passo verso la sua destinazione. 

Utilizzare lo standard wireless 802.11p

Il sistema utilizza uno standard wireless chiamato 802.11p, un’alternativa al Wi-Fi che utilizza una fetta ristretta dello spettro elettromagnetico, ma è concesso in licenza per trasmissioni di alta potenza, in modo che si possa avere una frequenza di trasmissione molto più alta.

Nei test i ricercatori hanno utilizzato cellulari per controllare i sistemi radio 802.11p, che hanno la dimensione di un tipico sistema di pedaggio installabile nel cruscotto, ma in futuro potrebbe essere possibile incorporare le radio direttamente nei cellulari, sviluppando quindi un’app scaricabile.

Ricerca sui materiali
Altra questione affrontata, quella dei materiali. Nel corso del Simposio Internazionale in Low Power Electronics and Design  i ricercatori del Mit in collaborazione con la Nanyang Technological University di Singapore, hanno presentato un paper che dimostra come una radio 802.11p composta da nitruro di gallio e controllata da un sistema elettronico in silicio consumerebbe la metà della potenza rispetto alle radio tradizionali. Inoltre, il Singapore-MIT Alliance for Research and Technology (SMART) ha sviluppato una tecnica per integrare il nitruro di gallio nei processi di produzione del chip attualmente proposto in silicone. 

link all’articolo




Agire, le agende digitali per la crescita: la proposta delle regioni

ueLa Conferenza delle regioni e province autonome, nella riunione dei presidenti del 5 agosto scorso, ha approvato un importante documento intitolato Agire le agende digitali per la crescita, nella programmazione 2014-2020.

Il documento è probabilmente passato inosservato per via del periodo di ferie, ma si tratta di un documento rilevante in cui l’attuazione delle agende digitali regionali è presentata come uno strumento per arrivare ad un vero cambiamento strutturale del Paese nel quadro di una strategia unitaria, “usando il digitale per riprogettare la Repubblica“.

Ci troviamo in un momento importante rispetto ai fondi strutturali: a luglio si è completata la fase di costruzione partecipata dei Programmi Operativi regionali (POR) che declinano la programmazione 2014-2020. Essi comprendono anche gli interventi legati all’agenda digitale ed alla specializzazione intelligente (ricerca&innovazione). Restano da definire alcuni Programmi Operativi nazionali (PON), sperabilmente in una strategia complessiva che sia coerente e riconosca il ruolo di AgID.

I Programmi Operativi delle regioni dovranno ancora attraversare una fase di confronto e perfezionamento con la Commissione europea, e lo stesso Accordo di partenariato di livello nazionale non è ancora chiuso. Ma il quadro delle risorse e delle priorità è ormai chiaro, ed è necessario pensare in breve tempo a come rendere effettiva la fase di esecuzione.

Le politiche per il digitale devono concorrere a creare un quadro normativo ed un  ecosistema digitale favorevole alla crescita economica, alla volontà di investire ed  innovare, allo sviluppo delle reti tecnologiche (infrastrutture), delle reti sociali tra le persone, delle reti tra istituzioni e tra le imprese.

Considerando le possibilità d’azione sul lato delle Pubbliche Amministrazioni e quelle per la “Crescita digitale”, le principali priorità si possono sintetizzare nella figura seguente:

priorita-agende-digitali-regionali

A fine di rendere efficaci gli investimenti che saranno portati avanti in uno spettro d’intervento così ampio come quello sopra raffigurato, le Regioni individuano nel documento quattro azioni “leader” da portare avanti con una piena  collaborazione inter-regionale per rendere sostenibile la loro realizzazione ed il loro completo dispiegamento sui territorio, da sviluppare in rapida successione:

4-azioni-agende-digitali-regionali

Tali azioni sono abilitanti a tutti gli interventi della programmazione 2014-2020 e sono in stretta sinergia sia con l’Agenda Digitale europea e nazionale, in particolare con le azioni  leader nazionali su fatturazione elettronica, ANPR e SPID, sia con le azioni dell’Agenda  Urbana e delle Aree interne nell’ottica dei processi continui delle “smart city&communities” (comunità intelligenti).

Tali azioni sono abilitanti non solo per gli interventi delle regioni, in quanto le regioni si propongono come asse infrastrutturale portante per una coerente strategia nazionale che abbia un duraturo effetto strutturale e di sistema.

Proprio per questo le azioni leader proposte dalle regioni sono pensate in stretta connessione al percorso del disegno di legge delega sulla riorganizzazione delle PA da poco presentato dal Governo e con l’Alleanza istituzionale per una “Italia Semplice” approvato in Conferenza unificata.

La proposta è quindi di attivare le azioni prima di arrivare ai decreti legislativi, in modo che i  decreti legislativi non siano solo un “inizio” ma facciano parte di un percorso progettuale esecutivo già in atto per la riprogettazione della Repubblica con il digitale.

Le quattro azioni sono sintetizzate nel modo seguente:

1) Community cloud & cybersecurity

Vision: Dare al cittadino servizi pubblici digitali sicuri ed efficaci, basati sullo sfruttamento pieno del paradigma cloud, con servizi infrastrutturali (identità, interoperabilità, ecc) gestiti a livello regionale al massimo livello di sicurezza dell’informazione e nell’ottica dell’economia di scala e di scopo, abilitando al tempo stesso la concorrenza tra i privati nello sviluppare servizi applicativi in cloud in un ecosistema digitale che sia driver della crescita con il digitale anche del settore privato non-ICT.

Lo sviluppo dell’amministrazione digitale e dell’economia digitale non può prescindere da  una effettiva garanzia della sicurezza delle reti e dell’informazione e quindi la fiducia da  parte dei cittadini verso i servizi on-line.

La riprogettazione della Repubblica deve avere solide e sicure fondamenta digitali.

Bisogna evitare di replicare la prima fase dell’egov italico, con una serie di progetti isolati, sconnessi da veri cambi organizzativi negli uffici, senza economie di scala, senza vere logiche “open”.

Il documento afferma un importante principio: le PA non possono continuare a sviluppare software in una logica ormai superata dall’evoluzione tecnologica ed insostenibile nel tempo sia per complessità che  per costi di mantenimento.

Il “riuso di software” ha ormai dimostrato abbondantemente i suoi limiti e va anch’esso superato.

Viene delineato per le regioni il ruolo di “cloud service broker” per il livello locale, ma non solo, in una logica di specializzazione dei sistemi di cloud che in rete fra loro erogano servizi a più territori e a più livelli di PA (locale, regionale e nazionale), rimuovendo gli ostacoli allo sviluppo di un ecosistema di servizi applicativi erogati dai privati in cloud.

Non è più possibile, infatti, fermarsi oggi al “solo” consolidamento dei data center pubblici, operazione comunque da portare a termine quanto prima, ma occorre puntare veramente sul cloud.

2) Centri inter-regionali sulle competenze digitali

Vision: Realizzare un sistema inter-regionale di centri di competenza digitale, ricercando la specializzazione di gruppi di regioni su singole tematiche in modo da avere personale pubblico in grado di fornire supporto a tutte le Amministrazioni territoriali e centrali.

Avere nelle PA capacità organizzative stabili per la gestione di programmi & progetti (programme&project management) e strutturare funzioni associate per gli uffici ICT dei comuni e reti scolastiche per la gestione associata dell’innovazione didattica e digitale.

Il documento prevede l’attuazione di  trasformazioni organizzative per arrivare a servizi pubblici integrati ed interoperabili (joined-up public services), ovvero servizi delle PA erogati attraverso una integrazione dei processi tra le diverse amministrazioni coinvolte ed una completa interoperabilità nello scambio dei dati tra di esse che vada anche oltre la semplice dematerializzazione dei documenti.

3) Una PA con servizi digitali che superino la logica dei procedimenti

Vision: Rendere noti e riorganizzare i servizi delle PA per erogarli attraverso un ecosistema di servizi digitali sviluppati in collaborazione tra pubblico e privato, con le amministrazioni che lavorano “senza carta” (digital by default) e “scambiando dati e non documenti” superando quindi la logica dei procedimenti a favore di quella centrata sui servizi multicanale. Avere nelle PA le capacità organizzative stabili per valorizzare il patrimonio informativo pubblico liberandone le possibilità di sfruttamento per la crescita economica, sia come dati aperti (open data) che come servizi avanzati in sussidiarietà (ad es. le PA espongono i servizi ed i privati fanno i portali per fruirne).

Il documento si  propone di partire dal sistema di cooperazione SPCoop/ICAR già in uso in tutte le regioni (visto anche il rilancio della “cooperazione applicativa” dettato dall’art. 24-quinquies del recente d.l. n. 90/2014 convertito dalla legge n. 114/2014) e dal progetto di interoperabilità “e015” legato ad Expo2015 come piattaforma “collante” di tutte le numerose iniziative pubbliche e private legate ai temi di open data, big data, open gov, smart city & communities, cultural heritage digitale, ecc.

4) Fascicolo digitale del cittadino

Vision: Dare al cittadino accesso unitario a tutte le informazioni che lo riguardano, ovvero “i suoi dati”, che sono in possesso delle PA e dare al cittadino la possibilità di condividere tali dati con servizi pubblici e privati quando serve.

Il documento sottolinea che occorre sfruttare il grande investimento (già in corso, ma il cui finanziamento è da completare con risorse che vanno oltre i fondi strutturali) per la realizzazione del “Fascicolo sanitario elettronico” anche come driver per digitalizzare tutti servizi delle PA, sfruttando gli standard di interoperabilità ed il modello funzionale già sviluppato per la sanità per usarlo come contenitore di tutte le informazioni delle PA che riguardano un cittadino, invece di continuare a produrre decine di fascicoli settoriali (fascicolo elettronico dello studente, fascicolo delle pratiche edilizie, fascicolo previdenziale, cartella sociale informatizzata, fascicolo del dipendente, ecc).

Le quattro azioni sono sì di natura abilitante ed infrastrutturale, ma prevedono come risultato, da qui al 2017, anche l’erogazione di servizi concreti e direttamente fruibili dal cittadino su tutto il territorio nazionale, in collaborazione con il livello nazionale e locale ed attraverso una declinazione delle quattro azioni su ogni singolo territorio regionale.

Abbiamo bisogno di tradurre l’agenda digitale in fatti, ed il documento delinea un percorso di “execution” fattibile anche se sfidante: speriamo possa trovare la massima condivisione a tutti i livelli istituzionali perché… è tempo di “agire”!




Tutto casa e robot in 600 invenzioni: il futuro possibile secondo i giovani

Dal 27 settembre al 5 ottobre, al Parco della Musica, la seconda edizione della Maker Faire Rome. Tra i nuovi oggetti anche Fonie, il phon per farsi dei selfie mentre ci si asciuga i capelli

Il futuro? Sarà a Roma, per una settimana, dal 27 settembre al 5 ottobre, per la seconda edizione della Maker Faire Rome, ovvero, come dicono gli organizzatori, “la celebrazione del futuro possibile”, quello realizzato già oggi dai “makers”, giovani di ogni angolo del mondo che, in barba alla crisi, al pessimismo, all’oscurità che avanza, provano a immaginare il futuro, usando tutte le nuove tecnologie che hanno a disposizione per dar vita a invenzioni che potrebbero, possono, cambiare la nostra vita in meglio.
Al Parco della Musica, per dieci giorni prenderà vita un villaggio di 70 mila metri quadrati, nel quale verranno presentate circa 600 invenzioni da tutto il mondo mentre nelle sale si alterneranno conferenze e seminari con centinaia di speaker. Il tutto, nel weekend che precede l’Innovation Week, sarà aperto da un’anteprima al Maxxi, con un hackaton, ovvero una maratona di trecento sviluppatori chiamati a cimentarsi sul futuro della casa.

Ad avere il posto d’onore nella grande manifestazione romana saranno, come è giusto, i giovani makers italiani, non solo attraverso le loro invenzioni, i progetti, le idee che verranno presentate nella manifestazione. Ma anche, a 50 anni dall’invenzione del primo personal computer della storia, la Programma 101 di Olivetti, la Fondazione Make in Italy in collaborazione con il Miur chiederà ai giovani delle scuole di inventare una nuova P101. E ancora: gli studenti saranno protagonisti assoluti anche nel secondo giorno di Maker Faire, il 3 ottobre, quando sul palco e in platea tutti, speaker e pubblico, saranno rigorosamente under 20.

La Maker Faire sarà una festa a misura di famiglie con bambini, ma, tengono a sottolineare gli organizzatori, “con un forte messaggio politico. L’innovazione raccontata dall’Innovation Week e Maker Faire è un’innovazione che nasce dalla voglia di sperimentare e di condividere. È un’innovazione che riconosce il valore della ricerca scientifica senza dimenticare che, senza la voglia di sporcarsi le mani, è difficile vedere risultati concreti. Innovation Week/ Maker Faire vuole essere una festa e una celebrazione dell’impegno di chi “ci prova”, perché un Paese che vuole uscire dalla crisi deve pensare che l’innovazione è prima di tutto un grande sforzo collettivo di sperimentazione e di costruzione del futuro”.

Makers Faire, dopo il successo dello scorso anno, punta ancora più in alto: gli speaker di fama internazionale, tra Innovation Week e Maker Faire, saranno oltre 100 e si alterneranno nelle varie conferenze previste in programma. Personalità come lo scrittore e attivista Cory Doctorow, l’astronauta Samantha Cristoforetti, l’artista Neil Harbisson, il chirurgo Glenn Green e molti altri ancora. Ci sarà anche modo di divertirsi, vedendo in azione Adam, il robot maggiordomo, o provando Fonie, il phon per farsi dei selfie mentre ti asciughi i capelli, o M. e. s. s. i., nome non casuale di un software che monitora le prestazioni di una squadra di calcio e ne analizza le tecniche di gioco.

link all’articolo




La Silicon Valley italiana

Il software che viaggia su un drone per controllare gli hooligans o la app che sorveglia i traffici della camorra tra i rifiuti. Non siamo in America, ma a casa nostra. Da Catanzaro a Cagliari, da Latina a Treviso: l’innovazione nasce nelle zone più insospettabili. L’idea vincente è non spostarsi dal proprio territorio

QUALCHE mese fa Diego Fasano, un produttore di software di 41 anni, stava guidando la sua Smart e ascoltava la radio. Raccontavano la storia di un impiegato che si licenzia e va in Brasile a prendere foto aeree della foresta amazzonica. Fasano frenò di colpo. Aveva avuto un’idea. La sua azienda, la Connexxa, è nata nel duemila in una periferia di Catanzaro e da allora è cresciuta fino a fatturare 4,5 milioni l’anno. Nascosti in un open space accanto a un gommista, sopra una palestra abbandonata, i programmatori della Connexxa sviluppano soprattutto due tipi di innovazione. Producono e vendono in Italia e all’estero software medicali, per esempio cartelle mediche digitali consultabili da un iPad. E sempre più spesso, specie di recente, creano sistemi di vigilanza. Grazie a un programma della Connexxa, le porte delle torri di controllo degli aeroporti di Malpensa e Linate si aprono automaticamente se riconoscono l’iride di un occhio registrata in precedenza. A Salerno, le telecamere della Connexxa sorvegliano aree dove la camorra potrebbe versare rifiuti industriali: sono collegate a un software che analizza miliardi di dati dalle immagini e manda un segnale alle forze dell’ordine non appena nota movimenti anomali.

Ora la storia del fotografo italiano in Amazzonia aveva ispirato a Fasano un altro esperimento: montare quei sistemi di sorveglianza su un drone. Guidato dal software, la telecamera a bordo, un piccolo drone cubico largo 50 centimetri può seguire un’auto a 300 metri dal suolo, può controllare una curva di hooligans durante una partita di calcio, trovare un disperso sotto le macerie percependo il calore del corpo con dei raggi infrarossi. Le riprese rimbalzano su un iPad o su Google Glass. Fasano ha trovato una piccola società di Ravenna, una Srl a un euro per neulaureati di quelle rese possibili dal governo di Mario Monti. Hanno lavorato un po’ insieme e in giugno hanno presentato un prototipo a una fiera internazionale a Londra. Giovedì Fasano vola a Toronto per allearsi con un’azienda che vuole distribuire il drone in tutto il Nord America e in luglio ha già concluso accordi simili in Pakistan e Messico. Ma non intende spostare i suoi circa dieci programmatori da Catanzaro. E non solo per affetto verso la città d’origine. “Penso anche che per trovare da qualche altra parte dei neolaureati così bravi a scrivere codice informatico – confessa Fasano – dovrei pagarli molto di più. E altre aziende cercherebbero di portarmeli via”.

La disoccupazione giovanile in Italia supera il 42% e in Calabria è intorno al 55%, quasi un record mondiale. Numeri come questi sono anche il risultato di un sistema che non riesce più a produrre merci povere in ricerca e tecnologia a costi competitivi. Il prezzo di un giocattolo o di un pigiama sarà sempre più basso se sono fatti in Cina. Ma la Connexxa e decine di altre imprese innovative simili rivelano però un altro lato della stessa medaglia: dopo anni di crisi, disoccupazione ed erosione dei salari d’ingresso nel primo lavoro, in Italia si possono produrre beni ad alto contenuto di intelligenza a costi molto competitivi. Un bravo informatico neolaureato di Catanzaro, Roma o Cagliari potenzialmente non vale meno di uno di Palo Alto, Boston o Londra; eppure, malgrado tasse e contributi sempre elevati, costa un terzo o la metà. Silenziosamente, lontano dalle polemiche di Confindustria, sindacati e governo, centinaia di giovani ingegneri e imprenditori lo hanno capito e su questo stanno costruendo una nuova stagione di innovazione del made in Italy. È come se questo Paese iniziasse a contenere piccole dosi di Bangalore, India: un posto così impoverito ma così pieno di talento, di creatività e di cultura che gente altamente istruita accetta di lavorare per molto meno del massimo. Nel basso di gamma l’Italia costa troppo ma nell’alto di gamma, quando riesce ad arrivarci, è diventata difficile da battere. Il solo problema è che questo strato di produttori innovativi è molto sottile, benché in crescita.

Mai come adesso si stanno diffondendo centinaia di startup tecnologiche – quasi sempre di software – nei distretti più insospettabili. Il più celebre è H-Farm, l’incubatore di aziende nei pressi di Treviso che si sta rivelando un’esperienza mista di successi e sconfitte. A Cagliari un piccolo distretto di startup si è aggregato intorno a gruppi affermati come Mutui Online e Dove Conviene, un motore di ricerca di negozi sul web. A Latina, al quarto piano sopra un centro commerciale ai margini della città, Franco Petrucci stima che gli “incubatori” di startup in Italia a questo punto sono almeno 25 (un incubatore è uno spazio che aggrega imprese tecnologiche in fase di lancio o crescita iniziale). Petrucci si è reso conto che startupper e innovatori italiani non hanno niente da invidiare a nessuno, almeno per talento e creatività, un giorno al Plug and Play Tech Center a Sunnyvale qualche anno fa. Visitando quel posto, uno dei più grandi acceleratori di startup al mondo, trovò una targa al primo investitore di venture capital tecnologico del ‘900: Adriano Olivetti. Ma Petrucci non era lì per turismo. Partito da Latina come ingegnere informatico, lavorando da consulente per grandi gruppi globali aveva intravisto un buco nella rete. Mancava qualcosa che le multinazionali sarebbero state pronte a pagare caro pur di avere: un software capace di integrare tutte le funzioni e informazioni di gruppi come Johnson & Johnson o Novartis. Realizzando quel progetto, ha fondato quasi da solo e partendo da poche centinaia di euro la Decisyon. Oggi la sua azienda ha 80 dipendenti, ha attratto investimenti di “venture capital” per 50 milioni di dollari dagli Stati Uniti (impresa quasi impossibile in Italia), programma la quotazione al Nasdaq tra qualche anno, ma non muove la base produttiva da Latina. “Per un laureato di alto livello in America dovrei pagare 120mila dollari l’anno – dice Petrucci -. Qui mi costano un terzo e sono altrettanto capaci”. Come anche Fasano a Catanzaro, Petrucci a Latina ha un accordo con l’università locale per farsi segnalare i migliori studenti e metterli alla prova. Se la passano, li assume con contratti permanenti: “È fondamentale che le persone siano stabili – dice – . Chi lascia, porta via memoria storica e all’inizio chi entra è sempre dieci volte meno produttivo”. A Palo Alto il ricambio incessante dello staff è un problema, perché le offerte sono ovunque. Negli incubatori italiani invece i rapporti restano più stabili.

Esempio ne è l'”ecosistema” per startup che hanno creato fra i pini dell’Eur, a Roma, due imprenditori che si frequentano da quando le rispettive madri si incontrarono dal ginecologo alle vigilia della loro nascita 38 anni fa. Gianluca Granero e Marco Trombetti sono partiti con Translated, un sistema che usa il software per traduzioni online e ha fra i due clienti Google, Amazon, Ibm, L’Oréal. L’azienda oggi fattura 12 milioni l’anno e i due hanno deciso di reinvestire gran parte degli utili: affittano due ville di lusso dell’Eur, costruite dai palazzinari degli Anni 70 ma vuote da anni a causa della crisi, e ora là dentro ospitano poco meno di dieci startup. Ognuna sta in una stanza, fatturano centinaia di migliaia di euro ciascuna, condividono le cucina e le palestre delle due ville, si occupano di mestieri come pianificazione di viaggi, vendita di applicazioni mobili da tutto il mondo, costruzione di banche dati online.

Granero riconosce che lavorare a Roma garantisce un vantaggio di costo fondamentale sul resto d’Europa o sull’America. Ma sa che non mancano gli svantaggi: quello più concreto riguarda la carenza di investitori locali per far crescere le imprese dopo le fasi iniziali; l’handicap psicologico coinvolge invece la reputazione. “Dobbiamo risolvere l’Italian problem”, osservò un cliente americano qualche tempo fa. Intendeva dire che voleva spiegare al suo capo che con Granero e Trombetti si poteva lavorare bene, malgrado il loro passaporto. Gli risposero che non stesse a prendersi il disturbo. “Una volta che hai scremato il meglio, noi ingegneri italiani siamo i più bravi “.

link all’articolo 




Apple e Google a caccia di programmatori tra i banchi delle medie

googledi Federico rampini da Repubblica:

Inventano “app” di successo e diventano milionari prima di aver superato la pubertà. Ecco perché i giganti del web corteggiano i giovanissimi.

Non è solo la generazione dei Baby boomer a sentirsi spaesata o inadeguata nella padronanza delle tecnologie, rispetto ai Millennial. Ora i ventenni sentono il fiato sul collo di una generazione più agguerrita di loro. I nuovi inventori corteggiati da Apple e Google stanno facendo ancora la scuola media. Le frontiere del reclutamento di cervelli nella Silicon Valley diventano sempre più precoci. Un esercito di dodicenni e tredicenni affollano le conferenze tecnologiche per presentare i propri brevetti, vincono competizioni internazionali, piazzano le loro app sugli smartphone.

Finiscono sul Wall Street Journal i campioni di questa nuova fascia di età, milionari prima di aver superato la pubertà. Il quotidiano economico intervista in prima pagina Grant Goodman, 14 anni, e già al suo terzo brevetto di successo. Quando Apple l’anno scorso decise che sui nuovi iPhone non ci sarebbe stato YouTube in dotazione, il ragazzino si tuffò sull’opportunità. Inventò Prodigus, una app che consente di guardare video sull’iPhone, senza la pubblicità imposta da YouTube. “Se cominci così presto – dice Goodman al Wall Street Journal – hai una lunghezza di vantaggio rispetto ai ventenni”. Lui ha già costituito una società, la Macster Software, per gestire la sua attività d’inventore. Sa mettere in competizione fra loro Apple e Google, cimentandosi con app per tutti i loro prodotti. Ne ha brevettata una che serve a vedere il livello di carica della batteria dell’occhiale Google Glass, un minuscolo indicatore luminoso. Ha anche inventato un videogame. Questa è stata l’estate del suo addio alla scuola media, da settembre entra al liceo.

Ci sono casi perfino più precoci. Quando a giugno Google ha organizzato a San Francisco la sua conferenza annua I/O, dedicata a tutti gli inventori che sviluppano nuovi software e app, ha dovuto prevedere un apposito “programma giovani” con 200 partecipanti. I più piccoli tra loro avevano 11 anni, e guai a guardarli dall’alto in basso: sottovalutarli può essere un errore micidiale. Per non essere meno competitiva dei rivali, nel reclutamento dei giovanissimi cervelli, Apple già nel 2012 cominciò ad abbassare l’età minima per essere ammessi alle sue conferenze di developer: dai 18 ai 13 anni. La metà delle borse di studio per partecipare gratis alle conferenze tecniche di Apple, riservate a veri professionisti, sono state vinte da minorenni.

La creatività di questi enfant prodige è ben remunerata. Google in un anno ha versato 5 miliardi di dollari agli inventori delle migliori app, mentre Apple addirittura il doppio: 10 miliardi. I ragazzini negano che il guadagno sia la molla che li spinge a rinunciare alle feste da ballo o al baseball per passare pomeriggi e sere a escogitare nuove invenzioni. La mamma di Grant, Becky Goodman, non accetta insinuazioni o processi alle intenzioni: “Non abbiamo investito emotivamente nella speranza che lui sia il prossimo Mark Zuckerberg. A noi interessa solo che sia felice”. E tuttavia…

A quell’età i compagni di classe possono essere crudeli verso i nerd, come vengono chiamati i secchioni troppo bravi in matematica e informatica. I B-movie di Hollywood con episodi di bullismo sono pieni di nerd umiliati da compagni più bravi nello sport o nel rimorchiare le ragazzine. Salvo ricredersi, quando arrivano a casa i primi assegni delle royalties? Nick D’Aloisio, che ha appena compiuto i 18 anni ma cominciò anche lui nella pre-adolescenza, l’anno scorso ha venduto a Yahoo per 30 milioni di dollari la sua app Summly, che offre una sintesi veloce delle principali notizie di attualità.

La giovane età comporta qualche limitazione legale, facilmente aggirabile. Per costituire una società bisogna essere maggiorenni, perciò alcuni di questi ragazzini intestano la propria azienda a genitori o nonni. Per definizione, i loro mestieri non conoscono frontiere: lo conferma la storia di Douglas Bumby (16 anni), la cui app JustGo! (cronometro per corridori) è già in vendita in tutti gli AppStore; Douglas che vive in Canada di recente si è trovato un partner agli antipodi, in Australia, il 17enne Jason Pan con cui hanno creato la società Apollo Research. E c’è il caso di Ahmed Fathi, un 15enne volato dall’Egitto alla Silicon Valley per partecipare alla conferenza degli inventori organizzata da Apple. Fathi ha imparato a programmare software e a creare app come autodidatta, seguendo un corso online su YouTube. Ha già inventato, brevettato e venduto ad Apple il suo Tweader, un’app che legge Twitter ad alta voce per chi sta guidando o pedalando in bicicletta.

Il filosofo francese Michel Serres, che insegna alla Stanford University in California, usa il personaggiodelle favole Petit Poucet, cioè Pollicino, per descrivere la generazione mutante dei “nativi digitali” i cui pollici prensili viaggiano alla velocità della luce sul display del telefonino. No country for old men, non è un mondo per vecchi, così hanno anche tradotto le teorie di Serres sul potenziale rivoluzionario di queste generazione. Ora anche i ventenni devono guardarsi alle spalle, incalzati da un’obsolescenza già in agguato.

link all’articolo




INTRODUZIONE ALLA STAMPA 3D: COME USARLA

stampantiArticolo di proprietà del portale www.stampa3d-forum.it

Se state leggendo questa pagina probabilmente siete alla ricerca delle informazioni di base sulla stampa 3D. Questa guida intende essere un’Introduzione alla stampa 3D destinata a tutti coloro che vogliono capire meglio come funzionano le stampanti 3D e cosa realmente possono produrre queste macchine. Non aspettatevi solamente un’infarinatura generale, le nostre Guide affrontano anche tematiche estremamente specifiche, al punto da poter essere utili anche ai più esperti.

La nostra Introduzione alla stampa 3D è suddivisa in più sezioni, le quali possono essere viste a loro volta come delle vere e proprie Guide ad ogni singolo argomento relativo alla stampa 3D. Infatti, per usare una stampante 3D, è necessario avere diverse conoscenze sulla modellazione 3D, sui materiali, sui software, sulle diverse tecnologie esistenti e molto altro. Questo non significa che per stampare in 3D sia necessario studiare chissà quanti argomenti, ma sicuramente è importante aver letto almeno una volta una Guida, in modo da non essere completamente all’oscuro di piccoli dettagli che a lungo andare potrebbero solamente darvi dei problemi.

Proprio per questo motivo la nostra Introduzione alla stampa 3D rimarrà online a lungo termine, in modo che voi possiate usufruirne tutte le volte che ne sentiate la necessità. Non avrete bisogno di studiare a memoria i contenuti di queste pagine, potrete consultarli tutte le volte che volete, stamparli e condividerli con altre persone, sempre nel rispetto delle regole Creative Commons del nostro portale.

Ecco gli argomenti trattati nella nostra guida introduttiva:

Una volta terminata la lettura di questa nostra guida introduttiva alla stampa 3D sarete in grado di capire quanto sia sfacettato questo mondo in continua crescita.

Alessandro Tassinari

link al sito