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Wifi, grazie a voi 24 mila hotspot in una app.

wifiOggi manteniamo una promessa che vi abbiamo fatto esattamente un mese fa. Presentiamo il più grande database del wifi italiano. Con il vostro aiuto in poco più di quattro settimane abbiamo individuato, verificato e mappato più di 24 mila hotspot. Venti. Quattro. Mila. Nemmeno si sapeva che ci fossero 24 mila hotspot in questa Italia che non sa legiferare sul wifi e che leva i soldi alla banda larga per darli alle tv locali. Fatemelo dire: tutti assieme abbiamo realizzato una operazione di sistema per l’innovazione che definisco “straordinaria”. Straordinaria perché non è costata un euro al contribuente, anzi non è costata un euro a nessuno; straordinaria perché si è realizzata solo grazie alla passione di tanti; e straordinaria perchè l’abbiamo realizzata senza aspettare niente e nessuno. Abbiamo fatto una cosa che forse avrebbe dovuto fare l’Agenzia Digitale, o l’AgCom. Non lo so. So che potevano farlo e non lo hanno fatto. Non mi interessa perché. Le polemiche sono inutili. So che intanto lo abbiamo fatto noi e il frutto di questo sforzo è e sarà per sempre gratuitamente a disposizione di tutti.

Il risultato finale della campagna #chewifi è una fotografia di una Italia viva, che scommette sulla innovazione nonostante l’incertezza normativa che ci penalizza dal luglio del 2005, quando venne varato il decreto Pisanu e il controllo del wifi venne considerato da allora uno strumento per contrastare il terrorismo. Prima di entrare nel merito dell’intera operazione voglio dire subito che dietro i numeri che vi offriamo ci sono persone eccezionali. Dirigenti pubblici che hanno creato reti civiche gratuite trovando i fondi chissà come; ci sono imprenditori privati che hanno investito sulla possibilità di creare del valore e quindi del business dal servizio di connettività senza fili; e ci sono anche semplici cittadini che hanno deciso di aprire la propria rete ai clienti e ai turisti. A tutti e a ciascuno va la nostra gratitudine, perché hanno fatto fare tanti piccoli passi avanti all’innovazione e al digitale in un paese che nel migliore dei casi li ha ignorati.

E dopo la premessa veniamo ai dettagli, perché è nei dettagli che ci sono le considerazioni più importanti.

  1. Il database è stato letteralmente costruito a mano, usando Twitter e Facebook per chiedere aiuto, prendere contatti e ricevere informazioni. In questo momento gli hotspot che ci sono stati segnalati sono oltre 24 mila; quelli già presenti nel database perché verificati sono circa la metà. E’ un lavoro che è appena iniziato: negli ultimi giorni il flusso di dati è stato continuo. Tantissime amministrazioni pubbliche hanno aderito in extremis ma con entusiasmo. Voglio dire che non saremmo mai stati capaci di reggere l’urto di tante richieste se non avessimo un team eccezionale: oltre al mio partner di sempre, David Casalini, voglio pubblicamente elogiare Manuela Cervetti e Sabina Montevergine che non si sono spente mai. Al loro fianco fin da subito abbiamo avuto la Netics di Paolo Colli Franzone che si è offerto volontario via Facebook: la sua esperienza è stata preziosissima. Il tutto è stato poi inserito nel database da Damiano Bolognesi che ha anche sviluppato la app di Chefuturo! che parte proprio oggi e di cui parlerò dopo. Ho voluto fare alcuni nomi e alcuni cognomi (solo alcuni, ce ne sono altri) perché è vero che spesso l’innovazione è gratuita, ma questa gratuità è alimentata dalla passione di chi ci mette tutto sé stesso. Grazie è il minimo.

  2. Il database sarà rilasciato in opendata: questo vuol dire che chiunque potrà scaricarlo, verificarlo, riutilizzarlo. Farci sopra una app. Magari. A questo serve l’opendata: alla trasparenza; a favorire conoscenza e quindi integrazioni di offerte; miglioramenti di servizio; applicazioni. Ma l’opendata è una cosa seria che richiede standard elevati: per questo abbiamo deciso di affidare il base ad una associazione che ho contribuito a fondare, Wikitalia, che si occupa di open gov. In particolare lo affidiamo a Maurizio Napolitano e Matteo Brunati che sono fra i massimi esperti mondiali del tema, affinché rendano l’operazione una best practice internazionale (intanto anticipo che la licenza sarà OdbL, quella di Open Street Map).

  3. Come dicevo le segnalazioni di hotspot e di reti di hotspot sono circa 24 mila, mentre nel database ieri sera ne avevamo verificate e caricate solo la metà. Le altre aggiungeremo giorno dopo giorno. I numeri totali però già dicono molto dello stato del wifi in Italia: parlano di un nord che ha più di metà di tutti gli hotspot; di un testa a testa fra Roma e Milano fra le città più connesse; di una vivacità notevole di Piemonte e Emilia fra le regioni. Ma soprattutto il database serve a evidenziare difetti da migliorare: la duplicazione di hotspot pubblici fra reti diverse a Roma; il vuoto inspiegabile in certe città anche ricche del nord che contrasta con l’attivismo di posti come Pesaro, Prato, Lecce dove la volontà di alcuni ha creato valore per tutti; la virtù di Firenze che ha federato tanti reti diverse sotto un unico denominatore, così navighi da una via all’altra senza staccarti mai.

  4. Chewifi! è un progetto aperto e tutt’altro che finito: se in queste prime quattro settimane ci fossimo persi per strada qualche storia (inevitabile che sia così) segnalatecela. Quanto alla classifiche, qui non vogliamo dare le pagelle di buoni e cattivi a nessuno. Vogliamo solo crescere tutti assieme. Stimolare chi è rimasto indietro, ispirarci a chi guida il gruppo. Punto.

  5. Con il database lanciamo oggi anche la app di Chefuturo! E di questo dobbiamo ringraziare sentitamente Chebanca! che di questo sito è l’editore. Quando ci hanno chiesto di portare in una app i contenuti del “lunario della innovazione” avremmo potuto limitarci a trasferire i post dei nostri 115 autori (ebbene sì, sono un piccolo esercito) con qualche infiocchettamento. E invece abbiamo proposto di usare la app per fare qualcosa di davvero utile al sistema della innovazione. La app infatti consente di leggere i post ma anche trovare il wifi più vicino e partecipare alla costruzione del database. Se tutti gli editori fossero così aperti e si fidassero di chi li guida senza provare a condizionarli per obiettivi di bottega, avremmo giornali migliori.

  6. La app è presente sullo store di Google, sta per arrivare su quello di Apple (nei giorni scorsi l’App Store è stato vittima di un attacco informatico e questo ha ritardato il rilascio anche della nostra app); e a settembre ci sarà la versione per Windows Phone. Per tutti però è possibile intanto scaricarla da questo sito diventando subito beta tester. Sicuramente ci saranno delle cose da sistemare: siamo grati a coloro che ce le segnaleranno.

E quindi scaricate, leggete, diffondete. E soprattutto navigate. La rivoluzione è appena iniziata. 

RICCARDO LUNA

http://www.chefuturo.it/2013/07/wifi-grazie-a-voi-24-mila-hotspot-in-una-app-cambiare-tutto-si-puo/




Finanziamenti europei a Corviale!

tettiEcosistema digitale  e sistema sociale: l’Europa mette in connessione il mondo della rete e il disagio sociale destinando obbligatoriamente il 20% dei suoi fondi a quest’obiettivo.

Per Corviale, con il suo terrazzo più grande del mondo, firmata la convenzione tra l’ATER e l’Università del Molise per sfruttare il suo spazio per orti urbani e produzione di energia.

 




Wi-Fi, il Governo lo liberalizza. Cosa cambia rispetto a prima

Il Wi-Fi diventa libero o, meglio, libero come in Italia non lo è mai stato prima. Da anni si parla del digital divide che ci vede inseguire altri Paesi nei quali l’alfabetizzazione al digitale è arrivata prima, con effetti benefici sull’economia e sulla vita quotidiana. In Italia la politica ha sempre fatto “cartello”, bloccando le iniziative per ampliare l’accessibilità al digitale. Ora però, con la modifica all’articolo 10 del Decreto del Fare, il wireless pubblico viene alleggerito delle zavorre burocratiche del passato per tutti quei negozianti, esercenti, albergatori e ristoratori che non hanno nel medesimo la principale fonte del loro business.

La modifica è una grande vittoria per i sostenitori di Internet libero. Il testo approvato alcune ore fa chiarisce che “l’offerta di accesso alla rete internet al pubblico tramite rete WIFI non richiede l’identificazione personale degli utilizzatori. Quando l’offerta di accesso non costituisce l’attività commerciale prevalente del gestore del servizio, non trovano applicazione l’articolo 25 del codice delle comunicazioni elettroniche di cui al decreto legislativo 1° gennaio 2003, n.259 e successive modificazioni, e l’articolo 7 del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155, e successive modificazioni”.  Un ulteriore passo in avanti dopo quello fatto nel 2011 con la scadenza di alcuni obblighi imposti dal Decreto Pisanu che nelle norme contro terrorismo e criminalità includeva l’identificazione degli utilizzatori degli hot spot pubblici.

Il cambiamento questa volta è radicale e riguarda tutti gli obblighi per gli esercenti che offrono il Wi-Fi, da quelli del codice delle comunicazioni a quelli sopravvissuti del Decreto Pisanu contro il terrorismo. Negozi, ristoranti, bar, alberghi e bed & breakfast, ma anche biblioteche ed edifici della pubblica amministrazione, possono attivare un hot spot e fornire il libero accesso ai loro clienti e/o visitatori, senza dover tracciare gli utenti e le loro connessioni e fornire account e password come avveniva prima. Un’apertura che rappresenta una sostanziale revisione della precedente versione del Decreto del Fare che avrebbe imposto agli esercenti la tracciatura dei codici del dispositivo (computer, tablet o smartphone) e la compilazione di un registro con gli indirizzi IP associati ai terminali utilizzati. Un obbligo che, oltre a far perdere parecchio tempo, avrebbe avuto un costo (stimato dal parlamentare di Scelta Civica Stefano Quintarelli) di circa 800-900 euro annui.

Una volta tanto ha prevalso il buonsenso. In Italia si parla spesso di  “semplificazione” e di cambiare il passo di una burocrazia che soffoca l’iniziativa: l’accesso libero a Internet nei luoghi pubblici è, in tal senso, un passo importantissimo. Un passo che non è ancora definitivo: perché la legge diventi realtà occorrerà attendere che si esaurisca l’iter del Decreto con l’approvazione alla Camera e al Senato.

Se decade l’obbligo di identificazione resta comunque “consigliabile” tenere traccia di chi utilizza gli hot spot visto che in caso di reati telematici chi fornisce la connessione può essere ritenuto corresponsabile. In Germania e nel Regno Unito, per esempio, ci sono stati casi in cui il Wi-Fi pubblico è stato utilizzato per lo scambio di file pirata o in violazione delle norme sul copyright.

In Francia il registro c’è e deve essere conservato per dodici mesi, in Italia l’accesso alle reti è sempre più sicuro e avviene tramite identificazione del cellulare. Se il Decreto del Fare nasce con l’intento di rilanciare il Paese, la digitalizzazione e il libero accesso alla Rete ne sono una parte imprescindibile. Un Wi-Fi pubblico libero e senza troppi vincoli è un buon punto di partenza.

yahoo.it




Crowdfunding il finanziamento arriva da Internet

crowdfunding

LA CONSOB REGOLAMENTA, PRIMO CASO IN EUROPA, LA RACCOLTA FONDI EFFETTUATA VIA WEB CHE ORMAI RIGUARDA NON PIÙ SOLO CAMPAGNE ELETTORALI O EVENTI CULTURALI, MA INIZIATIVE ECONOMICHE ANCHE DI LARGA SCALA: OBBLIGO DI TRASPARENZA

L’ Italia apre ai finanziamenti in Rete per le start-up. Dal 27 luglio entra in vigore il regolamento Consob per il crowdfunding, la raccolta di capitali attraverso portali online. Pratica nata negli ultimi anni – il primo utilizzo della parola risale al 2006 – e resa famosa a livello planetario dall’attuale presidente degli Usa Barack Obama che la utilizzò per finanziare la sua prima campagna nel 2008, il crowdfunding è sostanzialmente una colletta online, il cui obiettivo è raccogliere i capitali diffusi. L’idea è di usare una piattaforma web per chiedere a piccoli e piccolissimi investitori di finanziare un progetto, di qualsiasi tipo esso sia: un film, un libro, una causa umanitaria o sociale, addirittura prestiti personali. Ci sono tre tipi di crowdfunding: la donazione, il prestito personale (chiamato social lending) e il crowdfunding reward-based. Quest’ultimo prevede una ricompensa per i finanziatori del progetto: il più delle volte si tratta di una copia del film, del software o del prodotto su cui si è investito. E’ quanto accade sui portali web più noti del settore, come Eppela e KickStarter. Nel caso degli imprenditori che chiedono alla Rete di finanziare la loro idea in cambio di una partecipazione nella nuova azienda, si parla di equity crowdfunding: un processo che sostituisce o integra con il finanziamento diffuso la tradizionale raccolta di fondi tra i venture capitalist. Con il varo del regolamento Consob l’Italia si pone all’avanguardia

in quest’ultima categoria, almeno dal punto di vista normativo: siamo il primo Paese europeo ad adottare un pacchetto di regole per conferire alle start-up la possibilità di reperire capitali tramite la Rete, aumentando allo stesso tempo le protezioni per gli investitori. Tutto nasce introdotta dal decreto crescita 2.0 del ministro Passera per la realizzazione degli obiettivi dell’Agenda Digitale. Lo scopo è favorire l’accesso al pubblico risparmio da parte di aziende innovative: un ambito in cui il crowdfunding eccelle, almeno a giudicare dall’aumento di popolarità dello strumento: le piattaforme dedicate alla raccolta di capitale nel 2012 erano 452, il 60% in più rispetto all’anno precedente. Nel 2011 e nel 2012, il capitale raccolto è stato pari rispettivamente a 1,5 e 2,8 miliardi di dollari, mentre nel 2009 e nel 2010 era di 530 milioni e quasi 1 miliardo. E la crescita non è finita: secondo Deloitte, nel 2013 il valore raddoppierà a 6 miliardi di dollari. Un gettito importante, soprattutto in un momento così difficile per l’economia. Per questo l’arrivo di una regolamentazione in Italia ha riscosso l’attenzione di molti operatori web, che guardano all’Italia come possibile trampolino di lancio per la raccolta di capitale via web. L’intervento di Consob per ora è ristretto alle start-up a carattere innovativo: ma lo strumento giuridico è stato varato, ed è possibile che venga esteso ad altre tipologie. Il regolamento Consob introduce il registro dei portali Internet abilitati al crowdfunding, un albo a cui può iscriversi chi rispetta i requisiti di onorabilità e professionalità, dalla fedina penale intonsa a un background adeguato, richiesti dalla Commissione. Ci sono poi obblighi di trasparenza, diligenza e correttezza dei gestori dei portali, che devono informare con completezza gli utenti i quali godono comunque del diritto di recesso in sette giorni. Due sono le procedure: chi investe meno di 500 euro può fare tutto in rete, mentre chi vuole impegnare cifre maggiori dovrà passare per il controllo del gestore, che dovrà stabilire con l’aiuto della banca se il finanziamento non costituisce un azzardo per il cliente. Per ora l’equity crowdfunding è la tipologia meno popolare: sempre secondo Deloitte, nel 2013 dovrebbe generare circa 100 milioni di dollari. Un cifra decisamente inferiore ai 2 miliardi stimati per social lendinge donazioni e ai 700 milioni che verranno investiti in portali di crowdfunding reward-based. Ma l’equity crowdfunding potrebbe valere circa un miliardo di dollari in caso di adozioni di normative specifiche come quella italiana. In Italia, segnala Consob, sono attive già 27 piattaforme di crowdfunding, 17 reward-based mentre 10 utilizzano solo donazioni. Quelle riconducibili ai prestiti sociali (che prevedono il pagamento di un piccolo interesse) sono invece solo 3, mentre quelle assimilabili all’attività di equity crowdfunding sono 7. Il numero è destinato ad aumentare: vista la stretta creditizia, si prevede un futuro, massiccio ricorso da parte delle start-up allo strumento nei prossimi mesi. A fianco, la campagna elettorale che ha portato alla vittoria di Barack Obama nel 2008 è stato il primo esempio mondiale di crowdfunding su larga scala; in alto Ouya, la console per videogame finanziata col crowdfunding

Valerio Maccari

Affari e Finanza




Wi-fi libero, l’Italia è ferma al Medioevo

wifi Un emendamento al Decreto del fare rende impossibile per baristi e negozianti offrire il servizio

Non c’è verso, dare ai clienti del proprio bar un servizio wi-fi gratuito in Italia è impossibile. Un emendamento al Decreto del Fare presentato ieri in Commissione trasporti e telecomunicazioni fa tornare l’Italia indietro al medioevo. Imponendo ai gestori di esercizi commerciali obblighi stringenti di tracciabilità degli utenti praticamente impossibili da affrontare come dice a Repubblica Stefano Quintarelli, parlamentare di Scelta Civica ed esperto di internet. Che implicano, ad esempio, server dedicati. Con tutte le spese del caso e con un expertise che di certo un barista, un ristoratore o un libraio non hanno.

A voler pensar male, i continui lacci e lacciuoli che impediscono lo sviluppo del wi-fi libero in Italia sembrano fatti apposta per difendere la pletora di società di installazione degli impianti, circa 1500 tutte sviluppatesi all’ombra della Telecom pubblica. Due anni fa ad esempio è scaduta la consultazione sulle misure predisposte dall’ex ministro dello Sviluppo Economico, Paolo Romani, sul regolamento attuativo del decreto legislativo 198 dello scorso ottobre, che riguarda l’installazione, allacciamento e collaudo di «apparati di rete».

Una definizione che comprende telefoni, reti internet, digitale terrestre, digitale satellitare e qualsiasi aggeggio un po’ più complesso della semplice presa elettrica. I quali dovranno essere, d’ora in avanti, installati soltanto da «imprese titolari di autorizzazione generale per l’installazione e la fornitura di reti pubbliche di comunicazione elettronica per l’espletamento del servizio telefonico accessibile al pubblico (…)», regolarmente iscritti al nuovo albo «per i servizi di comunicazione elettronica e di radiodiffusione». Occhio al fai da te, dunque: si rischia una multa che va dai 15 ai 150mila euro.

Questi professionisti dell’installazione, che arrivano in tre – un direttore dei lavori e due aiutanti – devono avere una comprovata esperienza nel settore (almeno tre anni in un’impresa abilitata, quattro anni in un’impresa del settore), oppure un «diploma di laurea in materia tecnica specifica», oppure ancora un diploma di specializzazione presso un istituto «legalmente riconosciuto» seguito da un periodo di inserimento di almeno due anni. Le imprese, invece, devono avere una dotazione tecnica minima che comprende un misuratore di tera, un misuratore dei parametri trasmissivi, un misuratore d’isolamento e un multimetro digitale.

Gli installatori ufficiali, a cui l’abilitazione viene concessa dall’ispettorato territoriale del ministero (che si riserva di compiere almeno un sopralluogo non annunciato nel corso del triennio di durata della licenza), una volta conclusi i lavori devono rilasciare un certificato di conformità dell’impianto appena montato, oltre a un rapporto di avvenuta “prova” che tutto l’impianto sia perfettamente funzionante. Un pezzo di carta da custodire gelosamente.

Eppure, la soluzione per risolvere il problema dell’identificazione dei cittadini che vogliono navigare via wi-fi e prevenire eventuali violazioni esiste già da quattro anni. Senza mettere in moto tecnici ed esperti di tre ministeri, infatti, basterebbe recuperare il parere fornito dal dicastero dell’Interno ad Assoprovider e Asstel il 27 novembre 2007. Un documento in cui si legge chiaramente che: «Per quanto concerne il punto realtivo all’identificazione dell’utente che si connette alle reti di comunicazione elettronica attraverso la tecnologia wireless, si reputa condizione sufficiente, per soddisfare i requisiti della normativa vigente, l’utilizzo del telefono mobile quale mezzo per attivare le procedure necessarie ad ottenere le credenziali di accesso alla rete stessa, in quanto consente l’identificazione, seppure indiretta, dell’utente stesso». In sostanza, basta registrarsi al servizio fornendo il proprio numero di cellulare, ricevere un sms con un codice per accedere al servizio e navigare in modo “tracciabile” dalla Polizia Postale, l’autorità che vigila sui crimini informatici.

linkiesta.it




Creative Europe: accordo sul nuovo fondo Ue per la cultura e l’audiovisivo

 Via libera del Coreper, il Comitato dei rappresentanti permanenti dell’Unione europea, al testo di compromesso sul regolamento che istituisce il programma ‘Creative Europe‘, il nuovo strumento comunitario da un miliardo e 462 milioni di euro a sostegno dei settori della cultura e dell’audiovisivo.

A partire dal 2014 Creative Europe riunirà in un unico strumento gli attuali programmi europei dedicati ai settori della creatività, cioè Culture, MEDIA e MEDIA MUNDUS, agevolando l’accesso ai fondi comunitari da parte degli operatori di tutta Europea e l’attuazione dei programmi nei diversi contesti dell’Ue.

Le risorse dovrebbero ammontare a 1,4 miliardi di euro, contro gli 1,8 miliardi proposti inizialmente dalla Commissione europea.

Alle sovvenzioni esistenti si aggiungeranno nuove modalità di concessione dei prestiti a favore delle pmi creative e una misura, la Guarantee Facility, per rafforzare la capacità degli intermediari di intervenire a sostegno delle aziende dei comparti interessati; a gestirla sarà il Fondo europeo degli investimenti e il suo ruolo sarà quello di fornire garanzie alle banche per incentivarle a concedere credito alle piccole e medie imprese creative.

Dopo il via libera del Coreper, la presidenza lituana del Consiglio dell’Unione può ora procedere a formalizzare l’accordo con il Parlamento europeo e una volta conclusa l’intesa tra Consiglio e Pe, la Commissione potrà lavorare alle regole per l’implementazione del programma.




La capacità di correggere gli errori

Ricorre quest’anno il Cinquecentesimo anniversario della pubblicazione di uno dei capolavori del pensiero mondiale, Il Principe di Machiavelli, opera che rivaleggia con la Divina Commedia di Dante per traduzioni dalla nostra lingua. Se avrete la pazienza di rileggere la fatica del Segretario fiorentino resterete impressionati da come, nella sua visione del Potere, degli Interessi, della Forza e della Strategia nulla sia mutato dai turbolenti giorni delle Corti e dei Principati. Obama contro Putin, Xi Jinping contro il premier giapponese Abe, le manovre navali congiunte Mosca-Pechino, i marines che arrivano in Australia, l’intero nostro tempo ancora si inquadra nel Potere che si fa Leone, Volpe, che si cura di Essere o di Apparire, di far Paura o indurre Amore.

 

Tutto, tranne i social media, il web, l’epoca dei personal media che rendono il Potere sottoposto a un caleidoscopio di informazioni, controlli, dibattiti, trasparenza. Se i familiari di Muktar Ablyazov, dissidente kazako, fossero stati deportati dall’Italia al loro Paese nei giorni della vecchia diplomazia e del vecchio potere, secondo la sintassi feroce così genialmente studiata (non difesa, si badi) da Machiavelli, nessuno di noi avrebbe mai sentito parlare di loro.

 

E questo articolo non sarebbe mai finito in prima pagina su La Stampa. Soffrire di nascosto e in silenzio era la pena dei deboli, imporre la loro ferrea volontà a piacimento era il privilegio dei forti. L’esilio, l’oblio, l’emarginazione, condivise da Dante e Machiavelli, venivano comminate dal solo capriccio del Principe. Se oggi il governo di Enrico Letta, Angelino Alfano ed Emma Bonino, dopo una campagna di opinione pubblica guidata da questo giornale, torna sui propri passi e riconosce l’incongruenza di affidare profughi inermi ai loro possibili persecutori si deve al potere morale dell’opinione pubblica diffusa dal web, oltre naturalmente alla loro sensibilità umana.

 

In altri tempi, la regola burocratica poteva essere applicata passando inosservata, magari seguendo alla lettera la legge e il protocollo l’espulsione poteva anche essere comminata, ma il web rende il motto antico «Summum ius summa iniuria» una legge morale più forte di quella scritta. Seguire un diritto la cui conseguenza è l’ingiustizia può salvare la coscienza di un burocrate, ma oggi non è più difendibile davanti a tanti cittadini con in mano uno smartphone e una connessione internet. L’ambasciatore italiano a Washington Bisogniero ha chiesto a dirigenti della Casa Bianca, del Dipartimento di Stato e docenti Usa di dibattere la «cyberdiplomacy» tra Usa e Europa e il risultato è stato sorprendente: il consenso è che il web ha mutato per sempre i rapporti tra gli Stati.

 

Se per i tiranni, delle grandi e piccole potenze, questa è una minaccia che alla lunga potrebbe anche essere fatale, per i leader delle democrazie è insieme una costrizione e un’opportunità. A breve li rende soggetti a valutazioni da fare sotto pressione, come quelle opportunamente prese infine sulla famiglia Ablyazov. Alla lunga però concede un termometro di temperatura etica del Paese, dando ai governi, grazie al web, un dialogo fitto e continuo con la gente. La capacità di autocorrezione degli errori e il dibattito libero sono la vera forza della democrazia rispetto ai regimi autoritari, costretti sempre a restare ingessati nella volontà assoluta del Capo, e blindati ai loro errori.

 

Non si tratta di un antibiotico politico che cancella ogni male, naturalmente e presto i leader, anche studiando l’andamento dei Big Data sul web, riusciranno a manipolare e a guidare la discussione nei loro Paesi. Ma in profondo, oggi, i sistemi hanno una chance di essere davvero «società aperte» come sognava il filosofo Popper, che solo una generazione fa sarebbe stata illusoria.

 

Bene ha fatto dunque il governo Letta a recedere da una scelta non felice, bene hanno fatto tutti coloro che hanno lavorato online perché si arrivasse all’esito positivo. Meglio ancora se, in futuro, l’Italia saprà prevenire incidenti del genere, dandosi carattere da Paese amico dei dissidenti politici e aperto agli esiliati, come ricordano i libri di scuola è nella tradizione del nostro Risorgimento.

 

Quanto a Machiavelli, tornasse oggi tra noi a festeggiare il mezzo millennio del suo capolavoro, non esiterebbe ad includere un capitolo sull’online, indicando con la sua prosa lapidaria al Principe come governare il web da Leone e ai suoi rivali digitali come opporsi da Volpi internet.

G. Riotta

La Stampa




Relazione AGCOM: Italia ancora poco digitale

L’Italia è un Paese ancora poco digitalizzato e a due velocità nel suo sviluppo nel settore, dove reddito, istruzione ed età fanno la differenza e che vede nei giovani i “traghettatori verso la modernità, nonostante tutto”. E’ questo, in estrema sintesi, il quadro delineato nella “Relazione annuale”, presentata in Parlamento, dal presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), Angelo Marcello Cardani.

“L’attendismo dei mercati, la responsabilità della politica e le difficoltà della regolamentazione, e infine la crisi” hanno rallentato lo sviluppo digitale in Italia”.
Il nostro Paese figura al quarto posto in Europa nella non invidiabile classifica del numero di individui che non ha mai avuto accesso a internet (37,2% contro una media UE di 22,4%). Ma nello stesso tempo siamo il Paese in Europa in cui gli internauti hanno la più alta frequenza di accesso (oltre il 91% di essi accede regolarmente ogni giorno, contro una media Ue del 79%). 38 milioni di italiani dichiarano di accedere a internet da qualunque luogo e device, ma l’accesso alla rete non favorisce la gamma di utilizzo delle attività on line.
L’analisi dell’Agcom evidenzia come esista una doppia velocità nello sviluppo digitale, misurata in reddito, istruzione ed età, e che una fetta di popolazione resta drasticamente ai margini della rete.
Le famiglie che al 2012 avevano una connessione a banda larga su cavo erano il 49%, ma quelle connesse con almeno un minorenne al suo interno erano il 71%. Le classi di età che hanno usato maggiormente internet nell’ultimo anno sono quelle comprese tra i 15 e i 19 anni, circa il 5% della popolazione.
Alle spalle, sotto i 15 anni, ci sono circa 8 milioni di ragazzi e bambini (13% della popolazione) che si affacciano a questo mercato come “nativi digitali” e che promettono un moltiplicatore di traffico per l’Italia maggiore di quello di Gran Bretagna, Germania e Francia. Dal lato dell’offerta, “nel momento in cui la pervasività delle tecnologie Ict e la loro intensità di utilizzo sono sotto gli occhi di tutti, il comparto delle telecomunicazioni sembra aver perso centralità. In Italia il contributo al Pil dei servizi di telecomunicazioni sconta la congiuntura negativa, anche se meno di altri servizi, passando dal 3,2% del 2006 al 2,4% del 2012”.
Serve insomma un salto di qualità, a partire dagli investimenti nel settore, per segnare una discontinuità, “per consentire il passaggio alle reti di nuova generazione (fissa e mobile) e lo sviluppo dell’architettura Ip”, perché “le nuove reti stentano a svilupparsi in Italia ancor più che in Europa”.
La diffusione dell’accesso alla rete fissa, così come per l’accesso ai servizi broad- band, risulta a livello regionale piuttosto differenziata. A fronte della media nazionale di famiglie con un collegamento alla rete fissa superiore al 69%, il quadro si differen- zia in misura anche non marginale nelle diverse aree geografiche del territorio italiano (Tabella 2.18), con una “forbice” compresa tra l’80,5% del Lazio ed il 59,4% della Cala- bria, mentre le principali aree metropolitane sfiorano il 91%.Tabella 2.18. Accessi alla rete fissa (dicembre 2012, % delle famiglie)

Piemonte 67,6 Molise 63,1
Valle d’Aosta 62,7 Campania 70,6
Lombardia 72,3 Puglia 66,6
Trentino-Alto Adige 62,9 Basilicata 60,7
Veneto 67,7 Calabria 59,4
Friuli-Venezia Giulia 69,3 Sicilia 64,2
Liguria 71,2 Sardegna 59,6
Emilia-Romagna 69,3 ITALIA 69,5
Toscana 72,0 Principali Comuni 90,8
Umbria 68,3 Nord Ovest 70,8
Marche 70,6 Nord Est 68,1
Lazio 80,5 Centro 75,6
Abruzzo 64,5 Sud e Isole 65,4

Fonte: elaborazioni e stime dell’Autorità su dati aziendali e IstatCon riguardo al quadro competitivo dell’accesso diretto alla rete fissa, Telecom Italia si attesta su base nazionale – come già osservato – a circa il 65%, ma con una marcata differenziazione geografica (Tabella 2.19).

Tabella 2.19. Accessi alla rete fissa – Quote di mercato (dicembre 2012, in %)

  TelecomItalia Fastweb Wind

BT

Italia

Tiscali VodafoneItalia Altri Totale
Piemonte 64,7 8,9 13,5 0,4 1,5

9,9

1,0 100
Valle d’Aosta 74,7 6,0 6,9 0,1 0,6 11,0 0,6 100
Lombardia 61,4 11,9 11,5 0,6 1,8 10,9 1,8 100
Trentino A.A. 78,4 3,5 6,5 0,2 0,5

9,9

1,1 100
Veneto 72,6 4,3 9,2 0,3 0,8 11,0 1,7 100
Friuli V.G 73,2 4,8 10,1 0,2 1,4

9,5

0,7 100
Liguria 58,8 13,0 13,5 0,3 1,6 11,8 0,9 100
Emilia-Romagna 68,7 8,2 10,8 0,4 1,4

9,6

0,9 100
Toscana 71,3 6,2 10,5 0,4 1,7

8,8

1,2 100
Umbria 72,7 5,5 8,6 0,2 0,6

7,7

4,7 100
Marche 73,6 5,5 9,1 0,2 1,0

8,4

2,1 100
Lazio 56,1 12,9 17,4 0,4 2,6

9,2

1,4 100
Abruzzo 69,0 8,3 10,5 0,2 1,0

9,4

1,6 100
Molise 74,8 3,7 10,6 0,3 0,4

9,6

0,7 100
Campania 58,4 8,9 22,5 0,2 0,8

7,7

1,4 100
Puglia 57,8 6,8 21,7 0,2 0,6

9,5

3,3 100
Basilicata 77,8 5,0 6,6 0,2 0,8

8,6

1,0 100
Calabria 75,4 2,4 10,1 0,1 1,3

8,5

2,1 100
Sicilia 62,9 5,3 18,2 0,2 1,5 10,2 1,8 100
Sardegna 61,3 2,8 7,3 0,2 18,8

8,3

1,2 100
ITALIA 64,6 8,3 13,5 0,3 1,9 9,7 1,6 100
Principali Comuni 41,1 23,6 22,5 0,8 2,5

8,4

1,2 100
Nord Ovest 62,1 11,2 12,2 0,5 1,7 10,7 1,5 100
Nord Est 71,6 5,9 9,7 0,3 1,1 10,2 1,2 100
Centro 64,1 9,4 13,6 0,4 2,0

8,9

1,7 100
Sud e Isole 62,7 6,3 17,5 0,2 2,5

8,9

1,9 100

 

Tabella 2.20. Accessi a larga banda (dicembre 2012, % delle famiglie)

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                      

      TelecomItalia Fastweb  Wind

BT
Italia 

Tiscali VodafoneItalia Altri Totale
     Piemonte           49,7           14,6           16,5           0,9           2,8           13,2           2,2           100     
     Valle d’Aosta           62,4           10,1           8,5           0,3           1,7           15,7           1,3           100     
     Lombardia           47,2           18,1           13,3           1,1           3,2           13,7           3,4           100     
     Trentino A.A.           66,9           5,9           8,9           0,6           1,1           14,4           2,2           100     
     Veneto           59,0           7,4           12,1           0,8           1,8           15,5           3,3           100     
     Friuli V.G.           60,2           8,2           13,2           0,6           3,0           13,3           1,5           100     
     Liguria           43,3           20,4           16,5           0,7           2,8           14,3           2,0           100     
     Emilia-Romagna           54,4           13,4           13,3           1,0           2,7           13,4           1,9           100     
     Toscana           59,5           9,9           13,2           0,9           3,0           11,2           2,3           100     
     Umbria           59,5           9,2           11,2           0,5           1,4           10,1           8,1           100     
     Marche           63,2           8,7           11,5           0,6           1,8           10,5           3,6           100     
     Lazio           44,9           18,5           18,9           0,8           4,0           10,3           2,6           100     
     Abruzzo           56,6           13,6           12,8           0,7           2,1           11,4           3,0           100     
     Molise           59,2           7,9           16,0           0,8           1,2           13,1           1,7           100     
     Campania           49,4           12,4           25,5           0,4           1,3           

8,5

     

     2,5           100     
     Puglia           44,2           10,5           27,0           0,4           1,3           10,9           5,7           100     
     Basilicata           66,2           9,4           8,3           0,5           1,8           11,6           2,1           100     
     Calabria           66,1           4,5           12,2           0,4           2,4           10,6           3,8           100     
     Sicilia           52,0           8,1           22,2           0,5           2,6           11,4           3,2           100     
     Sardegna           43,9           4,4           8,1           0,5           30,0           11,0           2,2           100     
     ITALIA           51,6           12,9           16,3           0,7           3,3           12,1           3,0           100     
     Nord Ovest           47,5           17,4           14,4           1,0           3,1           13,7           2,9           100     
     Nord Est           57,9           9,8           12,4           0,8           2,2           14,3           2,5           100     
     Centro           52,5           14,1           15,8           0,8           3,3           10,6           3,0           100     
     Sud e Isole           50,9           9,6           21,1           0,4           4,2           10,4           3,4           100 

RELAZIONE_PRESIDENTE_AGCOM_2013