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Il sogno americano di Vincenzo: “Come ho conquistato Amazon”

amazonDi Nicola, giovane ingegnere abruzzese, ha venduto la sua startup a Bezos per una cifra top secret. Ma adesso dice: “Credo che tornerò in Italia e ricomincerò daccapo, la mia casa è lì”
Per il mondo dell’innovazione, e quindi per chi ancora crede nel futuro dell’Italia, è stato il botto di fine anno. Qualche giorno fa Vincenzo Di Nicola, 34 anni, ingegnere informatico, abruzzese, ha venduto la sua startup ad Amazon, ovvero a Jeff Bezos, 49 anni, il 19esimo miliardario del pianeta ma soprattutto il più grande venditore di tutti tempi. Apparentemente è come vendere un frigorifero agli eschimesi, più che una impresa parrebbe un miracolo; ma in realtà i colossi del web comprano ogni anno decine e decine di imprese innovative. È il modo migliore per comprare l’innovazione là dove si palesa: dove i ragazzi inventano il futuro. E in questo campo gli italiani se la cavano piuttosto bene. Lo scorso anno era accaduto almeno altre due volte: al giovanissimo Andrea Vaccari, “comprato” da Facebook con la sua app di geolocalizzazione, Glancee; e ad Andrea Gozzi da Correggio che durante i giorni del terremoto in Emilia aveva venduto la Redmatica nientemeno che ad Apple.

Ora tocca a GoPago, la startup di pagamenti mobile che Vincenzo Di Nicola racconta di aver inventato perché una volta, nel 2009, era allo stadio, l’AT&T Park a New York, per un incontro dei San Francisco Giants, e il suo amico si è perso il record di homerun segnati nella storia del baseball americano (firmato nientemeno che dal grande Barry Ponds) perché si era alzato a prendere una birra e ci aveva messo troppo a pagare… Solo che l’amico, come Vincenzo, è una specie di genio dell’informatica: si chiama Leo Rocco, è nato in America da genitori siciliani ed ha un curriculum con nomi pesanti come Boeing, Ferrari, Nasa e Ibm. E visto che quel giorno i due si erano resi conti che mancava una app per prenotare un bene o un servizio, pagarlo con un clic e ritirarlo senza fare la fila, hanno deciso di svilupparla.

La storia di GoPago è davvero bella come una fiaba. Anche perché inizia in un borgo minuscolo che sembra un presepe in questi giorni di Natale. Si chiama Sant’Atto, trecento abitanti più o meno, in provincia di Teramo. È da qui che l’omonimo nonno di Vincenzo partì nel 1922 per andare in America. Emigrante, minatore sui Monti Appalachi. Ci restò dieci anni esatti, e poi tornò a casa. A Villa Turri di Sant’Atto. E qui nel 1979 nacque il futuro startupper che conquisterà una parte (piccola, per carità) del portafoglio di Jeff Bezos (la cifra dell’affare non è stata rivelata ed anzi, per un paio di mesi almeno a Vincenzo è stato chiesto di non dire nulla sui dettagli dell’affare). Ma torniamo indietro: liceo scientifico Albert Einstein a Teramo e da qui il salto; ingegneria informatica a Bologna e poi gli Stati Uniti, prima ancora di laurearsi. Lo stesso viaggio del nonno, insomma, ma tutto molto, molto diverso. In America Vincenzo si rende conto subito di una cosa fondamentale: “Fino a quel momento in Italia avevo studiato in maniera astratta. Troppa teoria”. Prima Stanford, poi Microsoft e Yahoo!, il curriculum di Vincenzo è costellato di riconoscimenti come miglior studente e ricercatore. Poi GoPago che va online alla fine di luglio del 2011. Un sistema di pagamento mobile lanciato in un momento in cui sul settore di sfidano degli autentici colossi. Ma la app di Di Nicola e Rocco sembra avere una marcia in più. Nell’agosto del 2012, in occasione del lancio in tutti gli Stati Uniti, il blog Business Insider celebra questo “meraviglioso servizio” che riesce a fare cose che nemmeno Square (fondata dall’ex creatore di Twitter Jack Dorsey) e la catena di caffé Starbucks riescono a fare: “Nessun altro ti fa ordinare e pagare un latte a casa e ritirarlo senza fila al bar”.

Da lì in poi il successo è stato inarrestabile: grazie a un investimento della banca JP Morgan, GoPago è arrivata in un baleno a 70 dipendenti e più di mille installazioni mentre le star delle squadre di baseball e football di San Francisco sono diventate i testimonial del servizio. Insomma, la exit (così si chiama l’acquisto di una startup da parte di un grande gruppo) era nell’aria ed è arrivato: lo staff e la tecnologia di GoPago passano ad Amazon, Vincenzo Di Nicola no. Proprio il giorno dopo la conclusione dell’affare ha sostenuto il colloquio per ottenere la cittadinanza americana, ma pensa di tornare in Italia, esattamente come accadde al nonno: “È lì la mia casa” ha detto a chi glielo ha chiesto, “anche Garibaldi emigrò in America ma quando l’Italia ebbe bisogno di lui, non ci pensò due volte”. Non sono parole vuote: se andate sulla pagina del liceo scientifico Einstein, scoprirete che dai sei anni Vincenzo sponsorizza una piccola borsa di studio “perché sento un forte debito di riconoscenza per quegli anni del liceo e nella logica del give back americano ho deciso di istituire questo premio”.

di RICCARDO LUNA

http://www.repubblica.it/rubriche/startup-stories/2013/12/16/news/sogno_americano_vincenzo_di_nicola_amazon-73709099/




Smart cities – Protocollo Anci-Assoknowledge per attrarre investitori privati

smart-cityLe smart cities come locomotiva per la crescita e il rilancio dell’economia italiana: è l’ambizioso obiettivo di Anci, Armesi e Assoknowledge, che oggi hanno firmato un protocollo d’intesa finalizzato a “rinnovare le città italiane attraverso l’implementazione di tecnologie altamente innovative, utilizzando in via prevalente capitali privati”.
In virtù di questo accordo, verrà redatto un “Catalogo” di tutti i sistemi innovativi fruibili da parte delle città italiane, tenendo conto delle diverse caratteristiche dei Comuni per dimensione, livello di innovazione e capacità finanziarie. Il Catalogo sarà corredato da un manuale di procedura con la descrizione di tutti i passaggi e gli atti amministrativi necessari per realizzare gli interventi.
“Con questo protocollo – spiega il presidente dell’Anci Piero Fassino – avviamo una collaborazione per promuovere l’implementazione di programmi e progetti di smart cities e le moderne tecnologie digitali nella vita e nelle scelte amministrative dei Comuni. Conosciamo tutti le straordinarie capacità delle moderne tecnologie in ogni campo, dal risparmio energetico alla qualità ambientale, dalla sicurezza dei cittadini all’erogazione di servizi di welfare. Grazie all’utilizzo di sistemi innovativi puntiamo innanzitutto all’innalzamento significativo della qualità dei servizi e della vita dei cittadini. Ma per realizzare tutto questo è necessaria una forte integrazione tra le pubbliche amministrazioni e i soggetti imprenditoriali: il protocollo sottoscritto oggi va proprio in questa direzione”.
Ma le nuove tecnologie applicate ai contesti urbani “possono essere anche – sostiene Laura Deitinger, presidente di Assoknolodge – vetrina per la diffusione e la vendita di sistemi integrati in tutto il mondo, e quindi motore di sviluppo per il mondo imprenditoriale. Ne è un esempio il progetto ‘Grande Melo’ sulla mobilità sostenibile, da noi già promosso e realizzato, che ha già trovato grande interesse da parte degli investitori”.

http://www.anci.it/index.cfm?layout=dettaglio&IdSez=818269&IdDett=45289




Brevetti green, l’Italia cresce in Europa

brevettiNegli ultimi cinque anni le invenzioni a tecnologia verde salgono del 5,4%, quelle nelle nuove «Ket» dell’1,1%
Crescono in Europa i brevetti italiani «green». Nelle difficoltà della crisi in cui si trova a lottare ormai da tempo, il Belpaese sta dando buona prova di sé e della sua fama di nazione di inventori. Negli ultimi cinque anni i brevetti a tecnologia «verde» registrati a livello europeo mostrano una crescita del 5,4% e quelli nelle Ket (dall’inglese Key Enabling Technologies) dell’1,1%: un andamento che vale più di quel che appare, visto che le cosiddette «tecnologie abilitanti» sono ritenute capaci di innescare processi di innovazione accelerata in modo trasversale in più settori produttivi.
A DIRLO sono i numeri dell’Osservatorio brevetti di Unioncamere: evidenziano, nel periodo compreso tra il 1999 e il 2012, le oltre 14 mila domande italiane pubblicate dall’Ufficio Europeo dei Brevetti riconducibili alle Ket, pari al 27,9% di tutta l’attività brevettuale nazionale rivolta al mercato continentale. La distribuzione di queste tecnologie evidenzia una forte specializzazione nella manifattura avanzata (69,5% delle domande di brevetto), a cui seguono i materiali avanzati (10,2%), la fotonica (7,4%), le biotecnologie (6,8%), la micro e nanoelettronica (5,7%) e le nanotecnologie (0,4%). Sempre nello stesso periodo, una quota pari al 5,5% delle richieste rientra nei settori della green economy, da più parti considerati ambiti con forti opportunità di sviluppo e di investimento e ormai parte integrante del modello di crescita delle imprese italiane più dinamiche sui mercati internazionali.
NONOSTANTE la generale contrazione nel numero di domande italiane di registrazione presentate agli uffici europei (passate dalle 4.423 del 2008 alle 3.819 del 2012, con una riduzione media annua del 3,6% nel quinquennio), in questi ultimi anni il Paese mostra un incremento dello sviluppo tecnologico su settori applicativi che la Commissione Europea reputa a forte valenza strategica, con ricadute positive sia per quanto riguarda la competitività delle imprese sia sulla capacità in prospettiva di attrarre capitali in cerca di idee e progetti imprenditoriali con previsioni a lungo termine. Un dato ancora più significativo se si considera il periodo difficile cui si riferisce e che in tutti i settori, meno l’edilizia, le aziende che innovano lo fanno nell’organizzazione, nel marketing, nel design. Una conferma dell’orientamento sempre più marcato del nostro sistema produttivo verso la cosiddetta «soft innovation», l’innovazione non solo tecnologica industriale ma anche e soprattutto nelle componenti intangibili della competitività.
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Open Data ed energia: come monitorare i consumi energetici del territorio

open_dataLa più grande sfida di una Smart City è creare un ambiente sostenibile, per esempio ottenendo la riduzione dei consumi di energia; proprio per questo l’Unione Europea ha promosso il Patto dei Sindaci per il risparmio energetico – PAES, attraverso cui dovrà essere fatta una pianificazione dei consumi energetici sul territorio, incentivando la produzione di energia attraverso fonti rinnovabili.

Presupposto della pianificazione di qualsiasi azione è conoscere la situazione di partenza, cioè i dati dei consumi del territorio (utenze domestiche e produttive); così come per monitorare l’efficacia delle azioni previste nel piano e’ necessario verificare le variazioni dei medesimi dati, in modo da misurarne gli scostamenti e vedere se le azioni previste hanno avuto risultati positivi o meno.

Proprio per questo è essenziale partire dai dati del consumo energetico del territorio, tanto che è stato coniato lo slogan “Raw data energy now”: ma come può fare un Comune ad entrare in possesso di questi dati? Si possono ottenere dai gestori che si occupano di energia? E soprattutto, come contattare i gestori, ora che il mercato non è più in condizione di monopolio e siamo in regime di libera concorrenza?

In realtà, i dati dei consumi delle utenze di energia elettrica e gas sono già da tempo in possesso degli Enti Locali: infatti, a partire dalla Legge Finanziaria del 2005 (art. 1 commi 332, 333 e 334 della legge n. 311 del 31 dicembre 2004), l’Agenzia delle Entrate mette a disposizione dei Comuni questi dati attraverso il SIATEL, al fine di effettuare verifiche tributarie.

I dati dei consumi sono annuali e sono riferiti ai soggetti residenti in un dato immobile, identificato con i dati catastali; purtroppo questi dati hanno un formato poco leggibile, e quindi siamo partiti con l’idea di inserirli nel Sistema Informativo Territoriale, con l’obiettivo di visualizzarli sulla mappa del territorio, utilizzando i dati degli immobili e dei residenti come chiavi di ricerca.

Proprio a questo punto ci siamo resi conto che se questi dati vengono opportunamente elaborati con un algoritmo che compara i consumi totali di un edificio con la superficie dell’immobile, si può arrivare alla classificazione energetica delle abitazioni del territorio…. Ed ecco, il gioco è fatto! Dal mash up di 3 diverse banche dati (catasto immobili, anagrafe, consumi energetici) si crea un possibile sistema di monitoraggio dei consumi energetici del territorio.

Ultimo passo, ma non il meno importante, è rendere a disposizione i dati in formato Open: per cui abbiamo scelto il .kml, perché immediatamente visibile e rappresentabile con Google Earth, e il file è a disposizione di tutti sul portale Open Data della Regione Emilia-Romagna.
I dati così pubblicati non hanno alcun riferimento personale, perchè sono comunque riferiti all’immobile nel suo complesso, che vengono visualizzati con il colore corrispondente al livello di classificazione energetica attribuito.

I dati ovviamente andrebbero resi più precisi, mappando anche gli immobili che contengono impianti che producono energia da fonti rinnovabili: in questo caso chi possiede le informazioni è GSE, società pubblica che autorizza gli impianti di produzione di energia.

E inoltre occorre tenere presente che un immobile può avere un basso consumo energetico perché disabitato, e in questo caso è sufficiente verificare se ci siano soggetti residenti; ma tutto ciò rappresenta un ottimo punto di partenza per la rappresentazione della situazione del territorio, soprattutto per iniziare a condividere a vari livelli cosa vuol dire classificazione energetica, e come si rapporta rispetto ai consumi annui, su come si può risparmiare e che incidenza può avere questo risparmio sull’ambiente; in una parola, è utile per creare cultura e condivisione di un modello virtuoso.

Nel documento pubblicato a questo link sono riportati in modo più esaustivo i riferimenti normativi, alcuni accenni alla privacy, le modalità di accesso ai dati, i requisiti di sistema, l’unione delle banche dati, pubblicazione del file in formato aperto, possibili utilizzi dei dati.

A questo punto, l’esperimento può essere replicato su tante realtà, piccole e grandi: perchè non creare una mappa nazionale dei consumi energetici?

L’ambiente sostenibile e il risparmio sono un vantaggio per tutti, vediamo se riusciamo ad ottenere dei miglioramenti usando i dati che abbiamo! Una grande sfida per tutti.
Il Patto dei Sindaci
portale open data regione Emilia Romagna
riferimenti normativi




Rassegna stampa > Roma: il Corviale si riqualifica e diventa sostenibile

wise-society-people-for-the-future-logoA trent’anni dalla sua costruzione l’edificio della periferia di Roma esempio negativo di architettura popolare punta alla rinascita grazie ad un progetto condiviso

E’ possibile trasformare un esempio di architettura residenziale poco riuscita in uno spazio riqualificato dove pensare persino di sperimentare un nuovo modo di abitare la città? Sembra proprio di sì, secondo quanto emerso dal Forum dedicato alla rinascita di un edificio che in realtà, per dimensioni, costituisce da solo un quartiere della periferia ovest di Roma, il Corviale. Il titolo della kermesse, svoltasi a Roma tra il 21 e il 23 novembre scorso, Corviale 2020, intelligente sostenibile inclusivo, rispecchia la giusta ambizione degli abitanti che affiancati dalle istituzioni (Regione Lazio, Comune di Roma, Ministero per i beni e le attività culturali, Facoltà di architettura della Sapienza, Istituto case popolari) si stanno impegnando nel progetto diriqualificazione degli spazi del quartiere  attraverso un protocollo di intesa in cui l’obiettivo è di “promuovere e favorire tutte quelle attività volte a innalzare la qualità della vita e per il benessere della comunità, attraverso lo sviluppo di una cultura dell’abitare e del paesaggio”. L’idea è di creare un modello abitativo innovativo che preveda non solo il consumo ma anche la produzione di energia, di cibo, di innovazione. Insomma l’affermazione di un’economia che genera inclusione sociale e diminuzione della spesa del welfare.Ma cos’ è Corviale? Si tratta di un progetto di edilizia popolare nato alla fine degli anni ’60 in una situazione in cui il problema di dare una casa agli operai era centrale. A questo rispondeva l’idea, per molti versi utopistica, dell’architetto Mario Ferrandino. Ma Corviale divenne in breve l’emblema deldegrado urbano, di povertà e delinquenza. In una parte – l’intero quarto piano, che i progettisti avevano destinato a spazi comuni e commerciali – l’edificio fu occupato in modo abusivo da intere famiglie che oramai lì ci vivono da trent’anni. Una leggenda metropolitana è arrivata addirittura ad accusare Corviale di essere la causa della scomparsa del ponentino, il famoso vento romano… Insomma ciascuno si è fatto un’idea di quello che è anche chiamato il Serpentone, comprese le molte amministrazioni pubbliche succedutesi alla guida della città che hanno oscillato dalle ipotesi estreme di riqualificazione a quelle di abbattimento. Si è detto che Corviale sia troppo grande (e in effetti l’edificio principale è alto nove piani), troppo lungo (un chilometro, adagiato come un enorme grattacielo sul terreno), troppo isolato (qualcuno ha aggiunto, situato tra la fine della città e la campagna). Quello che è evidente è che versa in stato di degrado, avendo necessità, a trent’anni dalla sua costruzione, di manutenzione soprattutto delle parti esterne e di rifacimento degli impianti, alcuni mancanti come quelli antiincendio. E non è un luogo piacevole dove vivere per le oltre 8000 persone che occupano i 1300 appartamenti anche perché mancano spazi di aggregazione, previsti dal progetto ma mai costruiti.Ma negli ultimi anni, è accaduto qualcosa di diverso e di importante che rende Corviale una realtà molto più viva e complessa di come appare a una prima superficiale impressione. “Accanto alle criticità esistono – ha detto l’architetto Paolo Castenovi del Politecnico di Torino – anche potenzialità da sfruttare che rappresentano l’altra faccia della medaglia, per ripensare a un modo nuovo di abitare questi spazi”. Per esempio, proprio per la sua posizione periferica ma immersa nel sistema dei parchi più vasto della città costituito dalla Tenuta dei Massimi e dalla Valle dei Casali, Corviale può funzionare da cerniera tra città e campagna svolgendo un ruolo di integrazione con gli spazi rurali, peraltro molto belli dal punto di vista paesaggistico. Esiste inoltre una forte identitàrispetto a Corviale da parte dei suoi abitanti che può costituire un punto di forza. Infine, è vero che è isolato, ma proprio perché circondato da spazi vuoti, è facile intervenire per creare o migliorare le aeree comuni destinate a servizi e usi pubblici e dall’arrivo dei primi inquilini nel ‘82 sino a oggi, qualcosa è stato fatto. Sono stati costruiti impianti sportivi, uffici pubblici e una piscina comunale, sono attive associazioni come il Calcio Sociale e il Rugby, esiste una biblioteca. C’è un giornale on line, www.corviale.com in cui si svolge anche attività di formazione giornalistica. Da uno spazio abbandonato è nato il Mitreo, centro culturale e artistico di arte sede del comitato Corviale Domani e un mercato a km zero si svolge settimanalmente per le strade del quartiere e raccoglie i prodotti delle aziende agricole circostanti. I cittadini di Corviale, ora puntano a un salto di qualità per trasformare il Serpentone da “mostro” a esempio virtuoso. Per questo il sociologo Fabrizio Battistelli della Sapienza di Roma, ha parlato di “rigenerazione degli spazi”, da realizzare attraverso due strumenti: la partecipazione popolare e lo sviluppo economico sostenibile. Anche la cultura, in questo processo di crescita, “dev’essere integrazione sociale e rilancio” come ha sottolineato l’assessore alla cultura di Roma Flavia Barca – e “questa è una sfida nuova per il quartiere e la città intera che può diventare un modello da esportare anche all’estero”.

In termini concreti, è in attesa di essere messa a disposizione per gli interventi sul territorio una somma consistente già stanziata di quaranta milioni per partire con la riqualificazione degli spazi e la ristrutturazione degli edifici. Ed anche per realizzare quell’idea che sicuramente potrebbe rivelarsi il simbolo della rinascita di Corviale: il riuso del tetto “più grande del mondo”come luogo vitale di incontro e di aggregazione di persone, beni, informazioni che operano nelSerpentone. Il progetto prevede la creazione di uno spazio verde – costituito da serre idroponiche(tecnica di coltivazione fuori suolo), pergole fotovoltaiche, orti e verde pensile, laboratori artigianali e mini fab lab per servizi digitali personalizzati. – in stretto dialogo con il territorio circostante. In primo luogo con lo spazio che circonda gli edifici che dovrà contenere aree riconoscibili di aggregazione, come le piazze, che oggi non esistono, e poi piste ciclabili e un sistema di pedonalità diffusa. L’integrazione del sistema verde creato sul tetto di Corviale dovrà svilupparsi anche con l’ampia campagna e il bosco circostante per mettere le basi ad un’economia sostenibile, in grado di generare profitti ma anche di fornire migliore qualità di vita.

http://wisesociety.it/

http://wisesociety.it/architettura-e-design/roma-il-corviale-si-riqualifica-e-diventa-sostenibile/




Il vademecum per le smart cities

smart-cityPer dare sostegno e supporto alle amministrazioni che vogliono intraprendere la strada dell’innovazione e del cambiamento, lo Smart Cities Council, in collaborazione con la business school ESADE di Barcellona, ha elaborato delle linee guida da seguire per trasformare qualsiasi città in una smarrì city.

Il vademecum, che prende il nome di “Smart Cities Readiness Guide”, contiene oltre 50 casi studio di città intelligenti che affrontano alcune delle problematiche più comuni legate al passaggio da “normale” città a smart city.

CONTENUTI. Nello specifico, le linee guida contengono informazioni su: energia, telecomunicazioni, trasporti, acqua e acque reflue, rifiuti, servizi sanitari e sociali, sicurezza ed aspetti economici. Tra le città studio troviamo invece Malta, Londra, Indiana City, Sino-Singapore Tianjin Eco-City, PlanIT (Portogallo e Barcellona e moltissimi altri.
guida per le smart city
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L’impresa 3.0 che favorisce la rilocalizzazione

3.0Parlare di rivoluzione e di Terza Rivoluzione Industriale è appena descrivere ciò che sta succedendo con l’arrivo delle stampanti 3D. Ciò che stanno introducendo nei processi produttivi dell’industria ha dell’incredibile: un oggetto che si forma, anzi che prende forma nello spazio, un sottilissimo strato alla volta. Cambierà tutto. Non solo perché per creare una pala di turbina o un intero blocco motore ci vorrà molto meno tempo perché non bisogna più fare stampi e colate, ma soprattutto perché con questo sistema non si getta più via l’80% del materiale. Vengono tagliati drasticamente i tempi dall’ordine di un prodotto alla sua consegna. Vengono tagliati gli spostamenti, stravolte le esigenze logistiche. Ridisegnata la mappa delle localizzazioni industriali. Un recente studio del Boston Consulting Group azzarda che in determinati settori come macchinari, computer, produzione di componenti metalliche una quota non indifferente di prodotti (tra il 10 e il 30%) che oggi gli Usa importano dalla Cina potrebbero invece essere di nuovo prodotti sul suolo americano entro il 2020. Roba da raddoppiare l’output industriale degli States. E’ una rivoluzione così grande che la si può provare a descrivere solo per approssimazioni successive. L’altro grande aspetto dell’industria 3.0 è la svolta ad U che compie rispetto alle due precedenti rivoluzioni. Sia la prima, quella del 18esimo secolo che meccanizzò la tessitura, sia quella
del fordismo agli inizi del secolo scorso, con l’introduzione della catena di montaggio, andavano infatti nella stessa direzione: quella di una produzione di massa. Entrambe hanno permesso di moltiplicare in quantità sempre crescenti le repliche di un unico prodotto: il paradigma è la Ford T, che all’epoca potè abbattere i prezzi a patto di averla di un solo colore, ossia nera. Oggi invece si va all’opposto: se non c’è più uno stampo che va progettato e poi a sua volta prodotto e che dà i suoi frutti quante più repliche dello stesso oggetto è in grado di sfornare, se tutto questo è ormai solo un software e una stampante 3D e un po’ di materia prima, allora si può tornare a variare un pezzo, la sua forma, le dimensioni, in pochi attimi, solo al pc. E il concetto di economia di scala andrà drasticamente riscritto. La nuova tecnologia abbatte in modo significativo i costi e i tempi di produzione
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In evidenza > Collaborare per il bene comune: reportage conferenza

 

Tavola Rotonda "Collaborare per il bene Comune"

Tavola Rotonda “Collaborare per il bene Comune”

Onlus, imprese, pubbliche amministrazioni: questi i protagonisti della la conferenza tenutasi oggi alla Camera di Commercio di Roma. “Collaborare per il bene comune” non è un vuoto simulacro, uno slogan populistico e oggi testimonia il lavoro quotidiano di migliaia di operatori che producono capitali e desiderano mettersi in rete. La sala del Tempio di Adriano (foto) ha accolto stamattina una Tavola Rotonda con numerosi operatori profit, non profit e Pubblica Amministrazione,  relatori e partecipanti tutti concentrati sul futuro del terzo settore, delle imprese e delle istituzioni capaci produrre valore.

 L’osservatorio non profit della Camera di commercio di Roma ha così proposto di offrire spazio e un coordinamento per tutte quelle realtà che già hanno operato e operano sul territorio, esperienze significative per le politiche pubbliche di sviluppo. Presentate due importanti pubblicazioni:

Quest’ultimo è un libretto ideologico e operativo per un buon governo del territorio. Una ricerca di senso e di nuovi stili di vita.

Scopo dell’incontro è l’idea, tutt’altro che astratta e utopica, che P.A., profit e non profit, collaborando, possano dar luogo a percorsi innovativi di sviluppo locale,  rinascita sociale, emersione del lavoro nero o sottopagato e rilancio della mobilità come diritto e opportunità. Costruire regole condivise per l’uso dei beni comuni che attengono alle comunità locali e, dunque, direttamente ai cittadini. Prima dello Stato e del mercato c’è la società civile che si autorganizza liberamente per svolgere funzioni di interesse generale, gestendo i beni comuni e garantendo i diritti collettivi. La pubblica amministrazione deve solo favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini e delle comunità locali, sulla base del principio di sussidiarietà. Gestendo direttamente e in modo sostenibile i beni comuni, i cittadini potranno accrescere il senso di responsabilità e i valori di reciprocità, mutuo aiuto e fraternità civile, che sono gli ingredienti indispensabili per uscire dalla crisi.

presentazione associazioni nella Sala del Tempio di Adriano

presentazione associazioni nella Sala del Tempio di Adriano

Elementi chiave del dibattito e fondanti del patto che emerge al convegno sono:

1) rilanciare l’economia sociale e il ruolo sul territorio da parte di imprese ed organismi di terzo settore

2) valorizzare il ruolo primario delle PA come motori di riequilibrio sociale, ambientale, occupazionale

3) un sistema di informazione che i giornali autogestiti e partecipati possono promuovere se si organizzano in sistemi editoriali connessi tra loro. In rete possiamo oggi raggiungere facilmente tanti lettori che possono diventare scrittori del loro giornale e mettersi in competizione con una stampa egemone degli editori dominanti che emargina le periferie.

Il coordinamento,  afferma  Pino Galeota, lotta per “un distretto tecnologico dell’arte, della cultura, dell’ambiente e dello sport a Corviale: non è un progetto troppo ambizioso”. “Ambizioso? È un progetto portato dal basso, per arrivare in alto, certo è meglio cadere dall’alto… Bisogna metterci la faccia, cercare le persone disponibili per il dialogo, ‘chiedere tu chi sei? Ne vuoi far parte?’. Corviale è già un modello per tutte le periferie”.

I desk dei partecipanti in sala

I desk dei partecipanti in sala

Corviale Domani  e altre 6 imprese hanno offerto la loro esperienza  in un dibattito che apre la strada a un percorso di consapevolezza e scelte di vera collaborazione. Le associazioni sono: Banco Editoriale (ACLI) con l’obiettivo di sviluppare sei biblioteche in sei carceri italiani; Sociale.it (Coinsorzio sociale COIN)che punta a creare una partecipazione cittadina su un portale online di servizi; Binario 95 (Europeconsulting)  un centro polivalente diurno e notturno per persone senza dimora, con i rappresentati Alessandro Radicchi, e Gianni Petiti;  Il Forum del Terzo settore Lazio, che, con una rete di oltre 350 mila soci e lavoratori unisce Cooperazione Sociale, Volontariato, associazionismo altraeconomia e finanza etica; Fattoria Sociale della Mistica (Agricoltura Capodarco) che comprende 30 ettari coltivati biologicamente, in un esperimento di agricoltura sociale; Programma Retis (Fondazione Roma solidale), in collaborazione e per volontà di Roma Capitale, un progetto volto alla valorizzazione degli attori, degli strumenti e delle esperienze finalizzate allo sviluppo di percorsi di autonomia delle “persone svantaggiate”.

 

Foto e Articolo:  Elisa Longo

Ringraziamenti: Silvana Forte (CCIAA Roma responsabile P.O. Gestione Osservatori), Flavia Trupia (relazioni pubbliche)