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Bruxelles, portare le fonti pulite al 30% del mix energetico

fotovoltaicoLe commissioni Industria, ricerca e energia (Itre) e Ambiente e Salute (Envi) hanno anche stabilito di ridurre consumi ed emissioni di gas serra del 40%. Ora la parola va alla Commissione UE
Prosegue – non senza discussioni – il percorso dell’Unione Europea verso l’efficienza energetica e la riduzione dei consumi.
Riunite in seduta congiunta, ieri, giovedì 9 gennaio, le commissioni europee Industria, ricerca e energia (Itre) e Ambiente e Salute (Envi) hanno ratificato una risoluzione che prevede di portare le fonti pulite al 30% del mix energetico e ridurre consumi ed emissioni di gas serra del 40% rispetto ai livelli del 1990.
UN MESSAGGIO CHIARO ALLA COMMISSIONE UE. Passata con 66 voti a favore, 42 contrari e 3 astensioni, questa relazione finale “prosegue il lavoro avviato nel quadro del 20/20/20, che conteneva già tre obiettivi, comprendendo gli errori di gioventù di quel quadro e dando un messaggio chiaro alla Commissione europea”, come ha commentato la relatrice belga Anne Delvaux del Gruppo del Partito popolare europeo.

UN PROCESSO GIÀ AVVIATO. Viene quindi ribadita la necessità ed urgenza di obiettivi vincolanti, sulla scia di quanto contenuto nella “Relazione sulla tabella di marcia per l’energia 2050” della Commissione Itre, già approvata in plenaria la scorsa primavera (marzo 2013).

LA VOCE DEGLI AMBIENTALISTI. Tra i commenti alla seduta di ieri anche quelli di varie associazioni ambientaliste, da sempre in prima linea nella lotta all’inquinamento e al cambiamento climatico. Jason Anderson, responsabile clima ed energia presso la sede politica europea del gruppo WWF, ha sottolineato che “solo obiettivi vincolanti possono fornire un sufficiente livello di fiducia degli investitori nei settori dell’energia e dell’efficienza energetica verde dell’UE”.

L’APPELLO DI ITALIA, FRANCIA, GERMANIA, AUSTRIA, BELGIO, DANIMARCA, IRLANDA E PORTOGALLO. Ricordiamo inoltre che solo qualche giorno fa – mercoledì 8 – i ministri dell’energia e dell’ambiente di Italia, Francia, Germania, Austria, Belgio, Danimarca, Irlanda e Portogallo avevano inviato una lettera congiunta indirizzata a Connie Hedegaard, commissario UE per il clima, e Guenther Oettinger, commissario UE per l’energia, richiedendo a gran voce che l’Unione europea si ponesse un obiettivo vincolante sulle energie rinnovabili entro e non oltre il 2030. “Fissare un obiettivo vincolante al 2030 per l’uso di energie rinnovabili aiuterà a tagliare la dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili, facendo aumentare l’occupazione e la crescita economica”, scrivevano i ministri nella loro missiva.

DIVERSA LA POSIZIONE UK. Voce fuori dal coro è stata quella del Regno Unito, che – come ribadito dal segretario britannico per l’Energia e il Climate Change, Ed Davey, per il 2030 ha richiesto un unico obiettivo sul taglio dei gas serra.

PROSSIMI PASSI. Ora si attende la data del 22 gennaio, quando l’esecutivo comunitario presenterà le sue proposte sul cosiddetto “pacchetto clima ed energia” per il 2030.

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Bologna: benvenuti in via Fondazza, la prima social street italiana. Scopri cos’è

solidarietaUn’idea tanto banale quanto geniale: perché non trasformare le amicizie su Facebook in amicizie vere? E perché non aiutarsi come si faceva un tempo? Ecco le risposte. Che diventano anche una soluzione anti crisi
Via Fondazza, a Bologna, è la prima social street italiana. Non ne hai mai sentito parlare? Ecco che cos’è e come funziona: ce lo spiega chi ci vive.
A COSTO ZERO – Dall’estraneità alla condivisione. Dal senso di solitudine al «buongiorno vicino» indirizzato al dirimpettaio. Dall’isolamento, alla consapevolezza di far parte di un gruppo che ha energia e potenzialità contagiose. Le finestre aperte di via Fondazza, la strada bolognese che è diventata la prima social street italiana, non si richiuderanno tanto facilmente. Grazie ad un’intuizione a costo zero, un gruppo su Facebook, Federico Bastiani ha trasformato la sua via, una strada della vecchia Bologna, in una palestra di buone pratiche, una community di buon vicinato, dal successo contagioso.
TUTTO NASCE DA FACEBOOK – «Mi ero accorto che, dopo tre anni, eccetto qualche negoziante, non conoscevo nessuno dei vicini», racconta Federico, 36 anni. «Ai primi di settembre, ho creato un gruppo su Facebook e ho affisso sotto i portici volantini con l’invito ad aderire. La risposta mi ha sorpreso: una valanga. Aspettavo venti adesioni, in tre settimane eravamo cento; adesso siamo 500. Volevo soprattutto trovare coetanei di mio figlio Matteo, 2 anni e mezzo. Ma i fondazziani mi hanno travolto».
IL PORTICO – Via Fondazza, una strada nel centro storico di Bologna, con l’immancabile portico, conta novantuno numeri civici: palazzi affiancati a case più semplici, molte botteghe di alimentari kebab e verdure, gestite da immigrati, che si intrecciano a qualche artigiano, il calzolaio Antonio, il tappezziere, i falegnami, una legatoria. In un ex convento ristrutturato, aule della facoltà di Scienze Politiche. Residenti di lungo corso, novantenni nati nella stessa casa nella quale vivono tuttora, come fece per tutta la vita, al 36, Giorgio Morandi, il pittore delle bottiglie e degli scorci dei giardini, studenti fuorisede o da Erasmus, giovani coppie.
IL BENVENUTO AI NUOVI ARRIVATI – In pochi giorni la bacheca del gruppo Residenti in via Fondazza è diventata un tripadvisor a km zero, una lavagna di benvenuto per i nuovi arrivati, con uno scambio vivacissimo di informazioni, richieste, suggerimenti. A 360 gradi. «Dalle domande sulla focacceria migliore, alla ricerca del veterinario che venisse a domicilio nel week end. Il passaggio dalle informazioni allo scambio di servizi è venuto da sé. Due studenti cercavano una lavanderia a gettone e Sabrina li ha invitati a usare la sua lavatrice in cantina. Laurell cercava una baby sitter e Veru ha proposto di assumerne una sola per tutti i bambini di età simile della strada. I negozianti hanno offerto prezzi scontati, il cinema ha invitato tutti i residenti a un’anteprima, il bistrot francese ha preparato un menù riservato ai residenti».
AMICIZIA REALE, NON VIRTUALE – Presto hanno deciso di conoscerci di persona, racconta ancora Bastiani: «L’idea di trasferire l’amicizia virtuale nella vita reale si è fatta largo rapidamente. Ci siamo dati appuntamento di domenica mattina, nella piazza più vicina, per guardarci in faccia». La scintilla era scattata. Dagli incontri in piazza sono nate belle abitudini, il caffè assieme la mattina, le feste di compleanno nel bar sotto casa, i tanti progetti per il futuro.
ANTISPRECO, ANTICRISI – La community dei fondazziani ha dimostrato subito una spiccata vocazione antispreco e anticrisi. «Le possibilità sono infinite», dice Bastiani. «Da una sorta di banca del tempo dove ci si scambiano le competenze, al gruppo di acquisto solidale, il gas della strada, facile da gestire. Oppure lezioni di pianoforte in cambio di un’ora di inglese, il materasso che dalla cantina di Michele si è spostato a casa di Paolo, l’ SoS per il computer infettato da un virus, e dopo 5 minuti trovi davanti alla porta, in ciabatte, il vicino di casa informatico smanettone. Federica doveva fare traslocare da sola, e ha trovato tre amici mai visti prima che l’hanno aiutata a spostare tutti gli scatoloni. A me serviva il seggiolino da auto per Mattia? Ho messo un annuncio e Saverio me l’ha prestato». Oppure per evitare sprechi alimentari: «Parto, e ho il frigorifero pieno di cibi che non posso congelare? Metto un post e invito i vicini a venire a prenderseli», spiega Laurell, moglie di Federico.
SOLUZIONE AI BISOGNI – La social street è nata così, per condividere bisogni e offrire soluzioni. «Abbiamo capito che siamo una forza. Un gruppo di persone come noi può fare un sacco di cose», dice Luigi Nardacchione, manager neopensionato, uno dei più attivi del gruppo, nominato sul campo, “vice” di Bastiani. «Risolvere problemi quotidiani di tutti, ma anche migliorare la qualità e la vivibilità della strada, tenerla pulita, aiutare le persone in difficoltà, come gli anziani che vivono soli, candidarsi per far visitare al pubblico la casa museo del pittore Morandi, che in questa via visse e lavorò, dotarsi della banda larga e metterla a disposizione di tutti. E organizzare momenti ludici, cene, una festa della strada».
UN NUOVO CLIMA – Tra le priorità della social street, la più pressante è trovare i modi per coinvolgere tutti quelli che non usano Facebook. Al primo incontro pubblico, organizzato per farsi conoscere e per presentare il sito, ha partecipato quasi un centinaio di persone. Molti venuti da altri quartieri a osservare quest’oggetto misterioso dalla identità incerta. Il sito, creato per rispondere alle decine di richieste che arrivano da tutta Italia, spiega la filosofia dell’iniziativa e contiene le indicazioni per creare altre social street. «Anche il sito è rigorosamente made in Fondazza, a costo zero, grazie a Filippo, che di mestiere progetta siti, e a Laura, la grafica che ha disegnato il logo, scelto, ovviamente, on line. «La cosa più importante, però, non è l’interesse suscitato, ma è il nuovo clima che abbiamo creato», dice Nardaccchione. «Dal virtuale siamo passati presto alla vita reale perché abbiamo avuto il desiderio genuino di conoscerci. Grazie alla spontaneità si è creato tra noi un senso immediato di fiducia reciproca».
COME UN PICCOLO PAESE – Nel successo della social street c’è qualcosa di molto legato al momento che viviamo, ragiona Federico. «In tanti mi hanno raccontato che in via Fondazza si è sempre vissuto così, come in un piccolo paese. Un posto dove tutti si conoscevano, si salutavano, collaboravano. Però quell’abitudine è andata sparendo, ed è scomparsa, da almeno venti anni. Se oggi la vecchia Fondazza rinasce come social street vuol dire che il bisogno di socializzare, compartecipare e condividere è ancora fortissimo, inalterato, anche ai tempi di Facebook». E su Facebook qualcuno gli fa eco: «Fino a poco tempo fa non amavo molto questa strada, anzi, la trovavo brutta. Ora la guardo con occhi nuovi. Comincia a piacermi».
Rita Cenni
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Allarme web, gli umani sono in minoranza: il 60% del traffico online generato dai robot

robotUn’analisi della società specializzata Incapsula conferma il sorpasso di marzo: meno di quattro utenti su dieci di internet sono persone in carne e ossa. Gli altri? Programmi automatizzati per funzioni legittime, come motori di ricerca, o intenti maligni fra cui furto di dati e cyber attacchi. E la crescita non sembra arrestarsi
SORPRESA. Il web non è in mano agli umani ma a un’altra specie, a volte invasiva e pericolosa, e senz’altro meno nota al navigatore medio. Quella dei bot, abbreviazione per “robot”, ma non veri e propri androidi: piuttosto, programmi e funzioni automatizzate che svolgono su internet i compiti più disparati, buoni e cattivi: dalle scansioni dei motori di ricerca alle duplicazioni maligne di dati personali fino agli attacchi più devastanti. A certificare il sorpasso, di cui si era già avuto un primo segnale lo scorso marzo, è Incapsula, una società specializzata statunitense che della lotta ai robot della Rete ha fatto il suo core business.

Secondo una colossale indagine il 61,5 per cento del traffico sul World Wide Web è dunque da attribuirsi a entità non umane. Insomma, non arriva da ricerche, letture, navigazioni, download e forum – tutte queste attività si fermano al 38,5 per cento – ma da azioni automatizzate. Il cuore della ricerca è costituito dall’analisi di quasi un miliardo e mezzo di visite di bot a 20mila siti internet di 249 Paesi del mondo negli ultimi novanta giorni. Dai blog personali ai negozi elettronici, dai portali governativi ai siti delle big company passando per quelli di istituzioni finanziarie e forum: per quanto scivolosa sia questa posizione, da Incapsula sostengono che la selezione sia rappresentativa del mare magnum di internet. Rispetto all’ultima rilevazione il traffico prodotto dai bot ha subito un’impennata del 21 per cento fino a toccare appunto la maggioranza assoluta di quello complessivo. “La maggior parte di questa crescita è da attribuire all’incremento di visite da parte dei cosiddetti bot buoni – raccontano da Incapsula – vale a dire agenti certificati di software così come motori di ricerca, la cui presenza è cresciuta dal 20 al 31 per cento negli ultimi dodici mesi”.
di SIMONE COSIMI
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Google: mea culpa di Eric Schmidt, “grave errore non credere nei social network”

googleFine anno amaro quello di Google, almeno stando alle parole del Ceo Eric Schmidt che, intervistato da Bloomberg, ha ammesso che il non credere all’ascesa dei social media ha rappresentato il più grande errore dell’azienda. A parziale difesa dell’atteggiamento di Big G c’era il fatto che “eravamo impegnati a lavorare su molte altre cose, ma avremmo dovuto essere in quell’ambito e mi prendo la responsabilità di quanto accaduto”. ”Ed è un errore – ha aggiunto – che non commetteremo più”

Schmidt ha guidato Google come amministratore delegato dal 2001 fino al 2011 quando divenne presidente esecutivo, proprio durante l’affermazione di Facebook che, nato nel 2004, è progressivamente diventato il più grande social network del mondo con più di 1 miliardo di utenti che utilizzano il servizio ogni giorno. Google+, il social network di Google, arriva solo nel 2011 ed ora le due grandi hanno ingaggiato un braccio di ferro da cui dipendono milioni di dollari di investimenti pubblicitari.

E per il futuro Schmidt non ha dubbi: il mobile vincerà su tutti i fronti. Inoltre “l’arrivo dei big data e della machine intelligence” segnano l’inizio per nuovi servizi, basati sulla capacità di individuare e classificare le persone. Fattori che cambieranno e impatteranno su “ogni business a livello mondiale.”
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L’auto ad aria compressa è fatta coi Lego: così un ragazzo romeno “costruisce” il futuro

autoUn ventenne ha realizzato un veicolo realmente funzionante con 500.000 mattoncini delle note costruzioni. Arriva a 27 km/h e i risultati dei primi test sono buoni. Ci ha lavorato per 20 mesi
SI POTREBBE dire che vent’anni sono tanti per giocare con le costruzioni. Ma forse sarebbe il caso di non dirlo davanti al risultato di Raoul Oaida, un ragazzo romeno che a quell’età ha scelto di utilizzare i mattoncini Lego per realizzare un veicolo realmente funzionante. Con l’aiuto dell’imprenditore australiano Steve Sammartino e con una grande quantità di mattoncini, Raoul è riuscito a realizzare una automobile ad aria compressa a grandezza reale e perfettamente in grado di muoversi. Tutto, tranne ovviamente le ruote, è costruito con i Lego, da sempre giocattolo votato ai piccoli ma anche ai grandi ingegneri. Non è la prima volta che Raoul stupisce il mondo coi mattoncini: nel 2012 il ragazzo aveva già realizzato uno shuttle in costruzioni.

Metti un Lego nel motore. Il risultato dell’impresa è una monoposto Hot Rod capace di raggiungere una velocità massima compresa tra 19 e 27 chilometri orari, e non solo: va ad aria compressa, un progetto quindi impatto zero sull’ambiente. L’auto è dotata di un sistema di propulsione composto da quattro motori orbitali a loro volta formati da 256 pistoncini, ovviamente realizzati anch’essi usando i popolari mattoncini dell’azienda danese. La costruzione di questo originale prototipo rientra in quello è stato chiamato “Super awesome micro project”, un’idea avviata ad aprile 2012 e costata complessivamente 60.000 dollari finanziati da 40 persone conquistate dalla genialità di Oaida.
L’auto ad aria compressa ha richiesto 20 mesi di lavoro e l’impiego di oltre 500.000 pezzi di Lego. Necessari a realizzare tutta la carrozzeria, l’abitacolo e il motore, con la sola eccezione di cerchi, pneumatici e i manometri della strumentazione. Una volta realizzata in Romania, la vettura è stata spedita in un luogo segreto in Australia al fine di poter effettuare un test su strada, facendo registrare però qualche danneggiamento durante il viaggio che Oaida ha prontamente sistemato. Rimettendo i mattoncini dove si erano staccati. Probabilmente la Lego Hot Rod non diventerà un progetto commerciale. Ma forse la soluzione della crisi dell’automobile passa dai sogni d’infanzia, quelli in cui si immaginavano le macchine da costruire, e che magari potessero viaggiare senza inquinare e far rumore.
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2.000 pannelli fv per la più grande centrale solare di Parigi

halle_2I pannelli sono stati installati sul tetto delle Halle Pajol, un vecchio deposito delle ferrovie presso la Gare de l’Est
Progettata dall’architetto Françoise – Hélène Jourda, la centrale solare Halle Pajol di Parigi è uno degli edifici più importanti per la città in quanto a produzione di energia rinnovabile. Il nuovo edificio nasce della riqualificazione del vecchio deposito del XIX secolo delle ferrovie francesi Halle Pajol. Il vecchio telaio metallico è stato trasformato dall’architetto nell’involucro protettivo esterno dell’edificio, contenente i volumi in legno della nuova struttura, materiale che ha permesso agli interni di essere perfettamente isolati sia termicamente che acusticamente.
PARCO INTERNO. Altra caratteristica del progetto è il parco interno (8.000 mq) che, oltre a contenere una ricca scelta di biodiversità, potrà essere in parte anche utilizzata dai cittadini per coltivare ortaggi o fiori. Per il sistema di irrigazione, l’architetto ha deciso di utilizzare esclusivamente l’acqua piovana in modo tale da azzerare i consumi idrici della struttura.
ENERGIA IN ECCESSO. Dato che si tratta di una centrale fotovoltaica non potevano ovviamente mancare i pannelli solari che producono circa 4.000 kWh di energia l’anno. Il tetto dell’edificio ne accoglie bel 2.000 per 3.500 mq di superficie orientati a sud ed inclinati di 30°, grazie alla copertura dentata a “Shad”. , L’energia prodotta non solo è sufficiente a soddisfare il fabbisogno energetico dell’intero edificio, ma se prodotta in eccesso verrà rivenduta alla società di servizi Electricité de France, ripagando una parte degli 1,6 mln di euro del costo di progetto.
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Dai reggiseni alle stampanti 3D: “Così la produzione tornerà a casa

stampantiDai ferretti per reggiseni alle stampanti 3D che creano prototipi: l’azienda cambia pelle in modo imprevedibile e ingegnoso per costruirsi il futuro. È la storia della «Jdeal form» di Oleggio, società nata negli Anni ’50 con le stecche per i corsetti e ora arrivata a produrre sistemi utilizzati nel design spagnolo e nell’industria delle calzature sportive tedesche.
Una lunga storia

La principale attività della ditta, che ha 15 dipendenti e un fatturato al di sotto del milione di euro, è ancora incentrata sui componenti dell’abbigliamento intimo: ferretti, inserti push-up e anellini delle spalline dei reggiseni. Nel tempo è cambiata più volte cercando di cogliere al volo le richieste del mercato: «Negli Anni ’60 abbiamo lanciato linee di costumi da bagno, poi vent’anni dopo è tornato in auge il ferretto e noi abbiamo ricominciato a produrlo come facevamo prima – racconta Davide Ardizzoia, figlio del fondatore e uno dei titolari dell’azienda -. Negli Anni ’90 ci siamo concentrati sui componenti per corsetteria. Abbiamo dovuto sempre aggiornarci per combattere la concorrenza prima tunisina e marocchina, poi rumena e quindi cinese davanti a cui purtroppo abbiamo perso quote di mercato terrificanti».

La svolta epocale

Intanto però qualcosa è cambiato ancora nello stabilimento di via Monte Giudeo a Oleggio. Qualche anno fa la «Jdeal form» ha avuto necessità di un prototipo rapido per una macchina automatica che fa anellini: «Ci siamo rivolti a un service lombardo spendendo molto – racconta Ardizzoia -. La situazione si è ripetuta qualche tempo dopo per un ferretto: abbiamo aspettato così tanto che il cliente nel frattempo si è stufato e noi abbiamo buttato via dei soldi – racconta Ardizzoia -. Così abbiamo pensato di fare da soli e creare una stampantina a 3D per qualsiasi polimero termoplastificato».

Export nel mondo

Adesso questo sistema di produzione è stato richiesto dalla Germania per «pezzi» di calzature sportive, dalla Spagna per il design industriale e in Italia per impianti luce: «Siamo specializzati nelle piccole dimensioni ma a febbraio sarà pronta una stampante professionale con misure più grandi».

Per la «Jdeal form» l’innovazione ha un sapore speciale: «E’ una “vendetta” contro i colossi e la delocalizzazione che ha cancellato tante aziende italiane – sorride Ardizzoia -. Con questi sistemi la produzione tornerà vicino a casa perché non sarà più necessario comprare altrove, ad esempio, una scarpa: ce la stamperemo noi su misura».




I primi bandi Horizon 2020 con circa 15 miliardi per il 2014-2015

ueCommissione europea presenta i primi bandi a valere sul nuovo programma di ricerca e innovazione dell’Ue Horizon 2020. Le risorse per il primo biennio, 2014-2015, ammontano a 15 miliardi di euro.

E’ la prima volta la Commissione indica le priorità di finanziamento con un orizzonte temporale di due anni, in modo da fornire ai ricercatori e alle imprese un’inedita certezza sulla direzione della politica di ricerca dell’Unione.

La maggior parte dei bandi che saranno finanziati con la dotazione del 2014,aperta da oggi stesso, mentre altri seguiranno nel corso del prossimo anno.

Per le prime call previste nel quadro della dotazione 2014 saranno stanziati oltre 7 miliardi di euro, suddivisi tra i tre pilastri fondamentali di Horizon 2020:

Eccellenza scientifica: sono previsti stanziamenti per circa 3 miliardi di euro, che includono 1,7 miliardi di fondi dal Consiglio europeo della ricerca per ricercatori di alto livello e 800 milioni di euro per le borse di ricerca Marie Sklodowska-Curie rivolte ai giovani ricercatori;
Leadership industriale: 1,8 miliardi di euro per sostenere la ricerca in settori come le TIC, le nanotecnologie, la robotica, le biotecnologie e la ricerca spaziale;
Sfide della società: si prevedono finanziamenti per 2,8 miliardi di euro per progetti innovativi realizzati nel quadro delle sette sfide previste nel terzo pilastro di Horizon, riconducibili a:
– sanità;
– agricoltura,
– ricerca marittima e bioeconomia;
– energia;
– trasporti;
– azione per il clima, ambiente, efficienza sotto il profilo delle risorse e materie prime;
– società riflessive;
– sicurezza.
Gli inviti per il 2014-2015 includono anche uno strumento dedicato alle piccole e medie imprese, che prevede uno stanziamento di 500 milioni di euro distribuiti su due anni.

Il budget complessivo di Horizon 2020 è di 77,028 miliardi di euro a prezzi correnti, quelli cioè vigenti attualmente sul mercato.

primi bandi Horizon 2020: http://ec.europa.eu/research/participants/portal/desktop/en/opportunities/h2020/master_calls.html