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Eur, tra il Velodromo e Tor di Valle. Roma sceglie il suo modello

 

Il quadrante sud-est di Roma è in movimento. Lo è ormai da alcuni anni. Nuove e vecchie architetture al centro di un progetto di città che prevede l’incremento dei servizi, l’implementazione di luoghi capaci di attirare l’attenzione. Definiti e in via di definizione come le torri di Purini-Thermes e Studio Transit e la Nuvola di Fuksas.

Peccato che in questa frenetica, a volte scomposta, ricerca di spazi nei quali produrre nuove architetture non sempre l’azione sembra essere stata il naturale esito di un ponderato ragionamento. Anzi, l’impressione che si ha è proprio quella di un colossale e timido sovrapporsi di criticità non affrontate preventivamente. Un’impressione rinsaldata da opere che, lontane dall’essere completate, hanno comportato un radicale stravolgimento dell’area dell’insediamento. Come accaduto per l’ Acquario del Laghetto. Ma anche da interventi che, dopo la fase della dismissione e quindi dell’avvio dell’asportazione di alcune parti, avrebbero dovuto contemplare l’abbattimento e quindi la ricostruzione. Come non si è verificato per le torri di proprietà del Ministero delle Finanze, affacciate su via Cristoforo Colombo. Un progetto firmato da Renzo Piano, avviato nel 2005. Come non differentemente non è accaduto al palazzone occupato dalla Banca Intesa San Paolo, tra viale Rembrandt e via dell’Architettura. Anche questo da anni ridotto a “scheletro”. La precarietà indiziata dall’architettura dismessa, ormai sclerotizzata.

Sfortunatamente non è tutto. Si è fatto molto di peggio. Al Velodromo Olimpico di viale della Tecnica, la struttura progettata da Ligini, Dagoberto Ortensi e Ricci. Inaugurata nel 1960 e scriteriatamente abbattuta nel 2008 per costruire un grande parco acquatico, la “Città dell’acqua”. Un progetto mai partito, targato Eur Spa, sui cui vertici pesa anche l’accusa di disastro colposo per la vicenda dell’implosione della struttura e per l’ipotesi di disastro colposo per amianto.

In compenso sull’area si sarebbero voluti realizzare secondo una delle delibere urbanistiche di Alemanno discusse nell’ultima seduta di giunta, quattro palazzi e due grattacieli. Per buona pace anche dei residenti della zona non se ne è fatto niente. Ma è più che evidente che espletate le eventuali, necessarie, ulteriori, opere di bonifiche, dell’area dell’ex Velodromo bisognerà fare qualcosa. Utilizzarne in maniera propria gli spazi. Magari, se non sarà possibile destinarli a verde pubblico, al potenziamento delle strutture a servizio dell’utenza del municipio.

Da un’architettura abbattuta ad una che potrebbe avere lo stesso destino. L’ippodromo di Tor di Valle di Lafuente, Rebecchini e Virago. Un’opera inserita nella Carta per la Qualità del piano regolatore e compresa nella selezione delle opere di rilevante interesse storico-artistico realizzate dal 1945 in poi.

Al posto delle gradinate dell’opera nelle vicinanze di via del Mare, quelle di uno stadio. Quello della AS Roma, progettato da uno specialista americano, Dan Meis. Il quale sembra volersi ispirare al Colosseo. Se ciò si verificasse davvero sarebbe l’ulteriore occasione persa. Di valorizzare il patrimonio architettonico esistente in nome di operazioni che non possono non definirsi a valenza prevalentemente commerciale. Come d’altra parte indizia in maniera tutt’altro che episodica il fatto che l’area è stata acquistata da Eurnova, una società dei Parnasi, una delle più note famiglie romane di proprietari terrieri-costruttori.

La crisi irreversibile dell’ippica con il conseguente numero progressivamente minore di corse e quindi la recente chiusura dell’impianto, sembra aver decretato la sorte dello storico ippodromo. Forse con troppa nonchalance si è deciso di disfarsi anche di questo pezzo di architettura moderna. Di non interrogarsi se sia possibile un’alternativa alla demolizione. Di ragionare se l’abbattimento sia l’esito scontato e quasi naturale della sua defunzionalizzazione.

È così che Tor di Valle elevandosi dal suo ruolo particolare può diventare un caso generale. Che travalica i confini del municipio e perfino quelli assai più complessi della città. Fino a farsi una vera e propria questione di metodo. Lo sforzo, indubitabilmente poderoso ma utile per costruire città-palinsesto, è quello di ragionare sul fatto che l’abbattimento di un edificio, di un complesso, non può essere considerato sempre ordinaria amministrazione.

L’idea che il centro urbano possa rinnovarsi soltanto attraverso una duplice operazione che preveda prima la cancellazione e poi l’aggiunta, non può essere perseguita in maniera acritica. La città “ferma”, museificata, è un nonsense quando non sia Pompei, Ostia, oppure uno dei centri urbani antichi e tardo-antichi sui quali non ci sia continuità di vita. Allo stesso modo è irrazionale sottrarre, con disinvoltura, alle città edifici importanti che non servono più.

Per queste ragioni, perché l’abbattimento del Velodromo è stato uno scempio architettonico e urbanistico e quello di Tor di Valle lo sarebbe non di meno, l’Eur, addirittura una parte di esso, diventa straordinariamente importante. Anche per capire cosa debba essere Roma. Come la si immagina.

U. Croppi

Huffingtonpost.it




Amicizia, angeli, coccole e primi amori. Il trionfo di Aria è la rivincita delle teen

Chi è Miriam Dubini, milanese di nascita e romana d’adozione, autrice del best seller che sta spopolando tra le ragazzine. “Greta è diversa dal prototipo della quattordicenne che viene propinata abitualmente da fiction, telefilm, dove sembra che tutte le ragazzine sognino di diventare cantanti o ballerine”. Dalle esperienze col circo ad Art Attack, la storia nasce a Corviale e in ogni personaggio c’è un po’ di lei…

I ragazzini di oggi sono ”vivi, vispi, attivi e reattivi, e anche competenti e preparati perché hanno più mezzi per apprendere. Ma sono anche selettivi, diciamo che tendono ad approfondire solo quello che trovano interessante”. Romantica e sgarrupata, una vita in bicicletta.

E’ l’idolo delle adolescenti: i suoi personaggi romantici e solari stanno facendo sognare una nuova generazione di piccole donne che si affaccia alla vita con il cuore che batte per i primi innamoramenti. Le sue storie di amicizia, angeli, dolci abbracci sulla spiaggia e pedali hanno conquistato il cuore di migliaia di ragazzine. Trentasei anni, milanese di nascita, romana d’adozione, occhi scuri vispi e due trecce da bambina, Miriam Dubini è l’autrice della trilogia “Aria”di un vero e proprio best seller tutto italiano, ambientato tra le strade di Corviale che i protagonisti attraversano con le loro biciclette e sulle ali della fantasia.
Laureata in semiotica, ha scritto e recitato per il teatro dei ragazzi, ha collaborato con la Disney, ha creato giochi per Art Attack, ha persino lavorato nel circo. Che esperienza è stata?
“Sono arrivata ad circo grazie al mio maestro dell’Accademia Disney di Milano, mi ha chiesto di sostituirlo per un lavoro e così ho conosciuto Ambra Orfei, una donna straordinaria, dolcissima, una donna che lavora da quando aveva quattro anni. Mi hanno chiesto di collaborare, penso che avrei detto di sì per qualsiasi cifra”.
E cosa faceva in particolare?
“Scrivevo idee e testi per spettacoli aziendali insieme allo staff dei coreografi, dei costumisti, e insieme ad Ambra naturalmente. Un’esperienza bellissima, potevo lavorare con la fantasia e creare situazioni magiche e impensabili”.

Mi racconti di Art Attack
“Ho collaborato per otto anni al mensile, lavoravo ai progetti e li realizzavo. Durante la costruzione veniva scattato il servizio fotografico per illustrare le fasi del lavoro”.
Un oggetto che si ricorda di aver inventato?
“Un pesce con tre occhi, costruito con il caschetto da bicicletta”.
Lei ha scritto libri per bambini e libri per ragazzi: quali sono le differenze nella scrittura, nello stile, nei contenuti?
“Quando scrivo libri per bambini sto attenta soprattutto alla costruzione del pensiero: un pensiero troppo complesso affatica i giovani lettori. Al contrario, una scrittura più complessa penso invece possa essere utile per i ragazzi per aiutarli a fare un salto di ragionamento. Inoltre le frasi complesse sono più appropriate per esprimere quegli stati d’animo che sono propri dell’adolescenza, l’incertezza, il dubbio, la sospensione, l’amore, si prestano a lasciare spazi personali di interpretazione che i ragazzi possono riempire”.
Cosa deve avere una fiaba per essere una fiaba?
“Mentre la favola ha sempre una morale, la fiaba è il racconto di qualcuno che ha capito qualcosa della vita e che vuole raccontarlo a chi ancora non ci ha capito niente”.
Ad esempio?
“Ad esempio Cappuccetto Rosso racconta dei pericoli che si devono affrontare per diventare donna, lascia intendere che esistono uomini cacciatori che possono rappresentare un pericolo o, al contrario, possono essere coloro che completano la vita. Una delle mie fiabe preferite è Hansel e Gretel, la fiaba a cui si ispira Aria”.
Cosa rappresentano per lei i due personaggi?
“Il maschile e il femminile, la madre cattiva rappresenta la minaccia, l’abbandono simboleggia la fase della maturità che sta arrivando, fratello e sorella, maschio e femmina uniscono le forze ed escono dal bosco con un tesoro”.
Come nascono i suoi personaggi?
“Mi vengono a trovare, mi bussano alla porta ed io li scelgo. Quando ho scelto il personaggio lo costruisco guardando la vita attraverso i suoi occhi. I personaggi che ruotano attorno al protagonista nascono attraverso il principio del contrasto”.
Veniamo al personaggio chiave della trilogia Aria, la ragazzina di cui tante adolescenti si sono innamorate: com’è Greta?
“Greta è diversa dal prototipo della quattordicenne che viene propinata abitualmente da fiction, telefilm, dove sembra che tutte le ragazzine sognino di diventare cantanti o ballerine. Un’immagine che non rappresenta la vita vera, evanescente e superficiale anche nei rapporti sentimentali. Greta è una giovane donna che non crede nell’amore ma poi tutto cambia e lei si trasforma”.
Nella trilogia ci sono tre personaggi femminili: Greta, Lucia ed Emma. Chi assomiglia più a Miriam?
“In ognuno di loro c’è qualcosa di me: diciamo che Greta è com’ero io a tredici anni, Lucia come ero a 8 anni, ancora bimba e infinitamente dolce, Emma rappresenta la fase della donna che sboccia, bella e intraprendente, già cosciente che la femminilità oltre ad essere una questione di sensibilità è anche una questione di strategia”.
E Anselmo?
“Beh Anselmo è il ragazzo che tutte sognano, beato chi se lo piglia direi, sfuggente e molto affascinante, misterioso ma solare”.
La storia è ambientata a Roma, ci sono luoghi di riferimento?
“La storia è ambientata nella periferia romana, in particolare a Corviale”.
Perché ha scelto la periferia?
“Perché io sono nata e cresciuta nella zona di via Meda, nella periferia milanese, popolata da persone simili a quelle che vivono a Corviale. E’ un’esperienza della mia vita di cui vado orgogliosa, mi piace pensare e trasmettere l’idea che si può emergere anche se si è cresciuti in quei posti e che conoscere quella realtà aiuta a comprendere le differenze, a capire le debolezze, ad accettare il male. Ma c’è anche un altro motivo direi sociale”.
Quale?
“La volontà di contrastare il modello preponderante proposto dalle fiction in cui tutto è ovattato e perfetto: credo faccia male ai ragazzi che stanno crescendo perché insinua l’idea che essere diversi dal modello proposto sia una loro mancanza, crea necessità finte spesso irraggiungibili che possono generare frustrazioni”.
Come sono gli adolescenti di oggi?
“Vivi, vispi, attivi e reattivi, e anche competenti e preparati perché hanno più mezzi per apprendere. Ma sono anche selettivi, diciamo che tendono ad approfondire solo quello che trovano interessante”.
Nei suoi libri esiste un oggetto simbolo, un leit motiv che rappresenta la libertà, la voglia di volare, il contatto con l’ambiente e la natura: si tratta della biciletta. Lei a quanti anni ha imparato a pedalare?
“Abbastanza tardi, a sei o sette anni, ho iniziato a utilizzare molto la bicicletta durante gli anni delle medie per andare a scuola”.
Quante biciclette ha avuto?
“Direi molte, ma ce ne sono alcune a cui sono rimasta più affezionata: la prima è stata Saltafoss una bici sgangherata recuperata nella casa diroccata di mio zio, a dodici anni è arrivata la prima mountain bike che usavo soprattutto durante le vacanze in montagna, poi c’è stata la bici del periodo universitario, originariamente era rosa ma, poiché è un colore che non sopporto, l’ho dipinta di giallo e ho disegnato dei soli. Successivamente ho adottato uno bici nera che era stata abbandonata, l’avevo chiamata Giuccamatta. Poi è arrivata la mitica Merlina: me l’aveva regalata il fidanzato di allora, avevo all’incirca trentadue anni, ci ero davvero molto affezionata”.
E che fine ha fatto?
“Me l’hanno rubata”.
Davvero? E dove?
“A Roma, a piazza della Repubblica, ero andata a fare una passeggiata a villa Ada, l’avevo legata ad un palo, hanno sfilato il palo e l’hanno portata via”.
Ed è rimasta senza bicicletta?
“Mio fratello me ne ha regalata un’altra, si chiama Irma, che in portoghese significa “sorella” ed è una bici da corsa azzurra”.
Quindi lei ha un fratello?
“E’ tre anni più piccolo di me, è il mio opposto, lui è un ingegnere meccanico, costruisce macchinari per fare le lamiere, è sempre in giro per il mondo”.
Ma lei non utilizza mai l’auto?
“Non ho l’automobile da cinque anni, ho fatto i conti, posso prendere il taxi per duecento euro al mese e risparmiare i soldi per la manutenzione della macchina”.
Non indossa mai i tacchi quindi?
“Al contrario, con i tacchi si va da Dio in bicicletta, certo non con il tacco dodici”.
E’ vero che pedalando le viene l’ispirazione?
“In effetti, quando scrivo e non mi viene l’idea giusta prendo la bici, il movimento, la sua velocità comprensibile mi permette di soffermarmi su quello che mi sta intorno e l’ispirazione arriva quando l’attenzione si appoggia su un dettaglio e si scalda”.
Le piace il nuovo sindaco di Roma in bicicletta?
“Marino arriva in un momento difficilissimo, spero riesca a realizzare le promesse che ha fatto in campagna elettorale, mi piace che vada in bici ma penso che stia caricando di troppi significati questo mezzo di locomozione che invece è l’oggetto più semplice che esiste”.
Che rapporto ha con Roma?
“E’ la città dove ho scelto di vivere, sono a Roma da quattro anni e l’innamoramento non è mai passato”.
Quali sono i progetti per il futuro?
“Nel futuro ci sono ancora libri per ragazzi, ma vorrei capire e affrontare argomenti diversi da quelli che hanno animato Aria”.
Quindi la trilogia è finita?
“Sì, la trilogia si chiude qui”.
La prossima non sarà una storia d’amore?
“Forse sì, forse no. Ci sto pensando”.
Si può vivere scrivendo libri?
“La risposta è sì se l’idea è quella giusta, altrimenti continua l’avventura”.
Da brava scrittrice, mi trovi due aggettivi che la descrivono…
“Li prendo in prestito da una frase della mia editor, la straordinaria Fiammetta Giorgi, che una volta mi ha definito romantica e sgarrupata”.

di Valentina Renzopaoli

da www.affaritaliani.it

http://www.ragazzimondadori.it/libri/aria-la-trilogia-completa

immagini di repertorio




Roma XI, al via il nuovo Consiglio municipale

Prende forma il Parlamentino del Municipio Roma XI, a maggioranza di centrosinistra.

Presiede i lavori dell’aula consiliare di via Mazzacurati al Corviale Emanuela Mino (Lista civica), affiancata dai vicepresidenti Antonino Panarello (PD, con funzioni di vicario) e Luigi Di Bella (PDL). I consiglieri hanno un’età media di 46 anni e sono per i 2/3 delle new entries rispetto alla passata consiliatura.

La maggioranza (PD, Lista civica, SEL) dispone di 16 consiglieri su 25 – tre in più del necessario -, che consentono sulla carta di deliberare agevolmente.

Sono iscritti al gruppo del PD 11 consiglieri: Gianluca Lanzi (capogruppo), Giulia Fainella, Vincenzo Crea, Ermanno Pascucci, Rosella Coltorti, Fabio Fadda, Angelo Vastola, Gaetano Cellamare e Antonino Cascio Gioia (quest’ultimo al posto della neo-assessore Marzia Colonna), più il presidente del Municipio Maurizio Veloccia ed il vicepresidente del Consiglio Antonino Panarello. Altri tre consiglieri sono iscritti alla Lista Civica: Claudio Barocci, Giuseppe Paloni e la presidente del Consiglio Emanuela Mino. Due consiglieri compongono infine il gruppo di SEL: Alberto Belloni (capogruppo) e Alfredo Toppi. Il documento di programma della coalizione è stato presentato lo scorso giovedì, e approvato in Aula con i 16 voti della maggioranza.

Più frammentario il quadro dei tre schieramenti di opposizione – Centrodestra, Grillini e Marchini -, 9 consiglieri in tutto.

Il Centrodestra schiera tre gruppi consiliari: il PDL con i suoi 4 rappresentanti Marco Palma (capogruppo), Daniele Calzetta, Rosella Paniconi e il vicepresidente del Consiglio Luigi Di Bella;Fratelli d’Italia con l’unico consigliere Valerio Garipoli e il Gruppo Misto, di cui fa parte il candidato mini-sindaco Francesco Smedile. Alla votazione sul documento di programma, che equivale ad un voto di fiducia, i tre gruppi hanno dato voto contrario, lasciando intendere di non voler far sconti alla maggioranza. Severo il giudizio del capogruppo PDL Palma: «Troppo generico, un po’ scopiazzato e limitato negli obiettivi: manca di personalità, così non si va lontano». Garipoli (FDI) analizza: «Bene gli strumenti d’indirizzo e controllo sui contratti di servizio, il codice etico degli eletti, la lotta ad abusivismo e illegalità, la riqualificazione della Valle Galeria, gli empori della solidarietà e i progetti ROAD e PICA. Male, per mancanza di fondi o velleità, il progetto per la Metro D e il prolungamento del tram 8 a Marconi, la non perfezionata Consulta dei Migranti, i progetti su immigrazione e Comunità Rom, le disparità nel recuperare gli spazi in disuso».

Linea di contrarietà anche quella espressa dal gruppo consiliare del Movimento 5 stelle, composto dal candidato mini-sindaco Alessio Marini (capogruppo) e Marco Realacci. «Peccato: molte idee sono le nostre e quindi buone – spiega Marini -, ma non si può accettare un documento così contraddittorio e onnicomprensivo da risultare una delega in bianco. Benché le linee programmatiche siano state infarcite di idee di stampo grillino, il risultato non è affatto simile al nostro programma: non c’è coerenza, sullo sfondo manca il piano. Non si sa da dove partire e con quali mezzi».

Prudente apertura di credito verso la maggioranza è invece la linea di Romantino De Luca, unico consigliere della Lista Marchini, che alla votazione sul programma ha preferito l’astensione al voto contrario. Attende la maggioranza alla prova dei fatti.




C’era una volta un bel paese

La chiusura di un antico negozio di provincia e un incontro per festeggiare la lunga carriera di un uomo di cinema: perché mai un giornale dovrebbe occuparsi di fatti del genere se non nelle cronache minori? È vero, ma forse la condizione di un Paese la si intende meglio proprio dai fatti all’apparenza minori. Dove la realtà appare più vera e colpisce più immediatamente magari perché capita, come in questo caso a chi scrive, di esserle stati in qualche modo vicino.

Entrambi i fatti di cui voglio dire hanno per teatro l’Umbria. A Perugia (una città che conosco bene per averci insegnato a lungo) ha appena chiuso i battenti – per le ragioni solite: un centro storico ormai semideserto, il costo del lavoro troppo alto, un livello qualitativo che ormai è richiesto da un sempre minor numero di clienti – un’antica pasticceria, la pasticceria «Sandri». Come altri negozi del suo genere sparsi qua e là nella Penisola, era stata fondata da un cittadino svizzero subito dopo l’Unità, e, rimasta a tutt’oggi di proprietà di una famiglia d’Oltralpe, ancora esibiva nel grazioso affresco ottocentesco che ornava in alto le sue pareti la croce bianca in campo rosso della Confederazione.
Dal punto di vista dell’arte dolciaria e gastronomica era un luogo di «eccellenze», come si dice oggi. Assai più contava però il suo essere da sempre punto d’incontro e di ritrovo dell’élite cittadina; ma non solo: con il tempo, infatti, «Sandri» era divenuto un luogo di autoriconoscimento dell’intera comunità, un luogo della sua identità.

Più o meno nei medesimi giorni e a poche decine di chilometri – ecco il secondo fatto «minore» di cui dicevo all’inizio – il Festival di Spoleto ha festeggiato Enrico Medioli, uno dei più importanti scrittori del nostro cinema (e poi anche della televisione): sceneggiatore di film memorabili, in specie di Visconti, che restano tra le glorie artistiche di questo Paese: Rocco e i suoi fratelli , Il Gattopardo , La caduta degli dei . È stato festeggiato con la proiezione di un documentario che ne ha ripercorso la carriera. Nel buio del piccolo teatro rivisse così quella mattina, attraverso alcune immagini delle opere ricordate sopra, attraverso i ricordi intrisi d’intelligenza e d’ironia dello stesso Medioli e di tanti che avevano lavorato con lui, una grande pagina della storia culturale italiana. Quella del nostro cinema dei decenni postbellici: con la sua passione e il suo amore per le cose e la storia del Paese ma anche con la sua conoscenza delle cose e della storia del mondo; con la qualità artistica dei suoi uomini e delle sue donne; con il gusto e la suprema abilità artigiana dei suoi costumisti, arredatori, sarti, scenografi.
Ma che ne è oggi di tutto questo? Dov’è andata a finire l’Italia della pasticceria «Sandri» o quella in cui Visconti girava i suoi film? La risposta ha un tono inevitabile d’angoscia: svanisce, e già ne stiamo quasi perdendo il ricordo. Svanisce l’Italia delle cento città, l’antica, degna Italia provinciale insieme ai luoghi simbolici della sua socialità. Stravolta, come a Perugia e in mille altri luoghi, da politiche urbane demenziali, dall’arroganza distruttrice di una «gente nova» quasi sempre di origine politica o alla politica in mille modi collegata, abbandonata da una borghesia incolta e indifferente. Ma insieme a lei svanisce anche l’Italia moderna del Novecento, e agonizza quella cultura – il cinema, appunto – che per antonomasia ne accompagnò la straordinaria ascesa. Marghera, Mirafiori, Bagnoli, Sesto San Giovanni, Terni, l’Ilva sono i cimiteri, ormai abbandonati o quasi, del suo grande apparato industriale di un tempo, i cimiteri del suo grande sogno di stare alla pari con la parte più avanzata del Continente.

Un sogno che sembra finito: dappertutto, da Nord a Sud, non si contano le fabbriche ormai silenziose, così come non si contano lungo le strade le saracinesche abbassate dei negozi chiusi. Mentre a questa paralisi che avanza fanno da simbolico contrappunto l’eguale abbandono di Cinecittà, la desolazione produttiva e di idee di quella che un tempo fu la Rai, le tante librerie che scompaiono.

È un’intera, lunga pagina della nostra vicenda nazionale quella che oggi sembra chiudersi. Una grande pagina: la cui fine non solo si ripercuote drammaticamente sulla vita concreta di tanti, ma si accompagna all’aprirsi di un vuoto angoscioso, anche se spesso inconsapevole, nel cuore e nella mente di tutti. L’angoscia di avere imboccato la via verso un precipizio senza sapere se e quando riusciremo a fermarci.

Ma la politica, la politica, percepisce questo vuoto? Avverte questa angoscia? Nella crisi italiana il discorso torna necessariamente, implacabilmente, sempre allo stesso punto: alla politica. Più che mai le chiacchiere sulla società civile stanno a zero, infatti: più che mai l’Italia è condannata alla politica. Perché solo da lì possono venire non il miracolo ma innanzi tutto la parola, l’indicazione di marcia, la speranza di un futuro. Come ci ha spiegato a suo tempo Michael Walzer, l’Esodo degli ebrei dall’Egitto sotto la guida di Mosè è l’archetipo politico di ogni situazione sociale in cui è necessario rompere con il passato, imboccare arditamente vie nuove. Abbiamo forse, allora, bisogno di profeti? Ebbene sì, oggi l’Italia ha bisogno di profeti. È sbagliato farsi spaventare dalle parole: non sta scritto da nessuna parte, infatti, che non possano esserci profeti democratici: Roosevelt e anche De Gasperi a loro modo lo furono. Così come non sta scritto da nessuna parte che non possano esserci anche partiti capaci di spirito e di capacità profetica. Che poi vuol dire nient’altro che la capacità di trasmettere convinzione, fiducia, coraggio. Ma la capacità di farlo, vivaddio, uscendo dal consueto, osando modi e gesti inediti, dando segni emozionanti di rottura: che cosa c’è mai di così pericoloso in tutto questo, mi chiedo, per la democrazia? Nei momenti di crisi è piuttosto la banalità, il tran tran, il conformismo ripetitivo delle frasi fatte, ciò che uccide la democrazia. Consegnando i suoi cittadini – come sta accadendo oggi in Italia – alla passività, alla sfiducia e al disprezzo per la politica.

E. Galli della Loggia

corriere.it




La capacità di correggere gli errori

Ricorre quest’anno il Cinquecentesimo anniversario della pubblicazione di uno dei capolavori del pensiero mondiale, Il Principe di Machiavelli, opera che rivaleggia con la Divina Commedia di Dante per traduzioni dalla nostra lingua. Se avrete la pazienza di rileggere la fatica del Segretario fiorentino resterete impressionati da come, nella sua visione del Potere, degli Interessi, della Forza e della Strategia nulla sia mutato dai turbolenti giorni delle Corti e dei Principati. Obama contro Putin, Xi Jinping contro il premier giapponese Abe, le manovre navali congiunte Mosca-Pechino, i marines che arrivano in Australia, l’intero nostro tempo ancora si inquadra nel Potere che si fa Leone, Volpe, che si cura di Essere o di Apparire, di far Paura o indurre Amore.

 

Tutto, tranne i social media, il web, l’epoca dei personal media che rendono il Potere sottoposto a un caleidoscopio di informazioni, controlli, dibattiti, trasparenza. Se i familiari di Muktar Ablyazov, dissidente kazako, fossero stati deportati dall’Italia al loro Paese nei giorni della vecchia diplomazia e del vecchio potere, secondo la sintassi feroce così genialmente studiata (non difesa, si badi) da Machiavelli, nessuno di noi avrebbe mai sentito parlare di loro.

 

E questo articolo non sarebbe mai finito in prima pagina su La Stampa. Soffrire di nascosto e in silenzio era la pena dei deboli, imporre la loro ferrea volontà a piacimento era il privilegio dei forti. L’esilio, l’oblio, l’emarginazione, condivise da Dante e Machiavelli, venivano comminate dal solo capriccio del Principe. Se oggi il governo di Enrico Letta, Angelino Alfano ed Emma Bonino, dopo una campagna di opinione pubblica guidata da questo giornale, torna sui propri passi e riconosce l’incongruenza di affidare profughi inermi ai loro possibili persecutori si deve al potere morale dell’opinione pubblica diffusa dal web, oltre naturalmente alla loro sensibilità umana.

 

In altri tempi, la regola burocratica poteva essere applicata passando inosservata, magari seguendo alla lettera la legge e il protocollo l’espulsione poteva anche essere comminata, ma il web rende il motto antico «Summum ius summa iniuria» una legge morale più forte di quella scritta. Seguire un diritto la cui conseguenza è l’ingiustizia può salvare la coscienza di un burocrate, ma oggi non è più difendibile davanti a tanti cittadini con in mano uno smartphone e una connessione internet. L’ambasciatore italiano a Washington Bisogniero ha chiesto a dirigenti della Casa Bianca, del Dipartimento di Stato e docenti Usa di dibattere la «cyberdiplomacy» tra Usa e Europa e il risultato è stato sorprendente: il consenso è che il web ha mutato per sempre i rapporti tra gli Stati.

 

Se per i tiranni, delle grandi e piccole potenze, questa è una minaccia che alla lunga potrebbe anche essere fatale, per i leader delle democrazie è insieme una costrizione e un’opportunità. A breve li rende soggetti a valutazioni da fare sotto pressione, come quelle opportunamente prese infine sulla famiglia Ablyazov. Alla lunga però concede un termometro di temperatura etica del Paese, dando ai governi, grazie al web, un dialogo fitto e continuo con la gente. La capacità di autocorrezione degli errori e il dibattito libero sono la vera forza della democrazia rispetto ai regimi autoritari, costretti sempre a restare ingessati nella volontà assoluta del Capo, e blindati ai loro errori.

 

Non si tratta di un antibiotico politico che cancella ogni male, naturalmente e presto i leader, anche studiando l’andamento dei Big Data sul web, riusciranno a manipolare e a guidare la discussione nei loro Paesi. Ma in profondo, oggi, i sistemi hanno una chance di essere davvero «società aperte» come sognava il filosofo Popper, che solo una generazione fa sarebbe stata illusoria.

 

Bene ha fatto dunque il governo Letta a recedere da una scelta non felice, bene hanno fatto tutti coloro che hanno lavorato online perché si arrivasse all’esito positivo. Meglio ancora se, in futuro, l’Italia saprà prevenire incidenti del genere, dandosi carattere da Paese amico dei dissidenti politici e aperto agli esiliati, come ricordano i libri di scuola è nella tradizione del nostro Risorgimento.

 

Quanto a Machiavelli, tornasse oggi tra noi a festeggiare il mezzo millennio del suo capolavoro, non esiterebbe ad includere un capitolo sull’online, indicando con la sua prosa lapidaria al Principe come governare il web da Leone e ai suoi rivali digitali come opporsi da Volpi internet.

G. Riotta

La Stampa




Arte nel carcere di Augusta: i murales di Bocai

Bocai A., albanese, ergastolano, è l’autore di questi murales che impreziosiscono i corridoi del reparto officine della casa di reclusione di Augusta. Bocai da alcuni anni, durante la fruizione di permessi, offre lezioni di pittura, i suoi sudenti lo attendono alla fermata del bus, desiderosi di apprendere l’arte  di cui è maestro. In questi murales Bocai ha riprodotto scene di vita delle carceri italiane tratte da fotografie d’epoca dell’archivio storico del museo criminologico di Roma.




L’economia riparte dai «territori»

Che cosa serve all’Italia per rendere i propri territori più attraenti per le attività produttive, siano esse industriali o di servizi avanzati e sempre più dematerializzati? Il presidente Giorgio Napolitano ha indicato meno burocrazia come la priorità, ed è certamente così poiché regole più semplici, più trasparenza e meno discrezionalità nell’azione della Pubblica amministrazione hanno un impatto positivo su diversi elementi che contribuiscono all’attrattività dei territori che è sempre più cruciale in questa fase storica.
Nel 2005, in un volume diventato celebre («Il mondo è piatto. Breve Storia del Ventunesimo Secolo») Thomas Friedman sosteneva la tesi che il rapporto tra geografia e ricchezza delle genti stava mutando radicalmente, e che questo avrebbe presto costretto le popolazioni e le élite a confrontarsi con un nuovo panorama socio-economico. Molti distorsero quel messaggio riducendolo all’affermazione che la geografia era diventata quasi irrilevante per lo sviluppo economico, in analogia con quanto Fukuyama annunciava con «La fine della storia».

Ma non era questo il messaggio di quel libro, ed in ogni caso oggi la geografia conta ancora – e molto – per la produttività ed il benessere, ma in termini diversi dal passato. Nel 7° Rapporto sulla Classe Dirigente , realizzato da LUISS e Fondirigenti (www.managementclub.it) , viene affrontato quello che possiamo definire il paradosso della relazione tra territorio, ricchezza e produttività. È vero infatti che il mondo è diventato in un certo senso un po’ “piatto”: gli scambi economici a medio e lungo raggio sono oggi meno difficili e costosi da realizzare rispetto a qualche decennio fa. E la relazione tra imprese e territorio si è andata modificando profondamente. Oggi la produzione industriale si organizza su scala continentale e spesso mondiale, in molti comparti e anche per le imprese piccole e medie, con catene del valore che incorporano molti passaggi tra territori lontani e relazioni di commercio e investimento complesse. Tutto molto distante dal modello dei distretti industriali che si è affermato nel Dopoguerra, quando imprese fornitrici e clienti di beni intermedi e servizi erano concentrati in territori ben delimitati.

 

Ma questo non significa affatto che il territorio non influisca, e molto, sulla produttività e sulla ricchezza delle persone. L’addensarsi delle attività produttive – in specie manifatturiere – in alcune aree del Paese è ancora un fattore importante del benessere materiale e dello sviluppo. Ma con molte differenze rispetto al passato. Anzitutto, i vantaggi della concentrazione produttiva sul territorio sono molto più effimeri e richiedono un continuo aggiornamento dei vantaggi competitivi.
In secondo luogo, i fattori che contribuiscono al successo delle imprese sul territorio sono diversi dal passato, quando l’Italia emergeva dal Dopoguerra e la spinta allo sviluppo del mercato nazionale era fortissima. Oggi il volano industriale non può che essere quello dei mercati esteri, ed in particolare extra-europei. Ma sui territori italiani, quelli a vocazione industriale oppure quelli del terziario, vi sono almeno tre fattori che possono contribuire in positivo, o in negativo, al radicamento ed alla crescita delle imprese.
Il primo riguarda il peso ed il ruolo delle amministrazioni pubbliche, che possono costituire un volano di sviluppo, oppure un formidabile elemento di rendita, e strangolare la produttività e lo sviluppo. Il secondo fattore riguarda le infrastrutture, materiali e immateriali, che spesso cambiano il destino economico di un territorio, ma che sono anche materia di scontro politico e sociale. Se si interrogano i top manager delle imprese italiane con forte proiezione verso l’estero su quali siano le loro priorità in termini di infrastrutture, quella principale riguarda le reti di trasporto e di logistica, che per circa la metà delle aziende rappresenta la prima strozzatura del Paese rispetto alla vocazione internazionale del sistema produttivo.

In particolare, le imprese medio-grandi indicano nello sviluppo dell’inter-modalità dei sistemi di trasporto (specie nella relazione tra sistema portuale e ferroviario) e nella miglior connessione con le infrastrutture estere di trasporto e logistica, i nodi cruciali per favorire la partecipazione delle imprese italiane agli scambi globali. È necessaria una grande responsabilità nelle scelte rispetto al passato, quando l’Italia era un Paese povero ma in crescita, e con un ritardo generalizzato in termini di opere pubbliche.
Dialogo con le genti dei territori interessati, no alle opere inutili, stretto controllo di procedure, costi e tempi di realizzazione. Ma una volta compiute e condivise le scelte, occorre dotarsi di strumenti amministrativi adeguati: le risorse finanziarie per le infrastrutture esistono, ma le nostre procedure bizantine non le invogliano.
Infine, non ci stancheremo di ripeterlo, il futuro economico e sociale dei territori italiani dipende dagli investimenti immateriali che ivi si concretizzano. La “conoscenza” potrebbe apparire il più mobile dei fattori produttivi, ma questo non è sempre vero. Gli investimenti “locali” in capitale intangibile (istruzione, ricerca, progettazione, marketing, qualità dei prodotti, software, conoscenza di lingue e culture lontane ecc.) oggi forniscono agli individui, produttori e consumatori, il sapere necessario per muoversi nel nuovo ambiente globale, e sono decisivi per non subire passivamente le trasformazioni di quest’ultimo.

S. Manzocchi

il sole 24 ore




Rapporto Federculture 2013: Bray, cultura opportunità di sviluppo

Coordinamento tra il ministero dei Beni Culturali e le Regioni

 I beni culturali sono beni comuni: “occorre un coordinamento tra il ministero dei Beni Culturali e le Regioni per una promozione non parcellizzata del territorio”. Così il ministro dei Beni Culturali, Massimo Bray, nel corso del suo intervento alla presentazione del nono rapporto annuale Federculture.
Sempre Bray in un’intervista al quotidiano “l’Unità” del primo luglio ha ribadito come anche nel settore del turismo ci sia la necessità di “un dialogo con le Regioni”.
Bray ha quindi ribadito che è necessario “porci tutti il problema di una visione ad ampio raggio e fare sistema superando la contrapposizione tra interessi individuali e collettivi. Bisogna poi facilitare il coordinamento tra Mibac e Regioni valorizzando l’interesse complessivo con quello locale, in modo da superare la parcellizzazione della promozione”.
”Non è piu’ tempo di usare la retorica delle parole – spiega Bray alla presentazione del rapporto Federculture 2013 – il mio ministero, ad esempio, ha più di 700 siti internet. Non è solo un problema di spesa ma un modo di rappresentare il Paese. In una reale logica di servizio non solo di ritorno economico, dobbiamo essere capaci di fare network tra pubblico e privato ma anche tra cultura e turismo, beni artistici e paesaggio. Come dire, la cultura delle culture”.
“Il Rapporto Federculture offre l’occasione di riflettere su molte questioni – ha dichiarato Bray – di cui finalmente si e’ compresa l’importanza per il futuro del nostro Paese. Nel corso degli ultimi anni la cultura in Italia e’ stata oggetto di un duplice attacco: da una parte l’indiscriminata e poco lungimirante riduzione dei finanziamenti, dall’altra, fatto ancora piu’ grave, la delegittimazione sul piano politico basata sul luogo comune per cui, soprattutto in tempi di crisi, la scelta doveva essere quella dei tagli, perche’ con la cultura non si mangia. Si deve diffondere la consapevolezza che e’ vero il contrario: in una crisi globale sono la cultura e il turismo su cui l’Italia deve puntare di piu’ per il suo ruolo internazionale, che ha smarrito”.
Bray ha spiegato che bisogna “tornare a considerare la cultura in tutte le sue manifestazioni, dai musei alla cultura popolare, come una grande opportunita’ di sviluppo sociale ed economico”.
Aggiunge Bray: “di fronte alle crisi economica globale sono la cultura ed il turismo le forze su cui puntare per il lavoro e il ruolo internazionale che meritiamo.
Questa e’ una crisi non solo economica, ma di ideali, cheproduce pericolose derive”. Concludendo, il ministro si appella: ”Solo se crederemo in una nuova frontiera potremo ricostruire quel rapporto di fiducia tra governanti e cittadini, per un futuro dei nostri figli in cui la cultura torni ad avere quella centralita’ che ha sempre avuto nel nostro paese”
”I rilievi Unesco fatti a gennaio sono da prendere in attenta considerazione”. Bray sottolinea come su Pompei ”Il ministero da molti anni fa presente che ha bisogno di duemila unita’ nella custodia e nellavigilanza”, ma serve anche trasparenza sulle gare.
Per il sito di Pompei, continua Bray, occorre ”un piano per mettere in atto i cantieri secondo il piano strategico stabilito. Per il lotto dei primi cinque cantieri, da oggi il terzo e’ in funzione.  Gli altri due sono fermi perche’ c’e’ bisogno di un’indagine di maggior trasparenza su chi si e’ aggiudicato le gare. Al piu’ presto verra’ varato il bando per la messa in sicurezza del 50% del territorio di Pompei, grazie ad un sistema di videosorveglianza che e’ un altro dei punti che l’Unesco sottolineava come necessario ed urgente. Adotteremo poi misure capaci di rispettare la sfida di aprire 39 cantieri entro il 2015”.
(regioni.it)
Nota stampa_Rapporto Federculture 2013
Rapporto Federculture 2013
Dati ROMA e LAZIO_Rapporto Federculture 2013



Stefano Panunzi interviene al convegno “Per una città intelligente”: consigli alla nuova giunta capitolina per rendere Roma più di una smart city

Innovazione allo sviluppo, sostenibilità, occupazione e coesione sono le parole chiave dell’incontro “Per una città intelligente” giovedì 27 giugno 2013, alle ore 15.00, presso la Sala delle Colonne della Camera dei Deputati, in via Poli n. 19, Roma.

« Strategie di sviluppo territoriale in relazione tanto alla dimensione storico-culturale, geografica, creativa e innovativa anche in rapporto al web ed alla tecnologia digitale, quanto alle funzioni tipiche di una città capitale a naturale vocazione internazionale» afferma Michele Gerace, Presidente di O.S.E.C.O. e Consigliere d’Amministrazione dell’Azienda Speciale Palaexpo.

5 minuti per ogni relatore per individuare problematiche e presentare delle proposte.

Stefano Panunzi (Coordinatore Corviale Expo 2015 – Roof top lab), Stephen Benians (Direttore programmi culturali della British Council), Lawrence Bartolomucci (Professore aggiunto alla John Cabot University), Claudio Bocci (Direttore Sviluppo e Relazioni Istituzionali di Federculture), Luca Borriello (Direttore della Inward), Mauro Botticelli(Amministratore di Primamusa), Dario Carrera (Cofondatore di The Hub), Paolo Corda (Responsabile Pianificazione tecnica di Infratel Italia s.p.a), Ines Caloisi (Presidente e Responsabile Formazione e Coordinamento di TIA), Umberto Croppi (Direttore generale di Fondazione Valore Italia) Francesco D’Ausilio (Consigliere Comunale per Roma Capitale), Pier Luigi Dal Pino (Direttore Relazioni Istituzionali di Microsoft), Alessandro Di Matteo (Fondatore di Raggio verde), Gianluca Di Nunzio (Avvocato presso Barzanò e Zanardo), Andrea Gallo (Editore di EurActiv), Francesco Lucà (Responsabile area Economia & Mercato  di O.S.E.C.O.), Paolo Marcesini ( Direttore di Memo magazzini culturali), Maria Moreni ( Presidente di Physeon), Flavia Piccoli Nardelli (Deputato), Vincenzo Pensa (Presidente del Comitato di gestione del pneumatici fuori uso), Francesco Saverio Profiti (Responsabile area Innovazione & ICT di O.S.E.C.O.), Patrizia Riccioni (Architetto), Antimo Sambucci (Amministratore di ADF Green vision), Fabio Severino (Vicedirettore del  Master in Digital Heritage de La Sapienza), Alessandro Sterpa (Vice-Segretario generale alla Regione Lazio. Rapporti con gli Enti Locali, le Regioni, lo Stato e l’Ue. Ufficio legislativo), Michelangelo Suigo (Head of Public Affairs di Vodafone Italia), Massimiliano Tonelli (Direttore di Artribune), Gabriele Valli (Amministratore di Spazio Informale) e Cristiano Zagari (Direttore di Semestre europeo).

Moderatori dell’incontro saranno Maria Elena Viggiano e Plinio Limata.

L’incontro è organizzato da O.S.E.C.O. e Cento Giovani, in collaborazione con Raggio Verde e TIA.

http://t.co/mbedXkrHN7

http://www.formiche.net/

 




Governo approva il pacchetto lavoro

Stanziati per il pacchetto lavoro nel complesso 1,5 miliardi tra fondi europei e risorse nazionali. Lo spiega il premier Enrico Letta al termine del Consiglio dei ministri del 26 giugno: “è un provvedimento importante, da 1 miliardo e mezzo di euro che mi consentirà di andare in Europa a fare la battaglia contro la disoccupazione giovanile. Daremo un colpo duro a questa piaga”.

Letta aggiunge: “vogliamo aiutare il lavoro di qualità e il lavoro di qualità è soprattutto quello a tempo indeterminato” e “l’intensità è maggiore al sud dato che quelle regioni hanno tasso disoccupazione più alto ma l’intervento è generalizzato”.
Nel Mezzogiorno vi sono 1.250.000 giovani (15-29 anni) che non studiano né lavorano, più che nell’intero CentroNord. Un giovane meridionale su 3 oggi non studia né lavora. I giovani diplomati del Sud hanno nel 2012 un tasso di occupazione del 31% e i giovani laureati del 49%; tassi entrambi di circa 15 punti inferiori rispetto al resto del paese; la durata media della ricerca della prima occupazione supera i tre anni.
“Le decisioni andranno ad aiutare – ribadisce Letta – l’assunzione in un arco di tempo di 18 mesi, potrebbero essere interessati 200mila giovani italiani con intensità maggiore nel centro sud. Puntiamo a dare un colpo duro alla grandissima piaga della disoccupazione giovanile che è la bandiera di una battaglia che vogliamo combattere con forza e determinazione”.
L’assunzione a tempo indeterminato di giovani tra 18 e 29 anni aumenta la base occupazionale e determina ”l’azzeramento totale dei contributi per i primi 18 mesi” e per ”12 mesi” nei casi di trasformazione in tempo indeterminato”.
Delle 200mila persone che potrebbero essere coinvolte, 100mila saranno quelle che potranno beneficiare degli sgravi contributivi mentre altre 100mila sono coinvolte nelle altre misure di ”inclusione”.
Il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, ha quindi sottolineato che il provvedimento per rilanciare l’occupazione giovanile con gli sgravi contributivi per le nuove assunzioni “riguarda sia il sud che il centro nord”.
Sgravi per incentivare assunzioni di under 29 con persone a carico; per nuovi assunti a tempo indeterminato contributi azzerati per 18 mesi; 12 mesi per le trasformazioni.
Il governo ha deciso anche il rinvio di 3 mesi dell’aumento dal 21 al 22% dell’Iva, che sarebbe scattato dal primo luglio.
Letta ha spiegato che il Parlamento valuterà la possibilità di un ulteriore differimento.
Gli obiettivi perseguiti dal Governo attraverso gli interventi previsti dal decreto-legge mirano ad aumentare il contenuto occupazionale della ripresa accelerando la creazione di posti di lavoro, soprattutto a tempo indeterminato; creando nuove opportunità di lavoro e di formazione per i giovani, per ridurre la disoccupazione e l’inattività, favorendo l’alternanza scuola-lavoro; sostenendo il reinserimento lavorativo di chi fruisce di ammortizzatori sociali; incentivando le assunzioni di categorie deboli della società, come le persone con disabilità (sarà previsto un programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità). Si interviene inoltre per potenziare il sistema delle politiche attive del lavoro, per aumentare le tutele dei lavoratori, migliorare la trasparenza e l’efficienza dei meccanismi di conciliazione in caso di licenziamento. Infine, il decreto, che vuole dare risposte concrete alle Raccomandazioni rivolte all’Italia dalla Commissione europea il 29 maggio 2013 nel quadro della procedura di coordinamento delle riforme economiche per la competitività (“semestre europeo”), prevede un forte intervento per sostenere il reddito delle persone maggiormente in difficoltà, specialmente nel Mezzogiorno, cioè l’area caratterizzata da tassi di povertà più elevati. Gli interventi previsti dal decreto legge rappresentano solo il primo passo della strategia del Governo per aumentare l’occupazione, specialmente giovanile, ridurre l’inattività e attenuare il disagio sociale. Un secondo gruppo di misure verrà definito non appena le istituzioni europee avranno approvato le regole per l’utilizzo dei fondi strutturali relativi al periodo 2014-2020 e di quelli per la “Garanzia giovani”.
Incentivi per nuove assunzioni a tempo indeterminato
Vengono stanziati 794 milioni di euro nel quadriennio 2013-2016 (500 milioni per le regioni del Mezzogiorno, 294 milioni per le restanti) per incentivare l’assunzione di lavoratori in età compresa tra i 18 e i 29 anni e che godano di almeno una di queste condizioni:
a) Siano privi di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi;
b) Siano privi di un diploma di scuola media superiore o professionale;
c) Siano lavoratori che vivono da soli con una o più persone a carico.
L’incentivo per il datore di lavoro è pari a un terzo della retribuzione lorda imponibile ai fini previdenziali complessiva per un periodo di 18 mesi e non può superare i 650 euro per lavoratore. Se, invece, il datore di lavoro trasforma un contratto in essere da determinato a “indeterminato” il periodo di incentivazione è di 12 mesi. Alla trasformazione deve comunque corrispondere un’ulteriore assunzione di lavoratore.
Un apprendistato che abbia valore
In una logica di una disciplina maggiormente omogenea sull’intero territorio nazionale, entro il 30 settembre 2013 la conferenza Stato-Regioni dovrà adottare le linee guida che disciplinino il contratto di apprendistato professionalizzante che le piccole e medie imprese e le microimprese dovranno adottare entro il 31 dicembre 2015.
Favorire i tirocini formativi
– Fino al 31 dicembre 2015 è istituito presso il Ministero del lavoro un fondo di 2 milioni di euro annui per permettere alle amministrazioni che non abbiano a tal fine risorse proprie di corrispondere le indennità per la partecipazione ai tirocini formativi.
– È anche autorizzata la spesa di 15 milioni di euro per promuovere l’alternanza tra studio e lavoro e quindi l’attività di tirocinio curriculare per gli studenti iscritti ai corsi di laurea nell’anno 2013-2014.
– Per creare nuove opportunità di lavoro e di formazione per i giovani, per ridurre la disoccupazione e l’inattività. Il provvedimento prevede il finanziamento di un ampio programma di tirocini formativi per giovani residenti nel Mezzogiorno che non lavorano, non studiano e non partecipano ad alcuna attività di formazione, di età compresa fra i 18 e i 29 anni; un incentivo alle università che sottoscriveranno un protocollo standard definito dal Ministero dell’università e della ricerca per il finanziamento delle attività di tirocinio curriculare presso enti pubblici e privati per gli studenti universitari più meritevoli e in difficoltà economiche; un coordinamento più stretto con la formazione realizzata dagli istituti tecnici. Viene poi istituita presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali un’apposita struttura di missione, in vista dell’avvio della “Garanzia giovani”.
Un aiuto al Mezzogiorno
– In considerazione della grave situazione occupazionale che interessa i giovani residenti nelle aree del Mezzogiorno si è deciso di rifinanziare:
a) con 80 milioni di euro, delle misure per l’autoimpiego e l’autoimprenditorialità;
b) con 80 milioni di euro il Piano di Azione Coesione rivolta a enti e organizzazioni del privato sociale che coinvolgano giovani in progetti di valorizzazione dei beni pubblici e per l’inclusione sociale;
c) con 168 milioni di euro, borse di tirocinio formativo per giovani disoccupati, che non studiano, che non partecipano ad alcuna attività di formazione.
– Per ridurre la povertà e per sostenere le famiglie del Mezzogiorno in difficoltà, viene avviato il programma “Promozione dell’inclusione sociale, finanziato con 167 milioni di euro.
Migliorare il funzionamento del mercato del lavoro
Si prevede una serie di interventi, in particolare relativi alla legge 92/2012 volti a chiarire la natura dei contratti e di semplificazione. In particolare sui contratti a termine e di somministrazione (come l’abrogazione del divieto di proroga del contratto “acausale”), contratti di lavoro intermittente, lavoro a progetto e lavoro accessorio.
Rafforzare le tutele per i lavoratori e migliorare la trasparenza
In particolare, in caso di tentativo di conciliazione la mancata presentazione di una delle parti sarà valutata dal giudice nella sua decisione finale; estensione anche ai co.co.pro. delle norme contro le cosiddette “dimissioni in bianco”; rivalutazione del 9.6% delle ammende con rivalutazione della metà del flusso che ne deriva al rafforzamento di misure di vigilanza e prevenzione in materia di sicurezza sul luogo del lavoro; il monitoraggio dei contratti aziendali con deposito obbligatorio presso le direzioni territoriali del lavoro; comunicazioni obbligatorie relative all’assunzione, cessazione, trasformazione e proroga dei contratti valgono a tutti gli effetti.