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Grande successo per la prima edizione di App4Mi, il progetto-concorso formativo del Comune di Milano e di RCS. Ecco tutti i vincitori!

app4miSe il buon giorno si vede dal mattino, c’è da aspettarsi – e da augurarsi – che vengano realizzate nuove edizioni di App4Mi e iniziative simili su tutto il territorio nazionale, che mostrino concretamente l’utilità e il senso degli Open Data. E’ stato infatti un grandissimo successo la prima edizione di App4Mi, il progetto formativo del Comune di Milano ed RCS MediaGroup che ha premiato il 10 ottobre scorso le applicazioni più utili e innovative sviluppate sugli Open Data dell’Amministrazione comunale.
Più di 1.000 si sono iscritti ai corsi gratuiti di App4Mi Open Campus, oltre 800 persone hanno seguito i corsi in streaming e 3.782 sono stati i video interventi scaricati. Anche il numero delle app che hanno partecipato al contest è stato significativo: 75 di cui 64 ammesse nella gallery. Si tratta di un risultato di notevole importanza, confrontato per esempio con l’analoga esperienza di New York, che ha selezionato 57 app concorrenti nella prima edizione del contest, nel 2010, 96 nel 2011 e 54 nel 2012.
“Un progetto nato con la volontà di valorizzare il patrimonio informativo del Comune, messo a disposizione di cittadini e imprese attraverso il portale Open Data, migliorando i servizi e la vita a Milano in un’ottica sempre più smart e sostenibile”. Così l’Assessore allo Sviluppo Economico, Università e Ricerca, Cristina Tajani che ha aggiunto: “La partecipazione e l’interesse di questa prima edizione ci sollecitano ad andare avanti, migliorando e arricchendo i dati pubblicati e progettando nuove iniziative”.
“App4Mi è il segno tangibile dell’impegno e dell’attenzione che da tempo il nostro gruppo ha per lo sviluppo e per l’incremento delle attività digitali. Solo pochi giorni fa è nato RCS Nest, il nuovo incubatore di startup di RCS e Digital Magics, e oggi siamo particolarmente felici di premiare queste nuove app che uniscono sviluppo tecnologico e aspetto ideativo, e testimoniano l’interesse che sempre di più i cittadini hanno nei confronti delle opportunità offerte dal digitale”, ha detto l’Amministratore delegato di RCS MediaGroup Pietro Scott Jovane.
I premiati di App4Mi
Sono state scelte e premiate da una giuria composta da personalità di spicco del mondo dell’innovazione digitale 9 app: 6 tematiche e 3 considerate le migliori in assoluto. Un decimo premio di 2.000 euro è stato assegnato alla app più votata dal pubblico sul sito www.app4mi.it.
Nel dettaglio, per le app tematiche hanno vinto 1.000 euro ciascuna per le categorie:
Turismo e tempo libero, Milano.Life che mostra i luoghi di interesse e spiega come raggiungerli, utile sia per i turisti che per gli abitanti di Milano. È stata ideata da Alessio Vinerbi
Cultura/Education, That’s app che indica con grafica accattivante gli eventi d’arte contemporanea, attuali e futuri, corredando le informazioni con schede informative dettagliate e immagini. È stata ideata da Andrea Amato, Elisabetta Bolasco, Caterina Failla, Federica Roserba, Francesca Baglietto, Giulia Restifo, Luca Corti, Stefano Fattorusso e Tim Julian Ohlenburg
Mobilità, traffico e trasporti, Milano Easy Parking, una app che permette di parcheggiare più agevolmente a Milano e ti ricorda dov’è la tua auto e quando scade il permesso per la sosta. È stata ideata da Dario Costa e Fabrizio Galeazzi
Green, Ecomilano, pensata con una logica semplice e intuitiva evidenzia i servizi ecologici e sfrutta la realtà aumentata. È stata ideata da Angelo Gallarello
Sociale e Sanitaria, Dove si butta che permette di costruire un database geolocalizzato per la raccolta differenziata, diffonde notizie e stimola la comunità a dare il proprio contributo. È stata ideata da Giovanni Maggini
Disabilità, Milano4All che permette di verificare l’accessibilità dei luoghi pubblici intorno a te selezionando il tipo di disabilità. È social e permette di condividere i commenti. È stata ideata da Andrea Gerino.
Per le migliori app in assoluto la prima classificata è Quolimi, pensata e realizzata da Luca Campanini, Andrea Clerici, Gianfranco Netti e Claudio Rava che vincono complessivamente 6.000 euro. La app fornisce una valutazione sintetica della vivibilità di un indirizzo di Milano aggregando molti dataset di natura diversa con una grafica semplice e chiara; la seconda classificata è Mirami che permette di scoprire i punti di attrazione più vicini e suggerisce i luoghi di interesse. È stata ideata da Nazzareno Cantalamessa che vince 4.000 euro; terza classificata, con un premio di 2.000 euro, è Milano.Life già premiata nella categoria Turismo e tempo libero.
La app più votata sul sito www.app4mi.it è BiciMI4Social, di Antonio Scardigno, Stefania Anna Scardigno e Raffaella Spera che vincono complessivamente 2.000 euro. È dedicata alla gestione della mobilità in bicicletta attraverso il bike sharing ed è pensata in modo social con la possibilità di creare e condividere percorsi e di segnalare eventuali problemi.
L’organizzazione di App4Mi
Il pregio di App4Mi, che ci auguriamo possa vantare presto delle imitazioni in Italia, ha il pregio di mostrare concretamente come possono essere utilizzati e capitalizzati gli open data delle amministrazioni comunali. Rappresenta inoltre il prodotto della collaborazione di più attori pubblici e privati presenti sul territorio; ricordiamo infatti che App4Mi è stato ideato dal Comune di Milano e da RCS MediaGroup, con il supporto dell’incubatore Digital Magics e che partner dell’iniziativa sono stati il main sponsor Intesa Sanpaolo, e Accenture e Vodafone. La premiazione ha avuto luogo nella Sala Buzzati del Corriere della Sera.

Maria Letizia Fabbri

http://www.pionero.it/2013/10/15/grande-successo-per-la-prima-edizione-di-app4mi-il-progetto-concorso-formativo-del-comune-di-milano-e-di-rcs-ecco-tutti-i-vincitori/




Contro il degrado pugni e musica rap

calcioUn ex pugile, un giovane rapper nostrano e un vecchio comunista. Sono l’anima di Corviale. Vittorio Barbante, 43 anni, boxer e una lunga storia alle spalle, tira qualche cazzotto a un sacco appeso nella palestra.
Locali dimenticati dal Comune (doveva sorgere un asilo) e dove oggi la speranza è infilata in un paio di guantoni. Vittorio, figlio d’arte nella boxe, appena può fila in palestra. Pugni che sfidano la droga e il degrado, «che servono per tirarti fuori dai guai», racconta, che scandiscono il ritmo dell’allenamento, «dando un senso alla tua vita». Qui non si rifiuta nessuno. E proprio davanti alla palestra c’è l’Incubatore, un «servizio comunale per l’avvio di nuove iniziative». Ci lavorano alcuni ragazzi, tra cui un rapper-produttore, Riccardo Dell’Avversano, alias Brasca. Di mestiere, però – precisa – fa la guardia giurata, ma anche lui appena può torna a Corviale. Nel quartiere c’è pure il calcio sociale, che raduna ragazzi nel nome dello sport e il campo da rugby.
Marco Balderi, che gestisce il bar dietro la biblioteca è la memoria storica del quartiere, arrivato negli anni Ottanta, «quando fummo inghiottiti dall’edonismo reganiano». Racconta con una nota di colore, che a Corviale hanno sempre convissuto il Partito Comunista e la parrocchia di gesuiti. Peppone e don Camillo. Il bianco e il nero. «Poi ognuno di noi, liberamente – chiude – ha scelto con cosa riempire la propria vita».

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Corviale tra spacciatori e brava gente, quel mostro a due teste

corvialeÈ lì che salgono le anime, lungo le scale che portano ai nove piani dell’astronave, un chilometro di cemento armato dove convivono il bene e il male, e sopravvivere è fatica.
A guardarlo quel «mostro», amato come un figlio, ci si aspetta che parta verso il cielo. Portandosi via, magari, una delle testimonianze che a Roma le borgate esistono ancora. Lo diceva anche Max Gazzè che a Corviale ha dedicato una canzone, immaginandolo in viaggio fino ai Parioli. Un luogo dove l’amore è testimoniato dalla lealtà, e la cattiveria prende il volto di spacciatori e immobiliaristi improvvisati. L’Ater avrebbe dovuto accudirlo, questo mostro, invece di abbandonarlo a una lenta agonia. Decine di locali sono stati lasciati a marcire, o a diventare preda dei balordi. Ecco la verità di Corviale, tessuta su un filo dove camminano buoni e cattivi, pronti a rinnegarsi su Facebook come borgatari social, ma anche ad aiutare chi sta peggio.
LE TORRI
Cinque lotti. 1200 appartamenti costruiti dall’architetto Mario Fiorentino dal 1975 all’82. Metà quartiere abita qui. Ognuno ha una torre e le vetrate delle prime due sono sfasciate: quando piove le scale diventano una trappola. Di quattro ascensori per ogni nucleo, ne funziona uno. I campanelli sono rotti o bruciati. Dei nove piani è il «quarto» quello su cui tutti puntano il dito. Fu costruito per ospitare negozi. Poi è diventato «il piano degli abusivi», passato indenne a due sanatorie pasticciate. C’è perfino chi ha comprato, pagando qualche migliaio di euro al precedente inquilino. Un cingalese è convinto che la casa sia sua, dice di essere felice. A Corviale vive pure chi i soldi ce l’ha, con appartamenti arredati nel lusso. Qui resiste ancora la chiesa di padre Gabriele. «I problemi sono tanti, ma insieme li risolviamo», commenta un gruppo di arzille vecchiette sedute attorno a un tavolo con torta e gazosa, a mischiare carte e santini. «E poi – dicono – guardi che vista, tutta per noi». È la riserva naturale della Tenuta dei Massimi, centinaia di ettari a bosco e prato.
MAGIA E DISPERAZIONE
A Corviale c’è la magia delle panchine che raccolgono anziani e ragazzi. Così la storia prende forma con i racconti. Salvo, all’imbrunire, lasciare il posto alle vedette che armano lo spaccio, protette dai corridoi clandestini e blindati dell’astronave. Una volta c’erano due bande, oggi comanda er Palletta. Lo conoscono bene i carabinieri. Una sessantina di ragazzi lavorano per lui, smistano almeno cento chili di droga al mese. E lui, intanto, fa affari con i calabresi. Non abita più qui, «ma è ancora il re». A condimento, pregiudicati, trafficanti d’armi, mischiati alla gente per bene, e a uno spregiudicato immobiliarista che da anni «vende» gli appartamenti lasciati liberi: 15mila euro se vuoi entrare, compresi – spiega Angelo Scamponi, portavoce dei residenti – gli allacciamenti abusivi. Davanti al mostro c’è pure una biblioteca che presta più di cento libri al giorno ai 15mila associati. E la chiesa che assieme alla Caritas ha organizzato un centro di raccolta per chi non ha denaro. Intorno piccoli condomini. È l’altra faccia del quartiere. Da qui il nemico più grande di Corviale sembra il pregiudizio che ha convinto, per esempio, i progettisti del centro commerciale «Casetta Mattei», che sorge proprio a Corviale, a chiamarlo con il nome del quartiere confinante, perché c’era chi si vergognava. Dimenticando che qui ci abitò pure l’attore Vincenzo Salemme e il collega Elio Germano. Ma d’altronde sono molte le leggende che ruotano attorno a tutto quel cemento. Si racconta che l’architetto Fiorentino morì suicida dopo aver terminato il «mostro». Falso. Morì d’infarto nel 1982 durante una riunione. Anche il ponentino, il famoso venticello romano, si sarebbe fermato contro la pancia del gigante. Inghiottito dalle fauci di un brutto anatroccolo chiede solo più d’attenzione, come i 42 milioni di euro promessi e stanziati per il suo recupero, congelati nei corridoi della politica.

di Riccardo Tagliapietra

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L’era dell’editoria democratica

editoriaPerché dobbiamo imparare a «usare il nostro “voto” con accortezza quando scegliamo di pubblicare o consumare informazioni»
«La democratizzazione dell’editoria», scrive Kirby Prickett, «è quel processo per cui le persone sono sempre più abilitate a far circolare le proprie idee, le proprie storie e le proprie opinioni. E questo sta accadendo soprattutto grazie a Internet».
Il concetto di Internet che «aumenta» la democrazia è poco maneggevole e sicuramente controverso. Io di solito preferisco parlare di volgarizzazione dell’editoria. Ma il lungo articolo di Kirby costruisce un buon quadro storico e porta con sé alcuni concetti interessanti.
Ripercorrendo la storia dell’editoria controllata da pochi, in un breve paragrafo intitolato «Storia del Controllo», si arriva al punto: «queste dinamiche sono cambiate con la rete, con l’apertura dei commenti, con le piattaforme di blogging, i social media e il self-publishing. Da quel momento chiunque (con una connessione a Internet) può pubblicare il proprio punto di vista, in qualsiasi luogo del mondo».
La parte più stimolante del pezzo è quella finale in cui la Prickett si chiede se questa «democratizzazione» può essere considerata una cosa positiva o meno. E conclude con l’idea che «alla fine, esattamente come con la democrazia in politica, il risultato dipenderà da noi, cittadini ordinari». E dalla «nostra capacità di usare il nostro “voto” con accortezza quando scegliamo di pubblicare o consumare informazioni».
Fatti un’idea da solo: The History of the Democratization of Publishing.
Da un altro punto di vista, Jane Friedman (una delle maggiori esperte di editoria digitale negli Stati Uniti, ragiona proprio sul peso che sta avendo il self-publishing nella trasformazione dell’industria editoriale. Il punto di partenza è una conferenza tenuta alla Fiera del Libro di Francoforte, con a tema il «matrimonio tra tecnologia e contenuti».
Jane fa un accurato recap e ci regala i link a diverse ricerche interessanti. «Gli autori oggi», scrive, «hanno il potere di scoprire modi nuovi per raggiungere il proprio pubblico». Mentre gli editori tradizionali sono più lenti ad adottare strategie nuove o più aggressive, come quelle dei prezzi bassi.
È un altro esempio di «disintermediazione» dell’informazione, a scapito del funzionamento dell’industria culturale come la intendevamo nell’epoca della scarsità dei contenuti. Jane ragiona (e riporta opinioni) su tutte le implicazioni di questo passaggio verso nuovi modelli.
Merita la lettura e l’approfondimento dei link: Is Self-Publishing the Most Important Transformation in the Publishing Industry?
Per costruirci un’opinione e per trovare la nostra «giusta educazione» in questo nuovo ecosistema dei media, dobbiamo anche considerare che non ci troviamo di fronte a tendenze destinate a invertirsi. La nostra capacità di pubblicare e accedere alle informazioni tenderà ad esse sempre più facile ed economica. Gli ultimi dati li raccoglie un report ( The Global Media Trends Book) che tra l’altro ci racconta come in molti Paesi i social network siano diventati l’accesso primario all’informazione.
Qui trovi una sintesi: Report details global trends in mobile, video and social.
Ma più ancora può aiutarti a riflettere lo stralcio del libro di Nate Silver pubblicato in italiano da Internazionale. L’occhiello ti racconta subito dove si va a parare: «La mole di informazioni disponibili aumenta a ritmo vertiginoso, ma fare previsioni non è affatto semplice: i dati da soli non bastano, la maggior parte è solo interferenza e il rumore è più forte del segnale. Il libro di Nate Silver spiega perché l’elemento umano è ancora essenziale».
Il titolo è, non a caso, Il segnale e il rumore.
Come link bonus, questa settimana, un post di John Kroll che fa proprio al caso nostro. Siamo stati educati con la cultura della stampa e dobbiamo educarci a pensare (e scrivere) per il digitale. Parlando soprattutto ai giornalisti, John spiega in modo utile come superare la «mentalità della carta»: How to get past the print-first mindset.

GIUSEPPE GRANIERI

Twitter: @gg

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Mancata consegna A Corviale dei kit per la raccolta differenziata

Dal 15 ottobre è iniziata la raccolta differenziata ma molti cittadini di Corviale non hanno ricevuto i kit e le istruzioni relative.

Il Comitato inquilini Corviale-Casetta Mattei ha organizzato un incontro pubblico con l’Ama per dare spiegazioni ai cittadini facendo presente che a molti ancora non è stato consegnato nulla.

Il responsabile dell’Ama ing. Giuseppe Perrone si è fatto carico di risolvere il problema al più presto e il Comitato Inquilini si è reso disponibile a collaborare mettendo a dispozione la propria sede.

Questo significa che ogni cittadino potrà venire alla sede del Comitato in largo Odoardo Tabacchi, 5 (quarto lotto) per ritirare il kit e le relative istruzioni.

IL Comitato sta aspettando che l’Ama comunichi i giorni e gli orari per la consegna.

I giorni e gli orari saranno indicati nelle locandine che saranno affisse lungo il palazzo.




Siamo tutti statuine: nei supermarket la nostra copia in 3D

stampanteLa miniatura, alta 20 centimetri, è realizzata con una scansione del corpo e le stampanti di ultima generazione. Riproduce i tratti nel minimo dettaglio: è già in vendita a Londra e sarà tra i regali più ricercati del Natale 2013.
Il regalo-novità del Natale 2013 da mettere sotto l’albero siete voi. Bè, non proprio voi, impacchettati dalla testa ai piedi, bensì un modellino, un bambolotto, una versione ridotta del prodotto originale, peraltro identica in ogni più piccolo particolare. Si chiama “Mini-me” ed esce dalle stampanti in 3D che secondo gli economisti produrranno una nuova rivoluzione industriale. A Londra si può già comprare, per 40 sterline (circa 50 euro) nei supermercati Asda, e per un po’ di più, da 70 a 120 sterline (85-150 euro), da Selfridges, i grandi magazzini di Oxford street che competono con Harrods per la palma di più eleganti department stores della capitale. Ma conviene sbrigarsi, perché a dicembre, prevedono gli esperti di marketing, ci sarà la ressa per portarsi via una di queste statuine che sono la perfetta copia di chi le compra.
Non è neanche un anno che si sente parlare di stampanti tridimensionali: macchine potenzialmente in grado di fare anzi rifare tutto, da un portachiavi a un aeroplano, sicché in un giorno di un futuro non molto lontano non saranno più necessarie le fabbriche, basteranno le fotocopiatrici in 3D per darci una serie infinita di qualsiasi cosa di cui abbiamo bisogno. Ma se quello è il futuro e ad alcuni di noi sembra ancora fantascientifico (non a scienziati e futurologi, come Christopher Barnatt, autore di “3D Printing: the next industrial revolution”, e Chris Anderson, autore di “Makers: the new industrial revolution”, due fra i tanti studi sul fenomeno pubblicati negli ultimi mesi), il presente è già pronto a sbarcare sulle strade dello shopping natalizio. Ieri il Sun, tabloid popolare londinese, ha pubblicato il “mini-me” di un cronista, andato a farsi fare una copia tridimensionale di se stesso al supermarket Asda di York: modica spesa di 40 sterline, ma bisogna aspettare una settimana per farsi consegnare una bambola che ci somiglia come se ci guardassimo allo specchio. Uno specchio che fa sembrare più piccoli: è alta 20 centimetri. Ma riproduce qualsiasi dettaglio, dai vestiti che indossiamo al giornale che Daniel Jones, questo il nome del reporter del Sun, teneva in mano. Funziona così: un addetto ti scansiona con una macchinetta che tiene in mano, quindi un computer cuce insieme centinaia di minuscole immagini fino a costruire un ritratto in 3D, che viene poi inviato a una stampante da 100mila sterline (120mila euro) da cui sbuca il prodotto finito. La nostra mini-copia.
Prima di Natale sarà possibile sottoporsi alla medesima procedura in qualunque altro dei 27 supermarket dell’Asda sparsi per l’Inghilterra; e tra pochi giorni, dal 24 ottobre, lo stesso servizio sarà disponibile da Selfridges, nel cuore di Londra, dove i prezzi saranno un po’ più alti ma i tempi di consegna del “Mini-me” più brevi (due giorni). Nei grandi magazzini saranno in vendita anche stampanti in 3D per tutte le tasche, da 750 a 3mila sterline l’una, così come, nella corsa allo shopping di Natale, in negozi di elettronica come Curry e Maplin. “Prevediamo che le copie tridimensionali sostituiranno le fotografie come modo migliore per avere immagini di sé”, dice Phil Stout, capo del dipartimento digitale dell’Asda. “Che sia il primo giorno di scuola o la laurea, la cerimonia di nozze o il primo vagito di un bebè, ci sarà presto un Mini-me per tutte le occasioni da regalare a parenti, innamorati e amici”. Invece di bambole e soldatini, insomma, sotto l’albero del Natale 2013 cominceremo a trovare copie di noi stessi. C’è solo da augurarsi che si possano migliorare, rispetto all’originale, come Photoshop permette di fare con le foto. “Mi somiglia proprio”, scrive il giornalista del Sun rimirando il modellino di se stesso, “eccetto per il naso, naturalmente, il mio non è certo così grosso”.

ENRICO FRANCESCHINI

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Parte il progetto “Puglia digitale 2.0”

pugliaUna piattaforma innovativa con servizi digitali messi a disposizione di imprese, PA e cittadini: il progetto “Puglia digitale 2.0”.
Diventa sempre più concreto il progetto Puglia digitale 2.0, la piattaforma che nascerà grazie all’accordo tra la Regione e sette imprese del Distretto produttivo dell’informatica locale ponendo le basi per la creazione di una filiera industriale dell’IT nel territorio.
Grazie a un investimento regionale di 630 mila euro e al contributo di Openwork pari a oltre 1,5 milioni di euro, Puglia Digitale 2.0 rappresenterà una vera e propria filiera dei servizi digitali fruibili sia da parte delle imprese sia della PA, come anche dagli stessi cittadini che potranno scegliere e acquistare applicazioni software verticali.
Il progetto coinvolge anche l’Università del Salento e l’Università e il Politecnico di Bari, vantando come capofila la società Exprivia di Molfetta affiancata da Computer Levante Engeneering di Bari, Gei Inform di Brindisi, Link Management and Technology di Lecce, Omnitech con sedi a Bari, Roma, Milano e Stoccolma, Openwork di Bari e Parsec di Cavallino, in provincia di Lecce. Salvatore Latronico, CEO di Openwork, sottolinea l’apporto innovativo del progetto:

«La nuova filiera industriale dell’IT che sta nascendo in Puglia rappresenta una novità importantissima: le aziende informatiche stanno imparando a concepire i loro prodotti come componenti da aggregare per creare un nuovo valore aggiunto, esattamente come accade nell’industria automobilistica. Questo porta alla nascita di un sistema industriale che consentirà alle aziende di competere su nuovi mercati, sia nazionali che internazionali. La piattaforma “Puglia Digitale 2.0” avrà un valore inedito per ogni azienda che collabora al progetto: ogni società metterà a disposizione degli utenti servizi applicativi specifici , creando un nuovo modello di business e un servizio innovativo a disposizione delle altre aziende del Distretto dell’Informatica e della comunità tutta».

di Teresa Barone

http://www.pubblicaamministrazione.net/connettivita/news/3731/parte-il-progetto-“puglia-digitale-20”.html




El Pais: Abbiamo lasciato i nostri lavori per creare orti urbani

ortiRuben Garcia e il suo partner, Daniel Roig, sono i fondatori della
societa’ GrowinPallet, che vende orti urbani, dalla struttura per piantare in casa fino alla
manutenzione con un agricoltore a domicilio. Il loro sogno: riempire i tetti di Barcellona
di ortaggi e frutta. E creare un’attivita’ che sia subito redditizia.

Domanda. Come e’ nata l’idea di vendere orti urbani a domicilio?

Risposta. L’idea e’ nata alla fine dello scorso anno quando io e il mio socio Daniel
Roig abbiamo tenuto un corso di orti urbani come hobby mentre lavoravamo nei nostri
posti di lavoro che non avevano niente a che fare con gli orti. Un giorno, vedendo lo
spazio sottoutilizzato che c’e’ sui tetti di Barcellona, c’e’ nata l’idea di renderli produttivi
coltivando ortaggi biologici e al tempo stesso migliorando l’aspetto attuale delle terrazze
inospitali e abbandonate della citta’.

D. E l’idea e’ ormai un’impresa…

R. Come societa’ siamo nati di recente. Il mio socio e io abbiamo lasciato i nostri
lavori ben remunerati per dedicarci a questo progetto nel febbraio 2013, senza sapere
ancora se era fattibile. Ma abbiamo voluto dedicare piu’ tempo di quanto avremmo
potuto fare tenendo i nostri posti di lavoro.

D. Vivete di questo nuovo lavoro?

R. Anche se sulla carta l’azienda e’ redditizia, lo sapremo solo tra un po’ di tempo. Al
momento non abbiamo un reddito con cui vivere ma questa e’ una scommessa a lungo
termine e nessuno aveva detto che sarebbe stato facile o veloce. Al momento siamo i
nostri unici dipendenti e con l’aiuto dei nostri collaboratori siamo in grado di soddisfare
le esigenze attuali.

D. Quali sono i vostri piani per crescere e fare di GrowinPallet un progetto redditizio?

R. Per la stagione estiva contiamo di realizzare sperimentazioni pilota con potenziali
utenti del nostro prodotto e del nostro servizio di agricoltori urbani. In questo modo
riceveremo un prezioso feedback per migliorare tutte le possibili carenze. E anche
lavorare con i clienti che abbiamo conquistato: un ristorante, un albergo e una comunita’
di condomini che vogliono disporre del servizio del contadino urbano per l’orto
GrowinPallet che hanno gia’ installato sul loro tetto. Inoltre, stiamo offrendo formazione
a giovani a rischio di esclusione sociale, in collaborazione con la fondazione Formació i
Treball. Questi giovani acquisiscono conoscenze sugli orti urbani e, in questo modo,
siamo in grado di offrirgli posti di lavoro nella nostra azienda come agricoltori urbani.

D. Con i vostri orti non c’e’ piu’ bisogno di andare al supermercato a comprare i
pomodori?

R. Le necessita’ coperte devono dipendere dal cliente a cui e’ diretto il prodotto. Mi
spiego: la ragione principale per cui un ristorante vuole un orto e il servizio di contadino
urbano, e’ quello di attirare clienti nel proprio locale offrendo ai commensali la
possibilita’ inconsueta di gustare piatti cucinati con verdure raccolte nell’orto accanto a
loro. Un prodotto, peraltro, ecologico e di qualita’, che non ha nulla a che fare con quelli
trovati nei grandi supermercati. In un condominio o in una casa per anziani, invece,
l’esigenza principale e’ quella di avere uno spazio per il tempo libero, una piccola oasi di
natura nel cuore della citta’ per riposarsi e per raccogliere qualche verdura con i figli e i
nipoti, senza tenere troppo conto del prezzo di cio’ che si sta raccogliendo. Anche se
abbiamo adeguato le nostre tecniche di coltivazione in modo che il prezzo per
chilogrammo di verdure sia il piu’ vicino possibile a quello dei negozi biologici, le nostre
verdure non saranno mai piu’ convenienti di quelle che si possono comprare al
supermercato.

D. Quanto costa un GrowinPallet?

R. Al prezzo dell’impianto, che varia da modello a modello, bisogna aggiungere
anche il costo di installazione. Inoltre, bisogna aggiungere il costo di manutenzione da
parte di un agricoltore urbano che viene una volta a settimana nel vostro orto. Per
esempio, il prezzo di un impianto di coltura di base e’ di 38 euro piu’ la spedizione. Il
costo di installazione (montaggio, miscela del substrato e semina) e’ di 125 euro. Un
totale di 163 euro.
Alejandra Agudo
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A Roma si assegnano 33mila mq per farne orti urbani e strapparli così al degrado e al cemento

ortoSalvaguardare il territorio dal degrado urbano e dalla cementificazione: è questo l’obiettivo che la Regione Lazio ha intenzione di perseguire con l’assegnazione di ben 33.000 mq di terreno incolto all’Associazione Orto XII che presto lo trasformerà in un gigantesco orto urbano.
L’area destinata alla riqualificazione si trova a ridosso del Rio Vallerano, uno dei pochi affluenti del Tevere scampato alla cementificazione che negli ultimi anni ha divorato le campagne delle periferie capitoline. Grazie a questa decisione, l’abbandono e il degrado che affliggono il territorio hanno le ore contate.
Non appena l’Associazione entrerà ufficialmente in possesso dell’area e i lavori di bonifica saranno ultimati, si provvederà ad assegnare ad ogni cittadino che ne ha fatto richiesta un appezzamento di circa 250 mq di terreno. Un gesto importante anche dal punto di vista sociale, visto che la maggior parte dei 75 pre-assegnatari sono per lo più pensionati.
L’iniziativa è di fondamentale importanza per il recupero di una zona che negli ultimi anni è stata letteralmente divorata dal cemento, dai rifiuti e da una urbanizzazione selvaggia. La riconversione di quei terreni equivarrà ad una vera e propria ‘terapia’ per tutto l’Agro Romano e la zona del Rio, per troppo tempo dimenticata dalle autorità e dai romani.
Finalmente alcune associazioni si muovono perché il Comune collabori alla creazione di percorsi ciclabili attrezzati. E speriamo che almeno stavolta le lungaggini burocratiche non ostacolino questo importante processo di riqualificazione che tanto gioverebbe al territorio e ai cittadini.

di ERIKA FACCIOLLA

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Seminare il futuro

seminaNata in Svizzera nel 2006 da un’idea di Ueli Hurter, agricoltore biodinamico, e di Peter Kunz, selezionatore di cereali biologici, l’iniziativa, di anno in anno, è stata abbracciata da numerosi Paesi – nel 2011 dall’Italia – e ha coinvolto migliaia di cittadini in tutto il mondo.

L’obiettivo di Seminare il Futuro! è sensibilizzare le persone sul tema della provenienza del cibo e del futuro dell’agricoltura, sottolineando, grazie ad una proposta originale e coinvolgente, l’importanza della sovranità alimentare locale e la consapevolezza che i semi biologici e biodinamici rappresentano una vera opportunità.
L’evento si svolge contemporaneamente in differenti aziende agricole biologiche e biodinamiche: un’occasione festosa, per grandi e piccini, curiosi e appassionati del mondo bio, che offre l’opportunità di compiere un gesto nello stesso tempo simbolico e concreto, che unisce il cuore di ciascuno alla terra.

I semi biologici e biodinamici utilizzati nell’iniziativa provengono da un processo di selezione che rinuncia all’uso degli ibridi e alla manipolazione genetica. La semina potrà successivamente essere seguita dai partecipanti: ciascuno potrà tornare presso l’azienda agricola sul campo contraddistinto dallo striscione firmato e osservare la crescita dei cereali seminati, sino al momento della trebbiatura.