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Mandela: il compagno con il cappello in testa

MandelaLa Morte di Mandela sguarnisce terribilmente il fronte della politica e chiude storicamente la storia del movimento comunista internazionale. Era l’ultimo leader carismatico sulla scena. L’ultima icona che non doveva arrossire dinanzi a nessun cassetto. Una biografia  di un’integrità paralizzante. Un popolo, un continente, una etnia globale, una classe mondiale, ha confidato nella sua determinazione e rigore. E nel suo sorriso. Forza e dolcezza, più ancora del Che, hanno avuto in Mandela una interpretazione concreta, continua, assidua e suadente. Ma non violentiamolo da morto. E’ stato un grande leader nazionale perchè ha scelto politicamente quella strada politica,la strada che portava alla liberazione di una nazione. Ma era un grande capo politico, era un grande militante della sinistra.Era un grande uomo comunista. Mandela continuava ad alzare il suo pugno sinistro dopo il 1989, senza imbarazzo, perchè nulla aveva da spartire con il mondo sovietico, niente aveva avuto da chiedere a quelli del Muro e nulla da scusarsi dopo il muro. Non possiamo dimenticarlo. Ma non per alimetare stucchevoli giustificazioni storiche. Solo per capire meglio cosa è stato il ‘900, il secolo corto di fuoco e di sangue, dove  milioni di uomini hanno creduto  e bruciato per l’idea egualitaria. Per un partito che li vendicava, per una forza che li avrebbe riscattati. Mandela fu uno di quegli uomini. Che non si fermò  furbescamente  a cambiarsi la camicia dopo il muro di Berlino, ne cocciuttamente  si voltò dall’altra parte, giocando con le parole per rimanere eguale a se stesso. Uso la propria passione per ricominciare, per dare un senso pulito, moderno, efficacie e democratico al suo essere comunista, alla sua radicalità dolce e sorridente.E quando vince, spossato si mise  da parte, a volte sconsolato, forse anche deluso, ma sempre conscio che un intero popolo  lo guardava mentre viveva. Questa è la lezione che vorrei condividere: un comunismo etico, morale , concreto, e originale.Che servì a liberare un continente, che spiegò all’occidente che la politica e’ rinnovamento, è nuotare in mare aperto, ma sapendo dov’è il porto. Vorrei che mio figlio  pensasse a lui quando sentirà ripetersi, un giorno, che suo padre è stato comunista,che ha voluto conservare il calore di quella passione, ma se l’è giocata , insieme a relazioni e consensi, nel cambio di scena,con il passaggio dalla fabbrica alla rete per trovare il modo di non togliersi il cappello dinanzi al padrone di turno. Come Mandela,come  milioni di uomini che, in silenzio, hanno tenuto e tengono il cappello in testa. Ciao compagno Mandela tene vai con il cappello ben dritto sulla tua meravigliosa testa.
6 dicembre 2013 alle ore 0.26
https://www.facebook.com/notes/michele-mezza/mandelail-compagno-con-il-cappello-in-testa/10151788274920036
 

 




E a Roma saltò fuori un lago

 

pellegrinaggio dei cittadini  al lago

pellegrinaggio dei cittadini al lago

A largo Preneste, Roma est, c’è un lago. Sì, un vero lago, emerso da qualche anno, ma pochissimi romani lo conoscono. “Naturalmente” è a rischio cementificazione. Cosa rende straordinario questo fazzoletto di acqua e vegetazione? Le sue dimensioni, certo, diecimila metri quadrati, e che sia perfino balneabile, ma soprattutto che da oltre un mese un quartiere intero si è messo in testa che quel lago è di tutti, ed è giusto che tutti lo conoscano per poterne godere. E così si creano belvedere per ammirarlo, si va nelle scuole per raccontarlo ai bambini, persone comuni si mettono in strada a diffondere volantini. Un lago comune

Giulia Barra

http://lagoexsnia.wordpress.com/

 

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l'obbiettivo di un grande fotoreporter: Giordano Pennisi

l’obiettivo di un grande fotoreporter: Giordano Pennisi




Video> Rai3 e RaiEdu: rassegna stampa

 

 

The Making of / Artisti al lavoro in tv

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RAI3 Lazio

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La sostenibilità secondo gli architetti europei

sostenibilitaSebbene vi siano visioni diverse del concetto di sostenibilità da paese a paese, dal report di Arch vision emerge che non si dà più importanza solo all’efficienza energetica ma soprattutto la sostenibilitá economica
Di cosa parliamo quando parliamo di sostenibilità? Se nel 2012 gli architetti di tutta europa tendevano ad associare il termine al risparmio energetico, le cose sembra stiano cambiando. E il concetto di sostenibilità diventa un contenitore in cui far confluire una serie svariata di elementi, primo fra tutti il risparmio economico. A rivelarlo è l’ultimo report di Arch Vision “Q3 2013 European Architectural Barometer”, un sondaggio trimestrale svolto su un campione di 1600 architetti di otto paesi europei.
IL RUOLO-CHIAVE DEGLI ARCHITETTI. L’obiettivo dello studio è chiaro: dal momento in cui gli architetti hanno un ruolo fondamentale e trainante per il settore delle costruzioni e dal momento in cui la sostenibilità rappresenta il vero trend del settore, è importante capire il significato che viene dato a questa parola. Anche perché il mondo delle costruzioni prevede l’interazione di svariati soggetti, tra committenti, clienti, investitori, che dovrebbero “parlare la stessa lingua”.
LA SOSTENIBILITA’ SMETTE DI ESSERE SEMPLICEMENTE RISPARMIO ENERGETICO. E infatti il report conferma che il concetto di sostenibilità non solo cambia da paese a paese ma è mutato anche nell’arco del tempo, diventando sempre più complesso. Da semplice sinonimo di risparmio energetico, il termine viene oggi associato anche ad altri elementi, che comprendono il risparmio di denaro, la riciclabilità, i bassi costi manutentivi, l’utilizzo di materie prime naturali. Certo, il risparmio energetico rimane la maggiore caratteristica citata (sopratutto per gli architetti italiani e spagnoli), grande importanza viene data anche al risparmio economico (primo fattore per Regno Unito e Polonia) e agli altri elementi sopracitati, con percentuali in costante aumento.
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Concorso Rebuild, i premiati

park associatiI progetti in gara sono stati selezionati secondo una complessa griglia di valutazione di efficienza energetica, sostenibilità ambientale, comfort e qualità costruttiva, sostenibilità economica e sociale
Il 26 Novembre, durante l’Aperitivo REbuild, è stato assegnato il Premio REbuild, il primo concorso in Europa per progetti di riqualificazione sostenibile. A classificarsi per primo è stato il progetto di Lombardini 22 presentato da Marco Amosso. Secondo e terzo rispettivamente Laboratorio di Architettura, presentato da Andrea Rinaldi, e Park Associati, presentato da Filippo Pagani.
IL RUOLO PRIMARIO DELLA RIQUALIFICAZIONE. «Lead by example, i migliori progetti che fanno da esempio per il mercato: questo il senso del Premio REbuild 2013», spiega Alberto Ballardini di Habitech, uno degli ideatori di questo contest. «Il premio è stato concepito per dare visibilità a quelle realizzazioni che in una fase di contrazione degli investimenti e di disorientamento hanno dimostrato la capacità mantenere la rotta verso una realtà di mercato dove il lavori si sposteranno dai nuovi volumi alla riqualificazione degli esistenti.».

L’80% DEI VOLUMI CHE AVREMO NEL 2050 SONO GIÀ PRESENTI OGGI. La prima edizione del premio, ideato da Habitech e Fraunhofer Institute per REbuild, intercetta i recenti sviluppi nel mercato della riqualificazione e la sensibilizzazione verso un consumo più consapevole delle risorse energetiche e del territorio. Un concorso per dimostrare come la riqualificazione sostenibile del patrimonio esistente rappresenti una risorsa immensa per l’ambiziosa sfida di riformare il mercato, limitare gli impatti e migliorare il paese. Secondo una ricerca di Think Project, infatti, l’80% dei volumi che avremo nel 2050 sono già presenti oggi.

CRITERI DI VALUTAZIONE. La griglia di valutazione è stata appositamente elaborata da Fraunhofer Italia con il supporto di Habitech per poter misurare i progetti di qualificazione e costituire un primo database di benchmark di progetti. Spiega Gabriele Pasetti Monizza, del Fraunhofer Institute, ideatore della griglia di valutazione del premio REbuild: «la metodologia messa a punto per il premio deve necessariamente evidenziare che gli aspetti prestazionali sono un elemento imprescindibile di un complesso quadro che include anche aspetti ambientali, economici e sociali. Sulla base di questa riflessione, i candidati sono stati valutati attraverso una griglia multicriteria, pesando algebricamente parametri che dovrebbero sempre essere considerati in occasione di interventi di risanamento.»

PRIMO PREMIO. In prima posizione troviamo il progetto Segreen Business Park, un’idea della società di progettazione architettonica Lombardini22. Si tratta di un esempio di riqualificazione immobiliare improntata al futuro e alla sostenibilità, posizionato in un’area che da sempre è un nodo strategico per il settore terziario direzionale, a 10 km dal centro di Milano e a 5 Km dall’Aeroporto di Milano Linate. Uno sviluppo di CBRE Global Investors, progettato interamente da Lombardini22.

SECONDO PREMIO. In seconda posizione ecco “Brennone21″, un’opera di architettura realizzata a Reggio Emilia da Laboratorio di Architettura Architetti Associati ed esempio reale di sperimentazione sul recupero a zero emissioni della città storica.

TERZO PREMIO. Il terzo premio è andato infine allo studio Park Associati Architetti per la loro ristrutturazione dell’edificio per uffici “La Serenissima”, sito in Via Turati, nel centro di Milano, una struttura progettata negli anni ‘60 da Ermenegildo e Eugenio Soncini.
* Sono state inoltre consegnate 5 menzioni speciali ad altrettanti progetti che hanno saputo eccellere in una delle 10 aree di valutazione. Le menzioni speciali vanno: Efficienza Energetica a Laboratorio Architettura, Sostenibilità e Ambiente a Agenzia CasaClima Srl, Comfort e qualità costruttiva a Park Associati Srl, Sostenibilità Economica a Lombardini22, Sostenibilità Sociale a C+D Architetti Associati.
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Capovolti

capovoltiScheda del Progetto

Ambito: Cura e integrazione dei disabili

Progetto: In corso

Luogo: Battipaglia (SA)

Contributo: € 480.000

Descrizione:

L’iniziativa progettuale propone l’avvio di una fattoria sociale con l’obiettivo di consentire l’inserimento lavorativo di 10 persone con disabilità mentale attraverso la costruzione di una cooperativa di tipo a e b, che ne preveda il loro diretto coinvolgimento nella governance, insieme ai familiari. E’ prevista la gestione del fondo agricolo (coltivazione e raccolta), la trasformazione dei prodotti, la loro commercializzazione (vendita diretta, trasporto, e-commerce) e un piano di marketing sociale strategico (acquisizione di certificazioni e marchi di qualità, gruppi di acquisto solidale, sinergia con operatori del mercato equo e solidale). Si prevede l’impiego di animali da allevamento quali galline, conigli, animali da cortile e animali per attività didattica e di riabilitazione, con particolare riferimento all’onoterapia. L’iniziativa, inoltre, intende sostenere le famiglie in un percorso di coinvolgimento e responsabilizzazione che ne migliori la qualità della vita, l’accesso ai servizi, la reale partecipazione all’intervento e la sostenibilità dello stesso. Si intende, infine, realizzare attività didattiche formative ed educative con il coinvolgimento delle scuole e interventi sul territorio per la valorizzazione e la tutela dell’ambiente, dei beni comuni, del paesaggio, dei percorsi naturalistici ed enogastronomici, per favorire una reale integrazione e socializzazione dei destinatari dell’iniziativa all’interno della comunità locale.

Responsabile: ASSOCIAZIONE MAI PIÙ SOLI

Partner:

ASL SALERNO
ASSOCIAZIONE GIOVAMENTE
ASSOCIAZIONE LA VITA DENTRO
ASSOCIAZIONE MACROVERSO
COMUNE DI MONTECORVINO PUGLIANO
FEDAGRI REGIONE CAMPANIA
FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ SALERNITANA
FRIDA: ASSOCIAZIONE CONTRO LA VIOLENZA DI GENERE
ISPPREF – ISTITUTO DI PSICOLOGIA E PSICOTERAPIA RELAZIONALE E FAMILIARE
PRS – PROGETTAZIONE E RICERCA SOCIALE
STALKER COOPERATIVA SOCIALE

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Rugby nel cuore dalle isole Fiji

I mari del sud

I mari del sud

Mosese Tavutunawailala, per gli amici Mojee, è un bel ragazzo di 27 anni delle Fiji, dal cognome impronunciabile e dal sorriso disarmante. Gioca come centro della squadra di rugby di Arvalia di Corviale periferia popolare di Roma e la sua storia e il suo arrivo in Italia hanno il sapore della magia che si respira in una commedia romantica. Cosa ti ha spinto a lasciare le isole Fiji per venire in Italia? Giocavo in una squadra importante ma mi ero infortunato e così passavo il tempo della convalescenza in spiaggia. Un giorno ho incontrato una ragazza italiana, di Roma, che lavorava in Australia e che si era presa qualche giorno di vacanza da passare alle Fiji. È stato un colpo di fulmine, non ci siamo più lasciati. Lei non solo non è più tornata in Australia, ma neanche in Italia ed io ho passato tutta la convalescenza con lei, sono guarito ed ho ripreso a giocare. Federica, così si chiama, ha così deciso di rimanere con me alle Fiji, abbiamo cominciato a convivere e dopo quattro mesi ci siamo sposati. E poi cosa vi ha fatto cambiare idea e trasferire in Italia? E come è stato l’impatto da un paradiso terrestre al caos di Roma? Dopo circa sei mesi la famiglia di Federica ha avuto dei problemi che hanno reso necessaria la sua presenza in Italia. Per me non ci sono stati tanti problemi, il mio unico pensiero era: “Ma in Italia si gioca a rugby?” Ho chiesto, molto preoccupato, alla mamma di Federica. Perché sapevo che c’era una nazionale di rugby, ma sapevo anche che non c’era e non c’è una vera e propria tradizione rugbistica come nel mio Paese. Noi giochiamo a rugby e non a pallone. Noi abbiamo il rugby nel sangue. I bambini nelle strade con qualsiasi oggetto s’inventano una partita di rugby, in più c’è tutta una filosofia legata alle nostre danze di guerrieri che hanno significato di rispetto dell’avversario che sapevo non esistere in Italia. Eppure, nonostante l’Italia non fosse la patria del rugby, sei arrivato lo stesso qui. Sì, l’amore per mia moglie mi ha fatto superare ogni paura e diffidenza. E poi comunque quando siamo arrivati nel 2008, ho cominciato subito a cercare lavoro e a fare provini in alcune squadre del nord, dove c’è più tradizione nel rugby. Ho anche giocato in una squadra di serie A, però purtroppo ho avuto grandi difficoltà, perché nonostante fossi sposato con una italiana, per la federazione continuavo ad essere straniero e quindi ad avere problemi di tesseramento, di regole e così via. Cosa ti ha portato poi a Roma? Per prima cosa sono nate le nostre bellissime gemelle e così, visto che Federica aveva una casa vicino Corviale e aveva anche maggiori possibilità di trovare lavoro, siamo rientrati a Roma. All’inizio non è stato per niente facile. Roma è una città caotica, molto lontana dal mio mondo. È enorme e in più nel quartiere ci sono state anche delle insofferenze, mi chiamavano negro, e anche se sono stati episodi sporadici mi hanno comunque fatto pensare e preoccupare, anche per le mie figlie. L’incontro con la squadra di rugby Arvalia di Corviale come è avvenuto? Un giorno ero per strada e giocavo a rugby con una palla improvvisata. Si è fermato un ragazzo che fa parte della squadra maggiore dell’Arvalia e mi ha chiesto se volevo andare con lui presso il campo che si trova proprio sotto Corviale. È stato anche lì un colpo di fulmine. Ho incontrato persone meravigliose, che attraverso il rugby cercano di aiutare tanti ragazzi ad uscire da situazioni difficili, questo è un quartiere ad alto livello di disagio e loro credono in questo sport e mi hanno dato una nuova chance. Fai parte della squadra maggiore, per cui immagino che tu sia la loro stella. In fondo deve essere entusiasmante trasmettere ai ragazzi il senso di squadra, l’etica del rugby, e anche la velocità, le dritte di questo sport che voi avete nel sangue. Diciamo di sì. Cerco di trasmettere loro le regole che fanno grande questo sport, il senso di sacrificio, cosa non facile nei giovani di oggi e in un quartiere così, ma anche le furbizie atletiche, i passaggi in velocità, che per la verità gli italiani non hanno proprio nel loro dna. E poi i fondatori di Corviale Salvatore Gallo, Fabio Di Giovannantonio, mi hanno anche dato la possibilità quella di lavorare come barman nella zona ristoro del circolo, incrementare così le mie entrate. In pratica ho trovato una nuova famiglia. Ma insegni loro anche la danza maori, quella che per esempio fa sempre la nazionale delle Fiji quando gioca le sue partite? Assolutamente no! La danza guerriera fa parte della nostra tradizione, non è un gioco, è insita in noi e nel nostro concetto di rispetto dell’avversario, del nemico. Le tue bambine hanno difficoltà a scuola a farsi chiamare per cognome, è lunghissimo. Anch’io pensavo, e invece tutti i loro compagni lo dicono in un soffio come una filastrocca. Tavutunawailala.

Antonella Matranga
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il rugby a Corviale non ha eta




Cinema. Oscar, il corto “Tiger Boy” in corsa per le nomination

Cinema/Oscar, il corto "Tiger Boy" in corsa per le nominationL’Academy of Motion Picture Arts and Sciences ha selezionato il pluripremiato cortometraggio del regista italiano Gabriele Mainetti, “Tiger Boy”, tra i dieci finalisti per la nomination all’Oscar – categoria “live action short” – all’86esima edizione degli Academy Awards. Per poter accedere alla prima selezione degli Oscar un cortometraggio deve aver vinto un premio Academy® Accredited (premio riconosciuto dall’Academy).

Ne esistono circa 120 sparsi tra Festival Internazionali di grande prestigio. “Tiger Boy” il suo lo ha conquistato al Flickerfest in Australia. Di questi 120 i migliori dieci competeranno per le nomination. Il corto di Mainetti è uno dei dieci finalisti. Le nomination saranno annunciate il 16 gennaio 2014.

“Tiger Boy” si è distinto per aver vinto il Nastro d’Argento 2013, il riconoscimento italiano più importante per la sua categoria. Il piccolo protagonista, Matteo, aveva già impressionato la giuria del Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici, colpita dalla forza narrativa dell’opera: “Ina storia violenta raccontata con particolare delicatezza, per una molestia ripetuta e umiliante, che diventa riscatto e liberazione negli occhi di un bambino, vittima della pedofilia, capace di gettare la maschera solo quando si libera del proprio aguzzino”.

Tanti gli apprezzamenti per il cortometraggio di Gabriele Mainetti: l’opera è stata finalista al Globo d’Oro 2012 e al David di Donatello 2012, è arrivata seconda al 42esimo Giffoni Film Festival – Generator +13, si è aggiudicata il Premio Emidio Greco al Festival del Cinema Europeo di Lecce 2013 e il Premio Studio Universal al Maremetraggio 2013. Vincitore del Grand Prix du Film Court de la Ville de Brest al 27esimo Brest European Short Film Festival (Francia), “Tiger Boy” ha inoltre partecipato al 28esimo Santa Barbara International Film Festival (USA) come unico corto europeo in concorso, grande riconoscimento per il giovane regista da sempre affascinato ed influenzato dal cinema a stelle e strisce.

“Tiger Boy” è la storia di Matteo, un bambino di nove anni che si crea una maschera identica a quella del suo mito, “Il Tigre”, wrestler del popolare quartiere romano di Corviale. La maschera diventa una seconda pelle per Matteo e non vuole togliersela per nessuna ragione. Quello che a prima vista viene scambiato per un capriccio, in realtà è una drammatica richiesta d’aiuto che nessuno riesce a cogliere. Il dramma di “Tiger Boy” è al centro del cortometraggio realizzato nel 2012 dal regista Gabriele Mainetti, su soggetto e sceneggiatura di Nicola Guaglianone. Interpreti d’eccezione, il piccolo Simone Santini al suo esordio e gli attori italiani Lidia Vitale e Francesco Foti. Tiger Boy non è un esordio alla regia per Gabriele Mainetti, già apprezzato per il corto “Basette” del 2010 e per altri cortometraggi.

Il regista sta ora lavorando al suo primo lungometraggio “Lo chiamavano Jeeg Robot” (prodotto da Goon Films), che uscirà sul grande schermo nel 2014.

Questa è una notizia dell’agenzia TMNews.

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scheda film




Consumo netto di suolo zero

suolo«Entro il 2020 le politiche comunitarie dovranno tenere conto dei loro impatti diretti e indiretti sull’uso del territorio, a scala europea e globale, e il trend del consumo di suolo dovrà essere sulla strada per raggiungere l’obiettivo del consumo netto di suolo zero nel 2050». Ma cominciare domani è già troppo tardi
La necessità di limitare il consumo di suolo e in particolare di suolo agricolo (8 metri quadrati al secondo, secondo i dati di ISPRA) è ormai entrata a tutti gli effetti nell’agenda politica nazionale. Dopo il DDL Catania, presentato dall’omonimo Ministro del governo Monti e arrivato fino all’approvazione della Conferenza Stato-Regioni, nell’attuale legislatura sono stati depositati tre disegni di legge di iniziativa parlamentare che hanno come obiettivo dichiarato la limitazione del consumo di suolo, a cui va aggiunto un ulteriore disegno di legge promosso direttamente dal governo Letta.
Questi disegni di legge hanno suscitato un acceso dibattito sui principali quotidiani trovando critici e sostenitori. Senza entrare nel merito del dibattito, un dato abbastanza sorprendente è che nessuna delle quattro proposte pare prendere le mosse dagli indirizzi e dai principi espressi in tema di consumo di suolo a livello comunitario. Nella comunicazione della Commissione Europea “Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse” [COM(2011) 571] uno specifico capitolo viene dedicato a terra (Land) e suoli (Soils). Per queste risorse, considerate a un tempo strategiche e vitali, viene fissato un obiettivo molto ambizioso e insieme di vasta portata per quanto comporta a livello urbanistico e territoriale: entro il 2020 le politiche comunitarie dovranno tenere conto dei loro impatti diretti e indiretti sull’uso del territorio, a scala europea e globale, e il trend del consumo di suolo dovrà essere sulla strada per raggiungere l’obiettivo del consumo netto di suolo zero nel 2050.
Purtroppo nella versione italiana della Comunicazione questo fondamentale principio del consumo netto di suolo zero (no net land take) non viene adeguatamente riportato e forse ciò può spiegare il suo mancato richiamo nei disegni di legge citati. Manca infatti nella traduzione italiana la parola chiave “netto”, un aggettivo solo all’apparenza accessorio che è stato invece volutamente inserito per le profonde implicazioni che sottende.
Consumo netto di suolo zero non significa infatti congelare l’infrastruttura urbana impedendo in assoluto di occupare nuovo territorio. Al contrario esso consente l’occupazione di spazi liberi purché questo avvenga a saldo zero, de-sigillando o ripristinando ad usi agricoli o seminaturali aree di pari superficie in precedenza urbanizzate e impermeabilizzate. E’ questa una specificazione fondamentale che introduce anche nella pianificazione urbanistica e territoriale il principio del riciclo e dell’economia circolare, già espresso nella strategia Europa 2020, con l’obiettivo finale di disaccoppiare lo sviluppo urbano dal consumo della risorsa suolo.
Con l’introduzione del termine “netto”, l’obiettivo del consumo di suolo zero da vincolo di fatto impraticabile si trasforma in motore di una nuova stagione di trasformazione urbana, fondata sulla riqualificazione dell’esistente e sul ridisegno del territorio urbanizzato, che non deve essere più considerato come un dato acquisito e irreversibile, ma come un corpo suscettibile di essere ridisegnato e ricucito secondo nuove e più funzionali orditure in grado anche di recuperare i guasti di uno sviluppo passato, di carattere spesso incontrollato e disperso, rivelatosi alla fine inefficiente ed anti-economico.
La sfida qui, più che fissare degli obiettivi quantitativi di consumo di suolo o enunciare principi generali di riuso che vengono poi sistematicamente disattesi, è quella di trovare gli strumenti e i meccanismi regolativi che consentano di avviare questo processo di rigenerazione urbana a consumo netto zero garantendo l’indispensabile sostenibilità economica degli interventi edilizi e infrastrutturali, sia per gli operatori immobiliari privati che per i soggetti pubblici.

E’ in quest’ottica, e come strumento di accompagnamento all’obiettivo fissato dalla Comunicazione sull’uso efficiente delle risorse, che la Commissione Europea ha successivamente pubblicato le Linee guida sulle migliori pratiche per limitare, mitigare e compensare l’impermeabilizzazione del suolo [SWD (2012) 101].
Il documento si rivolge agli Stati membri, agli enti locali, agli operatori del settore e in generale ai cittadini e ha come fine quello di fornire informazioni sul livello di impermeabilizzazione del suolo nell’Unione Europea, sulle cause e gli impatti, nonché sugli esempi di buone pratiche per contrastarlo. L’impermeabilizzazione del suolo è uno degli effetti del “consumo di suolo”, ma non coincide con quanto usualmente si intende con questa espressione, che riguarda piuttosto l’occupazione di aree agricole o semi-naturali per usi urbani (land take). In media circa la metà delle superfici urbanizzate risultano effettivamente impermeabilizzate con totale perdita delle funzioni del suolo. Anche in questo caso l’ordine delle parole del titolo non è casuale o secondario, ma stabilisce una precisa gerarchia di priorità in vista del raggiungimento dell’obiettivo più generale di fermare l’incremento di superfici impermeabilizzate e quindi il consumo effettivo di suolo.
Limitare l’impermeabilizzazione resta il principio di fondo che deve avere sempre la priorità su mitigare e compensare gli impatti, in quanto la perdita di suolo è di fatto irreversibile . Ai fini della limitazione è importante fissare obiettivi quantitativi che devono però essere accompagnati da adeguate misure di monitoraggio e controllo. La mitigazione interviene quando si occupano nuove aree per ridurre in situ le conseguenze negative dell’impermeabilizzazione del suolo, ad esempio utilizzando materiali di copertura permeabili che garantiscano l’invarianza idraulica. La compensazione dovrebbe essere utilizzata solo quando non è possibile limitare e mitigare e si traduce in interventi in aree diverse da quelle occupate per “compensare” su scala territoriale la perdita di funzioni dei suoli impermeabilizzati. Esempi di compensazione sono: il riutilizzo del suolo rimosso per ripristini in altri luoghi, la bonifica di siti contaminati, la rimozione o sostituzione di coperture impermeabili (manti stradali, edifici) con ripristino a verde (de-sealing), l’imposizione di un extra onere da utilizzare per interventi di tutela e risanamento dei suoli. In Europa, in particolare in Olanda e Germania, la compensazione è già oggi obbligatoria sia per gli interventi infrastrutturali che per le nuove lottizzazioni.
Sebbene la compensazione venga ultima come ordine di priorità nella gerarchia delle linee guida, essa agisce da rinforzo per limitare il consumo di suolo e può diventare la chiave per attuare la politica del consumo netto di suolo zero, soprattutto se intesa come ripristino di aree precedentemente occupate. E’ quello che succede in città come Dresda o Stoccarda dove sono stati introdotti regolamenti urbanistici che vincolano la costruzione sul terreno libero al recupero e ripristino, da parte del soggetto attuatore, di altri spazi già impermeabilizzati presenti all’interno del Comune.
Si tratta di fatto di una sorta di perequazione che attribuisce crediti di impermeabilizzazione a spazi costruiti relitti o inutilizzati (edifici e strutture con relative pertinenze in disuso quali parcheggi, aree cortilizie, piazzali) che una volta acquisiti attraverso il ripristino preventivo possono essere sfruttati per nuova occupazione di suolo in altre aree individuate dalla pianificazione comunale. E’ un modo questo di attivare un motore di riciclo delle aree urbane che consente di ridisegnare le città a parità di occupazione di suolo.
La priorità nelle politiche di contenimento del consumo di suolo rimane comunque quella di favorire la rigenerazione e riqualificazione del tessuto urbano esistente intervenendo sulle aree dismesse e sul patrimonio edilizio. Questo si interseca con un altro pilastro della strategia di Europa 2020 che è quello della de-carbonizzazione dell’economia e della transizione energetica. Un terzo dei consumi energetici, a livello nazionale come comunitario, proviene dal settore domestico e abitativo. La stragrande maggioranza degli immobili sono stati costruiti prima degli anni `90 e presentano pessime prestazioni energetiche (in molti casi consumi superiori di 10 volte alla classe A), bassa qualitá abitativa, inadeguati accorgimenti antisismici. Se si vogliono raggiungere gli obiettivi comunitari di riduzione delle emissioni e del consumo di combustibili fossili è soprattutto lì che bisogna intervenire
La “grande opera” del futuro deve quindi essere la riqualificazione edilizia promuovendo il riciclo delle aree e dei materiali di costruzione, nonché l`uso di tecniche di bio-edilizia che valorizzino le filiere produttive locali. Per fare questo bisogna approntare adeguate politiche regolative, fiscali e di facilitazione al credito con l`obiettivo di rendere più conveniente il recupero dell`esistente piuttosto che la costruzione del nuovo e orientare di conseguenza il mercato immobiliare. Tra queste azioni, oltre al vincolo del consumo netto di suolo zero, si annoverano:
defiscalizzazioni per interventi di ristrutturazione, di adeguamento sismico e di miglioramento energetico sulla base del modello già sperimentato con successo del 55 e ora 65%;
esenzione dal pagamento degli oneri di urbanizzazione, riduzione di altri oneri (occupazione di suolo pubblico, permessi, conversioni di uso), possibilità di incentivi volumetrici per interventi di riqualificazione, recupero, ristrutturazione che comportano un significativo abbattimento dei consumi energetici e delle emissioni;
forme agevolate di finanziamento e di ulteriore esenzione fiscali per condomini che deliberano di investire nella riqualificazione dell`immobile;
promozione e facilitazione d interventi sullo schema ESCO (Energy Service Company) con rafforzamento dello strumento incentivante dei certificati bianchi e del conto termico;
riforma della fiscalità comunale con disaccoppiamento delle entrate dal consumo di territorio e divieto di utilizzo degli oneri di urbanizzazione per la spesa corrente;
Ecco quindi che l’obiettivo comunitario del consumo netto di suolo zero va inteso non solo come un vincolo di una politica ambientale tesa a tutelare una risorsa strategica e vitale come il suolo, ma anche come stimolo e propulsore per avviare il grande cantiere della riqualificazione e del riassetto urbano in grado di rilanciare il settore delle costruzioni e di rendere al contempo più sostenibili e vivibili le nostre città. E’ solo su queste basi che si può uscire dalla crisi e costruire un reale e duraturo sviluppo coniugando le esigenze di sostenibilità e di tutela ambientale con quelle altrettanto stringenti di garantire lavoro e reddito di impresa.

postilla
Mi domando quale sarebbe il risultato di questa compensazione in Italia, dove l’unica legge rispettata dai forti è l’elusione della legge, deve la rendita e i “diritti edificatori”imperano, e dove la pubblica amministrazione è sempre meno motivata, autorevole, competente e attrezzata.
di NICOLA DALL’OLIO
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La bottiglia con la candeggina che illumina gratis trionfa nelle periferie di tutto il mondo

bottigliaAlfredo Moser è un meccanico brasiliano che ha avuto un’idea brillante nel 2002, dopo aver subito uno dei frequenti black-out che interessano Uberaba, la città dove vive nel sud del Brasile.

Stanco di guasti elettrici, Moser ha iniziato a giocare con l’idea della rifrazione della luce solare in acqua e in poco tempo ha inventato la “lampadina dei poveri”. “Wit” è semplice e disponibile a chiunque: una bottiglia di plastica riempita d’acqua da due litri a cui si aggiunge un po’di candeggina per preservarla dalle alghe. Il flacone è stato posto in un foro nel tetto e dotato di resina poliestere.

Il risultato? Illuminazione libera e organica durante il giorno, particolarmente utile per gli edifici e baracche che a malapena hanno finestre.

A seconda dell’intensità del sole, la potenza di queste lampade artigianali si aggira tra i tra 40 e i 60 watt. “E ‘una luce divina. Dio creò il sole e la sua luce è quindi per tutti “, ha riferito Moser alla BBC . “Non costa un centesimo ed è impossibile che si fulmini.”

Anche se l’inventore ha ricevuto piccole ricompense per le installazioni di Wit nelle case e in aziende locali, la sua idea non lo ha reso ricco.
Un grande senso di orgoglio: «Conosco un uomo che ha inserito le bottiglie e in un mese aveva risparmiato abbastanza per comprare beni di prima necessità per il loro bambino appena nato”, dice soddisfatto.
Un’idea che si è diffusa in tutto il mondo.

Ma la lampadina geniale non si è fermata a Uberaba. Negli ultimi due anni l’invenzione ha subito una grande espansione in tutto il mondo.

Ad esempio, la Fondazione MyShelter (mio rifugio) nelle Filippine ha accolto con entusiasmo l’idea. MyShelter è specializzata in costruzioni alternative utilizzando materiali come il bambù, pneumatici o su carta.

In Cina, dove il 25% della popolazione vive sotto la soglia di povertà e l’elettricità è particolarmente costosa, ci sono 140.000 famiglie che hanno fatto ricorso a questo sistema di illuminazione.

Il direttore esecutivo del MyShelter, Illac Angelo Diaz spiega che bottiglie-lampadine sono diffuse ad almeno quindici paesi, tra cui India, Bangladesh, Fiji e Tanzania.

“Non ho mai immaginato che la mia invenzione avrebbe avuto un tale impatto”, afferma Moser. “Solo a pensarci mi viene la pelle d’oca.”
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