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Le Corbusier – Unité d’Habitation de Marseille

la costruzione

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Allarme web, gli umani sono in minoranza: il 60% del traffico online generato dai robot

robotUn’analisi della società specializzata Incapsula conferma il sorpasso di marzo: meno di quattro utenti su dieci di internet sono persone in carne e ossa. Gli altri? Programmi automatizzati per funzioni legittime, come motori di ricerca, o intenti maligni fra cui furto di dati e cyber attacchi. E la crescita non sembra arrestarsi
SORPRESA. Il web non è in mano agli umani ma a un’altra specie, a volte invasiva e pericolosa, e senz’altro meno nota al navigatore medio. Quella dei bot, abbreviazione per “robot”, ma non veri e propri androidi: piuttosto, programmi e funzioni automatizzate che svolgono su internet i compiti più disparati, buoni e cattivi: dalle scansioni dei motori di ricerca alle duplicazioni maligne di dati personali fino agli attacchi più devastanti. A certificare il sorpasso, di cui si era già avuto un primo segnale lo scorso marzo, è Incapsula, una società specializzata statunitense che della lotta ai robot della Rete ha fatto il suo core business.

Secondo una colossale indagine il 61,5 per cento del traffico sul World Wide Web è dunque da attribuirsi a entità non umane. Insomma, non arriva da ricerche, letture, navigazioni, download e forum – tutte queste attività si fermano al 38,5 per cento – ma da azioni automatizzate. Il cuore della ricerca è costituito dall’analisi di quasi un miliardo e mezzo di visite di bot a 20mila siti internet di 249 Paesi del mondo negli ultimi novanta giorni. Dai blog personali ai negozi elettronici, dai portali governativi ai siti delle big company passando per quelli di istituzioni finanziarie e forum: per quanto scivolosa sia questa posizione, da Incapsula sostengono che la selezione sia rappresentativa del mare magnum di internet. Rispetto all’ultima rilevazione il traffico prodotto dai bot ha subito un’impennata del 21 per cento fino a toccare appunto la maggioranza assoluta di quello complessivo. “La maggior parte di questa crescita è da attribuire all’incremento di visite da parte dei cosiddetti bot buoni – raccontano da Incapsula – vale a dire agenti certificati di software così come motori di ricerca, la cui presenza è cresciuta dal 20 al 31 per cento negli ultimi dodici mesi”.
di SIMONE COSIMI
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Google: mea culpa di Eric Schmidt, “grave errore non credere nei social network”

googleFine anno amaro quello di Google, almeno stando alle parole del Ceo Eric Schmidt che, intervistato da Bloomberg, ha ammesso che il non credere all’ascesa dei social media ha rappresentato il più grande errore dell’azienda. A parziale difesa dell’atteggiamento di Big G c’era il fatto che “eravamo impegnati a lavorare su molte altre cose, ma avremmo dovuto essere in quell’ambito e mi prendo la responsabilità di quanto accaduto”. ”Ed è un errore – ha aggiunto – che non commetteremo più”

Schmidt ha guidato Google come amministratore delegato dal 2001 fino al 2011 quando divenne presidente esecutivo, proprio durante l’affermazione di Facebook che, nato nel 2004, è progressivamente diventato il più grande social network del mondo con più di 1 miliardo di utenti che utilizzano il servizio ogni giorno. Google+, il social network di Google, arriva solo nel 2011 ed ora le due grandi hanno ingaggiato un braccio di ferro da cui dipendono milioni di dollari di investimenti pubblicitari.

E per il futuro Schmidt non ha dubbi: il mobile vincerà su tutti i fronti. Inoltre “l’arrivo dei big data e della machine intelligence” segnano l’inizio per nuovi servizi, basati sulla capacità di individuare e classificare le persone. Fattori che cambieranno e impatteranno su “ogni business a livello mondiale.”
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Un boss in salotto

Un-Boss-In-SalottoUn film di Luca Miniero. Con Paola CortellesiRocco PapaleoLuca ArgenteroAngela FinocchiaroAlessandro Besentini.

Cristina Coso (Cortellesi) vive in un lindo ed ecologico chalet in Trentino con il marito Michele (Argentero) ed i figli Fortuna (Lavinia de’ Cocci) e Vittorio (Saul Nanni); lei è la tipica moglie del nord: efficiente e ambiziosa è sempre pronta a sollecitare il mite marito a farsi avanti nel lavoro ed i figli ad eccellere negli studi e nel cogliere le occasioni di promozione sociale che l’ambiente scolastico – o, nel caso di Fortuna, una scuola di danza – possono offrire. Tutto  bene quindi; non esattamente perché Cristina non è proprio una trentina doc : viene dalla Campania e si chiama Carmela  e ha cancellato il proprio passato;  un brutto giorno, però, viene convocata   in commissariato  e lì due poliziotti (Marco Marzocca e Massimo De Lorenzo) le comunicano che il fratello Carmine (Papaleo) , accusato di essere un boss della camorra, ha indicato la casa della sorella quale domicilio , in attesa del processo che lo vede imputato .Cristina/Carmela è costretta ad introdurre nella sbigottita famiglie il fratello in perfetta mìse cafona , con tanto di catene d’oro e stuzzicadenti. Michele, in particolare, vede vicina la propria fine quando il suo datore di lavoro, Carlo Manetti (“Ale” Besentini) si presenta a cena con la spocchiosa moglie Doriana (Finocchiaro) e i due vengono messi in fuga da Carmine che si finge maggiordomo rumeno ma vuole far loro pagare i soprusi con cui il loro figlio martirizza Vittorio. Quando , però, la  verità viene fuori tutto cambia : Manetti , sperando in un intervento di denaro riciclato della camorra, fa fare un carrierone a Michele e la porta della loro casa si spalanca per i Coso , lo strozzino che prestava soldi a Michele (è così che lui zittiva le pretese di Cristina) dichiara soddisfatto ogni suo credito e persino la scorbutica vicina (Giselda Volodi,  bravissima) si concede sfacciatamente a Carmine . Al processo , però, tutti i testimoni ( i Ditelo Voi in vari travestimenti) scagionano Carmine ,piccolo delinquente che voleva solo essere un po’considerato.

Il napoletano Miniero, dopo varie incursioni nel grottesco – da solo o in coppia con Paolo Genovese – ha incontrato il successo con “Benvenuti al sud” e lo ha confermato con “Benvenuti al nord” , entrambi prodotti da Cattleya ; ora la produzione e il regista ripropongono  la stessa formula : il sud cialtrone e un po’ miserabile ma di cuore sincero che incontra ed affascina il nord malato di un efficientismo di maniera. Se a questo si aggiunge la riproposizione del duo di successo di “Nessuno mi può giudicare”: Cortellesi-Papaleo , l’utilizzo , anche parecchio forzato, dei due caratteristi lanciati dai due “Benvenuto..”: Salvatore Misticone e Nunzia Schiano , addirittura avendo scelto Ale per il ruolo dell’imprenditore,  il dare a Franz un minuscolo cameo per dichiarare la coppia nei titoli, ci troviamo di fronte ad una operazione produttiva assai astuta e funzionale. I primi risultati al botteghino danno ragione ai prodotturi, perciò onore al merito: in fondo  – e per una commedia è un vero complimento – è come passare due orette in compagnia di vecchi compagni di goliardia, un po’ prevedibili ma simpatici .

 

 




I HAVE A DREAM

romaGennaio 2014, potrebbe essere il mese che inaugura un anno di svolta per le politiche culturali romane. Una rinnovata classe politica che riesce a riformare il sistema culturale capitolino, anche alla luce del deprimente, desolato e confuso panorama del dicembre appena trascorso.
Purtroppo gli ultimi sette mesi non hanno brillato per grosse riforme, ma neanche per azioni come segnali di discontinuità dalle politiche precedenti. Roma rimane la città dei grandi poteri e delle lobby che tracciano le linee guida della politica territoriale.
I debiti con artisti e teatri continuano ad accumularsi, complici bandi uguali negli anni, emessi senza copertura economica (vd cultura.lazio.it). Poli strategici come il museo d’arte contemporanea (Macro) aspettano da mesi un direttore. I teatri e i cinema chiudono, anche se in attivo. Il 17 dicembre, il CdA della Fondazione Roma Europa, in seguito ai tagli economici di novembre e all’incertezza per i finanziamenti pubblici locali per il 2014, conferma la decisione di cancellare la sua stagione 2014 del Teatro Palladium. Il 23 dicembre, ancora non c’ è un accordo sulle cariche ai vertici del Teatro di Roma. L ‘ assemblea dei lavoratori esprime preoccupazione, per la mancanza di responsabilità e di attenzione nei confronti di una struttura pubblica che garantisce ogni anno almeno 400 assunzioni tra personale artistico e tecnico. Il 31, un anno esatto di chiusura del Teatro India.
I have a dream è la scritta beffarda che mi ispira, mentre scrivo in un locale di San Lorenzo. Bianca sul fondo nero, nel basso della fantastica mappatura della Roma metropolitana. Stazioni in ogni quartiere e snodi di scambio con tram elettrici e frotte di autobus puntuali, che permettono di attraversare la città in poco tempo. Non voglio svegliarmi, preferisco continuare a sognare strade sicure perché illuminate da negozi, teatri, bar, aperti fino a sera tarda, popolate da turisti e residenti rapiti da una offerta culturale eccellente.
Immagino cittadini coinvolti nella pianificazione delle scelte, attraverso consulte permanenti che ne tutelino interessi e benessere, da una classe politica attenta. Sogno una piattaforma di interventi strutturali organici, per il futuro culturale di questa città, una grande metropoli che mette in risalto le sue risorse, supportando ed orientando alla produzione gli artisti e le compagnie.
Immagino un 2014 dove gli assessori alla cultura, alla formazione e al demanio lavorino insieme, per garantire la produzione artistica ed il rinnovamento degli spazi attraverso la produzione culturale. Immaginiamo un sistema accessibile, con semplici modalità per accedere ai fondi pubblici che favoriscano progettualità a lungo termine. Immagino un sistema di nomine che garantiscano il lavoro per competenze e non per conoscenze e raccomandazioni. Visualizzo poche aziende comunali con un bilancio adeguato ed amministrazioni competenti e corrette, distinte dal partito di maggioranza di turno.
Vorrei un centro culturale in ogni quartiere, soprattutto in periferia, possibilmente ricavato da uno dei numerosi spazi abbandonati. Fondi europei trovati da efficienti uffici comunali per la ristrutturazione ed un finanziamento pluriennale. L’ incremento della piccola impresa sociale e locale, cogestita tra pubblico e privato, dove i residenti ed i cittadini sono i primi a verificare e orientare le strategie di progettualità a lungo termine. Un senso di appartenenza ad un sistema culturale che possa aiutarci ad accompagnare gli studenti ad una crescita in senso civico, attraverso lo sviluppo delle capacità artistiche e la formazione a canoni culturali che si discostano sempre di più dal modello televisivo italiano.




L’auto ad aria compressa è fatta coi Lego: così un ragazzo romeno “costruisce” il futuro

autoUn ventenne ha realizzato un veicolo realmente funzionante con 500.000 mattoncini delle note costruzioni. Arriva a 27 km/h e i risultati dei primi test sono buoni. Ci ha lavorato per 20 mesi
SI POTREBBE dire che vent’anni sono tanti per giocare con le costruzioni. Ma forse sarebbe il caso di non dirlo davanti al risultato di Raoul Oaida, un ragazzo romeno che a quell’età ha scelto di utilizzare i mattoncini Lego per realizzare un veicolo realmente funzionante. Con l’aiuto dell’imprenditore australiano Steve Sammartino e con una grande quantità di mattoncini, Raoul è riuscito a realizzare una automobile ad aria compressa a grandezza reale e perfettamente in grado di muoversi. Tutto, tranne ovviamente le ruote, è costruito con i Lego, da sempre giocattolo votato ai piccoli ma anche ai grandi ingegneri. Non è la prima volta che Raoul stupisce il mondo coi mattoncini: nel 2012 il ragazzo aveva già realizzato uno shuttle in costruzioni.

Metti un Lego nel motore. Il risultato dell’impresa è una monoposto Hot Rod capace di raggiungere una velocità massima compresa tra 19 e 27 chilometri orari, e non solo: va ad aria compressa, un progetto quindi impatto zero sull’ambiente. L’auto è dotata di un sistema di propulsione composto da quattro motori orbitali a loro volta formati da 256 pistoncini, ovviamente realizzati anch’essi usando i popolari mattoncini dell’azienda danese. La costruzione di questo originale prototipo rientra in quello è stato chiamato “Super awesome micro project”, un’idea avviata ad aprile 2012 e costata complessivamente 60.000 dollari finanziati da 40 persone conquistate dalla genialità di Oaida.
L’auto ad aria compressa ha richiesto 20 mesi di lavoro e l’impiego di oltre 500.000 pezzi di Lego. Necessari a realizzare tutta la carrozzeria, l’abitacolo e il motore, con la sola eccezione di cerchi, pneumatici e i manometri della strumentazione. Una volta realizzata in Romania, la vettura è stata spedita in un luogo segreto in Australia al fine di poter effettuare un test su strada, facendo registrare però qualche danneggiamento durante il viaggio che Oaida ha prontamente sistemato. Rimettendo i mattoncini dove si erano staccati. Probabilmente la Lego Hot Rod non diventerà un progetto commerciale. Ma forse la soluzione della crisi dell’automobile passa dai sogni d’infanzia, quelli in cui si immaginavano le macchine da costruire, e che magari potessero viaggiare senza inquinare e far rumore.
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2.000 pannelli fv per la più grande centrale solare di Parigi

halle_2I pannelli sono stati installati sul tetto delle Halle Pajol, un vecchio deposito delle ferrovie presso la Gare de l’Est
Progettata dall’architetto Françoise – Hélène Jourda, la centrale solare Halle Pajol di Parigi è uno degli edifici più importanti per la città in quanto a produzione di energia rinnovabile. Il nuovo edificio nasce della riqualificazione del vecchio deposito del XIX secolo delle ferrovie francesi Halle Pajol. Il vecchio telaio metallico è stato trasformato dall’architetto nell’involucro protettivo esterno dell’edificio, contenente i volumi in legno della nuova struttura, materiale che ha permesso agli interni di essere perfettamente isolati sia termicamente che acusticamente.
PARCO INTERNO. Altra caratteristica del progetto è il parco interno (8.000 mq) che, oltre a contenere una ricca scelta di biodiversità, potrà essere in parte anche utilizzata dai cittadini per coltivare ortaggi o fiori. Per il sistema di irrigazione, l’architetto ha deciso di utilizzare esclusivamente l’acqua piovana in modo tale da azzerare i consumi idrici della struttura.
ENERGIA IN ECCESSO. Dato che si tratta di una centrale fotovoltaica non potevano ovviamente mancare i pannelli solari che producono circa 4.000 kWh di energia l’anno. Il tetto dell’edificio ne accoglie bel 2.000 per 3.500 mq di superficie orientati a sud ed inclinati di 30°, grazie alla copertura dentata a “Shad”. , L’energia prodotta non solo è sufficiente a soddisfare il fabbisogno energetico dell’intero edificio, ma se prodotta in eccesso verrà rivenduta alla società di servizi Electricité de France, ripagando una parte degli 1,6 mln di euro del costo di progetto.
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VD > Indovina chi viene a Natale?

natale--638x366Un film di Fausto Brizzi. Con Diego AbatantuonoClaudio BisioRaoul BovaCarlo BuccirossoCristiana Capotondi. Angela FinocchiaroClaudia GeriniRosalia PorcaroIsa Barzizza.

Giulio (Abatantuono) , industriale dolciario ospita, come ogni Natale, nella villa ,in cui abita  con la moglie Marina (Finocchiaro) e la mamma Emma ( Barzizza),  tutti i parenti . Arrivano così la sorella Chiara (Gerini) con i suoi due bambini e il nuovo fidanzato Domenico(Bisio), un maestro elementare molto impegnato e montessoriano, il fratellastro Amonio (Buccirosso) con la moglie Elisa (Porcaro) e i tre figli : Gaspare , Melchiorre e il piccolissimo Gennaro e la figlia Valentina (Capotondi) , che presenta in famiglia il fidanzato Francesco (Bova) , bello e gentile ma privo delle braccia . Giulio e Marina, assai liberal nell’azienda , sono scombussolati dal genero e mettono in campo varie strategie (tutte perdenti) per dissuadere la figlia, così come i figli di Chiara, per gelosia,  combinano danni su danni  , facendone ogni volta ricadere la responsabilità su Domenico; fra vari disastri – e l’atmosfera è già pesante di per sé per la recente scomparsa del capofamiglia (Gigi Proietti),  cantante di successo e padre assai assente – l’unico entusiasta è  Amonio  che compensa  con una forzata allegria natalizia il proprio essere meridionale ,povero e “fratello post-datato”. Equivoci, rivalità, bugie e ripicche sembrano compromettere tutto ma … è Natale.

Brizzi , dopo i non memorabili incassi di “Come è bello far l’amore” e di “Pazze di me”, si  rituffa sulla commedia corale ; ingaggia , per la prima volta, Abatantuono e la Finocchiaro e va giù di spirito natalizio come un giulebbe ; lui e Martani -qui si è aggiunto anche Fabio Bonifacci (“Benvenuti al sud” ,”Benvenuti al nord”, “Il principe abusivo”)- scrivono benissimo le singole scene e le gag ma l’insieme è un patchwork di situazioni e di tormentoni già visti mille volte ; gli attori sono troppo esperti per non portare a casa un risultato degno ma , su tutti, svetta Isa  Barzizza : ogni volta che c’è lei gli altri mostri sacri sono confinati, idealmente, in un angolino dello schermo.




Dai reggiseni alle stampanti 3D: “Così la produzione tornerà a casa

stampantiDai ferretti per reggiseni alle stampanti 3D che creano prototipi: l’azienda cambia pelle in modo imprevedibile e ingegnoso per costruirsi il futuro. È la storia della «Jdeal form» di Oleggio, società nata negli Anni ’50 con le stecche per i corsetti e ora arrivata a produrre sistemi utilizzati nel design spagnolo e nell’industria delle calzature sportive tedesche.
Una lunga storia

La principale attività della ditta, che ha 15 dipendenti e un fatturato al di sotto del milione di euro, è ancora incentrata sui componenti dell’abbigliamento intimo: ferretti, inserti push-up e anellini delle spalline dei reggiseni. Nel tempo è cambiata più volte cercando di cogliere al volo le richieste del mercato: «Negli Anni ’60 abbiamo lanciato linee di costumi da bagno, poi vent’anni dopo è tornato in auge il ferretto e noi abbiamo ricominciato a produrlo come facevamo prima – racconta Davide Ardizzoia, figlio del fondatore e uno dei titolari dell’azienda -. Negli Anni ’90 ci siamo concentrati sui componenti per corsetteria. Abbiamo dovuto sempre aggiornarci per combattere la concorrenza prima tunisina e marocchina, poi rumena e quindi cinese davanti a cui purtroppo abbiamo perso quote di mercato terrificanti».

La svolta epocale

Intanto però qualcosa è cambiato ancora nello stabilimento di via Monte Giudeo a Oleggio. Qualche anno fa la «Jdeal form» ha avuto necessità di un prototipo rapido per una macchina automatica che fa anellini: «Ci siamo rivolti a un service lombardo spendendo molto – racconta Ardizzoia -. La situazione si è ripetuta qualche tempo dopo per un ferretto: abbiamo aspettato così tanto che il cliente nel frattempo si è stufato e noi abbiamo buttato via dei soldi – racconta Ardizzoia -. Così abbiamo pensato di fare da soli e creare una stampantina a 3D per qualsiasi polimero termoplastificato».

Export nel mondo

Adesso questo sistema di produzione è stato richiesto dalla Germania per «pezzi» di calzature sportive, dalla Spagna per il design industriale e in Italia per impianti luce: «Siamo specializzati nelle piccole dimensioni ma a febbraio sarà pronta una stampante professionale con misure più grandi».

Per la «Jdeal form» l’innovazione ha un sapore speciale: «E’ una “vendetta” contro i colossi e la delocalizzazione che ha cancellato tante aziende italiane – sorride Ardizzoia -. Con questi sistemi la produzione tornerà vicino a casa perché non sarà più necessario comprare altrove, ad esempio, una scarpa: ce la stamperemo noi su misura».




Piano: “Con lo stipendio da senatore farò lavorare sei giovani”

periferieL’architetto ha messo un bando anonimo su Internet. Poi ha scelto architetti trentenni, “non raccomandati”
Questo è un racconto di Natale della politica. Ci voleva, in fondo a un altro anno di storiacce e scandali. Sembrava impossibile a molti e ancor di più ai sei architetti di trent’anni, tre donne e tre uomini, che da oggi e per un anno potranno lavorare a rendere più belle le periferie grazie allo stipendio da senatore a vita di Renzo Piano. Con tanti cari saluti agli eroi dell’antipolitica a Cinque Stelle che, dopo aver menato vanto di una riduzione dello stipendio del dieci per cento, avevano polemizzato a lungo contro la scelta di “buttare via soldi pubblici per dare un vitalizio ad altri senatori a vita”.

Li abbiamo incontrati ieri gli eletti, nello studio dell’architetto a Genova. Avevano le facce di bambini convocati nella fabbrica di cioccolato di Willy Wonka. Ecco l’elenco: Francesco Giuliano Corbia, 29 anni, di Alghero, laurea a Firenze e master a Barcellona in urbanistica; Eloisa Susanna, 32 anni, Cosenza, laureata alla Sapienza e collaborazione nello studio di Massimiliano Fuksas; Michele Bondanelli, 38 anni, Argenta (Ferrara), studi a Venezia e specializzato nel restauro di centri storici; Federica Ravazzi, 29 anni, Alessandria, esperta in progettazione di scuole; Francesco Lorenzi, 29 anni, romano, laureato alla Sapienza, con esperienze in Spagna, Argentina e Polonia; Roberta Pastore, 32 anni, di Salerno, laureata a Napoli e ora impegnata nel nuovo auditorium di Salerno.

Sei magnifici giovani italiani di talento, quasi tutti con la valigia pronta per tornare all’estero, dove hanno già studiato e lavorato. Finché non è arrivato questo strano bando anonimo su Internet “per un progetto sulle carceri”, senza la firma di Piano, per evitare troppa pubblicità. “Non mi aspettavo davvero di finire qui oggi”, dice Roberta, “era soltanto uno dei cento curriculum che mandi in automatico e in genere rimangono senza risposta”.

“O ancora peggio – aggiunge Francesco – che ottengono soltanto proposte indecenti di sfruttamento selvaggio per progetti orrendi. Quando una domenica sera ha telefonato lo studio Piano per fissare l’incontro ho pensato come tutti a uno scherzo”. Era invece l’occasione che ti cambia la vita e forse anche il futuro di un pezzo di Paese. Perché i lavori dei sei giovani (coordinati da tre tutor, l’ingegnere Maurizio Milan e gli architetti Mario Cucinella e Massimo Alvisi) diventeranno proposte di legge, materiale per interrogazioni parlamentari, magari progetti concreti per le disastrate periferie di Roma, Milano, Napoli, Torino, Genova.

L’idea era maturata in Renzo Piano un’ora dopo la telefonata del 30 agosto nella quale il presidente Napolitano gli annunciava la nomina. “Era l’occasione per completare un percorso”, dice Piano, “prima la nomina ad ambasciatore dell’Unesco per le periferie, poi la Fondazione, dove ogni anno accogliamo decine di giovani architetti da tutto il mondo. È anche un modo per dare un segnale di controtendenza a una generazione d’italiani ricchi di qualità, ma ormai rassegnati a non vedere riconosciuti i propri meriti. Ormai l’Italia è l’unico paese d’Europa dove i concorsi, quelli veri, non si fanno più. Qui nessuno ha avuto bisogno di conoscere nessuno, di farsi raccomandare, sono stati selezionati fra oltre seicento candidati e quasi tutti con curriculum notevolissimi “.

Il rapporto fra città e periferia è l’argomento della vita per Piano. “Fin dalla nascita, sono nato a Pegli, periferia occidentale di Genova. Da studente sessantottino a Milano andavo rigorosamente in periferia per fare politica e anche per divertirmi, ad ascoltare il jazz al Capolinea, in fondo ai Navigli. E in fondo anche oggi i miei progetti più importanti sono la riqualificazione di ghetti o periferie urbane, dall’università di New York ad Harlem, al nuovo palazzo di giustizia di Parigi nella banlieue “. Senza contare la concorrenza.

Nei centri storici italiani hanno lavorato Michelangelo, Bernini, Brunelleschi, Filarete e così via, piuttosto bene. “Appunto, quella bellezza non è merito nostro, ce l’hanno lasciata in eredità. E per fortuna abbiamo smesso di distruggerla negli anni Settanta. Il nostro compito è lasciare a chi viene belle periferie. Le cose da fare sono tante e meravigliose, se soltanto ci fosse la volontà politica. Si potrebbero ridurre in pochi anni i consumi energetici degli edifici del 70-80 per cento, consolidare le 60mila scuole a rischio sparse per l’Italia, rivoluzionare e rendere sostenibile il trasporto pubblico, fecondare le periferie con migliaia di luoghi d’incontro come piazze, mercati, ma anche auditorium, musei, palazzi pubblici. Non è possibile che l’unico luogo d’incontro delle periferie siano i centri commerciali. Sono tutti interventi che creerebbero lavoro, ricchezza, risparmio. E proietterebbero l’Italia all’avanguardia della green economy mondiale”.

È un libro dei sogni che da oggi sei giovani architetti italiani proveranno a tradurre in materiale concreto di lavoro per una nuova politica. L’anno prossimo il progetto si rinnoverà con altri sei e così ogni anno. Per questo e molto altro, lunga vita a Renzo Piano.
di CURZIO MALTESE
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