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Maker, semplici hobbisti o pionieri della rivoluzione?

stampantiStampa 3D, crowdfunding e tecnologia aperta: ecco gli ingredienti della III rivoluzione industriale
C’è chi la tecnologia la usa e basta e chi invece la smonta per guardarci dentro e capire come funziona. La prima categoria è ancora più consistente della seconda, eppure, anche se veniamo da un periodo dove, soprattutto nel tech, hanno prevalso le più sfrenate tendenze consumistiche, alcuni affermano che entro pochi anni sarà normale fabbricarsi i propri oggetti personali attraverso strumenti come le stampanti 3D, invece che comprali pronti all’uso. Dietro a quest’idea non ci sono solo pochi visionari, ma un intero movimento: il Movimento dei Maker, la cui missione è quella di aprire i cancelli della terza rivoluzione industriale attraverso la democratizzazione dei mezzi di produzione in chiave fai-da-te e l’applicazione di pratiche nate nel web al mondo fatto di atomi degli oggetti fisici.
Ma che cos’è, esattamente, il Maker Movement? Come tutti i movimenti è estremamente eterogeneo: ci sono gli appassionati di robotica, chi preferisce i sistemi di home automation, ci sono i designer, gli smanettatori di hardware opensource come Arduino e Raspberry Pi, ma troviamo anche ingegneri, hacker, amanti dei droni e professori universitari. Ma l’elemento che ricopre il ruolo di simbolo della sottocultura dei maker è la stampante 3D. Epicentro del terremoto del DIY in chiave tecnologica è la vicenda di MakerBot, il primo dispositivo opensource in grado di stampare oggetti tridimensionali, sviluppato con il supporto di una comunità molto attiva e venduto ad un prezzo abbordabile. Se negli anni ’70 per fondare una garage band bastavano poco più di una chitarra elettrica e un amplificatore, oggi per aprire un maker space bastano poco più di un computer portatile e una stampante 3D. In entrambi i casi quello che conta sono creatività e dedizione. Il primo prodotto di MakerBot si chiama Thing-O-Matic e, in effetti, condivide una certa estetica con alcuni degli strumenti musicali cari alla tradizione rock.

Chris Anderson, co-fondatore ed ex-direttore di Wired, ha recentemente abbandonato la rivista per dedicarsi a tempo pieno alla sua attività di maker lavorando all’azienda di droni opensource di cui è cofondatore, 3D Robotics. Ha scritto uno dei testi chiave per capire questo mondo, Maker. Il ritorno dei produttori, pubblicato nel 2012, in cui ci spiega come “negli ultimi dieci anni abbiamo scoperto nuovi modi per creare, inventare e lavorare insieme sul web. Nei prossimi anni ciò che abbiamo imparato verrà applicato al mondo reale”. Secondo Anderson i maker si riconoscono dalle seguenti caratteristiche. Innanzitutto si tratta di persone che utilizzano strumenti di progettazione digitale per creare nuovi prodotti e prototipi con una filosofia DIY (Do It Yourself). Secondariamente un vero maker non lavora da solo, ma in team, che può essere offline (il maker space), ma anche online, attraverso l’utilizzo di forum, blog e piattaforme specifiche (come Adafruit o Make Shed). Di norma poi i progetti vengono condivisi su internet, rendendo possibile agli altri membri della comunità di contribuire. Il DIY diventa così DIWO (Do It With Others). I progetti dei maker, tuttavia, non sono fatti per rimanere nei confini del makerspace. Il modo in cui i prototipi vengono progettati permette di poterli inserire direttamente in produzione: chiunque, se lo desidera, dovrebbe poter mandare il progetto a un service per crearne lotti più o meno grossi.
Anderson impersona alla perfezione il ruolo di araldo dell’incombente terza rivoluzione industriale. Anche grazie a personaggi come lui, il Movimento dei Maker si sta conquistando sempre più spazio sui mezzi di comunicazione. In questi giorni si è tenuto il CES 2014 e il movimento dei maker ha ricevuto l’attenzione che meritava. Dal nuovo modello di MakerBot in grado di stampare oggetti di grande volume fino alla stampante 3D in grado di sfornare caramelle in affascinanti forme geometriche, le sorprese non sono infatti mancate.
L’innovazione, nel mondo dei maker, è anche sociale e un esempio è Kickstarter. La filosofia dei maker applica il modello di sviluppo e condivisione dei contenuti digitali al mondo reale. Il problema è che, mentre è possibile distribuire i bit praticamente gratis, produrre e distribuire gli atomi da un luogo all’altro del mondo fisico ha dei costi che non sono comprimibili. Questo inconveniente può essere aggirato grazie a siti come Kickstarter. Nel 2013 i suoi numeri sono stati davvero notevoli: 3 milioni di persone provenienti da 214 paesi hanno aderito al finanziamento di progetti per un totale di 480 milioni di dollari raccolti. Tra i successi dell’anno ci sono stati lo smartwatch Pebble, il dispositivo per la realtà virtuale Oculus Rift e la prima consolle di gaming indipendente Ouija. Tra le curiosità si possono anche trovare un overcraft a forma di DeLorean e un dispositivo per pilotare aereoplanini di carta attraverso il proprio smartphone (quest’ultimo progetto ha sfondato l’obiettivo iniziale di 50.000$ raggiungendo quasi il milione). Tramite questa piattaforma di crowdfunding, infatti, usando le parole di Chris Anderson, “è possibile rimuovere collettivamente una delle più grandi barriere dell’innovazione promossa dalle piccole imprese: il capitale di investimento iniziale”. Secondo l’ex-caporedattore di Wired, Kickstarter risolve tre grandi problemi per chi vuole tentare la strada dell’imprenditoria. Innanzitutto i ricavi possono essere anticipati nel momento in cui sono davvero necessari. Secondariamente, Kickstarter trasforma la clientela in una community online. Se qualcuno finanzia un prodotto che non esiste ancora, probabilmente sarà anche interessato a seguirne lo sviluppo e a capire in che modo viene utilizzato da altri, che probabilmente condividono almeno in parte i suoi stessi interessi. Infine “Kickstarter fornisce il servizio forse più importante di una società che viene appena fondata: la ricerca di mercato. Se un progetto non raggiunge il target di finanziamento, probabilmente avrebbe fatto fiasco dopo l’entrata in commercio”.

L’importanza della comunità prende forma tramite concetti come l’educazione tra pari. Poiché i maker difficilmente lavorano da soli, ma più spesso, invece, si raggruppano in più o meno piccole comunità di persone che condividono vari progetti, viene incoraggiato un modello di apprendimento condiviso. È la cosiddetta peer education, che ribalta la concezione gerarchica dell’educazione che vede una ferma distinzione tra chi impara e chi insegna. Attraverso internet, la condivisione di progetti opensource ed eventi come le Maker Faire, le varie comunità sparse nel mondo possono condividere informazioni, guide e consigli. La sottocultura dei maker può davvero diventare un modello di educazione aperta. Pensando anche ai bambini, si tratta di nuove e potenzialmente rivoluzionarie possibilità di apprendimento.
Il mondo che ci aspetta sarà fatto di dispositivi interconnessi. Ognuno di noi avrà un network fisico di device a cui sarà collegato: non solo computer e telefono, ma anche il sistema di automazione domestica con tutti i suoi sensori e attuatori, i dispositivi di tracking indossabili e, magari, anche la propria automobile intelligente. Da noi stessi alle città che abitiamo, che diventeranno sempre più smart, saremo circondati da chip e macchine intelligenti che captano e raccolgono dati senza interruzione. Chi meglio dei maker può costruire questo futuro? Il loro spirito collaborativo e la propensione a condividere possono davvero funzionare come garanzia della trasparenza di questi dispositivi.
Mai come oggi la tecnologia dà forma alla nostra quotidianità. Eppure il processo può essere invertito. Noi stessi possiamo tornare a dare forma alla tecnologia. Un eroe contemporaneo come Steve Jobs capì che il suo desiderio era quello di costruire computer quando si accorse che il mondo era fatto da oggetti, e che gli oggetti sono fatti da persone che non sono poi così diverse dalle altre persone che quegli oggetti li usano e basta: “Il fatto che attraverso l’esplorazione e l’apprendimento uno potesse comprendere oggetti appartenenti al proprio ambiente che sembravano molto complessi dava un enorme senso di fiducia in se stessi”. L’ambiente esterno e gli oggetti che lo vanno a comporre sono qualcosa che l’uomo si è sempre trovato a manipolare e modificare: forse essere dei maker è semplicemente insito nella nostra più profonda natura.
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Le biblioteche al tempo di Google (e dei tagli alla cultura)

biblioteche“Le biblioteche italiane non possono limitarsi a difendere i servizi esistenti, sempre più minacciati da tagli ripetuti dei loro bilanci: occorre ripensare il ruolo della biblioteca, cercare forme di organizzazione e di finanziamento differenti. Questa sarà la sfida dei prossimi anni”.
Con questo accorato appello si conclude l’ultimo denso saggio di Antonella Agnoli, Caro Sindaco, parliamo di biblioteche (Editrice Bibliografica, pp. 140, € 12,00), concepito come una lunga lettera ai Sindaci delle città italiane.
In questo prezioso volumetto l’autrice, da anni impegnata nel settore con studi, pubblicazioni specialistiche (a partire dall’importante Le piazze del sapere. Biblioteche e libertà, uscito qualche anno fa per Laterza), articoli sui giornali, ma anche come operatrice sul campo (ha avuto tra le altre cose il merito di concepire la biblioteca San Giovanni di Pesaro, uno degli interventi più innovativi realizzati negli ultimi anni nel nostro Paese), ribadisce e rilancia l’importanza di queste fondamentali istituzioni, anche nell’epoca di Internet e di Google. Che ancora, ad esempio, sono in grado di svolgere la loro cruciale funzione di conservazione del sapere nel lungo periodo meglio di qualunque dispositivo digitale, la cui memoria è strutturalmente “volatile”. “La rete – scrive a questo proposito Agnoli – permette di accedere facilmente a una grande quantità di informazioni, ma non ne garantisce l’integrità e la permanenza: che succede quando certi contenuti scompaiono, perché registrati su formati in disuso, su macchine non più disponibili, o su siti web chiusi?”. E anche perché, dato che “all’aumento delle possibilità di accesso non corrisponde una parallela crescita delle capacità di comprensione e uso dei contenuti”, ci sarà sempre bisogno di “luoghi fisici di formazione e di consultazione che permettano di orientarsi nella società dell’informazione”, come sono appunto le biblioteche.
Oltre a questo difficile compito, queste strutture dovrebbero per l’autrice costituire anche una sorta di presidio civile, di laboratorio per il civismo, la tolleranza, l’integrazione e il multiculturalismo. Un elemento cardine di un “welfare avanzato”, in grado di dare risposte a bisogni nuovi e sempre più differenziati dei cittadini.
Il problema fondamentale però, al solito, è quello delle risorse e degli investimenti. Le biblioteche “di pubblica lettura” (diverse dalla biblioteche che conservano i libri di valore storico) ricadono, dal punto di vista economico e gestionale, tutte sulle spalle degli Enti locali e in particolare dei Comuni. Con i terribili tagli di questi anni, un sistema già fragile – e peraltro assolutamente sottodimensionato rispetto a quelli degli altri Paesi a noi confrontabili – rischia di collassare definitivamente. Per fronteggiare questa deriva, l’autrice, nella seconda parte del libro, suggerisce una serie di utilissimi accorgimenti per la buona progettazione delle biblioteche, ma anche per il loro migliore funzionamento, e infine per il reperimento di risorse. Resta il fatto però che, in questo come in altri casi, senza un forte rilancio degli investimenti pubblici, che non potrà che coinvolgere il livello statale, per i Comuni sarà difficile, anche con le migliori intenzioni, assicurare un futuro a queste gloriose e indispensabili strutture.
di Vincenzo Santoro
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Illuminazione pubblica, in 200 Comuni della Campania pali intelligenti e banda larga

lampioniSostituzione dei corpi illuminanti con altri basati sulle reti digitali e infrastruttura di cablaggio a banda larga per l’accesso ad Internet
L’illuminazione pubblica costituisce, soprattutto per i piccoli Comuni, la maggiore voce di spesa in bilancio per i servizi rivolti alla cittadinanza.
Al fine di favorire la riqualificazione e messa a norma e il risparmio energetico nel settore dell’illuminazione pubblica, il Consorzio Asmez (che associa il 95% dei Comuni campani) ha lanciato il progetto Smart Poles nell’ambito del piano di accelerazione della spesa dei fondi strutturali del PO Campania FESR 2007-13.
Reti digitali e banda larga
Il progetto, al quale hanno aderito oltre 200 Comuni campani, mira alla realizzazione diun sistema di “pali intelligenti”, con la completa sostituzione degli attuali corpi illuminanti con altri basati sulle nuove tecnologie abilitanti all’utilizzo delle reti digitali. Mediante la rete di “pali intelligenti”, verrà realizzata un’infrastruttura di cablaggio a banda larga per potenziare le possibilità di accesso ad Internet, con l’erogazione di servizi di wifi, telecontrollo, tele-alert, videosorveglianza e telegestione della rete.
Ottenibili importanti risparmi
Mediante apposite convenzioni con provider telefonici attraverso gare pubbliche, si punta ad ottenere significativi risparmi sull’accesso a Internet in banda larga e sulla spesa telefonica.
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Bruxelles, portare le fonti pulite al 30% del mix energetico

fotovoltaicoLe commissioni Industria, ricerca e energia (Itre) e Ambiente e Salute (Envi) hanno anche stabilito di ridurre consumi ed emissioni di gas serra del 40%. Ora la parola va alla Commissione UE
Prosegue – non senza discussioni – il percorso dell’Unione Europea verso l’efficienza energetica e la riduzione dei consumi.
Riunite in seduta congiunta, ieri, giovedì 9 gennaio, le commissioni europee Industria, ricerca e energia (Itre) e Ambiente e Salute (Envi) hanno ratificato una risoluzione che prevede di portare le fonti pulite al 30% del mix energetico e ridurre consumi ed emissioni di gas serra del 40% rispetto ai livelli del 1990.
UN MESSAGGIO CHIARO ALLA COMMISSIONE UE. Passata con 66 voti a favore, 42 contrari e 3 astensioni, questa relazione finale “prosegue il lavoro avviato nel quadro del 20/20/20, che conteneva già tre obiettivi, comprendendo gli errori di gioventù di quel quadro e dando un messaggio chiaro alla Commissione europea”, come ha commentato la relatrice belga Anne Delvaux del Gruppo del Partito popolare europeo.

UN PROCESSO GIÀ AVVIATO. Viene quindi ribadita la necessità ed urgenza di obiettivi vincolanti, sulla scia di quanto contenuto nella “Relazione sulla tabella di marcia per l’energia 2050” della Commissione Itre, già approvata in plenaria la scorsa primavera (marzo 2013).

LA VOCE DEGLI AMBIENTALISTI. Tra i commenti alla seduta di ieri anche quelli di varie associazioni ambientaliste, da sempre in prima linea nella lotta all’inquinamento e al cambiamento climatico. Jason Anderson, responsabile clima ed energia presso la sede politica europea del gruppo WWF, ha sottolineato che “solo obiettivi vincolanti possono fornire un sufficiente livello di fiducia degli investitori nei settori dell’energia e dell’efficienza energetica verde dell’UE”.

L’APPELLO DI ITALIA, FRANCIA, GERMANIA, AUSTRIA, BELGIO, DANIMARCA, IRLANDA E PORTOGALLO. Ricordiamo inoltre che solo qualche giorno fa – mercoledì 8 – i ministri dell’energia e dell’ambiente di Italia, Francia, Germania, Austria, Belgio, Danimarca, Irlanda e Portogallo avevano inviato una lettera congiunta indirizzata a Connie Hedegaard, commissario UE per il clima, e Guenther Oettinger, commissario UE per l’energia, richiedendo a gran voce che l’Unione europea si ponesse un obiettivo vincolante sulle energie rinnovabili entro e non oltre il 2030. “Fissare un obiettivo vincolante al 2030 per l’uso di energie rinnovabili aiuterà a tagliare la dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili, facendo aumentare l’occupazione e la crescita economica”, scrivevano i ministri nella loro missiva.

DIVERSA LA POSIZIONE UK. Voce fuori dal coro è stata quella del Regno Unito, che – come ribadito dal segretario britannico per l’Energia e il Climate Change, Ed Davey, per il 2030 ha richiesto un unico obiettivo sul taglio dei gas serra.

PROSSIMI PASSI. Ora si attende la data del 22 gennaio, quando l’esecutivo comunitario presenterà le sue proposte sul cosiddetto “pacchetto clima ed energia” per il 2030.

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Zero rifiuti

zero rifiutiDobbiamo assolutamente stare in questa partita. Ci sono le condizioni per portare a casa un risultato inaspettato perchè i rifiuti sono la miniera del futuro e possono dare lavoro reddito e opportunità per il riciclio e il riuso oltre per l’energia che è in grado di produrre.




Newsletter Maurizio Veloccia

newsletter velocciaSBLOCCATI FONDI PER “PONTICELLO” PORTUENSE
C’è una buona notizia per il nostro Municipio. Siamo riusciti a sbloccare i fondi, circa 650 mila euro, necessari al completamento dei lavori per il raddoppio del sottopasso ferroviario di via Portuense, fermi da circa due anni. Grazie all’importante lavoro svolto dal Municipio che, fin dall’inizio del mandato, ha considerato come opera assolutamente prioritaria la questione del sottopasso e il futuro passaggio del trasporto pubblico su Via Portuense, e grazie alla sensibilità del Sindaco Marino e dell’Assessore Masini, siamo riusciti a mettere il cantiere in condizione di ripartire. I lavori avranno una durata pianificata di ulteriori 180 giorni dalla loro ripresa effettiva, con l’incognita dei risultati dei nuovi sondaggi archeologici che, in caso di eventuali ritrovamenti, potrebbero rallentare gli interventi. Una volta completato, il ‘ponticello’ rivoluzionerà la viabilità di tutta l’area consentendo di decongestionare il traffico di un intero quadrante e, quindi, di migliorare la vita quotidiana di moltissime persone.
RIPRENDONO I LAVORI PER LA SCUOLA DI VIA PENSUTI
Finalmente l’annosa questione del polo scolastico di via Pensuti alla Muratella è stata sbloccata. È stato consegnato, infatti, il cantiere alla nuova ditta; i lavori per la costruzione della scuola, nido e materna, possono riprendere. Il cantiere, fermo dal 2008, quando fu interrotto a causa del fallimento della ditta affidataria, versava in uno stato di totale abbandono. Nonostante le promesse della precedente amministrazione comunale, nulla era stato fatto per risolvere la situazione, lasciando gli abitanti di Muratella senza una scuola. I lavori riguarderanno, nella fase immediatamente successiva alla consegna del cantiere, la bonifica dell’area e la verifica strutturale dell’edificio. Si partirà poi con i lavori di edificazione veri e propri. Vigileremo affinchè l’opera possa essere completata a regola d’arte e nel minor tempo possibile.
BEFANA DI SOLIDARIETÀ: 250 PASTI SERVITI ALLE PERSONE IN DIFFICOLTÀ
Abbiamo deciso di chiudere le manifestazioni organizzate in occasione delle festività natalizie all’insegna della solidarietà. Il 6 gennaio, al Centro Polivalente “Nicoletta Campanella” di Corviale, abbiamo organizzato uno spettacolo teatrale e un pranzo per le persone in difficoltà. I partecipanti, circa 250, sono stati individuati grazie a segnalazioni della rete sociale del territorio. Abbiamo lavorato, in questi mesi, per mettere in collegamento tutte le realtà che si occupano di sociale e volontariato nel nostro territorio. Il Pranzo della Befana è stata la prima iniziativa nata da questa importante esperienza, che proseguiremo con il progetto del Market Sociale e organizzando una Mensa solidale in uno dei nostri Centri Anziani. In un momento di crisi come quello che stiamo vivendo è fondamentale mantenere alta l’attenzione verso le persone più fragili.

APERTO IL GIARDINO DI VIA BLASERNA
È stato riaperto il giardino “Laura Maria Bassi” di via Blaserna. Restituire il giardino al quartiere Marconi e alla sua comunità era molto importante e, per questo, ne abbiamo anche chiesto la presa in carico a livello municipale. Ma, prima del passaggio di consegne ufficiale, abbiamo fortemente voluto che la proprietà effettuasse un ulteriore intervento di ripristino e abbiamo vigilato affinché i lavori durassero il minor tempo possibile, in modo da poter riaprire l’area per le feste di Natale: un bel regalo per tutti i bambini del quartiere Marconi ai quali è stata finalmente restituita un’area dove poter giocare.

ARVALIA IN FESTA: UN GRANDE SUCCESSO
Da domenica 22 dicembre fino a lunedì 6 gennaio il territorio del Municipio è stato animato da feste, eventi, manifestazioni e spettacoli. Decine di manifestazioni, tutte completamente gratuite, che hanno portato cultura, intrattenimento ed occasioni di incontro in tutti i nostri territori, compresi quelli più periferici. Perché Roma deve tornare ad essere viva in ogni suo luogo e non soltanto al centro. La grande partecipazione e il coinvolgimento di tutte le realtà sociali e territoriali rafforzano la nostra convinzione che la cultura sia fondamentale e certamente ci spronano a ripetere in futuro questa bellissima esperienza. Una città più viva, ricca di occasioni di incontro e condivisione, è una città più sicura ed inclusiva.
Sulla pagina dedicata del sito del Municipio potrete conoscere tutte le manifestazioni e gli eventi culturali programmati nelle prossime settimane.

SOPRALLUOGO AL CIE DI PONTE GALERIA
Dopo la drammatica protesta di alcuni ospiti del Centro di Identificazione ed Espulsione di Ponte Galeria, insieme ad alcuni Parlamentari ed alcuni Assessori del Municipio, sono andato a verificarne le condizioni. Malgrado la cortesia e la disponibilità degli operatori, la situazione è davvero difficile: il Centro è, sostanzialmente, un carcere in cui vivono tante, troppe persone alcune delle quali “colpevoli” solo della propria disperazione e povertà. Storie e vite che si consumano nella totale indifferenza di tanti, compresi i Consolati che dimenticano i propri concittadini, e che solo la disperata protesta delle “bocche cucite” ha portato all’attenzione di molti. Per questo ho chiesto al Ministro Kyenge la disponibilità di venire nel nostro Municipio per tenere un Consiglio straordinario su questi temi. La civiltà di un paese si riconosce soprattutto nei luoghi in cui gli esseri umani sono nelle mani dello Stato: deve essere compito delle Istituzioni vigilare affinché, in questi luoghi, il rispetto delle condizioni di vita e della dignità degli uomini non venga mai meno.

PARTE IL PROCESSO PARTECIPATIVO PER LA NUOVA PIAZZA DI CORVIALE
Prende vita il processo partecipativo che porterà alla progettazione condivisa di una nuova piazza da realizzare in via di Poggio Verde nei pressi dei Palazzi ATER, a Corviale.
Si tratta di un intervento da realizzare con l’utilizzo di fondi privati nell’ambito del progetto di riqualificazione urbana del quartiere.
La nuova piazza sarà inclusiva, polifunzionale e la progetteremo insieme: Municipio, progettisti, associazioni, comitati e cittadini. Il processo partecipativo partirà lunedì 13 gennaio alle 18, con una riunione che si terrà al Centro Polivalente “Nicoletta Campanella”. Avrà così inizio un percorso di discussione organizzato in vista della progettazione della nuova piazza, mettendo in comunicazione attori, Istituzioni e cittadini per conoscere le posizioni, gli interessi e i bisogni di tutte le parti coinvolte. Sarà importante, quindi, la partecipazione e il contributo di tutti.

PERCORSO DELLA MEMORIA, INCONTRO CON PIERO TERRACINA
Il 27 gennaio saranno passati 69 anni esatti da quando furono aperti, per la prima volta, i cancelli di Auschwitz e il mondo si trovò di fronte all’orrore di un progetto folle, premeditato e pianificato: l’immane tragedia dell’Olocausto. Per scongiurare il rischio che il sacrificio di tanti innocenti cada nell’ indifferenza e nella dimenticanza, soprattutto con il passare degli anni e la progressiva scomparsa dei testimoni diretti di quella tragedia, bisogna fare in modo che si continui a parlare ed a ricordare quelle terribili atrocità. Il 16 gennaio, alle 9,30, nella sala del Consiglio del Municipio XI, abbiamo organizzato un incontro tra gli studenti delle nostre scuole e Piero Terracina, sopravvissuto ad Auschwitz dove era stato deportato dopo il rastrellamento del Ghetto di Roma, per ricordare sia l’Olocausto di milioni di ebrei, sia l’eliminazione di tutto ciò che veniva considerato “diverso”.

DIFFERENZIATA E SITUAZIONE RIFIUTI
Abbiamo chiuso Malagrotta il 30 settembre e avviato la raccolta differenziata, con il porta a porta e la raccolta stradale. Due processi e due svolte epocali per la città di Roma, che attendevamo da oltre 20 anni e che ci permetteranno di avere un ciclo dei rifiuti virtuoso e trasformare quello che oggi è un problema in un’opportunità. Basti pensare che una tonnellata di cartone se riciclato può portare nelle casse del Comune 80 euro mentre, dovendolo smaltire, può comportare un costo fino a 150 euro.
Inutile nasconderci le notevoli difficoltà nell’avvio di questo processo virtuoso. Tuttavia non possiamo certo accettare le condizioni in cui sono state ridotte le strade dei nostri quartieri, soprattutto durante il periodo di Natale. Abbiamo chiesto più volte all’AMA di ripristinare il servizio regolare, abbiamo scritto all’Assessore Marino e abbiamo fatto venire anche il Sindaco a fare un giro nel nostro territorio perché non accettiamo questo stato di cose. Il Municipio, che non ha dirette competenze su AMA e sulla raccolta dei rifiuti, tuttavia vuole essere portavoce del grave disagio sopportato dai cittadini e quindi continueremo a segnalare e denunciare ogni disservizio lavorando affinché la situazione possa migliorare il prima possibile.

MERCATO SOLIDARIETÀ A PIAZZA DE ANDRÈ, UN’ESPERIENZA DA RIPETERE
Il 15 dicembre, molte delle associazioni che si occupano di sociale nel nostro territorio si sono date appuntamento a Piazza Fabrizio de André, alla Magliana, per dar vita ad un bellissimo mercatino di Natale. Durante l’intera giornata la piazza è stata animata dai volontari che, negli stands, hanno messo in vendita manufatti e prodotti. Il ricavato delle vendite servirà per finanziare, almeno in parte, l’attività di queste Associazioni che, quotidianamente, si occupano di assistere e supportare chi è in difficoltà. Un’esperienza molto bella, che ripeteremo sicuramente nei prossimi mesi perché crediamo che investire nel volontariato e sostenerlo fattivamente sia importante soprattutto in momenti di crisi economica e sociale quando i più deboli rischiano di ritrovarsi soli.

CORSO PER GUARDIE ZOOFILE
Dopo la positiva esperienza dello scorso mese di Dicembre alla quale il Municipio ha concesso il patrocinio, a Febbraio partirà la nuova edizione del corso per aspiranti guardie zoofile.
Patrocineremo volentieri questa nuova edizione per favorire sempre più la formazione di persone in grado di aiutarci nella protezione degli animali e dell’ambiente.
Per maggiori informazioni potete inviare una email a: cp.roma@guardie-ambientali.it

APERTE LE ISCRIZIONI ALLE SCUOLE DELL’INFANZIA
Sono partite le iscrizioni alle scuole dell’infanzia di Roma Capitale per il prossimo anno scolastico (2014-2015). Ci sono tre importanti novità: la domanda si presenta esclusivamente via Internet; il lasso di tempo per presentarla è più ampio del solito, due mesi dal 9 gennaio al 10 marzo; il modulo è anche in inglese, francese, spagnolo e romeno.
Attraverso il sito del Municipio si potrà accedere a tutte le informazioni e presentare la domanda di iscrizione online.

ASSEGNAZIONE CARTA ACQUISTI – SOCIAL CARD
A partire dal 20 gennaio e fino al 28 febbraio sarà possibile presentare la domanda per l’assegnazione della Social Card, la carta acquisti sperimentale utile anche per pagare le utenze domestiche e per ottenere sconti presso i negozi convenzionati.
Sul sito del Municipio troverete tutte le informazioni sulla presentazione della domanda.




Bologna: benvenuti in via Fondazza, la prima social street italiana. Scopri cos’è

solidarietaUn’idea tanto banale quanto geniale: perché non trasformare le amicizie su Facebook in amicizie vere? E perché non aiutarsi come si faceva un tempo? Ecco le risposte. Che diventano anche una soluzione anti crisi
Via Fondazza, a Bologna, è la prima social street italiana. Non ne hai mai sentito parlare? Ecco che cos’è e come funziona: ce lo spiega chi ci vive.
A COSTO ZERO – Dall’estraneità alla condivisione. Dal senso di solitudine al «buongiorno vicino» indirizzato al dirimpettaio. Dall’isolamento, alla consapevolezza di far parte di un gruppo che ha energia e potenzialità contagiose. Le finestre aperte di via Fondazza, la strada bolognese che è diventata la prima social street italiana, non si richiuderanno tanto facilmente. Grazie ad un’intuizione a costo zero, un gruppo su Facebook, Federico Bastiani ha trasformato la sua via, una strada della vecchia Bologna, in una palestra di buone pratiche, una community di buon vicinato, dal successo contagioso.
TUTTO NASCE DA FACEBOOK – «Mi ero accorto che, dopo tre anni, eccetto qualche negoziante, non conoscevo nessuno dei vicini», racconta Federico, 36 anni. «Ai primi di settembre, ho creato un gruppo su Facebook e ho affisso sotto i portici volantini con l’invito ad aderire. La risposta mi ha sorpreso: una valanga. Aspettavo venti adesioni, in tre settimane eravamo cento; adesso siamo 500. Volevo soprattutto trovare coetanei di mio figlio Matteo, 2 anni e mezzo. Ma i fondazziani mi hanno travolto».
IL PORTICO – Via Fondazza, una strada nel centro storico di Bologna, con l’immancabile portico, conta novantuno numeri civici: palazzi affiancati a case più semplici, molte botteghe di alimentari kebab e verdure, gestite da immigrati, che si intrecciano a qualche artigiano, il calzolaio Antonio, il tappezziere, i falegnami, una legatoria. In un ex convento ristrutturato, aule della facoltà di Scienze Politiche. Residenti di lungo corso, novantenni nati nella stessa casa nella quale vivono tuttora, come fece per tutta la vita, al 36, Giorgio Morandi, il pittore delle bottiglie e degli scorci dei giardini, studenti fuorisede o da Erasmus, giovani coppie.
IL BENVENUTO AI NUOVI ARRIVATI – In pochi giorni la bacheca del gruppo Residenti in via Fondazza è diventata un tripadvisor a km zero, una lavagna di benvenuto per i nuovi arrivati, con uno scambio vivacissimo di informazioni, richieste, suggerimenti. A 360 gradi. «Dalle domande sulla focacceria migliore, alla ricerca del veterinario che venisse a domicilio nel week end. Il passaggio dalle informazioni allo scambio di servizi è venuto da sé. Due studenti cercavano una lavanderia a gettone e Sabrina li ha invitati a usare la sua lavatrice in cantina. Laurell cercava una baby sitter e Veru ha proposto di assumerne una sola per tutti i bambini di età simile della strada. I negozianti hanno offerto prezzi scontati, il cinema ha invitato tutti i residenti a un’anteprima, il bistrot francese ha preparato un menù riservato ai residenti».
AMICIZIA REALE, NON VIRTUALE – Presto hanno deciso di conoscerci di persona, racconta ancora Bastiani: «L’idea di trasferire l’amicizia virtuale nella vita reale si è fatta largo rapidamente. Ci siamo dati appuntamento di domenica mattina, nella piazza più vicina, per guardarci in faccia». La scintilla era scattata. Dagli incontri in piazza sono nate belle abitudini, il caffè assieme la mattina, le feste di compleanno nel bar sotto casa, i tanti progetti per il futuro.
ANTISPRECO, ANTICRISI – La community dei fondazziani ha dimostrato subito una spiccata vocazione antispreco e anticrisi. «Le possibilità sono infinite», dice Bastiani. «Da una sorta di banca del tempo dove ci si scambiano le competenze, al gruppo di acquisto solidale, il gas della strada, facile da gestire. Oppure lezioni di pianoforte in cambio di un’ora di inglese, il materasso che dalla cantina di Michele si è spostato a casa di Paolo, l’ SoS per il computer infettato da un virus, e dopo 5 minuti trovi davanti alla porta, in ciabatte, il vicino di casa informatico smanettone. Federica doveva fare traslocare da sola, e ha trovato tre amici mai visti prima che l’hanno aiutata a spostare tutti gli scatoloni. A me serviva il seggiolino da auto per Mattia? Ho messo un annuncio e Saverio me l’ha prestato». Oppure per evitare sprechi alimentari: «Parto, e ho il frigorifero pieno di cibi che non posso congelare? Metto un post e invito i vicini a venire a prenderseli», spiega Laurell, moglie di Federico.
SOLUZIONE AI BISOGNI – La social street è nata così, per condividere bisogni e offrire soluzioni. «Abbiamo capito che siamo una forza. Un gruppo di persone come noi può fare un sacco di cose», dice Luigi Nardacchione, manager neopensionato, uno dei più attivi del gruppo, nominato sul campo, “vice” di Bastiani. «Risolvere problemi quotidiani di tutti, ma anche migliorare la qualità e la vivibilità della strada, tenerla pulita, aiutare le persone in difficoltà, come gli anziani che vivono soli, candidarsi per far visitare al pubblico la casa museo del pittore Morandi, che in questa via visse e lavorò, dotarsi della banda larga e metterla a disposizione di tutti. E organizzare momenti ludici, cene, una festa della strada».
UN NUOVO CLIMA – Tra le priorità della social street, la più pressante è trovare i modi per coinvolgere tutti quelli che non usano Facebook. Al primo incontro pubblico, organizzato per farsi conoscere e per presentare il sito, ha partecipato quasi un centinaio di persone. Molti venuti da altri quartieri a osservare quest’oggetto misterioso dalla identità incerta. Il sito, creato per rispondere alle decine di richieste che arrivano da tutta Italia, spiega la filosofia dell’iniziativa e contiene le indicazioni per creare altre social street. «Anche il sito è rigorosamente made in Fondazza, a costo zero, grazie a Filippo, che di mestiere progetta siti, e a Laura, la grafica che ha disegnato il logo, scelto, ovviamente, on line. «La cosa più importante, però, non è l’interesse suscitato, ma è il nuovo clima che abbiamo creato», dice Nardaccchione. «Dal virtuale siamo passati presto alla vita reale perché abbiamo avuto il desiderio genuino di conoscerci. Grazie alla spontaneità si è creato tra noi un senso immediato di fiducia reciproca».
COME UN PICCOLO PAESE – Nel successo della social street c’è qualcosa di molto legato al momento che viviamo, ragiona Federico. «In tanti mi hanno raccontato che in via Fondazza si è sempre vissuto così, come in un piccolo paese. Un posto dove tutti si conoscevano, si salutavano, collaboravano. Però quell’abitudine è andata sparendo, ed è scomparsa, da almeno venti anni. Se oggi la vecchia Fondazza rinasce come social street vuol dire che il bisogno di socializzare, compartecipare e condividere è ancora fortissimo, inalterato, anche ai tempi di Facebook». E su Facebook qualcuno gli fa eco: «Fino a poco tempo fa non amavo molto questa strada, anzi, la trovavo brutta. Ora la guardo con occhi nuovi. Comincia a piacermi».
Rita Cenni
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Graffiti in stile antica Roma sulle rive del Tevere: il progetto artistico divide la città

graffitoPotrebbe cambiare l’aspetto del Tevere e del centro storico. Ma potrebbe anche dividere i romani e far saltare sulla sedia i più legati alle tradizioni capitoline e all’immagine della città eterna. Lui è l’artista sudafricano William Kentridge, che vanta una fama internazionale e ha scelto la Capitale per la sua più grande opera d’arte urbana mai realizzata finora. Il progetto di street-art prenderà forma alla fine della prossima estate, voluto dall’associazione onlus Tevereterno per riqualificare le sponde del biondo fiume, anche se inevitabilmente si accenderà il dibattito sulla necessità prioritaria di bonificare prima il fiume, le sue banchine e le sue piste ciclabili, rendendo vivibile la zona tutto l’anno, per poi occuparsi dell’aspetto estetico.
MEZZO CHILOMETRO Eppure, nonostante le ormai note difficoltà di creare proprio a Roma un’osmosi di successo tra arte contemporanea e urbanità, è possibile che alla fine prevalgano comunque gli apprezzamenti. All’artista sudafricano – cooptano dopo anni di lungo corteggiamento dall’associazione onlus Teverterno – è stato dunque assegnato il compito di impreziosire, con i suoi disegni, i muraglioni del Tevere per 550 metri, da ponte Sisto fino a ponte Mazzini. Kentridge creerà, nell’opera intitolata “Triumphs and laments” – trionfi e lamenti, più di novanta grandi figure, alte fino a nove metri, che rappresenteranno il procedere dei trionfi e delle sconfitte dell’età dei miti. Volti d’imperatori, schiavi e gladiatori sembreranno camminare controcorrente e racconteranno la storia della città, formando quasi una processione visibile al pubblico dalle banchine lungo il fiume così come dal livello del Lungotevere. La tecnica usata – ideata e testata già nel 2005 dall’artista statunitense Kristin Jones nello stesso luogo – sarà quella della pulitura selettiva della patina di smog e pellicola biologica che si è accumulata sui muraglioni. Getti d’acqua e vapore, dunque, nessuna vernice e nessun colorante, mostreranno le immagini di Kentridge senza arrecare danno alla tutela dei monumenti storici. L’opera, pertanto, sarà destinata lentamente a scomparire, quando lo smog tornerà a impossessarsi dei muraglioni.

GLI IDEATORI Il costo complessivo dell’operazione è di 350mila euro, completamente finanziati dall’associazione Onlus Tevereterno e da una serie di gallerie d’arte contemporanee che da anni lavorano con l’artista sudafricano. «L’obiettivo è semplice: impreziosire quella parte della città che nell’immaginario collettivo altro non è se non un luogo sporco e pericoloso», afferma Thomas Greene Rankin, a capo dell’associazione Tevereterno. «Parlare delle sponde del biondo – prosegue Rankin – per molti significa solo parlare di Estate romana, di banchetti e ristoranti che fioriscono da giugno a settembre, mentre per il resto dell’anno quell’area va bene solo per portare a spasso i cani, fare jogging o trovarci qualche morto ammazzato».

Eppure c’è anche chi crede, invece, che quello spazio potrebbe trasformarsi in una valida officina di diffusione culturale, consacrando, a Roma, l’arte contemporanea anche al di fuori di un museo. Tentare di creare questa connessione senza provocare cortocircuiti non è affatto semplice, ma il progetto è pronto e Kentridge sta già lavorando ai bozzetti. Resta ancora da capire se la Sovrintendenza capitolina riuscirà, per tempo, a licenziare l’autorizzazione, al momento in stand-by più per la mancanza di un sovrintendente capace di licenziare il progetto e assumersi eventuali oneri e onori, che per reali perplessità legate all’opera. Il progetto gode, invece, sia del benestare del Mibac che di quello della regione Lazio, oltre che del favore «incondizionato» dell’assessore capitolino alla Cultura, Flavia Barca.
di Camilla Mozzetti
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LA RIVOLUZIONE DEL DIGITAL MANUFACTURING

digitalIntervista a Stefano Micelli, nuovo direttore della Fondazione Nordest. «Basta deprimersi, la manifattura può ancora fare la differenza»
«Il Nord Est non esiste più». Quando Stefano Micelli, professore di Economia e gestione delle imprese all’Università Ca’ Foscari di Venezia, mette in fila queste sei fatidiche parole, chi scrive ha un sobbalzo. Detta così, asciutta, dal neo direttore scientifico di una Fondazione che ha nel «Nord Est», la sua ragione sociale, la sentenza ha l’effetto di una secchiata gelida. Lui coglie lo smarrimento all’altro capo della cornetta e subito postilla: «Beninteso, il Nord Est continua a vivere come comunità, come modello sociale ed economico, come storia imprenditoriale, ma non esiste più come realtà che “è” solo in quanto relativa ad un “altrove”, Roma per lo più ma anche Milano. Il nostro orizzonte non può finire lì. Non siamo più il “Nord Est d’Italia”, siamo “parte del mondo” e la scacchiera globale è il luogo in cui siamo chiamati a giocare la sfida più grande di questo 2014. Solo così ci salveremo».
Professore, che Veneto ci siamo lasciati alle spalle nel 2013? «Un Veneto duramente azzoppato dalla crisi, che ha perso il 10% del suo Pil, il 25% della sua produzione industriale, di cui un 10% circa del tutto irrecuperabile perché riferito ad imprese irrimediabilmente chiuse, decine di migliaia di posti di lavoro. Ma non dobbiamo deprimerci oltre il necessario e più che all’Italia, che pure tra mille difficoltà quest’anno segnerà un record assoluto nell’export, dobbiamo guardare alla realtà internazionale che offre spunti assai più interessanti. Nei Paesi emergenti si cresce a tassi altissimi e per la prima volta la bilancia commerciale con i Paesi economicamente avanzati e tornata in positivo, si pensi alla Cina che “compra” sempre più italiano. Da lì si deve ripartire».

Come? La suggestione del «Terzo Veneto» fondato sul terziario è ancora realistica? «Qualità, valore aggiunto, sostenibilità sono già entrati nel nostro orizzonte culturale quotidiano ma va sciolto l’equivoco su cui si è sempre fondata l’idea del “Terzo Veneto”, quello per cui l’investimento sui servizi deve comportare necessariamente l’abbandono della manifattura. Non è così. C’è chi parla di una terza rivoluzione industriale, quella del digital manufacturing, che impone il superamento di alcuni steccati a cominciare da quello tra industria e servizi. A Venezia c’è un’azienda di stampanti 3D che è in grado di produrre nell’arco di una giornata gioielli su misura, a piacimento del cliente. Al mattino li disegnano, al pomeriggio producono gli stampi in plastica, a sera realizzano il pezzo nel distretto orafo di Vicenza. È manifattura questa? O è servizio? Le specializzazioni che hanno reso grande il Veneto, la sartorialità, il su misura, le serie limitate, il design di qualità, non vanno abbandonate ma innovate».

L’economia del fare si deve «saldare» a quella digitale? «Sì. Solo così riusciremo a coinvolgere i giovani e a creare posti di lavoro veri, reali, unendo l’occupazione alla ripresa».

Gli incubatori, pubblici e privati, non dovrebbero servire esattamente a questo? «Molti incubatori scontano il fatto di aver investito su start-up di derivazione accademico-scientifica che poco hanno a che fare con il “saper fare”, tentando di replicare qui esperienze che magari hanno funzionato altrove, ma con ben altri budget e masse critiche. E questo anche a causa delle difficoltà di alcuni ambienti della ricerca nel riconoscere il valore dell’artigianato. Un caso positivo è quello di H-Farm, che ha ritarato i suoi obiettivi e modernizzato i suoi investimenti con risultati positivi ad esempio nelle collaborazioni con Came o Bottega Veneta. Non aver creato prima questi ponti ci è costato carissimo».

In tal senso il celebre Politecnico veneto, da più parti invocato, potrebbe aiutare? «È il progetto più importante su cui investire per creare un capitale umano all’altezza delle sfide che ci attendono. Beninteso: il politecnico non sarebbe in antitesi rispetto all’attuale offerta formativa ma a completamento di quest’ultima e gli atenei veneti farebbero bene a prendere sul serio la svolta imposta da Confindustria, che su questo argomento, dopo che per anni ci si è concentrati su Fisco, infrastrutture e burocrazia, ha davvero cambiato passo con l’ultima presidenza».

Che rapporti vanno instaurati con gli investitori stranieri? «Il Veneto è già un’eccellenza internazionale e l’interesse di Louis Vuitton per le nostre imprese ne è un esempio. I capitali stranieri sono un’opportunità straordinaria per crescere sui mercati e internazionalizzare; ma non dobbiamo diventare terra di conquista. Non possiamo ridurci a fare i terzisti del lusso».

E i mercati stranieri come si conquistano dalla provincia vicentina o trevigiana? «Con una nuova narrazione. I nostri prodotti vanno raccontati a cinesi, indiani, africani ricreando quelle suggestioni che fecero la nostra fortuna con americani e tedeschi, anche grazie al cinema. L’agroalimentare, la moda, il design sono un’idea, prima che un prodotto, e i consumatori, soprattutto i più giovani, devono esserne coinvolti e travolti, non più attraverso il grande schermo ma attraverso la Rete. Pensiamo solo alle fashion blogger o all’uso di Instagram nel campo della moda…».

La politica che ruolo gioca in questa partita? «Siamo abituati ad una politica che per lo più redistribuisce la ricchezza, in base alle priorità concertate con le forze sociali. Un ruolo che nello scenario globale ha perso gran parte del suo significato, pensiamo solo alla web tax e alle difficoltà nel trattenere qui parte dei proventi realizzati dalle multinazionali del digitale. La politica deve dare una spinta propulsiva e promozionale al territorio, ma l’impresa farebbe bene a smetterla di guardare ad essa per concentrarsi maggiormente piuttosto su ciò che può far da sé, con movimenti trasversali ai partiti. Il progetto “Innovarea” di Alberto Baban o il sostegno finanziario pensato da Renzo Rosso per la sua filiera vanno esattamente in questa direzione. Il rinascimento manifatturiero non lo fa la politica».

E alla «sua» Fondazione Nord Est che ruolo riserva? «Vuole essere protagonista di questa nuova sfida. Dopo esserci dati da fare in questi anni per accreditare il modello Nord Est agli occhi dell’Italia, non possiamo più limitarci a fotografare e monitorare l’esistente. Dobbiamo elaborare proposte ed essere in grado di indicare una via d’uscita dalla crisi».

Marco Bonet
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La befana a Corviale

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La befana è arrivata fino a Corviale grazie all’impegno delle numerose associazioni che operano da anni sul territorio garantendo alla cittadinanza servizi di assistenza sociale.

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calzette gratis per tutti i bambini, spettacoli, per vivere tutti insieme nel proprio quartiere un giorno di festa e solidarietà

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Ivan Selloni