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Manifesto delle città metropolitane

metropoli

Un Manifesto delle città metropolitane, che potrebbero essere motore di crescita per il Paese. Il documento è il risultato del lavoro della Rete delle associazioni industriali metropolitane, un network di 10 realtà confindustriali.

Il Manifesto per le città metropolitane è un documento di lavoro con le priorità e le aspettative del mondo produttivo. Le Città metropolitane – si legge nel documento – sono il motore delle economie nazionali, fondamentali per le prospettive di sviluppo del sistema industriale, come dimostrato dalle esperienze europee di Barcellona, Lione, Monaco, Stoccolma, Amsterdam. Il Manifesto è frutto dell’impegno del territorio, nato dal lavoro della rete delle Associazioni industriali metropolitane di Confindustria, un network costituito da dieci associazioni confindustriali: Assolombarda; Confindustria Bari e Barletta-Andria-Trani; Confindustria Firenze; Confindustria Genova; Confindustria Reggio Calabria; Confindustria Venezia; Unindustria Bologna; Unindustria – Unione degli industriali e delle imprese di Roma, Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo; Unione industriali della Provincia di Napoli e Unione industriali Torino

Aree metropolitane motore delle economie nazionali

Le aree metropolitane – si legge nel Manifesto – sono il motore delle economie nazionali e hanno un ruolo sempre più rilevante negli scenari economici, sociali e istituzionali. È necessaria una geografia amministrativa coerente con la geografia economica e sociale del territorio. Nelle aree metropolitane si concentra gran parte di popolazione, prodotto interno lordo, gettito fiscale e investimenti pubblici. La frammentazione dell’organizzazione territoriale e amministrativa al loro interno è un problema di interesse nazionale che deve essere superato. Questo visto che la scala più efficiente per attrarre investimenti è quella metropolitana.

Una volta costituite le Città metropolitane possono svolgere meglio alcune funzioni fondamentali: migliorare la produzione e la regolazione di beni e servizi pubblici locali; realizzare una maggiore dimensione delle economie di scala, costruire politiche urbane più integrate e una pianificazione solidale del territorio, aumentare gli investimenti pubblici e ridurre la loro duplicazione; esercitare il potere unitario nella negoziazione di accordi con le amministrazioni periferiche per la realizzazione di interventi di interesse nazionale, quali infrastrutture e trasporti.

Correggere il ddl in Parlamento

È all’esame del Parlamento l’iniziativa del Governo assunta con il ddl “Disposizioni su città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni”, che istituisce direttamente le città metropolitane, senza prevedere il rinvio alla volontarietà dell’iniziativa da parte degli enti locali interessati. Il ddl, già approvato dalla Camera e ora in discussione al Senato, non raggiunge l’obiettivo di snellire la burocrazia – si legge nel Manifesto – e rischia di trasformare le aree metropolitane in un ulteriore livello politico e amministrativo. La cornice legislativa risulta, infatti, per alcuni aspetti ancora inadeguata , in particolare dove prevede la possibilità di istituire ulteriori città metropolitane rispetto a quelle previste dal progetto originario.

Si rischia così di snaturare il concetto stesso di Città metropolitana, che diventerebbe una semplice variante della Provincia invece che un’istituzione speciale di governo destinata a caratterizzare le maggiori aree urbane del paese. Questo potrebbe creare gravi difficoltà nell’individuare politiche che possano caratterizzare in modo differenziato le più importanti realtà urbane, a partire dal Pon (Programma operativo nazionale) di utilizzo dei fondi strutturali europei per le città metropolitane previsto per il periodo 2014-2020. La Città metropolitana non deve creare un ulteriore livello politico e amministrativo aggravando la complessità e la frammentarietà del contesto istituzionale che le imprese italiane fronteggiano ogni giorno.

Le priorità del mondo produttivo

La Città metropolitana dovrà mettere in moto strumenti di programmazione e pianificazione strategica, capaci di individuare risorse, tempi, soggetti e modalità attuative, valorizzando la progettualità locale e delineando una visione condivisa delle vocazioni e delle prospettive di sviluppo dei territori. Dovrà accorciare – si legge nel Manifesto – i tempi della decisione pubblica; raggiungere una maggiore efficienza tecnico-amministrativa.

Dovrà attivarsi per lo sviluppo metropolitano e locale, realizzando interventi incisivi per la competitività del territorio e il sostegno delle imprese su temi strategici come: il marketing territoriale e l’attrazione degli investimenti; la realizzazione degli obiettivi dell’Agenda digitale; l’accompagnamento alla localizzazione di nuove imprese; la realizzazione di aree produttive e poli tecnologici attrezzati; le politiche attive di lavoro, formazione e ricerca; la valorizzazione di tutte le opportunità finanziarie, collegate alle Politiche europee per la ricerca, l’innovazione, lo sviluppo, la coesione territoriale e sociale. La costituzione delle Città metropolitane è una condizione essenziale per non perdere queste grandi opportunità e sviluppare iniziative in un’ottica di smart city e smart community che rappresentano il futuro dell’organizzazione degli enti locali.

Gli impegni delle Associazioni industriali metropolitane di Confindustria

Le Associazioni industriali metropolitane di Confindustria – anche alla luce dei principi del “partenariato rafforzato” previsti dal Codice di condotta europeo sul Partenariato – si impegnano affinché: le Città metropolitane diventino protagoniste di una nuova politica nazionale per le aree urbane, intesa come asse fondamentale della politica industriale del Paese, catalizzatori di progetti e interventi provenienti dagli enti di governo locale, ma anche dalle Regioni, dallo Stato e soprattutto dall’Unione europea; si valorizzi la straordinaria ricchezza in termini di offerta rappresentata dalle diverse peculiarità delle Città metropolitane italiane per lo sviluppo sostenibile del Paese.

Ricchezza che, sulla traccia del modello collaborativo sviluppato dalla rete delle Associazioni industriali metropolitane, occorre valorizzare in termini di complementarietà, geografie funzionali e in un’ottica di competitività internazionale. L’auspicio è che le Città metropolitane italiane vengano avviate contemporaneamente e con tempestività.

di Nicoletta Cottone

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Puglia, il project manager che ha trasformato un’ex fabbrica in un’officina di idee

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Roberto Covolo è il project manager responsabile del progetto di riqualificazione e trasformazione di un ex stabilimento a San Vito dei Normanni (Brindisi) in uno spazio culturale e sociale innovativo chiamato “Ex Fadda”, un’officina di idee al servizio del territorio. “Ex Fadda-Idee Extralarge” è un luogo restituito alla comunità: da spazio degradato e inagibile, in cui era proibito persino giocare, a luogo di tutti.

 L’ex stabilimento enologico “Dentice di Frasso“ è un bell’esempio di archeologia industriale come ce ne sono tanti in Italia: un immobile di pregio – di circa 3.000 mq coperti e 15.000 scoperti – simbolo di un grande passato industriale. Dopo che la proprietà venne trasferita alla Regione Puglia, però, l’ex fabbrica fu più utilizzata e rimase in stato di totale abbandono fino al 2011, quando un gruppo di ragazzi, professionisti e imprenditori locali capeggiati da Roberto Covolo ha avuto un’idea “folle”: trasformare una fabbrica abbandonata in un luogo pubblico per l’aggregazione, la creatività e l’innovazione sociale, riqualificarne gli spazi a costo zero attraverso l’auto-costruzione e coinvolgere il territorio sui temi dello sviluppo locale e del sostegno alla cultura.

Il progetto prende il nome da Renato Fadda, ultimo direttore dello stabilimento e marito dell’ultima erede dei Dentice di Frasso, e se oggi “Ex Fadda” è uno spazio pubblico gestito da una trentina diorganizzazioni e imprese attive nei campi della comunicazione, della cultura e del sociale, lo si deve ad un’iniziativa nata “dal basso”, dalla cittadinanza: “E’ stata una scommessa a partire da un’idea che avevamo in testa: quella di provare a creare, lontano dai flussi principali di persone e cose in Puglia, uno spazio che potesse ragionare come se fosse in una grande città europea”, ha spiegato Roberto alla stampa locale. Roberto è uno dei protagonisti di questa rinascita e ci ha creduto fin dal primo momento, tanto da lasciare il posto fisso in Regione Puglia per dedicarsi a tempo pieno al progetto. Dal 2012 coordina tutte le attività e le “idee extralarge” che nascono in questa “officina del sapere”, con l’obiettivo di farla diventare lo “spazio culturale e sociale più bello della Puglia”.

ExFadda4 150x150 Puglia, il project manager che ha trasformato unex fabbrica in unofficina di idee“In questo momento”, ha detto Roberto, “utilizziamo circa 2.000 mq della struttura: li abbiamo resi fruibili attraverso un cantiere di auto-costruzione in cui abbiamo coinvolto designer e architetti di tutt’Italia, insieme a volontari locali. Ad ispirare il cantiere sono state le pratiche del recupero dei materiali, della sperimentazione di architetture con materiali naturali, della partecipazione diffusa alla riqualificazione. Gli spazi sono dedicati a uffici, laboratori, aule, sala prove, gallerie di esposizione, spazi per le performance. È uno spazio modulare, un posto così flessibile da poter essere, al tempo stesso, uno spazio per concerti e una palestra, un laboratorio di ricerca e una galleria d’arte”. Ma non è tutto: un aspetto fondamentale del progetto riguarda anche l’inclusione sociale. A fine febbraio, infatti, nelle cosiddette “stalle del Principe” aprirà “XFood”, il “ristorante sociale” che darà lavoro a persone con disabilità e che servirà cibi locali a km zero.

Il progetto “Ex Fadda” è promosso dal Comune di San Vito dei Normanni e dalla Regione Puglia ed è gestito, dicevamo, da realtà locali: “Siamo una comunità di una trentina di organizzazioni: associazioni, giovani imprese, gruppi informali e singole persone che sviluppano progetti all’interno di “Ex Fadda”. Stiamo progettando una serie di attività che riguardano il rapporto tra impresa, cultura e sviluppo sul nostro territorio, perché la prossima frontiera da raggiungere è convincere il tessuto attivo di imprenditori della zona a mettere la faccia su questa operazione e a trovare un pensiero condiviso sul sostegno dei costi della cultura”.

Il progetto “ExFadda”, ha continuato Roberto, “è basato su meccanismi di carattere comunitario: non vogliamo concepirci come uno spazio che eroga servizi, quanto piuttosto come un luogo in cui costruire relazioni tra le persone e i progetti e creare opportunità. Ospitiamo progetti e aziende che lavorano assieme, ma abbiamo un concetto differente rispetto al co-working tradizionale. Il nostro obiettivo non è “affittare scrivanie”: noi vogliamo condividere idee. Lasciamo che siano le persone stesse a stabilire quanto “vale” la loro presenza all’interno di ExFadda. In pratica, siamo qualcosa a metà tra uno spazio di co-working, un incubatore di idee e uno spazio sociale”.

“Io penso che in Puglia abbiamo qualcosa in più: è la nostra capacità di relazione, la nostra capacità di stare insieme ad altre persone e costruire contesti comunitari, dalla famiglia al gruppo di amici”,ha concluso.“Questa cosa, che è sicuramente un lascito della nostra tradizione, può essere una straordinaria risorsa contro la crisi. In questo contesto proprio il tema delle relazioni e del capitale sociale presente in Puglia può essere un ottimo motivo per venire qui, facendo leva sulla comunità come strumento indispensabile per affrontare la crisi”.

Laura Pavesi

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“Siamo pentiti di aver fatto eleggere Ignazio Marino”. Il mondo della cultura romano in rivolta dopo il Palladium-gate di Romaeuropa

"una scatola vuota"

Antefatto di cui vi abbiamo già parlato: la Fondazione Romaeuropa – che organizza a Roma uno dei più prestigiosi festival di teatro contemporaneo a livello nazionale – è stata impossibilitata per i tagli a continuare ad utilizzare il Teatro Palladium, di proprietà dell’Università Roma Tre, dove allestiva una stagione teatrale aggiuntiva al festival. Sono arrivate Regione e Comune che, belli belli, hanno messo sul piatto un “progetto di rilancio” che è sembrato a molti solo un blitz per sfilare la struttura alla Fondazione. Con tanto di hashtag dedicato (#Laversionediromaeuropa), pompato giorni prima sui social network, la Fondazione ha deciso di dire la propria sulla faccenda nella sua sede romana.
Una folla notevole, inaspettata forse. Una folla carica di energia e di voglia, ha detto qualcuno, una folla triste e sempre più sfiduciata, ha sottolineato non senza ragione qualcun altro. Al di là dei problemi attorno al Palladium, il tema è politico e generale. Ed è emerso da molti degli interventi della conferenza aperta che la Fondazione Romaeuropa ha organizzato nella sua sede romana: “cosa vuole fare il Comune di Roma sulla cultura? Quali sono i progetti sugli spazi, sulle strutture, sui contenitori culturali e sui loro contenuti?”. Questo il mood. Purtroppo a domande legittime, non esistono risposte concrete. Da mesi. E un mondo come quello della cultura, specie se di alto livello, che si confronta sul palcoscenico internazionale, se rimane senza risposte e nell’incertezza, perde autorevolezza. E se perde autorevolezza nei confronti di partner e competitor mondiali, muore. “Il Comune di Roma si sta rendendo conto che questo atteggiamento uccide talenti, strutture, sacrifici e anni di costruzione di una narrazione e di un prestigio?”. Non si sa.
Restano i fatti che sono abbastanza inconfutabili, anche se ci piacerebbe essere smentiti fin da domani. Il Macro fermo, qualche teatro ripartito dopo mesi di agonia. AltaRoma – se parliamo di moda – annichilita dall’immobilismo dell’amministrazione. Le Biblioteche in ambasce. La Soprintendenza ferma ai box in attesa di Soprintendente.
E allora giù, è inevitabile, con le richieste di dimissioni per l’assessore comunale alla cultura Flavia Barca. Giù anche con chiavi di lettura pesanti secondo le quali non ci sarebbe “un disegno o chissà quale macchinazione dietro a tutto ciò, solo incapacità. Questa storia è la fotocopia di quel che è successo a noi” per dirla con l’ex direttore del Macro Bartolomeo Pietromarchi, applauditissimo. Fino ad arrivare a Monica Scanu, candidata croppiana (a proposito, l’ex assessore era in prima fila) che da candidata consigliera comunale ha raccolto voti a favore di Ignazio Marino durante le elezioni amministrative nell’ambito di un accordo Croppi-Marino ad oggi completamente disatteso: “mi sento pentita di aver sostenuto il Sindaco”, ha dichiarato la Scanu, “non mi rivedo in quello che sta succedendo. Sono davvero afflitta”. L’allegro chirurgo, insomma, si starebbe giocando il consenso di chi lo ha sostenuto strenuamente contro Alemanno, se ne rende conto?

Fabrizio Grifasi, capo di Romaeuropa assieme a Monique Veaute, ha sottolineato come al Teatro Palladium non ci sia nulla da rilanciare perché si rilanciano, semmai, le cose in crisi. Qui i dati erano tutti in salita, fuorché quello del sostegno pubblico. Non è un problema di contenuti né di lamentele (forse eccessive in questa circostanza, anche con derive completamente fuori asse della serie “spostiamo gli spettacoli all’ex Mattatoio” gentilmente offerto da Roberto Grossi, neorettore dell’Accademia, oppure grida belluine tipo: “occupiamo il Palladium”), è un problema di comunicazione (il mondo della cultura non riesce ad avere una interlocuzione serena con il suo assessore, e questo deve cambiare) ed un problema di risorse. Che non ci sono più, non ci saranno più, saranno sempre meno in mancanza di rivoluzioni gestionali che sarebbero alla portata – sia a livello nazionale che locale – ma che invece non vengono neppure contemplate. “Budget zero per il 2014 al Palladium? Non è vero”, tuona l’assessoreFlavia Barca, spiegando che “i capitoli a budget zero, in questa fase durante la quale il bilancio non è stato ancora neppure discusso, sono tantissimi, ma ciò non significa che poi non si riusciranno a trovare risorse”. Okkay, assessore, ma vi siete impossessati di un teatro due minuti dopo di chi ha dovuto rinunciare a gestirlo, stremato dalle insicurezze finanziarie. “Non è andata così. Romaeuropa ha dichiarato l’impossibilità di organizzare la stagione prossima, i padroni di casa dell’Università Roma Tre – il teatro è il loro – hanno manifestato la volontà di non chiudere la struttura, la Regione si è fatta avanti con un progetto orientato sulla formazione e io ho partecipato a questa presentazione, dicendo che, per qualsiasi iniziativa volta a salvare lo spazio, il Comune c’era come interlocutore”. E Romaeuropa? “Ma nessuno ha detto che Romaeuropa non possa far parte del prossimo progetto sul Palladium. Tra l’altro io ho sempre difeso e considerato valido il loro progetto, lo scorso anno complessivamente gli abbiamo dato 750mila euro a fronte dei 950mila euro dell’anno precedente, un taglio molto inferiore rispetto ad altre realtà”. Decisione troppo precipitosa di Grifasi e dei suoi, dunque, o melina insostenibile da parte del Comune? In entrambi i casi occorre rendersi conto che l’offerta cultura della città ci sta rimettendo. Dai musei, alle biblioteche, alla moda, ai festival. Necessario per l’assessore Flavia Barca cambiare passo e aggredire il problema con un atteggiamento differente rispetto a quello adottato fino ad oggi.

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Il Parco di Centocelle è il vero polmone di Roma La riqualificazione è un investimento per tutti

ParcoCentocelle_fullE’ uno dei polmoni verdi più grandi di Roma. Ma i suoi 120 ettari aspettano ancora di essere riqualificati e diventare il sogno di cittadini e associazioni: il primo “Ecomuseo urbano”. Autorottamatori con distese di carcasse di auto e materiale inquinante sono ancora lì, a soffocare il lato del parco su via Togliatti. Tutto resta nell’immobilismo tra delibere non rispettate e fondi stanziati che, però, non vengono utilizzati. Martedì 11 un tavolo fra Regione, Comune e Municipio prova a far ripartire la bonifica

Un polmone verde, uno dei parchi più grandi di Roma. Villa Ada? Villa Borghese? No, è il Parco di Centocelle. Centoventi ettari da riqualificare, immersi nel Comprensorio Casilino, nel cuore del sud-est della città, tra l’omonima strada, via Casilina, via Togliatti e via Papiria.

UN PASSO VERSO LA CINTURA DEI PARCHI – Una porzione di agro romano recuperata solo in minima parte, connessa al Parco da Villa De Sanctis e villa Gordiani, che si estende fino alla Stazione Prenestina e al Parco di Tor Cervara. Una risorsa naturale che, se valorizzata e bonificata, potrebbe chiudere il cerchio della prima ‘Cintura dei Parchi’ della Capitale, costituita dalla Caffarella, la Riserva della Valle dei Casali, Villa Doria Pamphili, Parco del Pineto, Riserva di Monte Mario, Villa Ada e la Riserva della Valle dell’Aniene. Ad oggi però quella che potrebbe diventare una grande opera naturale è una grande ‘incompiuta’.

UN PARCO DA SALVARE – Nonostante le proteste di associazioni, cittadini e comitati, che da anni si battono per la riqualificazione, solo 33 ettari di parco sono stati restituiti alla città, altri 15 ettari dovrebbero ancora essere sistemati e attrezzati dal ‘Servizio giardini’. Degrado, incuria e inquinamento la fanno da padroni e nonostante sull’area, tra i Municipi V, VI e VII, ci sia un vincolo archeologico-paesaggistico per le antiche ville romane presenti, gli autorottamatori che per un chilometro occupano viale Togliatti, sono ancora lì. Montagne di carcasse, di metalli e scarti potenzialmente inquinanti che, secondo una delibera, la 451 del dicembre del 2009, dovevano essere spostati fuori dal grande raccordo. Sfasci incompatibili anche con il Piano particolareggiato adottato dalla Regione nel 2006. Mentre la delibera n. 220 del Consiglio comunale il 5 novembre 2007 stanziava sei milioni di euro per “la progettazione e realizzazione degli interventi di natura ambientale previsti nei comprensori direzionali di Pietralata, Tiburtino e Centocelle – Quadraro, in attuazione degli strumenti esecutivi approvati per il Parco di Centocelle” e  per “ la valorizzazione delle Ville romane”. Fondi ridotti poi a 4 milioni e 100 mila euro nel 2009, con una delibera successiva. A nulla sono valse le proteste e le manifestazioni per portare il problema all’attenzione di amministrazioni e dell’opinione pubblica.

“FUORI GLI SFASCI DAL PARCO” – E dire che la giunta Alemanno aveva anche individuato cinque siti dove gli ‘smorzi’ avrebbero dovuto traslocare. Il “Centro integrato via Prenestina-viale P. Togliatti”, di proprietà di Impreme s.pa./Mezzaroma, avrebbe avuto nuova sede vicino alla Centrale del Latte oppure tra via Palombarese e il confine con il Comune di Guidonia. “A tal riguardo il Consorzio autodemolitori e rottamatori di Roma Est e Roma Est 2 – si legge nella delibera  – il 20 luglio 2009 in assemblea pubblica hanno accettato il nuovo sito”. Dov’è finita “l’urgenza e la delicatezza della situazione”, che descriveva la delibera? E dove è finita la giunta annunciata ad inizio anno dal sindaco marino per affrontare “la ferita di viale Togliatti”?

UN PASSO VERSO L’ECOMUSEO? – Uno stallo, che potrebbe iniziare a sbloccarsi il prossimo 11 febbraio quando Regione Comune e Municipio V siederanno ad un tavolo per sboccare l’iter impantanato. Un passo importante per dare vita al progetto partecipato di “Ecomuseo urbano”, per valorizzare la storia e la cultura di una parte della città, recuperare i beni archeologici come quelli che gli scavi della metro C hanno portato alla luce e anche a dare vita a nuove attività imprenditoriali legate al turismo.

DI ELEONORA FORMISANI

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Una scuola ecologica e sovversiva

guerrillaSabato 15 febbraio 2014 alle ore 15 presso il laboratorio occupato autogestito Acrobax (via della Vasca Navale 6) i Giardinieri Sovversivi inaugurano  il terzo anno della Scuola dei Giardinieri Sovversivi Romani. Gli aspiranti giardinieri sovversivi faranno palestra sul campo ovvero presso ilAcrobax, centro sociale con i suoi dieci anni di storia che ha sede nell’ex-cinodromo di Roma, uno stabile enorme nel quartiere Marconi, un tempo del tutto abbandonato e recuperato in questi ultimi anni come laboratorio del precariato metropolitano e come importe opera di riqualificazione per l’intero quartiere e la città. Uno spazio politico e culturale, impegnato in lotte sia sociali che politiche, con un occhio di riguardo per il precariato, il diritto alla casa, il carcere, le lotte contro la repressione e il neofascismo.

Grazie all’entusiasmo di lavorare a un comune progetto, è stata aperta in questi spazi la scuola di Giardinieri Sovversivi, in modo da far conoscere a quanta più gente possibile un luogo storico romano purtroppo ai più sconosciuto con l’intenzione di valorizzare i numerosi spazi verdi che vi sono presenti in un progetto condiviso con la città.

Nei corsi si affronteranno nozioni di base di fitobiologia applicata, arboricoltura urbana e giardinaggio d’assalto con lo scopo di aumentare nei cittadini una coscienza del verde privato o pubblico che sia, lasciando a ognuno il libero arbitrio di far poi di questo piccolo bagaglio ciò che meglio crede. Le lezioni saranno accompagnate da laboratori pratici, video proiezioni, gite di approfondimento, dibattiti, ospiti e tante altre sorprese. Una scuola proprio per tutti, ecologica, ecolosostenibile e sovversiva.

L’iscrizione alla scuola sarà a sottoscrizione (15 euro per chi ha la fortuna di avere un lavoro e 10 euro per tutti gli altri) e servirà a finanziare sia il materiale del corso sia le azioni romane di guerrilla gardening che preparano in primavera il secondo raduno nazionale nella capitale con l’arrivo di zappe e fiori da tutta l’Italia (è gradita una prenotazione via email :scuolagiardinierisovversivi@gmail.com).

di Vanessa Scarpa

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L’uomo camaleonte: persone mimetizzate nell’ambiente

0I sorprendenti esperimenti artistici di tre fotografi che fondono i soggetti umani con la realtà

Sparire. Nascondere. Mimetizzare. Tre fotografi artisti giocano con i colori, camuffando le persone nell’ambiente. Una ricerca che ha molti sensi profondi, o forse nessuno. Ma che di sicuro, anche al solo livello estetico, imbroglia l’occhio e attrae l’attenzione.

Bence Bakonyi è un fotografo ungherese. Nel suo lavoro Transform ha fotografato persone vestendole con i vestiti del colore dello sfondo. Il critico Misetics Mátyás ha scritto di lui: «Le sue foto rappresentano i simboli della libertà, dell’ariosità; sono in un certo qual senso una transustantazione. Pur con la loro estetica giovane e contemporanea, ci restituiscono interpretazioni profonde e multiple, grazie alla fusione di corpo e mente e alla fusione dell’elemento umano nel paesaggio». Ecco alcuni esempi (oltre a quello sopra) dei suoi camaleonti umani:

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Anche Desiree Palmen, artista olandese che vive tra Rotterdam e la Berlino, gioca con la sparizione mimetica delle persone ritratte. Per ogni scatto deve realizzare costumi speciali con precisione assoluta. Le sue serie si intitolano Public Space Camouflage e Surveillance Camera Camouflage:

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Il terzo artista che abbiamo scelto è il cinese Liu Bolin. Originario di Shandong, nato nel 1973, vive a Pechino e le sue foto sono famose nel mondo:

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ROMA SU UNA BARCA CHE AFFONDA – 7 DOMANDE DI ALESSANDRA MAMMI’ ALL’ASSESSORE ALLA CULTURA

"una scatola vuota"

“una scatola vuota”

(PER MANCANZA DI PROVE) FLAVIA BARCA SUL DISASTRO DEL TEATRO PALLADIUM, ENNESIMA MERITORIA ISTITUZIONE CULTURALE SVENTRATA DALLA GIUNTA MARINO

Domani l’annuncio che il Teatro Palladium sarà tolto alla gestione di RomaEuropa, l’associazione internazionale che nel mese di gennaio, grazie a Peter Stein ed Emma Dante, ha contatto 28 “tutti esauriti” – 10 anni di successi, pubblico fedele, conti in ordine. Ora diventerà una scatola vuota “per la formazione”. Ma di chi? Perché?…

Che dirà Flavia Barca assessore alla cultura, domani alle 12 a Roma in via dei Magazzini Generali 20, quando gran parte della cultura romana si riunirà per l’infausto annuncio che il teatro Palladium verrà tolto alla gestione di Roma Europa?

Ci sarà? Verrà a spiegare il perché di fronte a artisti, addetti ai lavori, giornalisti più quel che resta del Macro dopo analogo trattamento?

Elencherà i motivi che l’hanno convinta dopo 10 anni di programmazione, un bilancio in equilibrio, uno scenario internazionale, un pubblico fedele, a dimezzare il budget di uno degli appuntamenti più seguiti della capitale e a togliere il Teatro alla gestione del festival?

Dirà che cosa intende per “Rilanciare il teatro Palladium puntando, come elemento strategico, anche alla formazione”, visto che in gennaio il medesimo teatro puntando invece sulla buona programmazione con Peter Stein ed Emma Dante ha contato 28 tutti esauriti?

E poi lo sa Flavia Barca cosa le rimarrà in mano mercoledì 12 febbraio quando a soli tre giorni dall’ultima replica di Emma Dante, Roma Europa armi e bagagli sarà sfrattata senza colpa come gli anarchici di Lugano?

E’ consapevole che quel teatro che ha visto arrivare in Italia i più importanti artisti, registi,coreografi, ballerini che si chiamino Kentridge o Jan Fabre, Peter Stein o Bob Wilson è stato costruito pezzo a pezzo dal festival?

Sa che appartengono a Roma Europa le luci, le griglie dell’illuminotecnica, le apparecchiature del suono, tutta le scenotecnica insomma e persino un pezzo di palcoscenico che era inesistente e che è stato da loro allungato e allargato?

E Roma Europa porterà giustamente via anche quello, lasciando però le seggioline colorate che a rigor di logica son moralmente sue, visto che le ha disegnate in omaggio al festival il molto famoso scenografo Richard Peduzzi, il quale non avrebbe sollevato una matita per il Rettore di Roma 3, che ora rivendica la proprietà dello stabile.

Una scatola vuota, signora Barca, dove può giusto puntare sulla formazione. E spero ci spieghi presto quale. Come se la migliore formazione per un paese, per una città e per i suoi abitanti non fosse invece quello che ha fatto Roma Europa finora, trasformando il Palladium in un crocevia dell’eccellenza artistica internazionale.

Alessandra Mammì

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IL CINEMA AMERICA STA PER ESSERE DEMOLITO

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IL 17 FEBBRAIO DURANTE UN’ASSEMBLEA PUBBLICA ALL’INTERNO DEL CINEMA AMERICA PRESENTEREMO IL NOSTRO PROGETTO DI RECUPERO E RESTAURO. Il Cinema America è minacciato dalle ruspe della proprietà, la Progetto Uno s.r.l., che vuole distruggere questo edificio per farne un palazzo con 20 monolocali di lusso, con due piani di parcheggi sotterranei ed una galleria d’arte privata, che dovrebbe sostituire l’attività sociale e culturale che il Cinema America ha svolto sino ad ora. Come è ben facile intuire, si tratta di una vera e propria speculazione edilizia nel cuore di Trastevere: né un piano di edilizia sociale, né di valorizzazione culturale.

Progettato da Angelo Di Castro negli anni ‘50, il Cinema America, oltre a rappresentare una delle poche sale di quartiere ancora attive, testimonia la storia e la cultura della nostra città. Dove negli anni cinquanta e sessanta si assiste ad un vero e proprio boom: Cinecittà diventa la seconda capitale mondiale del Cinema, preceduta solo da Hollywood. A Roma si contano ormai più di 250 sale che, grazie ad un’altissima qualità, liberano al loro interno proprie individualità spaziali. Questa nuova tipologia edilizia del XX sec viene caratterizzata da pochi ma significativi elementi progettuali: la pensilina, l’insegna luminosa, il tetto apribile, l’uso del calcestruzzo e la combinazione fra arte-architettura. Elementi tutti che vengono esibiti e potenziati nella grande sala del Cinema America, ormai quasi un’eccezione.

A rileggere il D.M Interno 19 Agosto 1996, n 261 (regola di prevenzione incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio dei locali di intrattenimento e di pubblico spettacolo) il Cinema America è anche a norma sui suoi punti più significativi, come i materiali usati all’interno, la distribuzione della sala e delle vie di uscita, la cabina di proiezione, le visuali verso lo schermo…ecc. Insomma, è predestinato ad essere Cinema.

Ma non è solo un edificio dall’alto valore artistico: per noi rappresenta un vero e proprio spazio di discontinuità urbana. In un rione in cui la gentrificazione e la messa a rendita del territorio conquistano ogni via ed ogni vicolo, l’America, controcorrente, propone l’accesso alla cultura ad un numero enorme di persone e mette a disposizione uno spazio di socialità svincolata dalle logiche di profitto.
Durante l’assemblea pubblica presenteremo il progetto della proprietà, attualmente in approvazione agli uffici dell’assessorato all’urbanistica. Ma, soprattutto, presenteremo il nostro progetto di restauro partecipato dell’edificio. Per noi il futuro di questo cinema è uno solo: gestione partecipata della programmazione cinematografica, cinema indipendente, presentazioni e dibattiti di film in collaborazione con registi ed attori, possibilità di fruire dello spazio anche nelle ore diurne trasformandolo da cinema ad aula studio, spazio espositivo per mostre, sala convegni pubblica, biblioteca e teatro, uno spazio in divenire che si modifica con le esigenze del territorio. Perché siamo convinti, e lo abbiamo dimostrato in questo anno di iniziative, che il Cinema America non è solo un cinema ma tanto altro. Per noi il tetto di questa sala cinematografica ha una storia e deve tornare ad aprirsi d’estate senza essere demolito.
Stiamo portando avanti un progetto di autofinanziamento popolare: l’8 marzo si concluderà con un’assemblea durante la quale i sottoscrittori decideranno come investire i fondi raccolti nel restauro e nella valorizzazione dell’edificio.

Il progetto di restauro ha visto anche le adesioni di personalità del mondo della cultura, dello spettacolo e dell’architettura che hanno preso parte a iniziative dell’occupazione del Cinema America: Paolo Sorrentino, Nanni Moretti, Toni Servillo, Carlo Verdone, Gianfranco Rosi, Nicolò Bassetti, Rocco Papaleo, Elio Germano, Libero de Rienzo, Daniele Luchetti, Elena Cotta, Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre, Daniele Vicari, Luca Vendruscolo, Francesco Pannofino, Stefano Benni, Marco Delogu, Ivano de Matteo, Andrea Sartoretti, Valerio Mastandrea, Claudia Pandolfi, Angelo Orlando, Ninetto Davoli, Roberta Fiorentini, Antonio Catania, Francesco Montanari, Gianni Zanasi, Giuseppe Piccioni, ing. Paolo Berdini Prof.ssa Alessandra Muntoni , Prof.ssa Maria Rita. Intrieri, Prof. Giorgio Muratore, Ing. Livio De Santoli, Prof. Silvano Curcio & 120 studenti “ghostbusters” diwww.fantasmiurbani.net Facoltà di Architettura Sapienza Università di Roma, Prof.ssa Simona Salvo e Prof. Andrea Bruschi e molti altri.
Restaurare il Cinema Ameria non è una speranza ma un progetto concreto: vi invitiamo tutti a venire qui per ascoltare la nostra proposta, formulata grazie all’architetto Cristina Mampaso: sullo schermo del cinema proietteremo le tavole del progetto di restauro e discuteremo insieme delle reali possibilità di sviluppo di questa proposta.

LUNEDI 17 FEBBRAIO ORE 18.00
ASSEMBLEA PUBBLICA AL CINEMA AMERICA OCCUPATO

Residenti di Trastevere – Comitato Cinema America – Cinema America Occupato

Per adesioni inviare un’email ad americaoccupato@gmail.com

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A seguire, alle ore 21, verrà proiettato:

“NUOVO CINEMA PARADISO” di Giuseppe Tornatore.

Le uniche poltrone a cui teniamo sono quelle di questo cinema.




Il social network per contadini in erba

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Un giovane italiano ha inventato terraXchange, il social network che mette in contatto proprietari di terre abbandonate e incolte con privati interessanti a crearsi un orto, un sistema tutto made in Italy di ”mezzadria” in salsa 2.0. Gli iscritti sono già oltre 200, soprattutto donne. Ecco come funziona

Vivete in città ma sognate un orto dove far crescere la lattuga e un cortile per allevare galline? Date un’occhiata a terraXchange, il nuovo social network inventato da un giovane agronomo italiano che mette in contatto chi ha terra ma non la usa con chi vorrebbe utilizzarla per coltivazioni private. L’affitto? Si paga in prodotti. TerraXchange è il nuovo sistema made in Italy di ”mezzadria” in salsa 2.0. Lanciato a novembre, ha raccolto già una ventina di offerte di terre, da Marsala a Trieste, e conta 220 iscritti. Oltre la metà sono donne. Iscriversi è gratuito: il social è finanziato dal commercio online di prodotti per l’orto e oggettistica per esterni.

L’inventore di terraXchange è Marco Tacconi, classe 1988, della provincia di Novara, laureato in “Valorizzazione e tutela dell’ambiente e del territorio montano” con tesi sull’allevamento caprino, alla facoltà di Agraria di Milano. A lui abbiamo chiesto di raccontare qualcosa in più su terraXchange.

Come è nata l’idea?
All’università avevamo creato un orto didattico di erbe aromatiche in un terreno incolto. Ho pensato di estendere questo modello a ogni terra abbandonata e un anno fa ho iniziato a sviluppare l’idea di un social network che potesse far incontrare domanda e offerta. Per 6 mesi ho fatto ricerche di mercato per verificare i numeri su cui stavo appoggiando il mio progetto. Da giugno a novembre abbiamo sviluppato il portale. Il 1°novembre lo abbiamo lanciato.

Chi sono gli iscritti a terraXchange? I miei utenti sono molto attenti, attivi e informati. Più della metà sono donne: 132 su 220. Non sappiamo l’età, ma stimiamo attorno ai 40 anni.

Cosa li spinge a coltivare?
Avere un passatempo che faccia bene a se stessi, ai cari e all’ambiente. Coltivare e mangiare i frutti del proprio orto dà molta soddisfazione. E ci riavvicina al ritmo naturale delle cose.

TerraXchange è un modello replicabile? Certo, è nato per poter essere utilizzato in tutto il mondo perché si basa su coordinate satellitari. Ogni terreno messo a disposizione ha coordinate geografiche, quindi a livello pratico anche se si trova dall’altra parte del mondo non ci sarà alcun problema ad inserirlo nel database.

Quanto impegno richiede un orto? Non è difficile coltivare, ma bisogna avere molta costanza e pazienza. In inverno l’orto ha bisogno di meno attenzioni.

Quanto si risparmia, coltivando in proprio?
Da un lotto di 20 metri quadrati una famiglia può trarre grosse soddisfazioni. Un metro quadro di orto produce da 0,5 kg a 3kg di ortaggi. Calcolando un prezzo medio di 2 euro al chilo, e considerando che l’orto può avere più cicli produttivi in un anno, il risparmio è evidente.

Che vantaggi ha il proprietario? Il terreno è mantenuto gratuitamente da altri e non perde valore nel tempo. Resta nelle mani del proprietario: niente occupazione abusiva o usucapione. Il proprietario può sempre vendere il proprio terreno o dividerlo in più lotti da far gestire a più persone, raccogliendo ortaggi da ognuno.

Come funziona il contratto?
Il ruolo di terraXchange finisce quando noi scambiamo i contatti mail tra proprietario e gestore interessato. Non ci occupiamo del rapporto contrattuale. Forniamo a chi lo desidera un contratto d’affitto standard modificato: il canone è rappresentato da ortaggi.

Come sapere se il terreno è inquinato? Non possiamo garantire la salubrità del suolo, questo è il compito di enti pubblici preposti. L’unico modo per sapere se è inquinato è un’analisi del terreno ma i costi sono elevati e non possiamo obbligare il proprietario a sostenerli.

Un orto vicino a una strada trafficata, è da evitare?
Più importante verificare se ci sono venti dominanti. Gli inquinanti viaggiano per molti chilometri se sospinti dal vento. Paradossalmente, un terreno vicino alla strada può essere meno inquinato rispetto a uno lontano. Ciò che possiamo suggerire è di avviare una coltivazione sana, senza uso di prodotti chimici.

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Cuore, mani, testa e rete: 7 consigli per diventare buoni artigiani digitali

Foto 2 Meme“Chi lavora con le sue mani è un lavoratore. Chi lavora con le sue mani e la sua testa è un artigiano. Chi lavora con le sue mani e la sua testa ed il suo cuore è un artista”. Così diceva Francesco d’Assisi. Oggi alle mani, alla testa, al cuore potremmo aggiungere anche la rete. E tutto il potenziale che ne consegue.

In questi ultimi tre anni ho conosciuto di persona oppure online centinaia di questi nuovi artigiani. Li ho intervistati, poi ho raccontato le loro storie su wwworkers.it.Vivono e lavorano nel nord come nel sud-Italia e operano nei più disparati settori merceologici. Tutti loro raccontano storie di passione, di cura maniacale per i dettagli, di lavoro continuo, di determinazione.

Storie di lavoro artigiano, di qualità delle materie prime, di creazioni uniche, di vero “made in Italy”. E storie di lavoro in rete, grazie al potenziale espresso dalle nuove tecnologie. Perché il nuovo artigiano digitale è colui che riesce a mettere a sistema il ruolo delle reti, interpretando Internet agorà e non solo come vetrina per presentare i propri prodotti e servizi, la rete come luogo privilegiato di confronto con una community anche alto-spendente.

Ecco la generazione degli artigiani digitali. Grazie alle nuove tecnologie vendono, dialogano con i propri clienti, si posizionano verso nuovi pubblici e mercati, portano il made in Italy all’estero. Una ricerca promossa dal Craft Council e ripresa anche dall’edizione online del Guardian ha fotografato questi professionisti. L’identikit tracciato dall’istituto londinese non lascia spazio ad equivoci: la rete, e in particolare i social network, permettono di vendere di più e meglio. Facebook, Twitter, Pinterest, Google Plus consentono a tanti artigiani di raccontare in modo innovativo il proprio lavoro e di costruire una rete di relazioni sociali (qui la ricerca completa).

Vendere online, posizionare il proprio brand, intercettare nuovi pubblici anche in mobilità grazie a smartphone e tablet. Ecco i vantaggi iniettati dal web. “La nostra ricerca suggerisce come i social rivestano oggi un ruolo fondamentale nell’evoluzione del mestiere. La relazione che si instaura con nuovi clienti e partner commerciali diventa strategica”, ha raccontato Karen Yair del Crafts Council al Guardian. Social network come potenziale per valorizzare un mercato interno spesso dormiente e rafforzare l’esportazione. “Si supera l’isolamento delle piccole realtà e si arriva direttamente al cliente finale”.

Al posto di tutelare-difendere-secretare occorre narrare storie, uscire allo scoperto, dialogare. E non è un cambio da poco. Si tratta di una rivoluzione copernicana, un cambio di paradigma. Però occorre spiegarlo ai geniali artigiani nostrani: perché mentre creano le loro opere spesso in laboratori chiusi e botteghe blindate, una nuova generazione di professionisti (che arriva anche da fuori Italia) impara ad usare oltre che la testa, il cuore e le mani, anche la rete. Quella rete ancora troppo sconosciuta che resta un valore aggiunto di pochi.

 

Eppure è quella rete che consente di scalare mercati, incrementare fatturato, creare sinergie e alleanze con le nuove reti di impresa, allargare la base clienti,. Internazionalizzare il proprio prodotto o servizio e più in generale competere.

Foto 1 ElaLo ha capito Ela Siromascenko, arrivata dalla Romania e che oggi è a tutti gli effettiun’artigiana digitale. Fa prodotti unici, aumenta la sua visibilità, ha un laboratorio che è una stanza con una connessione sempre attiva col resto del mondo. L’ha raccontata Elisa Di Battista sul suo blog Laureatiartigiani.it.

Ela Siromascenko a ventinove anni ha deciso di trasferirsi in Italia perché innamorata del nostro Paese. Dopo una laurea in marketing, un master in relazioni pubbliche, un dottorato di ricerca in scienze della comunicazione e dopo otto mesi da Visiting PhD Student all’Università di Milano ha aperto una sartoria che esporta soprattutto all’estero, grazie al digitale. L’ha chiamata Eloncha, ed è un negozio online su Etsy, la più grande bottega artigiana al mondo. Così ha dichiarato Ela a Laureatiartigiani.it: “Al momento l’80% delle mie vendite viene dal negozio su Etsy. Essendo situato su una piattaforma con oltre 20 milioni di utenti e oltre un milione di negozi è fondamentale avere una buona indicizzazione. Un’altra fetta di vendite la ottengo pubblicizzando il mio lavoro su Facebook”.

Il quartiere generale di Elochka si trova in una delle stanze dell’appartamento dove vivo col mio fidanzato. Abbiamo una stanza come atelier: ho un tavolo grande per il taglio, tre macchine da cucire tra cui una industriale, il tavolo del computer e della stampante, il manichino, l’asse da stiro e pure due faretti per la fotografia e le scatole delle buste per la spedizione”.

Eccola allora una nuova generazione di artigiani digitalizzati che rispetto alle botteghe blindate sceglie di abbracciare la rete. Con costanza, con passione, con tanto studio.

Ela è autodidatta, ma la rete le ha dato una mano. E la laurea è stato un valore aggiunto. “Al giorno d’oggi non basta più solo saper fare delle cose belle e di qualità, bisogna essere capace di farsi vedere e posizionarsi in un mercato competitivo”. Come ho già scritto sul mio blog del Fatto Quotidiano, Ela racconta un’altra Italia che magari non impugna il forcone e ragiona su come fare concretamente qualcosa, un’Italia che arriva sempre di più da lontano con un bagaglio culturale e di energia, che spera e costruisce, che lotta contro mille pratiche burocratiche e un sistema di comunicazione nel quale il modello positivo non fa notizia, non fa breccia.

Di Ela abbiamo parlato a Ferrara alcune settimane fa, nell’ambito del Meme. E proprio Ela è stata ricordata da Stefano Micelli, docente della Cà Foscari a Venezia e autore di quello che è diventato il testo cult: “Futuro Artigiano”, edito da Marsilio.

“Il vecchio mondo non tornerà più ma in fondo è il vecchio mondo con occhi nuovi. Perché il vecchio mondo è franato e occorre ricostruire un immaginario. Oggi viviamo questo dualismo fortissimo tra l’economia della conoscenza, rappresentata dai brevetti, dalle tutele, dal copyright, rispetto all’economia del fare dei Paesi in via di sviluppo”.

Per Micelli non può più esistere questa scissione, non ce la possiamo permettere, e stiamo perdendo tempo prezioso. “In cinque anni abbiamo perso il 25% della capacità manifatturiera , il comparto edilizio è franato del 38% e nel segmento automotive consumiamo con nel 1976 e produciamo le stesse cose del 1956. Non possiamo perciò riferirci a mondi passati che sono franati”. Occorre una discontinuità, e questa è data dalla narrazione, da un immaginario differente. I makers, o gli artigiani digitali, sono narratori in quanto hanno un capitalee possono proporre la cultura del racconto. “Occorre narrare, svelare i prodotti, renderli interessanti, occorre progettare un mondo diverso”..

Non solo ti racconto una storia, ma ti coinvolgo in un processo: ecco allora cheaccanto al maker c’è il maker-hub, una piattaforma digitale di co-creazione. Le idee esistevano anche in passato, oggi però vengono condivise”, afferma Stefano Maffei del Politecnico di Milano, evidenziando come esistano due elementi che connotano i cosiddetti makers: l’idea di progetto e l’idea del fare. “E il tutto è legato nel nostro caso ad una tradizione centenaria, anche se negli ultimi anni sono gli americani ad averci fatto riscoprire questa passione del fare. Comunque in tutto questo c’è il background della nostra cultura manifatturiera. In questo le merci nuove – prodotte da imprenditori o attuatori diversi – sono in un mercato nuovo”.

L’artigiano storyteller diventa un nuovo interprete del made in Italy, e questoscenario significa prodotto interno lordo. “Non si tratta di fare il pubblicitario, si tratta di ripensare il rapporto tra cultura e manifattura. Il vero binomio tra questi due elementi è proprio nello storytelling, anche attraverso le nuove piazze di socializzazione e le nuove dinamiche di dialogo”, precisa Micelli. Così diventa importante interagire, dialogare sulle varie reti sociali, presidiando la community.

Si può procedere per gradi, senza preoccuparsi di comprendere tutto sin dall’inizio, alfabetizzandosi nel percorso (è questo il consiglio del Craft Council). E’ preferibile adottare un “tone of voice” diretto, autentico, informale ma competente. Si può iniziare ad intercettare i pubblici con una fanpage su Facebook e imparando a raccontare il proprio lavoro, le materie prime che ne sono alla base, la cura dei dettagli e la ricerca dei prodotti.

Si può fare con testi, foto e qualora si riesca anche con brevi video. Non occorrono grandi rivoluzioni, si può procedere per gradi, con pochi messaggi alla settimana, ma opera però con costanza. E poi è fondamentale andare oltre la rete, con incontri dal vivo come barcamp con artigiani o corsi di formazione in bottega. In questo modo si rafforza la community, ascoltandola e coinvolgendola in prima persona. Perché ascolto e gratificazione sono alla base del successo in rete. E il consentire di incontrarsi di persona incrementa la fiducia. Le migliori community nascono in rete, ma si rafforzano fuori, perché ancora oggi niente è più potente di una stretta di mano.

Ecco però sette passi, sette consigli che ho raccolto proprio dalle testimonianze dei wwworkers artigiani digitalizzati.

Passo 1: costruisci una storia in rete. Racconta la tua attività in prima persona con informazioni sulla tua azienda e sui tuoi prodotti. Punta sul sito web, sui social network e su app consultabili da smartphone e tablet

Passo 2: valorizza la tua community. Crea una relazione costante e intercetta il tuo pubblico attraverso parole chiave. Dialoga con community verticali interessate ai tuoi prodotti

Passo 3: ascolta e dai il feedback. Rispondi in modo appropriato e in breve tempo. Cerca il confronto e richiedi il feedback sull’esperienza di navigazione (usabilità della piattaforma) e di acquisto

Passo 4: fai un patto tra vecchi e nuovi modelli. Continua a portare avanti l’attività classica, ma integra anche con la rete.

Passo 5: punta sulla rete, e credici fino in fondo. Costruisci una relazione di medio-lungo termine. In rete il risultato lo misuri nel tempo, così ha senso costruire una strategia di lungo periodo

Passo 6: affidati ai professionisti. Ad ognuno il suo mestiere. Se hai risorse daallocare, cerca professionisti dedicati per gestire le conversazioni e le vendite, provando comunque a presidiare il segmento.

Passo 7: dimostra coraggio. Pensa alla vetrina online come integrazione della tua vetrina fisica: punta con coraggio sulle foto e su descrizioni multilingua dei prodotti

Foto 3 English CutSaper fare e saper comunicare. È ciò che afferma anche Hugh MacLeod, pubblicitario e anima di English Cut, vetrina della storica sartoria inglese che si racconta attraverso un blog costantemente aggiornato. Sono i nuovi “global microbrand”, così li ha definiti MacLeod, ovvero piccole grandi imprese artigiane narrate sul web. Un modo per riannodare i fili di una rete che oggi più che mai coniuga innovazione e tradizione.

GIAMPAOLO COLLETTI

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