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Smart city, bando europeo da 28 milioni di euro

ueTerzo bando ERA-NET su smart city e smart community in Europa. Stanziati fino a 28 milioni di euro di fondi per progetti dedicati alle città intelligenti, all’innovazione sociale, le smart grid, la mobilità alternativa e sostenibile.

A dicembre 2014 si aprirà ufficialmente il terzo bando ERA-NET Smart Cities and Communities (ENSCC) dedicato a smart city, smart community, smart government, big data, smart energy, mobilità alternativa e trasporti intelligenti.

 

L’iniziativa, frutto della collaborazione tra la Joint Programming Initiative (JPI) Urban Europe e la Smart City Member State Initiative, offrirà fino a 28 milioni di euro di fondi per ricercatori, innovatori e partner. Le bozze dei progetti dovranno essere presentate entro la fine di maggio 2015.

 

Le migliori 50 proposte saranno selezionate ed ulteriormente elaborate tra maggio e settembre 2015., mentre per la realizzazione vera e propria si dovrà attendere dicembre 2015, con deadline a marzo 2016.

 

I progetti dovranno essere relativi a quattro aree specifiche:

  • Smart integrated urban energy and transport systems
  • Smart tools and services for integrated urban energy and transport systems
  • Smart big data
  • Smart governance and smart citizens

 

Le ERA-NET sono azioni di coordinamento e supporto del 7° Programma Quadro il cui obiettivo è di favorire la cooperazione e il coordinamento di attività di ricerca su una determinata area tematica gestite a livello nazionale e regionale negli Stati Membri e Associati, attraverso una rete di attività di ricerca. Esse mirano quindi a migliorare la sinergia tra programmi nazionali ed il programma quadro comunitario.

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App, film, giochi i libri del futuro saranno “totali”

appSE Manzoni vivesse oggi, l’uscita in libreria dei Promessi sposi verrebbe anticipata da un video che annuncia il ritrovamento di un anonimo manoscritto del Seicento. L’innominato e la monaca di Monza avrebbero un profilo Facebook, Lucia darebbe alle stampe il suo diario segreto e Renzo sarebbe il protagonista di un videogioco. La storia della colonna infame non uscirebbe in appendice, ma in digitale e le illustrazioni di Francesco Gonin diventerebbero un fumetto di culto. Non ci sarebbe neppure bisogno di una risciacquatura dei panni in Arno.

Piuttosto di un gigantesco Sudoku letterario. Fantaletteratura, ma neanche troppo visto che la trasformazione del libro in evento mediatico è già cominciata. L’editoria in crisi gioca la carta delle coproduzioni: lo scrittore mette l’idea e una squadra di specialisti lo affianca per tradurla in più linguaggi: dai film ai videogiochi, dai fumetti alla musica. Una sorta di cooperativa dei bestseller che decide a tavolino come raccontare una storia, quali informazioni muovere da un terreno all’altro, come diluirle nel tempo e come trasformare il pubblico in tanti fan.

Da poco nelle librerie di 27 paesi è uscito Endgame – The calling, primo romanzo di una trilogia sul genere apocalisse: la terra è in pericolo, dodici prescelti hanno ricevuto un messaggio in codice che, se decifrato, permetterà di salvare l’umanità. Harper Collins ha venduto i diritti pressoché ovunque (in Italia alla casa editrice Nord), la 20th Century Fox ha incaricato Wyck Godfrey e Marty Bowen, già produttori di Twilight e Colpa delle stelle , di portare nelle sale un film ad alto budget, Google e la controllata Niantic Labs hanno realizzato un’app che metterà in contatto i lettori perché si scambino informazioni utili a risolvere gli enigmi disseminati da un team di crittografi nel libro, in Internet e nel mondo reale. In contemporanea con l’uscita del primo titolo, è scattata una caccia al tesoro che si concluderà a Las Vegas, in una delle tremila lussuose stanze del Caesars Palace, di fronte a una teca di vetro che custodisce 500mila dollari in monete d’oro.

A tirare le fila di tutto il progetto c’è James Frey, scrittore che ha già dimostrato notevole disinvoltura con i concetti di verità e finzione. Il suo primo libro – In un milione di piccoli pezzi – era stato presentato come racconto autobiografico: memoriale del suo passato da tossicodipendente. Peccato che nel salotto di Oprah Winfrey sia stato fatto a pezzi: la fantasia aveva di gran lunga superato la realtà. Scaricato dal suo agente, diventato un paria della letteratura, Frey si è rialzato fondando una casa editrice che pubblica romanzi young adult in serie: lui mette l’idea, altri scrivono. Adesso, in collaborazione con Nils Johnson-Shelton, è arrivato Endgame .

Una impresa ambiziosa, ma non unica. In Italia da un anno si sta lavorando al lancio de Il ragazzo invisibile , film, fumetto e romanzo. La storia di Michele, tredicenne che un giorno guardandosi allo specchio si scopre invisibile, è stata scritta da Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo. Come già accaduto con Braccialetti rossi di Albert Espinosa, gli autori del romanzo che uscirà per Salani a metà novembre sono anche gli sceneggiatori del film di Gabriele Salvatores. Quest’ultimo, nelle sale da dicembre, è quello che in gergo tecnico si chiama “la tana del coniglio”, principale porta d’ingresso a un universo narrativo in continua espansione. Sia in radio che in edicola. Per scegliere la colonna sonora è stato indetto un concorso su Radio Deejay e, dato che di un personaggio invisibile si parla, ecco scendere in campo la Panini Comics: Michele diventerà un supereroe, protagonista di tre albi a fumetti sceneggiati da Diego Cajelli, disegnati da Giuseppe Camuncoli, Werther Dell’Edera e Alessandro Vitti, con le copertine di Sara Pichelli. E non è detto che la storia di Michele si concluda qua. Quelle ben congegnate, come sanno i fan di Star Wars, vivono di vita propria. Uno sceneggiatore di Hollywood, intervistato da Henry Jenkins nel saggio Cultura convergente (Apogeo education), spiega quale sia il meccanismo alla base dei nuovi modelli di narrazione: «Quando ho iniziato il mio lavoro, bisognava creare una storia perché senza una buona narrazione non ci sarebbe stato nessun film. Poi con la diffusione dei sequel, divenne importante inventare un buon personaggio che potesse reggere più storie. Oggi in- vece si inventano mondi che possano ospitare molti personaggi e molte storie su più media». Lo hanno fatto i fratelli Wachowski con Matrix, Chris Pike per la serie tv Dawson’s Creek, ma anche produzioni indipendenti come The Blair Witch Project .

Adesso tocca all’editoria. Si sperimentano nuovi format, si corteggiano lettori giovani, abituati al linguaggio delle serie tv e con un immaginario plasmato sul web. La Rizzoli ci ha provato per la prima volta quando si è trovata in lettura Under, romanzo distopico di una giovane blogger bolognese, Giulia Gubellini. Quelle pagine ricordavano Hunger Games e Divergent , ma parlavano di una Italia stremata dalla crisi economica e privata di ogni libertà. Meritavano un investimento originale: così questa estate in contemporanea alla pubblicazione del romanzo è uscita una web serie in dieci puntate con Gianmarco Tognazzi e Chiara Iezzi, diretta da Ivan Silvestrini. L’abbraccio tra società Anele, Rcs e Trilud per un esperimento narrativo dal budget limitato sfata anche un luogo comune molto diffuso: le coproduzioni non devono essere necessariamente colossali e rumorose. A volte possono essere piccoli passi in avanti nel marketing librario. Sperling & Kupfer ha deciso che per creare attesa in un lettore il modo migliore sia quello di fargli assaggiare il libro: non un’anteprima o un riassunto, ma un testo originale che serva da antipasto. Un esempio? Breve storia di uno starter , che introduce al mondo post-apocalittico del romanzo Starters di Lissa Price.

Anche se non tutto viene fatto per soldi, anche se quello che si insegue è un nuovo modello estetico, dietro l’angolo c’è sempre il rischio di intrappolare l’autore, di costringerlo a rimescolare contenuti come fossero caramelle. Nella progettazione di Endgame si avverte la riproposizione di mondi già sperimentati: il titolo del primo libro è un chiaro riferimento a Magic: The Gathering , gioco di carte pubblicato dalla Wizards of the Coast nel 1993, che ha coinvolto più di sei milioni di persone in 50 paesi. La caccia al tesoro è un omaggio a Masquerade, libro per bambini scritto nel 1979 da Kit Williams che scatenò la ricerca di una lepre d’oro per tutta l’Inghilterra; il gioco interattivo online che ricrea il mondo immaginario della trilogia ricorda Potterworld di JK Rowling e l’utilizzo di luoghi ed enigmi reali disseminati nel mondo ha una ricca tradizione in cui si inserisce Il Codice Da Vinci.

Sarà veramente questo il futuro del libro? John Walsh dell’ Independent si chiede se Martin Amis pubblicherà una versione online del suo nuovo romanzo sull’Olocausto The Zone of Interest, offrendo indizi per la scoperta di cimeli nazisti nella sua Brooklyn. E se David Mitchell stia per invitare i lettori di The Bone Clocks a scovare il luogo segreto dove qualcuno ha nascosto un orologio a pendolo incrostato di gioielli. Ecco la sua risposta: «Probabilmente no perché sia Martin Amis che David Mitchell sono scrittori veri in grado di distinguere la verità dalla finzione e di vedere la pubblicazione dei libri come qualcosa in più di uno sfruttamento dell’immaginazione altrui».

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IL GRANDE SPRECO DEI FONDI EUROPEI

soldi-150x150In un paese dal disperato bisogno di investimenti e occupazione, 12 miliardi di euro messi a disposizione dall’Unione giacciono inutilizzati e rischiano di andare perduti se non verrranno spesi entro fine 2015. I casi virtuosi non mancano, ma anche i soldi usati sin qui sono serviti spesso a finanziare iniziative discutibili come concerti e concorsi ippici, a costo di severi richiami da parte di Bruxelles. Uno scandalo che ha molti responsabili: politici incompetenti, burocrazia invadente, imprenditori senza idee e senza progetti

I soldi di una Finanziaria lasciati nel cassettodi LUIGI DELL’OLIO
MILANO – I soldi non spesi ammontano a 12 miliardi di euro, ben più della somma necessaria a stabilizzare il bonus da 80 euro. Quelli impiegati spesso si perdono in mille rivoli o finiscono con il finanziare iniziative poco virtuose, come accaduto qualche anno fa a Napoli con 750mila euro del “fondo regionale di sviluppo per la cultura” dirottati sul concerto di Elton John. È il paradosso dei fondi europei, ideati per sostenere la crescita delle aree più deboli dell’Unione, per un valore pari ad un terzo di tutto il bilancio europeo. Finalità perseguita attraverso strumenti diversi come il Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr), che assorbe circa due-terzi delle risorse, e il Fondo sociale europeo (Fse). Il primo sostiene soprattutto la realizzazione di infrastrutture e investimenti produttivi che generano occupazione, soprattutto nel mondo delle imprese. Il secondo mira a favorire l’inserimento professionale dei disoccupati e delle categorie sociali più deboli, finanziando in particolare azioni di formazione. A questi si affiancano, poi, i cofinanziamenti statali e quelli regionali, dando vita ai Pon (Piani operativi nazionali) e ai Por (Piani operativi regionali).

Fondi Strutturali
Periodo Paese Stanziati Utilizzati Stanziati/utilizzati
2007-2013 Italia 27.952.613.430,00 16.290.125.356,32 58,28%

Il piatto piange. A fine luglio, l’Italia aveva impiegato appena il 58,28% delle risorse messe a disposizione dall’Europa, un dato che ci colloca in coda alla classifica. La situazione non è omogenea a livello territoriale: per quanto riguarda il Fesr, il dato è la media tra il 73% raggiunto nelle regioni del Centro-Nord (che quindi dovrebbero centrare il pieno impiego delle risorse entro la scadenza fissata alla fine del prossimo anno) e il 57% del Mezzogiorno. Campania, Calabria e Sicilia sono le regioni che maggiormente faticano a impiegare le risorse a disposizione, mentre a livello settoriale il ritardo riguarda soprattutto i programmi per la cultura, il turismo e le infrastrutture di trasporto. Ovvero proprio i settori sui quali il Mezzogiorno potrebbe far leva per uscire dalla crisi.

Senza contare la messa in sicurezza dei territori contro il dissesto idrogeologico: a Palazzo Chigi hanno da poco deciso di destinare a questo capitolo 785 milioni non ancora spesi, e altri potrebbero essere dirottati da altri capitoli di spesa. Somme che potrebbero aiutare a evitare disastri come quello appena visto a Genova, e magari anche a risparmiare sul totale della spesa, oggi quasi tutta concentrata nella fase post-disastri naturali.

Sotto tiro le nomine politiche. “La questione dei fondi strutturali europei è lo specchio dei vizi italiani”, commenta l’economista Giulio Sapelli. “In primo luogo pesano le deficienze della tecnocrazia: a Bruxelles spesso inviamo personale scelto non per competenze specifiche, ma per stretta osservanza politica. Il risultato è che, mentre i paesi iberici mettono a punto bandi tagliati sulle esigenze dei singoli paesi, da noi questo non succede”. La carenza di professionalità adeguate pesa anche in patria: “Per accedere ai fondi europei occorrono nelle Regioni professionisti preparati sul fronte del diritto comunitario e poliglotti, mentre spesso queste funzioni vengono affidate a fedelissimi del governante di turno”, aggiunge Sapelli. Anche quando la competenza c’è, non mancano i problemi. Emblematico il caso del generale dei carabinieri, Maurizio Scoppa, chiamato dalla Regione Campania a vigilare sugli oltre 2 miliardi di euro stanziati da Bruxelles, dopo aver risanato l’Asl Napoli 1. Dopo sei mesi l’esperto ha gettato la spugna, lamentando non solo scarsa collaborazione da parte del personale regionale, ma addirittura di non aver ricevuto nemmeno un computer e la cancelleria per operare. Sapelli sottolinea anche un altro aspetto: “Nessun paese ha tante società di consulenza sui fondi europei come l’Italia. Significa che, una volta ottenuto il finanziamento, questo spesso si disperde in mille rivoli, per cui all’obiettivo finale arrivano pochi spiccioli. E spesso con tempi lunghi a causa delle lentezze burocratiche”.

Pesa la lentezza della burocrazia. Per Gianfranco Viesti, professore di Economia applicata all’Università di Bari e autore di diversi saggi sul tema, il problema non è tanto nella cattiva programmazione, quanto nella lentezza di attuazione. “Innanzitutto va precisato che è falso che i fondi strutturali vengano tutti sprecati: negli anni vi sono stati tantissimi esempi di iniziative che hanno aiutato i territori”. Fatta questa premessa, resta il nodo delle difficoltà di impiego delle risorse: “Le cause sono diverse: lentezza nelle opere pubbliche, complessità delle norme, mancata disponibilità del cofinanziamento nazionale, pessima congiuntura economica”, sottolinea. “Anche le misure dei ministeri, specie quelle infrastrutturali – aggiunge – sono in forte ritardo. La lentezza delle Regioni (e dei ministeri) nell’emanare i bandi è dovuta in parte alla carenza di competenze, forse anche alla volontà dei politici ad accentrare attività di gestione e attuazione delle misure che andrebbero invece affidate a soggetti specializzati”. La motivazione potrebbe essere soprattutto la voglia di controllare risorse ingenti, che nel migliore dei casi assicurano consenso, nel peggiore aprono le porte a fenomeni di corruzione.

Chi fa da sé non ce la fa. Viesti punta inoltre l’indice sulla mancata collaborazione tra le amministrazioni locali, e sull’assenza di un forte ruolo di stimolo e di coordinamento dal centro: “Se c’è da scrivere una misura di intervento o un bando di gara è molto raro che si utilizzino modelli già sperimentati altrove, facendo tesoro di successi ed insuccessi, ma si ricomincia ogni volta da zero; e spesso si tornano a incontrare gli stessi problemi e le stesse criticità già sperimentate da altri”. Va poi considerato anche un altro aspetto: molte risorse non vengono spese per mancanza di investitori. A Termini Imerese ci sono 750 milioni di euro di risorse pubbliche a disposizione per chi è interessato a rilanciare lo stabilimento Fiat chiuso alla fine del 2011, ma finora nessuno si è fatto avanti. Segno della difficoltà del Paese nell’attrarre risorse, soprattutto sul fronte internazionale.

Gli effetti dei fondi strutturali europei 2007-2013 in Italia
21 mld € Somma impegnata
58.564 Posti di lavoro creati
3.098 kt Risparmio di CO2 immessa nell’atmosfera
1,311 mln I cittadini raggiunti dalla banda larga
5.494 Progetti di ricerca e sviluppo
34.828 Progetti di investimento nelle Pmi
3.112 Start-up avviate
2.390 Progetti di energia rinnovabile
195 kmq Aree riqualificate
670 Progetti di prevenzione dei rischi naturali
4,083 mln Studenti che utilizzano nuove tecnologie nella didattica
500.000 Progetti Fse, che hanno visto la partecipazione di più di 6,6 milioni di persone, di cui oltre 2 milioni di età compresa tra i 15 e i 24 anni e quasi mezzo milione al di sopra dei 55 anni
fonte: Commissione Europea, elaborazione Repubblica.it

Gli scavi archeologici più noti al mondo stanno cadendo a pezzi per incuria e mancata manutenzione, eppure i soldi sul tavolo non mancano. La vicenda di Pompei è emblematica delle difficoltà di impiego dei fondi europei. Tanto che nei mesi scorsi il commissario europeo per le politiche regionali,Johannes Hahn, è intervenuto sulla vicenda ricordando che dei 105 milioni di euro stanziati “solo l’1% è stato utilizzato e un altro 24% è stato destinato a lavori in fase di completamento”. Il restante 75%, ha precisato, “va speso entro la fine del 2015” o andrà perduto. Dunque occorre mettere mano ai progetti di risanamento dell’area, identificare in maniera precisa la destinazione dei fondi e rendicontare con precisione ogni spesa per non perdere i fondi e non disperdere un patrimonio unico al mondo.

Al di là della difficoltà di spesa vi è, poi, il capitolo degli sprechi che ha reso i tecnici di Bruxelles particolarmente prudenti nell’approvare i piani italiani. Si è già detto del concerto di Elton John a Napoli, che ha creato grande clamore e costretto la Regione Campania a restituire i fondi europei. Mentre sono passati sotto silenzio i 70mila euro spesi per l’Afrakà rock festival di Afragola (città natale dell’ex governatore Bassolino) e i 500mila per il concorso ippico internazionale di Caserta. Senza dimenticare le decine di sagre finanziate da Nord a Sud, e finite impropriamente nel capitolo delle “iniziative a sostegno della cultura locale”.

In Sicilia (a Casteltermini, Augusta, Noto, San Cataldo e Capo d’Orlando), poi, sono stati impiegati 15 milioni di fondi europei per realizzare impianti di compostaggio presentati come altamente innovativi, ma bloccati per mancanza di personale e danneggiamenti da parte di ignoti (forse mossi da mani interessate a tenere in vita le discariche). L’Italia ha il primato delle frodi comunitarie: la Corte dei conti europea calcola che il nostro Paese ogni anno percepisce illegittimamente 800 milioni.

Va comunque detto che, se gli sprechi fanno più notizia, non mancano tanti esempi di investimenti virtuosi. Sul sito Internet Opencoesione è disponibile una mappa dei progetti finanziati dalle politiche di coesione in Italia. Navigando è possibile essere aggiornati (gli ultimi dati risalgono a fine aprile) sulle risorse assegnate e spese, le localizzazioni, gli ambiti tematici, i soggetti programmatori e attuatori, i tempi di realizzazione e i pagamenti dei singoli progetti. Dal portale emerge che l’opera con i maggiori finanziamenti è “Il completamento della Linea 1 della metropolitana di Napoli”, per la quale sono stati stanziati 1,3 miliardi di fondi pubblici (di cui 430 milioni dall’Ue). I lavori sono iniziati, come previsto, a gennaio del 2000, ma l’obiettivo di completare l’opera entro il 31 marzo scorso è fallito. Il sito non riporta la data di consegna, che altre fonti indicano nel 2018.

Ma vi sono anche opere concluse. E’ il caso di Villa Scheibler, ubicata in un sobborgo piuttosto trascurato di Milano, che è stata restaurata con il sostegno del programma europeo Urban (3,5 milioni a disposizione). Sono state interamente pagate anche le somme (202mila euro, di cui 141mila di competenza Ue) del fondo rotativo a sostegno della ricerca e dell’imprenditorialità nel Mezzogiorno. Mentre sono a un passo dal completamento (95%) gli stanziamenti per potenziare i sistemi di videosorveglianza in Sicilia.

Destinazione dei 32,8 miliardi di euro erogati all’Italia
(compresi interventi co-finanziati e altri europei)
22,3 mld Programmi per lo sviluppo delle regioni meno sviluppate
(Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia)
1,1 mld Programmi per lo sviluppo delle regioni in transizione
(Abruzzo, Molise e Sardegna)
7,7 mld Iniziative per le Regioni più sviluppate
(Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Liguria, Veneto, Provincia di Bolzano, Provincia di Trento, Friuli Venezia-Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria e Lazio)
1,311 mln I cittadini raggiunti dalla banda larga
1,1 mld Cooperazione territoriale europea
567,5 mln Iniziative a favore dell’occupazione giovanile
8,2 mld Somma da destinare alle specifiche sfide che il paese deve affrontare nelle aree interessate dal Fse
fonte: Commissione Europea, elaborazione Repubblica.it

L’esperto controcorrente: “Meglio rinunciare”

MILANO – Roberto Perotti, professore di Economia politica alla Bocconi, ha curato con il collega Filippo Teoldi, uno studio dal titolo emblematico: “Il disastro dei fondi strutturali europei”, scaricabile gratuitamente in rete. Nel report si mettono a confronto i livelli di spesa su questo fronte con i pochi benefici prodotti.
Mentre a livello comunitario si discute del prossimo ciclo di finanziamenti, destinati a mettere in campo oltre 300 miliardi di euro, di cui circa 41 per l’Italia, dalla sua analisi emerge una sostanziale bocciatura dei fondi strutturali. E’ così?
“Esatto. Ci dobbiamo chiedere perché i fondi finora non sono stati spesi a fronte dello scenario economico: evidentemente si tratta di fondi inutili, e spesso addirittura dannosi perché alimentano burocrazia, clientelismo, e a volte finiscono addirittura nelle mani della criminalità”.

Eppure l’Italia ha un disperato bisogno di investimenti per ripartire…
“L’Italia contribuisce al bilancio europeo in misura maggiore rispetto alle risorse che complessivamente riceve. Inoltre va considerato l’aspetto del cofinanziamento, che in teoria risponde a un obiettivo nobile, il coinvolgimento del beneficiario, per assicurarsi che abbia un interesse nel progetto e abbia quindi gli incentivi giusti a portarlo avanti nel modo più efficace possibile. Il problema è che l’applicazione pratica del cofinanziamento è stata tale da negare questo principio”.

Perché?
“E’ sufficiente guardare all’ambito della formazione: chi cofinanzia le iniziative è lo Stato centrale, ma l’attuazione è appannaggio delle regioni. Con queste ultime che hanno dunque pochissimi incentivi ad assicurarsi che questi progetti funzionino effettivamente”.

Cosa propone in alternativa?
“La cosa migliore sarebbe rinunciare ai fondi strutturali o a una buona parte di essi. Risparmieremmo così la nostra quota di finanziamento dei fondi strutturali, e la quota di cofinanziamento, che potremmo utilizzare per ridurre le tasse”.

Senza coraggio e senza progetti

di EUGENIO OCCORSIO

Il mancato utilizzo dei fondi strutturali europei rappresenta l’ennesimo motivo di sconcerto e di imbarazzo per l’Italia. Ma anche uno spunto per porsi una domanda su un problema che passa in buona parte sotto silenzio nel generale j’accuse contro la classe dirigente del nostro Paese, che però viene proclamato sottintendendo che sia solo la categoria dei politici a meritare ogni possibile lapidazione. D’accordo, le burocrazie – in questo caso soprattutto quelle regionali e locali – hanno le loro colpe pesantissime e spesso imperdonabili. D’accordo anche che la burocrazia è diventata un moloch scoraggiante per qualsiasi iniziativa, che la nomenklatura dei ministeri si è creata un potere autonomo in grado di piegare qualsiasi volontà riformistica, così come è scoraggiante la lentezza della giustizia civile o il fatto che le leggi del lavoro sono ingiuste e penalizzanti. Però quando si muovono i più alti lamenti per questi mali italiani, quasi fosse un refrain ormai scontato, si dimentica spesso che c’è un’altra categoria che si distingue per immobilismo e a volte vera e propria incapacità di fare, proprio quella di cui accusano i politici: gli imprenditori.

Certo, i coraggiosi artigiani del nordest hanno fatto il miracolo italiano, e negarlo sarebbe impossibile. I piccoli industriali del centro Italia continuano indomiti a sgobbare come matti pur di non mandare a casa i dipendenti, i creativi nostrani sbaragliano i mercati con le loro trovate, però purtroppo questa maggioranza si sta assottigliando, fino ad esser diventata probabilmente minoranza proprio nel pieno della crisi.

Il caso dei fondi europei è esemplare. Perché vengano utilizzati occorre che l’imprenditore affianchi al contributo che riceve dal fondo (veicolato attraverso la regione) due cose: un progetto adeguato con un business plan convincente e soprattutto aderente agli standard dell’Europa (che ha diritto di pretenderne l’osservanza essendo lei che ci mette i soldi) e inoltre una partecipazione di capitale proprio che sia esattamente nella stessa misura del fondo utilizzato. Su tutti e due i fronti la classe imprenditoriale italiana naufraga miseramente. Trovare un progetto efficace, con un imprenditore motivato e consapevole della necessità di iniettarvi una buona dose dei suoi risparmi come capitale di rischio, è cronicamente difficile. Altrimenti non si spiegherebbe il perché di tutti quei fondi inutilizzati.

Ecco così che diventano plausibili alcune proposte, come ad esempio quella lanciata dall’università online Pegaso pochi giorni fa in occasione di un convegno sulla valorizzazione del Mezzogiorno organizzato dall’Aprom, un think-tank giuridico-economico. La proposta, ha chiarito il presidente della Pegaso Danilo Iervolino, è semplice: “Come università potremmo porci al centro, in determinati casi, della progettualità che interessa i fondi europei. Non ne chiediamo una parte, intendiamoci, solo offriamo know-how ed esperienza per affiancare gli imprenditori e redigere programmi aderenti ai criteri europei che convincano l’interlocutore della bontà dell’iniziativa proposta. Come noi potrebbero aderire al programma altri atenei portando quel contributo di conoscenza e di informazioni che è fondamentale per qualsiasi programmazione industriale”.

Chissà, forse potrebbe essere una soluzione (un esperimento del genere è stato tentato con discreto successo in Olanda) almeno a una delle due parti del problema, quella della progettualità. Un’iniziativa del genere l’ha lanciata anche la Regione Lazio, che sotto la presidenza di Nicola Zingaretti ha deciso di non essere più solo un ente “erogatore” di fondi ma di affiancare l’imprenditore nella fase progettuale. Anzi, faremo di più, è l’idea di Zingaretti che sta proprio ora passando alla fase operativa: se l’Europa mette 50, l’imprenditore anziché i 50 che gli verrebbero richiesti, mette 40. I rimanenti 10 li mette la regione, ovviamente se il progetto è valido. Non è solo questione di business plan redatti in modo stringente ed efficace: rimane aperta la seconda questione, altrettanto spinosa. Qualunque opinione si abbia sulla reale efficacia dei fondi europei, nessuno dubita che gli imprenditori debbano mettere sul tappeto dei soldi “veri” per i loro progetti.

E qui è peggio che andar di notte. C’è come l’impressione che la classe imprenditoriale si ritenga a volte in diritto di utilizzare i contributi europei quale unico capitale per le iniziative che propongono di attivare, comunque vadano a finire, cioè che si rivelino redditizie o no. Salvo poi lamentarsi quando questi fondi vengono meno. E’ il caso dei coltivatori del tabacco, operanti in quella vasta fascia di nord-est che va dall’Emilia al Triveneto e poi in Toscana e in misura minore in Campania: quando l’Europa ha ritirato i suoi fondi, che erano in questo caso non strutturali ma di programmazione agricola (il che non cambia la sostanza del problema) si sono lamentati della scarsa redditività delle produzioni alternative. Se un ettaro di tabacco rende 1200 euro l’anno, uno di mais ne rende 80. La differenza è macroscopica, è innegabile, però gli imprenditori della terra forse non hanno considerato che presentando progetti adeguati alle rispettive regioni avrebbero probabilmente potuto accedere agli altri fondi, appunto quelli strutturali, per nuove iniziative maggiormente redditizie.

Questo della carenza di capitali è un problema per l’industria italiana di qualsiasi settore che va al di là del problema dei fondi europei. Da tutte le statistiche risulta che nessuna categoria imprenditoriale è così dipendente dal credito bancario come quella italiana. Il che denota una preoccupante carenza di capitali propri. E spiega anche i lamenti fortissimi nei confronti del sistema bancario. Il quale risponde anch’esso in modo simile all’Europa: i fondi ci sarebbero, e tanti, dovete però convincerci della bontà dei progetti. A riprova del fatto che la liquidità è abbondante, i banchieri fanno notare che quando la Banca centrale europea, a metà settembre, ha offerto la prima tranche del cosiddetto “Tltro”, cioè i finanziamenti alle banche a tasso superagevolato a patto che le banche stesse girassero i fondi all’economia reale, la richiesta della banche è stata sorprendentemente bassa, meno della metà del potenziale (80 miliardi sui 168 offerti): segno che non si trovano le iniziative convincenti da finanziare.

E’ un aspetto della situazione che aiuta a spiegare le carenze in tema di fondi strutturali. Sui quali peraltro non c’è unanimità di giudizio. Non tutti gli economisti sono d’accordo sulla reale utilità dei fondi in questione. “Sono sempre stati erogati a pioggia, in modo quasi casuale e sporadico, senza nessuna programmazione alla base né imprenditoriale né statale”, è l’accusa mossa da Guido Tabellini, uno dei più prestigiosi economisti italiani, fino a metà 2012 rettore della Bocconi. “Per questo, tra l’altro, se è vero che il piano da 300 miliardi di investimenti che si appresta a lanciare il nuovo presidente della commissione europea, Jean-Claude Juncker, si basa per la maggior parte ancora una volta sui fondi strutturali, sono sicuro che non servirà a rilanciare l’economia del continente”. Però lo stesso Tabellini non può fare a meno di riconoscere l’utilità, almeno parziale, dei fondi. E anche lui ammette che restituirli al mittente, in un momento in cui l’economia affonda per mancanza di investimenti e di domanda, è davvero una colpa imperdonabile.

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Ecco il calcio sociale

CalcioSocialeA Corviale dal sogno di un ex ultrà

Dal sogno di un ex ultrà che voleva far giocare nella stessa squadra, uomini, donne, anziani e bambini è nato il Calciosociale a Corviale, periferia sudorientale ad alto tasso di degrado a Roma

La prima regola del calciosociale è parlare a tutti del calcio sociale. E’ un gioco, innanzitutto, è uno stile di vita ed è anche una terapia, parola di un gruppo di studio che ne analizzato gli effetti su pazienti psichiatrici. Prima di ogni altra considerazione occorre far sapere al lettore che il calcio sociale si identifica con il suo fondatore: Massimo Vallati, classe ’76 e una storia che in un romanzo d’appendice sarebbe definita “turbolenta”.
Da preadolescente ha giocato a calcio a livello agonistico, da adolescente è diventato un ultrà della Lazio poi quando si è reso conto che il calcio in quell’ambiente aveva perso “spontaneità” ne è uscito. A venti anni è entrato in polizia. Ci è rimasto per quattro anni e mezzo, lavorando a Roma e poi ha lasciato la divisa e ha studiato cinema e regia. Ma il calcio è rimasto il suo pallino. In una reazione di rigetto alle brutture della curva e ai personaggi del giro che ancora conosce ha inventato un gioco del calcio che quasi nulla ha a che vedere con quello seguito da milioni di persone e lo ha chiamato “calciosociale”, una parola sola. Ha proposto il modello al prete di una parrocchia ma ha capito che aveva le potenzialità di uscire dai confini delle mura dell’oratorio.

Il 13 luglio del 2009, Calciosociale – che intanto è diventato una società – è entrato in possesso di una struttura sportiva in stato di totale abbandono, in Via di Poggio Verde 455, nel quartiere di Corviale, il Serpentone, il chilometro di cemento armato e vetro, opera di edilizia popolare alla periferia sudorientale di Roma dell’architetto Mario Fiorentino costruita nel 1975 e mai completata, ad alta concentrazione di abbandono e criminalità. Talmente criticata da aver fatto nascere la leggenda metropolitana per cui il Corviale, con la sua massiccia struttura monocolore, ha tolto il ponentino a Roma.

Cinque anni e un milione e quattrocentomila euro dopo – in parte donazioni private, in parte finanziamenti pubblici, in parte autofinanziamento – è nato il nuovo Campo dei Miracoli, una struttura moderna con un campo di calcio con intaso naturale, una palestra con il soffitto fatto da corteccia di alberi, una casetta della spiritualità (ex domicilio di un componente della banda della Magliana, racconta Vallati), una sala polifunzionale e il progetto di una mensa con forno a legna. Oggi il Calciosociale ha portato a casa un altro risultato: come best practice italiana sarà presentata dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Graziano Del Rio ai ministri dello Sport dell’Unione Europea come esperimento (riuscito) di recupero delle attività sportive nelle periferie.

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Dall’area cani al parco sotto casa: ora si adottano gli spazi pubblici

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Il Comune istituzionalizza il faidate contro il degrado delle zone verdi. E i giardini diventano orti urbani

Anziché adottare un cane, specie se ce l’avete già, da oggi in poi potrete adottare un’intera “area cani”. Sì, avete capito bene: quelle spianate solitamente recintate, situate all’interno dei parchi, che servono per portare a spasso, far correre e defecare i vostri amici a quattro zampe. Se però non avete un cane ma il pollice verde sì, non disperate: potete sempre chiedere in affidamento uno dei tanti giardini di proprietà comunale, ormai quasi tutti in stato di abbandono, per trasformarli in orti urbani coltivati a zucchine e pomodori, o in oasi lussureggianti di gerbere e rose.

È l’ultima frontiera tracciata dal Campidoglio per coniugare la tutela del verde pubblico con le ristrettezze di un bilancio che a stento riesce a garantire i servizi essenziali: visto che sempre più spesso sono i cittadini a farsi carico, in modo del tutto spontaneo, della pulizia dei prati sotto casa, perché non istituzionalizzare il faidate? Ed ecco che l’assessore all’Ambiente Estella Marino ha messo a punto due diverse delibere, che verranno esaminate oggi in giunta. La prima detta le linee guida per l’adozione di una delle 150 “aree cani” distribuite sul territorio romano. Nobili le motivazioni, sebbene scritte in perfetto burocratese: “Detti spazi, ove non adeguatamente mantenuti, contribuiscono significativamente alla dequotazione degli standard qualitativi, anche solo “percepiti”, con riferimento alla manutenzione del verde cittadino da parte della cittadinanza”. Ancora: “Nel corso degli ultimi esercizi finanziari, le risorse economiche stanziate in bilancio per la cura e la manutenzione del verde hanno subito una cospicua contrazione”.

Da qui l’idea di incentivare il “partenariato sociale pubblico-privato”, dando seguito “alla più volte manifestata volontà dei cittadini di affiancare Roma Capitale in iniziative” di questo tipo. Semplice lo schema individuato: il soggetto che adotta (persona fisica, organismi, enti, associazioni o comitati) si impegna mediante un apposito atto a manutenere e/o eventualmente custodire un’area cani cittadina “per un periodo di tempo determinato” e secondo precisi standard “fissati unilateralmente” dall’amministrazione, “senza oneri finanziari a carico” di quest’ultima. Chi lo fa dovrà perciò garantire “la pulizia, il decoro e gli arredi nel rispetto delle vigenti norme igienicosanitarie”.

Più o meno la stessa ratio che sottende l’innovativo Regolamento per l’affidamento in comodato d’uso gratuito delle aree verdi comunali “compatibili con la destinazione a orti/giardini urbani”. Tredici articoli con tanto di “disciplinare di conduzione e manutenzione” per trasformare gli spazi abbandonati in prati coltivati a ortaggi, fiori e frutta. A prenderli in carico potranno essere associazioni e gruppi no profit, oppure persone singole (il cui lotto non potrà però superare i 60 metri quadrati) a patto di produrre solo quanto serve a se stessi e ai propri collaboratori. Ma ci saranno anche gli orti condivisi (coltivati collettivamente a scopo sociale) e quelli didattici (da destinare alle scuole). Tanti gli obblighi da rispettare, elencati nella convenzione da firmare, e un divieto grande così: escludere l’utilizzo di sementi ogm, cioè geneticamente modificat




PA e social network: cinque favole di assonanza impossibile

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Le Pubbliche Amministrazioni tendono ad usare i social in modo “aggiuntivo” rispetto ai tradizionali media. In realtà, poiché i social (meglio i cittadini) esigono bidirezionalità e reciprocità nelle relazioni, un uso efficace del social networking esige cambiamenti profondi e regole inusuali per la PA.

Quindi, caro Sindaco, se vuoi adottare nel tuo Comune l’uso dei social network come strumenti di comunicazione devi davvero cambiare molto.

I Storia

L’Ingegnere Capo del Comune di Pieve di Sotto adopera in modo compulsivo WhatsApp. L’ingegnere Capo ha due figli adolescenti. Ogni sabato sera l’Ingegnere Capo, usando WhatsApp, “segue” i due figli fino alle soglie della discoteca.

WhatsApp è lo strumento che lui usa per fugare tutti i suoi dubbi sulla sicurezza dei figli. “Bene”, dice l’Ingegnere Capo, “i miei figli sono arrivati sani e salvi in discoteca”. Ho chiesto all’Ingegnere Capo, utilizzando WhatsApp, un appuntamento per sottoporgli un problema viabilistico della strada in cui abito.

L’Ingegnere Capo non si è degnato di rispondermi. Per incontrare l’Ingegnere Capo assieme ad una delegazione di altri cittadini, ho dovuto sollecitare un Assessore, un Consigliere Comunale, prendere un appuntamento con la Segretaria utilizzando il telefono, confermare la richiesta di incontro con  una mail.

Se l’Ingegnere Capo per parlare  con i figli usa WhatsApp, come d’altronde fanno milioni di persone nel mondo, perché io per parlare con lui devo utilizzare “la politica”, la segretaria, il telefono, la mail? Vi posso garantire che non esiste alcuna legge dello Stato che vieti l’uso di WhatsApp nella Pubblica Amministrazione.

Caro Sindaco, devi convincere il tuo Ingegnere Capo ad abbandonare l’AUTOREFERENZIALITÀ che da sempre accompagna la sua vita lavorativa. Twitter e Facebook serviranno molto poco alla tua Amministrazione se non rimuoverai la cultura dell’AUTOREFERENZIALITÀ.

II Storia

Qualche giorno fa si sono presentati in Comune dei ragazzi titolari di una startup. Hanno proposto al Sindaco l’adozione della app “Rendiamo democratica la nostra città”.

La app costa 2 lire. La app consente ai cittadini di segnalare al Sindaco tutto ciò che non va in città. Dalle “disfunzioni semaforiche”, alle buche per strada, “Rendiamo democratica la nostra città” consente ai cittadini di essere davvero i protagonisti. Il Sindaco é rimasto colpito dalla app (il costo di 2 lire ha incentivato questo entusiasmo), la ha immediatamente adottata.

Il Sindaco ha convocato una conferenza stampa (alla quale si è presentato con l’IPAD versione Smart 2715) dove ha annunciato l’adozione di questo straordinario strumento. Naturalmente i cittadini di tutte le classi di età hanno iniziato ad utilizzare la app.

La Segretaria del Sindaco e il suo ufficio stampa sono stati intasati da centinaia di segnalazioni le più diversa tra di loro. Dalla scarsa pulizia di alcune strade, alla ricerca dei posti di lavoro, tutto é arrivato sul tavolo del Sindaco. Naturalmente il Sindaco (meglio la sua Segretaria) non é stato in grado di rispondere alla montagna di segnalazioni dei cittadini.

Spesso, per difendersi, é stata utilizzata la fantomatica frase “non é di mia competenza”. Dopo pochi giorni il Sindaco ha annunciato che la “app é in manutenzione”…. servizio sospeso a tempo indeterminato. In quei giorni, tuttavia, si é creato un forte malumore tra i cittadini e nei partiti.

Caro Sindaco se adotti soluzioni I.T. che consentono ai cittadini di “dire la loro” su un qualsivoglia argomento devi PRELIMINARMENTE imporre (si…imporre) modifiche organizzative che consentano che le richieste dei cittadini -meglio della comunità – siano soddisfatte.

A volte basta una semplice risposta, anche negativa ma UNA RISPOSTA. Anche in questo caso il nemico da battere è l’AUTOREFERENZIALITÀ dell’Amministrazione. Soprattutto spiega ai tuoi collaboratori che non si usa mai la frase “NON È DI MIA COMPETENZA”.

III Storia

Sono arrivati due stagisti all’ufficio stampa. In realtà sono stati mandati dalla super fantaguru agenzia di comunicazione “WEBSPAZIALIONLINE” che deve curare l’immagine dell’Amministrazione. I due stagisti, in realtà, hanno frequentato tutti i più importanti master in “Tecnologie Social SUPERSpaziali”, ma non hanno la più pallida idea delle attività istituzionali di un Comune.

Immediatamente hanno proposto (proposta accolta) che il Comune si doti di un account su Twitter. D’altronde é risaputo, se non hai un account su Twitter non sei nessuno. Un account lo ha anche Obama. È stata predisposta una campagna per acquisire nuovi follower.

Quotidianamente su quell’account vengono postate tutte le informazioni, tutte le inaugurazioni, tutte le fiere paesane nonché gli orati delle scuole materne. In quel calderone bolle un bel minestrone.

È cambiata in meglio la comunicazione -meglio, le relazioni con i cittadini con l’Amministrazione dopo l’avvento di Twitter? Assolutamente NO. 1102 follower (303 sono di altri comuni) su 103815 censiti come residenti all’anagrafe cittadina di Pieve di Sotto non é un grande risultato.

Caro Sindaco, se vuoi utilizzare Twitter sappi che tu non sei Lady Gaga (oltre 40 milioni di follower). Soprattutto in un Comune Twitter va adottato non come uno strumento di comunicazione, ma come una piattaforme che favorisce INTERAZIONI bidirezionali. Twitter é bello e utile perché consente una forte flessibilità nell’uso.

Soprattutto, non fidarti dell’Agenzia “WEBSPAZIALIONLINE” anche se ha curato tutti i tour europei di Madonna. Caro Sindaco, tu rappresenti un comune, impara ad ascoltare i cittadini. Nel tuo caso, l’indice di successo (il ROI) é avere più following da ascoltare -fare engagement democratico.

Anche in questo caso il nemico da battere é l’AUTOREFERENZIALITÀ e, consentimi, abbandona un pò di narcisismo che ti é insorto durante le primarie.

IV Storia

L’Amministrazione comunale di Pieve di Sotto si sta dotando di nuovi strumenti urbanistici. Siamo nella fase in cui il progetto di Piano viene presentato per consentire ai cittadini e agli stakeholders di avanzare proposte e osservazioni (le deduzioni in “linguaggio tecnico”).

A questa fase seguiranno le “controdeduzioni” ecc.ecc…Nonostante Twitter, la presentazione del nuovo Piano Urbanistico segue canali molto tradizionali. Sono convocate le assemblee di circoscrizione, gli incontri con il Sindacato e gli stakeholders, il Consiglio Comunale.

Si susseguono in Comune (e non solo) gli incontri con i diversi portatori di interessi. Naturalmente questo processo “partecipativo” frammentato fa perdere ogni visione d’assieme della città. La pianificazione urbanistica si riduce ad essere una somma di interessi spesso non coerenti tra di loro. Si perde il senso del bene comune.

Diciamo addio al sogno di gloria di trasformare Pieve di Sotto in una moderna metropoli smart. Si é scatenata la sindrome NIMBI anche nella pianificazione urbanistica. il figlio dell’Architetto Capo ha scoperto l’esistenza di Minecraft.

La Preside della sua scuola (una insegnate illuminata) ha scoperto che in Danimarca Minecraft viene utilizzato come strumento didattico. I ragazzi immaginano in questo modo (vision) l’evoluzione del territorio.

Tra l’Architetto Capo e il figlio si é aperto uno scontro generazionale/culturale. Il figlio ha proposto al padre di usare Minecraft  come strumento di partecipazione per l’evoluzione del territorio. Vecchio e nuovo, norma e sostanza hanno combattuto la loro epica sfida.

Caro Sindaco se vuoi costruire la smart city, come hai annunciato nel tuo programma di mandato, devi adottare inediti strumenti partecipativi.

Lego, Minecraft, SimCity sono lì a tua disposizione. Chiedi agli hacker e ai visionari, chiedi ai coworker e ai makers, chiedi alla Preside, chiedi agli studenti di darti una mano a far decollare una esperienza inedita.

Fai recuperare una visione d’assieme del territorio. L’Architetto Capo conosce bene la normativa. In gioventù peraltro sognava di diventare come Renzo Piano, ma si é fermato a Pieve di Sotto.

Anche in questo caso i nemici da battere sono l’AUTOREFERENZIALITÀ e la CONSUETUDINE.

V Storia

Finalmente l’Amministrazione è sbarcata sui social network e a deciso di utilizzarli come strumento di customer, di dialogo, di reciprocità. Siamo giunti a superare le evidenti autoreferenzialità espresse da molta parte della macchina organizzativa.

I canali social sono stati attivati con successo. Anzi sono stati integrati a molti software gestionali. “BINGO!!!” direte voi. “Non é detto”, rispondo io.

Qui entrano in campo alcune regole. Prima di tutto la cultura della partecipazione e la regole del recinto di sabbia…Pensando di difendere il Sindaco, anzi mettendo una immagine del Sindaco su Facebook, l’ufficio stampa (chi? perché lui o lei?) insulta tutti coloro che criticano l’Amministrazione.

Non solo, ogni commento non viene ripreso, non è ritwittato, non merita almeno un “grazie”. Questo atteggiamento, compresa una gestione conflittuale del rapporto con i cittadini durante la settimanale sessione di #sindacorisponde tra generando tensioni evidenti.

Caro Sindaco, hai superato brillantemente la prima fase della tua missione. Una corretta gestione dei social, per essere tale, necessita di regole precise, di responsabilità ben definite, di un obbligo alla risposta. Anche il messaggio critico merita una risposta. Anzi, i critici vanno monitorati. Forse hanno ragione loro.

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Pelle traspirante per l’Istituto Sanitario firmato Wood Bagot

Il pluripremiato SAHMRI ha una facciata composta da 6.290 pannelli di vetro che rispondono all’ambiente e alle condizioni atmosferiche, rendendo l’edificio simile ad un organismo vivente

Si era già fatto notare all’edizione 2014 del South Australia Architecture Awards, aggiudicandosi ben 5 vittorie su 11 del premio volto a riconoscere i progetti architettonici più interessanti del Sud dell’Australia. Parliamo del ‘South Australian Health and Medical Research Institute’ (SAHMRI), l’Istituto per la ricerca medica e sanitaria progettato dallo studio Wood Bagot. 

 

 L’importanza del progetto- aveva commentato la giuria del premio– risiede nella sua spinta catalizzatrice, a vari livelli: da un punto di vista urbanistico, per aver ‘rigenerato l’area in cui si trova; da un punto di vista ‘politico’ per aver dato importanza alla ricerca sanitaria e da un punto di vista architettonico, perché segna un importante passo in avanti da un punto di vista innovativo.

25mila mq per una struttura iconica

Realizzato su una superficie di 25mila mq al centro del nuovo polo sanitario di Adelaide, il SAHMRI ha una forma iconica e scultorea che non passa di certo inosservata. ‘Cuore’ del progetto, la facciata scintillante a griglia triangolare ispirata, come riferiscono gli architetti, alla ‘pelle esterna’ di una pigna. 

 

La facciata, progettata per migliorare l’ingresso della luce, riducendo al contempo fenomeni di surriscaldamento e abbagliamento, è composta da 6.290 pannelli di vetro che  rispondono all’ambiente e alle condizioni atmosferiche, rendendo l’edificio simile ad un organismo vivente. Il vetro, combinato ad altri materiali appositamente selezionati e la particolare forma della ‘pelle’ creano, negli spazi interni, giochi di luce che li trasformano nel corso della giornata. 

 

Un effetto enfatizzato anche dalla presenza di pareti e mobilio flessibile che possono essere modellate in base alle esigenze degli abitanti.

 

Riqualificazione del quartiere

L’importanza del progetto va rintracciata anche a livello urbanistico, perché la realizzazione del polo sanitario ha comportato un’opera di riqualificazione del quartiere periferico in cui è inserito, con una particolare attenzione al sistema di collegamento: oltre alla creazione di passaggi pedonali che collegano l’istituto alla stazione ferroviaria, è stata realizzata anche una grande pista ciclabile che consente di percorrere brevi e medie distanze.

Il South Australian Health and Medical Research Institute si è aggiudicato la certificazione Leed Gold, ed è il primo centro di ricerca dell’Australia ad averla ottenuta. 

Scheda tecnica
Architetti: Woods Bagot

Luogo: Adelaide SA, Australia

Fotografie: Trevor Mein
Building Services Engineers: Norman, Disney & YoungLandscape

Consultant: OxigenManaging

Contractor: Hindmarsh

Laboratory Specialist: Research Facilities Design




Zingaretti: 19 MILIONI PER RIQUALIFICARE CORVIALE

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COMUNICATO STAMPA

 

19 MILIONI PER RIQUALIFICARE CORVIALE

 

Zingaretti: “la Regione Lazio ha stanziato oltre 19 milioni di euro per la rigenerazione urbana di Corviale”.

Dopo un’attesa lunga 18 anni parte un concorso internazionale per la ristrutturazione del 4° piano, la messa in sicurezza, la manutenzione ordinaria e straordinaria dell’intero complesso.

Il Bando di progettazione, condiviso con gli abitanti di Corviale, si basera’ sulle linee guida dell’Ater condivise con il Tavolo di Concertazione Istituzionale avviato dal Ministero dei Beni e delle attivita’ Culturali e del Turismo e che saranno presentate alla Biennale di Venezia venerdì 3 ottobre.

Finalmente ciò per cui abbiamo tanto lottato si realizza ma come sempre, come Coordinamento Corviale Domani, ribadiamo che senza la premessa della legalità e della sicurezza Corviale non si rigenera.




Apre “L’Alveare”, il coworking con uno spazio baby dedicato ai neo genitori

scambioApre a Centocelle, in via Fontechiari 35, “L’Alveare”, un ambiente di circa 200 mq per il lavoro in condivisione che mira a migliorare la qualità della vita di neo-mamme e neo-papà, fornendo loro un servizio che permetta di continuare a lavorare subito dopo la nascita dei figli grazie alla presenza attigua all’ambiente di lavoro di un’area specifica, adeguata alla cura di bambine e bambini piccoli.

Inoltre, proprio per rispondere all’esigenza di un luogo di scambio di competenze e incubazione di idee, lo spazio messo a disposizione da Roma Capitale è aperto a tutti i lavoratori e lavoratrici che condividano lo spirito del coworking, anche senza figli o con figli grandi.

 

Nel dettaglio: l’area comprende uno spazio baby di oltre 50 metri quadrati dotato di servizi autonomi ed idoneo ad accogliere – a partire dai 3/4 mesi di età – dodici bambini contemporaneamente, uno spazio coworking con 20 postazioni, 2 uffici (4/8 postazioni), una sala riunioni, una china, uno spazio allattamento, servizi, giardino.

 

Le tariffe del coworking sono orientate all’accessibilità: partono da circa 2,80 euro l’ora e prevedono un’agevolazione per chi usufruisce di più servizi contemporaneamente e per un tempo prolungato. Le aziende avranno la possibilità di convenzionarsi con il coworking per il telelavoro e per il periodo di rientro dalla maternità delle lavoratrici dipendenti (soluzione pensata per tutte le aziende sprovviste di nido).

Lo spazio sarà poi sfruttato per l’organizzazione di corsi di formazione professionale, di orientamento al lavoro, di progettazione europea e di lingue, in collaborazione con enti formatori, cooperative sociali, istituti di lingue per stimolare la creazione di sinergie e l’adozione di buone pratiche di cooperazione fra le diverse professionalità.

 

All’interno de “L’Alveare” è prevista infine la condivisione di attrezzatura da ufficio (pc, stampanti, proiettori, programmi, ecc.) e l’avvio di servizi quali spesa a domicilio, gruppi di acquisto, disbrigo pratiche.

 

“L’Alveare” è il frutto del progetto realizzato dall’associazione “Città delle Mamme” in collaborazione con l’assessorato allo Sviluppo delle Periferie, Infrastrutture e Manutenzione urbana di Roma Capitale. Questa particolare idea di coworking, che gode anche del patrocinio dell’assessorato alla Scuola, Giovani e Pari Opportunità di Roma Capitale e del V Municipio, ha suscitato l’interesse dell’Amministrazione dopo la partecipazione di “Città delle Mamme” al bando “Call for social Ideas”, promosso da Italia Camp e UniCredit.

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Dalla carta all’ebook, per i libri delle biblioteche non serve l’autorizzazione

ebookSecondo la Corte di Giustizia UE le strutture pubbliche possono trasferire in digitale i volumi in loro possesso anche senza l’esplicito consenso di chi detiene il copyright

Le biblioteche accessibili al pubblico non hanno bisogno dell’autorizzazione del titolare dei diritti d’autore per digitalizzare un libro. Possono farlo di loro iniziativa anche consentendo agli utenti di consultare la copia digitale da apposite postazioni di lettura elettronica, collocate nei loro locali interni.

Lo ha stabilito una sentenza della Corte di giustizia europea, chiamata, in base ai termini del rinvio pregiudiziale , a pronunciarsi su una controversia tra l’Università tecnica di Darmstadt e la casa editrice tedesca Eugen Ulmer KG.

Secondo il parere dei giudici dell’organo giurisdizionale supremo dell’Unione, inoltre, uno Stato membro può autorizzare gli utilizzatori a stampare su carta o a memorizzare su una chiavetta USB i libri digitalizzati dalla biblioteca a patto, però, di riconoscere ai titolari dei diritti un equo compenso.

 

Non è stato, quindi, accolto il punto di vista della casa editrice tedesca che aveva cercato di impedire sia la digitalizzazione di un suo manuale di storia, sia la messa a disposizione degli utenti nei posti di lettura elettronica, installati nella biblioteca dell’ateneo di Darmstadt, dopo il rifiuto opposto dalla stessa università alla proposta della Eugen Ulmer KG di acquistarlo e renderlo fruibile sotto forma di ebook.

 

Su questo punto, la Corte ha chiarito che se è vero che la direttiva europea sul copyright (2001/29) riconosce agli autori il diritto esclusivo di autorizzare o vietare la riproduzione e la comunicazione delle loro opere, prevede, contemporaneamente, eccezioni o limitazioni.

 

Eccezioni e limitazioni che, in particolare, sono applicabili, da parte degli Stati, nel caso in cui le biblioteche, a fini di ricerca o di studio privato, mettano i libri delle loro collezioni a disposizione degli utenti mediante terminali dedicati. Non cambia niente il fatto che il titolare dei diritti d’autore proponga a condizioni ragionevoli contratti di licenza per l’uso della sua opera. La biblioteca continua ad avere la possibilità di digitalizzare e rendere accessibile la sua copia all’utenza “altrimenti – sottolinea il giudice – non potrebbe assolvere alla sua missione fondamentale né promuovere l’interesse pubblico legato alla promozione della ricerca e dell’attività privata di studio”.

 

Posizione condivisa da Pierantonio Metelli, funzionario della Biblioteca Nazionale di Firenze, secondo il quale passare dal cartaceo al formato digitale non comporta altri diritti associati. “Se ho una copia digitale di un libro – precisa – la rendo disponibile, perché la biblioteca deve perseguire la sua missione ma senza ledere il diritto d’autore. Noi, comunque, non digitalizziamo le opere in commercio”.

 

Anche nella Biblioteca nazionale di Roma un volume, se digitalizzato, non viene sottratto alla consultazione del pubblico. “La biblioteca – sostiene Maria Luisa Jacini, responsabile del Servizio Riproduzioni – non sta procedendo ad un’attività diffusa di digitalizzazione che si realizza, di norma, per motivi di conservazione. Quando si presenta l’occasione di un libro in deterioramento, tutelato da copyright, questo viene digitalizzato per non venir meno al servizio di tutela. In caso di richiesta dell’utente, dobbiamo metterlo a disposizione e, eventualmente, permettere di fare fotocopie, senza, tuttavia, rilasciare il file digitale”.

 

Riguardo a questo aspetto, per la Corte di Giustizia Ue, la stampa di un’opera su carta o la sua memorizzazione su chiave USB, non può essere permessa dai terminali dedicati senza pagamento di un equo compenso ai titolari di copyright, perché le eccezioni e le limitazioni, previste della normativa, valgono unicamente in favore dell’attività della biblioteca, autorizzabile dalla legislazione nazionale, ma non di quella del singolo utente che riproduce il libro facendo una nuova copia.

 

Chiarito il campo di applicazione della direttiva Ue sul diritto d’autore, il caso “Technische Universität Darmstadt contro Eugen Ulmer KG” torna ora davanti alla Corte federale di giustizia tedesca. Spetterà al giudice nazionale risolvere la causa, conformemente alle decisioni della magistratura europea.

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