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Sette mosse per farsi finanziare con successo dal crowd

Le campagne di crowdfunding di successo non sono improvvisate. Pianificazione, test e cura dei dettagli sono le chiavi per aumentare le chance che la propria campagna abbia successo.

Affinché una campagna di crowdfunding abbia successo, non basta avere un buona idea (anche ottima), scegliere una piattaforma e caricare la propria presentazione e magari un video. E’ necessaria un’accurata pianificazione che in grado di massimizzarne la comunicazione.

Ecco allora alcuni suggerimenti chiave, tarati per una campagna di reward (o di donation) crowdfunding, ma adattabili anche a una campagna di equity. Non sono di per sè garanzia di successo, ma mi auguro siano utili almeno a massimizzarne l’opportunità.

Coinvolgere il team
Nessun uomo è un’isola e chi tenta di eseguire una campagna di crowdfunding di successo da solo rischia molto. Il crowdfunding richiede energia e impegno totale. Coinvolgere un team con ruoli e responsabilità definite non solo distribuisce il carico, ma aumenta anche la portata del progetto in modo esponenziale.

Il Piano di Marketing
Il successo deriva dalla pianificazione: la pianificazione della campagna, la pianificazione del messaggio, la pianificazione del mercato. Il suggerimento chiave è identificare bene i propri contatti, quelli che si possono riuscire a coinvolgere con i propri mezzi e con quelli del team (indirizzi email, amici su Facebook, follower su Twitter…) e capire il modo migliore per comunicare con loro. La pianificazione inizia con l’identificazione della potenziale portata del proprio network per poi segmentarlo in gruppi. A questo punto è il caso di definire un tipo di messaggio diverso per ogni gruppo, in modo da poterne testare diverse varianti prima di lanciare la campagna ed così essere preparati a rivedere il contenuto della comunicazione prima, durante e dopo la campagna.

Test e risposte
Il vostro messaggio potrebbe piacervi molto ma potrebbe non suonare agli altri nello stesso modo. E’ opportuno allora testare tutto il materiale, a partire dal video del progetto, attraverso e-mail e tweet. Questo consente di capire quali testi nell’oggetto ottengono i migliori tassi di apertura e quale contenuto genera il maggior numero di clic. Per evitare “il pregiudizio degli amici”, è utile chiedere sia a persone conosciute che non conosciute, magari attraverso questionari via e-mail e/o indagini telefoniche. Tutto ciò garantisce di veicolare i messaggi giusti alle persone giuste, e di assegnare il corretto valore ai premi.

“Riscaldare” il crowd
Questo è un fattore cruciale per raggiungere l’obiettivo di raccolta nel più breve tempo possibile. Il team deve iniziare a comunicare con alcuni gruppi almeno tre mesi prima del lancio della campagna e aumentare gradualmente le comunicazioni quando la data di lancio si avvicina. Il team deve poi continuare a comunicare con tutti coloro che hanno manifestato interesse facendo sì che tengano alto l’entusiasmo e che siano pronti a impegnarsi con i propri soldi al momento lancio. La chiave qui è segnalare al proprio “crowd” in che giorno e a che ora la campagna sarà on line in modo che i sostenitori mettano a disposizione i propri fondi non appena si parte e siano così entusiasti nel momento del lancio da pubblicizzarlo e diffonderlo presso i propri network e da continuare a farlo anche nel corso della campagna.

Capire come raggiungere l’obiettivo
In molti casi, le campagne di crowdfunding consentono di raccogliere i fondi solo se si è raggiunto il target. Quindi è fondamentale fissare obiettivi di raccolta realistici. Identificate i vostri sostenitori (o gruppi di sostenitori), stimate quanti fondi ogni sostenitore o gruppo è disposto ad impegnare, e fate in modo che il vostro obiettivo non sia superiore a questo totale. Test e esaminare le vostre ipotesi come parte della pianificazione della campagna. Un modo di ottenere queste stime è di chiedere a tutti coloro che hanno manifestato interesse di indicare quanto siano disposti ad investire. Utilizzando le conoscenze acquisite nel test dovrebbe aiutarvi a definire i tassi di conversione.

Garantirsi i primi sostegni finanziari
Raramente qualcuno vuole essere il primo a mettere soldi in un progetto. Quindi è necessario qualche sostenitore che vi segua da subito in modo da validare la campagna di crowdfunding agli occhi degli altri potenziali sostenitori. Parlare con tante persone in largo anticipo sull’inizio della campagna consente di individuare quei tre o quattro sostenitori più convinti che si impegnano a fornire con certezza il massimo del sostegno finanziario. In questo modo il progetto, nel momento del lancio, appare già finanziato da qualcuno, non presenta un orrido 0 nell’ammontare finanziato, e provoca un benefico effetto rassicurante negli altri potenziali sostenitori.

Follow up
Il raggiungimento dell’obiettivo è il vero fine? Niente affatto. Il successo nella raccolta dei fondi è solo l’inizio. Ora, è vero, il lavoro sul progetto può iniziare, gli impegni di sostegno finanziario si trasformano in soldi e le idee in successo. E’ fin troppo scontato semplicemente andare avanti con il progetto. Invece, prendersi del tempo per dire grazie a tutti coloro che hanno impiegato tempo e fatica, o, a maggior ragione, hanno garantito il proprio sostegno economico può fare la differenza per il futuro del progetto. Per esempio per ottenere sostegno in occasione di un successivo round, per spingere all’acquisto o al riacquisto del prodotto, o per… garantirsi indulgenza nel caso i tempi di realizzazione del prodotto siano in ritardo.

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Tetti verdi per produrre energia

L’energia prodotta dalle radici delle piante potrebbe essere utilizzata per l’alimentazione una batteria organica

Se, oltre a produrre cibo e ad aggiungere un tocco di colore agli skyline cittadini, i green roof possono essere utilizzati per raffreddare gli edifici, perché in futuro non potrebbero anche generare elettricità?

Questa l’idea di Marjolein Helder e della start-up olandese di cui fa parte Plant-e. che hanno individuato nelle piante delle vere e proprie fonti di energia tramite lo sviluppo di un sistema modulare che genera energia della radici.

Solitamente, le piante durante il processo di fotosintesi, ovvero quando trasformano la luce solare in energia, producono sostanze organiche generate dalla combinazione di anidride carbonica, acqua e luce solare. Il meccanismo pensato dal team consentirebbe di sfruttare ciò che viene espulso dalla pianta nel terreno e di posizionare in prossimità delle radici alcuni elettrodi, in modo tale da sfruttare l’energia prodotta dalla differenza di potenziale e trasformarla in elettricità.

Attualmente la start-up ha realizzato due sistemi di 100 mq ciascuno sui tetti adiacenti la propria sede centrale, ma a entro la prossimo primavera vorrebbe costruire una vera e propria “centrale” in una zona umida e meno controllata, con la speranza di poter commercializzare il sistema sul mercato già nel 2017.

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Government, venture capital and the growth of European

Using a new European Union-sponsored firm-level longitudinal dataset, we assess the impact of government-managed (GVC) and independent venture capital (IVC) funds on the sales and employee growth of European high-tech entrepreneurial firms. Our results show that the main statistically robust and economically relevant positive effect is exerted by IVC investors on firm sales growth. Conversely, the impact of GVC alone appears to be negligible. We also find a positive and statistically significant impact of syndicated investments by both types of investors on firm sales growth, but only when led by IVC investors. Our results remain stable after controlling for endogeneity, survivorship bias, reverse causality, anticipation effects, legal and institutional differences across countries and over time and are stable with respect to potential non-linear patterns in the growth dynamics of entrepreneurial firms. Overall, our analysis casts doubt on the ability of governments to support high-tech entrepreneurial firms through a direct and active involvement in VC markets

Government, venture capital and the growth of European high-tech entrepreneurial firms

 




Ricerca, innovazione e competitività in Italia

Dire che l’economia italiana non è competitiva perché facciamo poca ricerca e innovazione è ormai diventato un luogo comune. Come dire che non c’è più la mezza stagione.

I luoghi comuni sono pericolosi. Mettono d’accordo tutti facilmente, ma spesso alimentano opinioni fuorvianti, basate su piccoli e grandi equivoci. Nel nostro paese, oggi, prevale l’opinione che i nemici dell’innovazione e della competitività siano la scarsità di risorse pubbliche e l’incertezza.

Le statistiche internazionali sulla ricerca e l’innovazione, praticamente da sempre, raffigurano l’Italia come fanalino di coda dei paesi avanzati (vedi per esempio l’ultimo “Science, Technology and Industry Outlook” dell’OCSE pubblicato a metà novembre). Spendiamo poco in ricerca e la nostra economia impiega poco capitale umano.

Si pensa subito alle risorse pubbliche per la ricerca che scarseggiano sempre di più a causa dell’austerity. A molti brillanti ricercatori italiani che sono costretti ad andarsene all’estero a causa dell’incertezza sul futuro lavorativo. E questo spinge a puntare il dito contro i tagli al bilancio pubblico e la precarizzazione dei rapporti di lavoro. Ma fa dimenticare altre importanti criticità.

Spesso si dimentica che la capacità innovativa e la competitività del tessuto produttivo non sono un semplice by-product dei risultati della ricerca. Il trasferimento della ricerca “dall’accademia all’industria” non è un fatto scontato e indolore. È un cammino a sé, complesso e difficile. Non esiste una ricetta in grado di assicurare il successo di un progetto imprenditoriale innovativo. Anche se nasce da risultati brillanti e di acclarato valore scientifico.

L’innovazione imprenditoriale è un processo che non può prescindere dalla selezione del mercato. Una idea innovativa non si trasformerà mai in un progetto d’impresa e poi, eventualmente, in una azienda di successo, se manca qualcuno che ha la passione e il coraggio di assumerne il rischio imprenditoriale, e se manca chi ha le capacità di assumerne il rischio finanziario.

In poche parole, non nascono imprese innovative e non si genera vera innovazione – quella dirompente, intendo, quella che crea discontinuità – se non c’è nessuno disposto a sobbarcarsi il rischio di fallire, professionalmente e finanziariamente.

La selezione delle start-up innovative è un processo crudele. Nel gergo imprenditoriale, la fase che separa l’avvio della start-up dalla sua stabile affermazione sul mercato viene chiamata “la valle della morte” – la metafora dovrebbe essere sufficiente a rendere l’idea.

Una start-up innovativa è un progetto ad elevatissimo rischio di fallimento. Un rischio molto più elevato di un normale progetto di impresa. Le banche di credito ordinario non finanziano la creazione di imprese innovative. Inutile illudersi sull’efficacia della stampa indiscriminata di moneta. Generalmente se ne occupano fondi specializzati di private equity e di venture capital. E gli investimenti di questi fondi si configurano a tutti gli effetti come vere e proprie operazioni speculative.

Sarà pure paradossale, ma un fondo di venture capital si comporta quasi come un giocatore di azzardo. Gioca in perdita nella speranza che ogni tanto gli capiti una grossa vincita in grado di ripagargli tutto.

La probabilità di successo delle start-up innovative è bassa, e la variabilità dei rendimenti elevata. E ciò anche se la selezione dei progetti è molto rigida e basata sulle qualità e le reali potenzialità dell’iniziativa imprenditoriale. Perciò il venture capitalist riuscirà a “pescare” la gallina dalle uova d’oro solo a fronte di un altissimo numero di progetti falliti o con rendimenti appena sufficienti.

Quella “gallina dalle uova d’oro”, per i benpensanti del politicamente corretto, è solo un guadagno speculativo. In realtà, tuttavia, andrebbe vista come un guadagno per l’intera economia, in termini di innovazione e competitività.

In un certo senso è un po’ il contrario di quello che voleva dire Keynes, quando affermava che “lo sviluppo del capitale di un paese diventa il sottoprodotto delle attività di un casinò da gioco”. Il famoso economista sottolineava questo fatto in modo negativo, come a voler deprecare un aspetto dannoso dell’economia di mercato. Noi potremmo quasi parafrasarlo dicendo che “lo sviluppo dell’innovazione è il co-prodotto delle attività di un casinò da gioco”. Ma per sottolineare questo fatto in modo positivo, e non negativo.

I fondi pubblici per il finanziamento delle start-up innovative, a volte copiati dal modello del venture capital privato, non hanno mai dato risultati soddisfacenti o comunque comparabili con quelli dei fondi privati. Il venture capital di stato non funziona: una ricerca recente del Politecnico di Milano, “Government, Venture Capital and the Growth of European High-Tech Entrepreneurial Firms”, evidenzia questo punto in modo efficace.

Un fondo alimentato con risorse pubbliche, generalmente non gestito con l’obiettivo di fare profitto e che potenzialmente ammette anche la gestione in perdita, ha solo un obbligo formale ma nessun incentivo a selezionare i progetti in funzione del potenziale valore e delle possibilità di riuscita. Anche qui, è inutile farsi illusioni.

Un fondo pubblico per l’innovazione non seleziona le proposte come farebbe un fondo privato. Avrà sempre la tentazione di erogare denaro in favore di una determinata iniziativa perché è stata segnalata dall’amico politico. Molti fondi pubblici, nati per finanziare l’innovazione, finiscono per trasformarsi in strumenti per l’acquisizione di consenso elettorale. E il denaro pubblico finisce per finanziare i progetti degli amici.

Se si tiene a mente tutto questo, la mancanza di innovazione e competitività in Italia assume connotati un po’ diversi. Non è più (solo) un problema di scarse risorse pubbliche e di troppa incertezza. Perché sarà pur vero che la ricerca, quella di base soprattutto, ha bisogno di risorse pubbliche e di stabilità. Ma è altrettanto vero che per arrivare alla competitività si deve passare per l’innovazione. E, come abbiamo visto, l’innovazione ha bisogno di capitali privati, ed è sorella dell’attitudine al rischio e della speculazione, non della certezza e della tranquillità.

L’impalcatura dell’innovazione e della competitività, perciò, si regge su più pilastri. L’investimento pubblico in ricerca è importante, ma è soltanto uno dei pilastri. Non si può fare a meno dell’altro, rappresentato dal crudele processo di selezione delle innovazioni da parte del mercato.

La via maestra per tramutare la ricerca scientifica in innovazioni, poterle valorizzare economicamente e conseguire risultati utili anche in termini di competitività e occupazione è accettare il rischio della selezione sul mercato, e soprattutto dare la possibilità di assumere il rischio imprenditoriale e professionale a chi è disposto a farlo.

E invece, oggi, in Italia, chi è disposto ad assumere un rischio imprenditoriale e professionale non solo non è incentivato, ma è addirittura penalizzato dalle norme fiscali e da quelle sul lavoro. La capacità e la disponibilità ad assumersi il rischio non è vista come una cosa positiva, da valorizzare e da premiare. È vista, anzi, come il tentativo furbesco di aggirare le regole, di evadere il fisco, di bypassare le norme sul lavoro. Di sfruttare il lavoro dipendente.

In questo senso, è emblematica proprio la storia di Steve Jobs e Steve Wozniak, che crearono la loro start-up, la Apple, dentro un garage. Oggi, in Italia, questo sarebbe impossibile perché violerebbe chissà quante norme, gius-lavoristiche, amministrative, fiscali, sanitarie, e chi più ne ha più ne metta.

Mettiamo che sia possibile aumentare quanto vogliamo la spesa pubblica per la ricerca e formare tutti i cervelli che vogliamo nelle nostre università. Anche i migliori al mondo, in possesso di idee brillanti e ottimi risultati di ricerca.

Tuttavia, se la possibilità di fare innovazione imprenditoriale rimarrà preclusa, gran parte di loro potrà solo scegliere tra l’essere mortificato, accontentarsi di impieghi non all’altezza delle proprie aspettative e delle proprie potenzialità, oppure fuggire all’estero per provare a realizzare la propria idea o lavorare a fianco di chi l’ha potuta realizzare.

Quello di cui parliamo non ė soltanto un modo diverso di vedere l’economia. È in discussione il modo stesso di vedere la società e il contributo che gli individui potrebbero dare per migliorarla, se venisse, finalmente, restituita loro la libera iniziativa.

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Verso il Forum Corviale 2015

corviale2020-1024x482-300x83Verso il Forum 2015

 Giovedì 4 dicembre CESV via Liberiana 17 ore 9.30-18

Dalle linee guida ATER al concorso internazionale RIGENERARE CORVIALE

Senza legalità e sicurezza non si fa rigenerazione urbana.

Dal secchio della spazzatura al lavoro.

Reti consapevoli e infrastrutture al servizio delle comunità.

Centralità del patrimonio culturale per la coesione e l’integrazione sociale nelle periferie urbane.

Una giornata di confronto tra buone pratiche e realtà sociali per una progettazione partecipata per “comprendere e rispettare il passato, proporre il futuro”.

Comprendere i valori del passato, proporre le soluzioni per il futuroProsegue il cantiere di lavoro e il confronto sulle linee guida per il concorso internazionale di progettazione per la rigenerazione urbana del Quadrante Corviale promosso dall’ATER .

Giovedì 4 dicembre CESV
via Liberiana 17 ore 9.30-18

Dalle linee guida
“La rigenerazione rappresenta il punto di partenza per recuperare in termini attuali il carattere di avanguardia che lo ha caratterizzato… Il percorso di partecipazione deve essere previsto in tutte le fasi dalla stesura delle linee guida fino alla realizzazione del progetto per stralci funzionali secondo la metodologia del cantiere evento” (dalle linee guida per il concorso internazionale).

Introduzione
Lo sblocco dei fondi per “Rigenerare Corviale” e lo stanziamento di 517.000 euro per il concorso internazionale – presentato ad ottobre dal presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti – fanno voltare pagina alla lunga vertenza iniziata nel 2008 con il silenzio della giunta Alemanno e la complicità della giunta regionale Polverini-Buontempo, che volevano demolire il Palazzo Ater noto come il Kilometro.
Guardando caparbiamente l’orizzonte abbiamo avviato inchieste, mappato il territorio, connesso relazioni, promosso lotte, incontri, manifestazioni ed eventi, che la comunità di Corviale ha “messo in bella”, trasformando il “profit, no-profit, volontariato, istituzioni”, che il territorio aveva autogenerato, in un progetto concreto di rigenerazione urbana.

Il frutto dei “lavori in corso” perseguito nel corso degli anni è patrimonio condiviso da parte di tutti i partner che hanno sottoscritto l’Atto di Intesa (allegato), arricchito dalla cooperazione, spesso volontaria, di coloro che hanno animato e sostenuto il progetto e consentito ad esso di arrivare fino a questo punto.
Un patrimonio che va allargato e arricchito con un processo di partecipazione di buone pratiche, non solo nella stesura del bando del concorso internazionale che Ater promulgherà entro i primi mesi del 2015, ma in tutte le fasi del processo di rigenerazione, per presentarlo all’Expò 2015 di Milano.
Il bando di progettazione, che si offrirà allo scenario internazionale, si baserà sulle “linee guida” che Ater ha predisposte e su cui ha attivato la condivisione nel il Tavolo di Concertazione Istituzionale promosso e coordinato dal Ministero Beni e Attività Culturali e del Turismo.

L’iniziativa del 4 dicembre presso la sede del Cesv, con i “tavoli di lavoro” sugli specifici temi che caratterizzano la multidisciplinarietà del progetto, ha l’obiettivo di allargare e far vivere la progettazione partecipata nella concretezza delle future attuazioni, valore aggiunto negli indirizzi della U.E, per un “Corviale 2020 intelligente inclusivo sostenibile”, su cui stiamo lavorando a partire dai Forum del 2012 e 2013.

I partecipanti ai tavoli di lavoro delle “Miniere” dovranno raccordarsi alle “linee guida” Ater per delineare il contributo da apportare alla efficacia del progetto, frutto di esperienze personali o collettive, per connettere il più possibile i contenuti del concorso internazionale ai fabbisogni condivisi.
Per ulteriori approfondimenti sulle “linee guida”, visitare il sito www.aterroma.it o www.corviale.com in cui è riportato il contributo della comunità di Corviale.

PROGRAMMA DELLA GIORNATA DEL 4 DICEMBRE 2014

Mattina
Tavolo lavoro 1 sala 1
Ore 9.30 – 13.30

La Miniera della Qualità della Vita
“Senza legalità e sicurezza non si fa rigenerazione urbana”.

Dalle linee guida:
“Recuperare la vivibilità e la sicurezza spazi esterni ed interni è un dovere civile per non lasciare al degrado una eredità di creatività urbana, di qualità architettonica e infine una testimonianza di coraggio e di grande impegno costruttivo”

Interventi di prevenzione, rispetto delle regole, animazione e controllo sociale sono le condizioni per una rigenerazione consapevole e condivisa, sia da parte delle Istruzioni che della Comunità che vive all’interno, per il Palazzo ATER e per il territorio. Rigenerazione dell’edificio e del suo intorno vuol dire:
– interventi capaci di amplificare positivamente il potenziale di Comunità attraverso spazi adeguati a favorire relazioni sociali e a funzioni tradizionali (mercati, servizi di assistenza vari agli anziani, ai bambini, alle famiglie etc.);
– il potenziamento dell’offerta culturale, delle attività di animazione esistenti, per attività imprenditoriali di economia civile (esempi: concessioni di spazi per studi artista, piccoli artigiani, start-up per innovazioni tecnologiche, cooperative e imprese sociali, a servizi innovativi e formativi …);
– politiche attive sul lavoro, con particolare attenzione alle categorie svantaggiate e al disagio sociale. Il riferimento è in particolare al lavoro che presidia edificio e territorio, producendo identità e senso di appartenenza al vivere in comune (vedi appalti in autogestione di servizi, del ciclo dei rifiuti…);
– riorganizzazione ambientale e paesistica degli spazi verdi, dei percorsi e delle aree attrezzate esistenti intorno all’edificio stesso.

Coordinano:
Daniel Modigliani (ATER), Francesca Danese (CESV), Pino Galeota (Corviale Domani)
Report Alessandra Fraddosio (Magliana Solidale)
Partecipano:
Carla Bartolucci (CNCA), Fiammetta Mignella Calvosa (LUMSA) Luciano Castaldi (Regione Lazio), Roberto Crea (Cittadinanza attiva), Sergio Giovagnoli (Arci Solidarietà),) Giorgio Mirabelli (Amate l’Architettura), Bruno Monardo (la Sapienza), Gianni Palumbo (Forum Terzo Settore), Stefano Regio (Il cammino), Guendalina Salimei (architetto), Massimo Vallati (CalcioSociale), Maurizio Zucconi (Federculture), Miani Mimma (Municipio XI)Angelo Scamponi (CIC), Elio Bovati (Com. Arvalia), Marcello Paolozza, Alessandro Giangrande ( Roma Tre), Latella Roberto (Formazione sociale), Masimo Taddia (Social street), Paola&Daniele (ARCI Corviale), Paolo Gelsomini (Carte in Regola) , Paola Rossi ( architetto) Martini Mauro (architetto)

Tavolo di lavoro 2 sala 2

La Miniera dell’Ambiente e dell’Economia Verde
Ore 9.30 – 11.30

Dal “secchio della spazzatura al lavoro”.

Dalle linee guida:
“Corviale per la sua estensione e densità abitativa consente di sperimentare soluzioni spaziali e gestionali innovative per pratica la raccolta differenzia dei rifiuti (…) la previsione di attività di animazione sociale, artigianali e commerciali al servizio del quartiere al fine di recuperare quell’effetto città che a Corviale è sempre mancato, ma che il progetto originario prevedeva nel piano libero.”
– Rigenerazione delle reti impiantistiche finalizzate al riuso-riciclo-recupero locale e diretto.
– Rigenerazione delle coperture attraverso la creazione di orti, serre idroponiche fotovoltaiche, community gardens e mini labs e fablabs.
– Formazione per la consapevolezza della Comunità sull’importanza e sulle opportunità legate al nuovo modello dell’abitare.
– L’interazione con il sistema formativo, sia per la conoscenza che per le opportunità relative a sbocchi lavorativi per nuove figure professionali.
– Realizzare Centri di riparazione e riuso di beni e prodotti eccedenti non pericolosi, che avvii una filiera di recupero nel territorio di oggetti “ingombranti” e di comune uso personale, domestico e dell’abitare in grado di essere scambiati o riparati per essere re-immessi nel circuito del consumo privato.

Ore 11.45- 13.45

Coltiviamo insieme Corviale

Dalle linee guida:
“È necessario, inoltre, potenziare le connessioni con le attività produttive e gli spazi nelle aree agricole circostanti, come individuate dal piano di assetto delle Riserve Naturali di Roma Natura, e con le aree di verde pubblico interne ed esterne all’ambito stesso.”
– Valorizzare aree agricole e spazi naturali in una prospettiva multifunzionale integrata volta a sviluppare potenzialità inscritte nei parchi agricolo-naturalistici (Parchi Roma Natura Tenuta dei Massimi e Valle dei Casali), che delimitano il quadrante Corviale attraverso presidi agro-ambientali, prodotti a Km 0, mercati del contadino, agriturismi, agriasili, centri educazione ambientale, ecc.
– Favorire una politica e cultura della sana alimentazione, incentivare e promuovere artigianato alimentare e prodotti tipici. I Centri, luoghi di lavoro e cooperanti sui temi dell’educazione ambientale e alimentare (lotta agli sprechi e alla povertà crescente, all’obesità, agli acquisti compulsivi, cucina degli avanzf ecc.) connessi con attività di formazione, ludiche e culturali aperte a tutta la popolazione tesi ad avviare nuovi stili di vita.
– Importante ruolo del sistema scolastico per intervenire sull’intera filiera della Comunità.

Per entrambi i tavoli di lavoro, adottare strategie rivolte all’inclusione sociale e lavorativa per le categorie svantaggiate.

Coordinano:
Claudio Rosi (ATER) Maurizio Gubbiotti (Roma Natura) Eugenio De Crescenzo (AGCI) Alfonso Pascale (Reti Fattorie Sociali)
Report Rossella Ongaretto (Roma Natura)
Partecipano:
Giorgio Boldini (Verde pensile), Marotta Maurizio (Capodarco), Massimo Piras (Zero Waste) Andrea Ferraretto (Ass.to Ambiente) Lucilla Brignola (Amate l’architettura), Marco Fratoddi (Nuova Ecologia), Massimo Leone (ifoRD), Francesco Montillo ( la Sapienza), Teresa Bernardini (CD) , Adriano Zaccagnini (Camera dei Deputati), Antonio Alliva (3D Italy), Marina Galati (Cooperativa Ciarrapani), Roberto Leonardi (Consorzio Sociale)), Stefano Panunzi (Unimol), Augusto Pascucci (UNIAT), Gianni Russo (Keplero), Antonio Iannelli e Angelo Alesi (Corviale Domani) Vittorio Lovera (ATTAC Italia), Adolfo Riviello ( AMICA), Alessio Di Giacomo ( Imprenditore), Paolo Menichetti (Territorio Roma)

Pomeriggio

Tavolo lavoro 3

Ore 14.45-18.00 sala 1

La Miniera del Patrimonio Culturale.

Da “Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Comitato delle Regioni. Verso un approccio integrato al patrimonio culturale per l’Europa. 22.7.2014″

Nei nuovi indirizzi della U.E. 2020 il patrimonio culturale, da intendersi come bene relazionale, assume un approccio integrato che permea la dimensione culturale, fisica, digitale, ambientale, umana e sociale, apportando un contributo alla crescita economica e alla coesione sociale.
Risposte ad uno stato sociale del ben-essere con positivi riscontri nelle persone, anche in condizioni di disabilità e di disagio sociale.
Il patrimonio culturale oltre che costituire un punto di riferimento imprescindibile per la storia del territorio offre opportunità e potenzialità capacità per incentivare l’integrazione sociale attraverso la condivisione di attività ludiche, ricreative, sportive, relazionali che contribuiscono alla riqualificazione di zone degradate, alla creazione di posti di lavoro radicati nei territori e la promozione di un’ idea condivisa e del senso di appartenenza ad una comunità.
L’offerta culturale deve essere sempre più parte integrante del territorio ( centri culturali, sportivi, del tempo libero…) e della comunità locale, dato che le strutture e i siti producono e distribuiscono capitale sociale e ambientale.
Possono dare riposte occupazionali diffuse, diventando motori dell’attività economica, centri di conoscenza, di ereatività, di interazione e integrazione della Comunità territoriale.
Generano innovazione e contribuiscono ad una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva in linea con gli obiettivi della strategia U.E. 2020.
E’ anche questo il tema da approfondire per valutare le ulteriori indicazioni che usciranno dalla Commissione europea a breve e che dovranno trovare, attraverso una mirata verifica di congmità, l’inserimento nelle linee guida per il concorso internazionale.

Coordinano:
Maria Grazia Bellisario (MIBACT), Claudio Bocci (Federculture), Umberto Croppi
Rapporteur Silvia D’Amico (Federculture)

Partecipano:
Antonio Trimarco (Biblioteche Roma), Concetta Di Spigno (Keplero), Simona Elmo (Fondazione IFEL), Roberto Ferrari (economista cultura), Pietro lacobone (CSV Matera ), Daniela Vaccher (Il Tempo Ritrovato), Monica Melani (Il Mitreo), Pino Galeota (Corviale Domani), Claudio Butera (Arvalia Nuoto) , Claudio Lombardi (Carte in Regola), ThemArt, Martini Stefano (Fedim), Tonino Tosto (Upter) Francesco Nucci ( Volume!)

Tavolo di lavoro 4

Ore 14.45-18 sala 2

La Miniera di infrastrutture e reti consapevoli.

Dalle linee guida:
Corviale non essendo un edificio ma una parte della città costituisce per la sua forma, la sua estensione e la densità abitativa un modello di sperimentazione di Smart Building

– Il Corviale come HUB di produzione e riproduzione, condensatore sociale, energetico, formativo e di comunicazione teso a favorire una migliore qualità del vivere in comunità.
– Il progetto di rigenerazione per essere efficace e duraturo deve essere soprattutto infiastrutturale e sistemieo a tutte le scale dimensionali. Dall’edificio, alle strutture esterne, al territorio, le infrastrutture devono corrispondere a reti, materiali e immateriali,
– consapevoli. Tutte le proposte, i progetti, le indicazioni e le future attività in campo economico, sociale, culturale e ambientale, nonché quelle relative all’ accessibilità urbana, devono tendere all’aumento del presidio e della sicurezza degli spazi aperti, delle reti e dei nodi, favorendo il movimento quotidiano dei cittadini con conseguente riduzione del traffico veicolare a favore del potenziamento del trasporto pubblico. L’obiettivo è di ridurre costi e consumi, aumentare il benessere, il confort e l’uso delle opportunità offerte da ogni tipo di rete sistemica nelle abitazioni, nelle attività sociali e produttive. –
– Rendere agevole gli spostamenti per l’accesso ai servizi adottando nuove tecnologie di comunicazione (leggi: servizi anagrafici, atti amministrativi, rilascio certificati ma anche visite mediche, biglietti per spettacoli, mostre, iscrizioni scolastiche).

Coordinano:
Lucina Caravaggi (Sapienza), e Stefano Panunzi (Unimol),
Report Costantino Carluccio (Unimol)

Partecipano:
Alessandro Fuschiotto (Agenzia Mobilità), Michele Lavizzari Alessandro Giangrande (Carte in Regola), Cristina Imbroglini (Sapienza), Francesco Pazienti ( Piattaforma Testaccio) Francesco Tupone ( Linus ) Alessandro Reali ( Undici Radio) Anna Lei ( Sapienza) Rodolfo Grimani (Rotetecnology), Federico Coppola (Expò 2015), Antonello Fratoddi (MediterRAId), Stefano Medori ( esperto reti)

Tavolo di lavoro 5 Saletta

Ore 14.30- 17.30

Le periferie. La partecipazione, il racconto, la comunicazione. Un nuovo mainstream?

Raccontare e far raccontare a chi le vive le periferie è un modo per ritrovare una nuova centralità delle persone che vivono e abitano le nostre città nel mainstream comunieativo. Corviale è una esperienza di frontiera che ha già sperimentato numerose forme di partecipazione e comunicazione che hanno la necessità di trovare nuove sintesi e nuovi percorsi per colonizzare gli altri spazi della città e degli immaginari contemporanei.

Coordinano:
Andrea Volterrani (Tor Vergata) e Tommaso Capezzone ( blogger )
Partecipano:
Anna Maria Bianchi (Carte in Regola) Salvatore De Mola (sceneggiatore) Giuseppe Manzo (Legacoopsociali) Gaia Peruzzi (Sapienza) Paola Springhetti (CESV), Federico Valerio (Undici radio), Alice Valle (social media blogger), Sandro Zioni (Informat srl), Elisa Longo (“Giornale Le periferie”), Ivan Selloni ( Corviale.com), Aldo Feroci (Fotografo)

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Il Pd riabbraccia Marino ma senza uno straccio d’idea

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Prima giunta Marino

Tra Ignazio Marino e il suo partito si è siglata una tregua giusto per prendere tempo. Ma nulla di più perché un contributo effettivo di idee dalla conferenza programmatica del Pd di Roma non è arrivato. E dunque è mancata una proposta su cui confrontarsi veramente e da cui ripartire, in modo condiviso, nell’attività amministrativa.

Marco Causi ha sicuramente individuato i problemi più scottanti della capitale ma la sua relazione è stata carente sul piano di una visione strategica di medio periodo entro cui collocare il futuro di Roma. Il senatore democratico è stato bravo a glissare brillantemente questa parte colmando il vuoto con la presentazione – convinta e priva di tentennamenti – degli assi portanti dello sforzo che il governo Renzi sta compiendo per far uscire il paese dai marosi della crisi. Ma non ha offerto alcuna base concreta di cose da fare a livello locale. Lo scontro tra una vecchia e cattiva politica e una buona politica è tutta giocata sul piano nazionale e riguarda il nostro rapporto con l’Europa, la capacità di modificare l’asse delle politiche di austerità, richiedendo più Europa senza ripiegare sui nazionalismi da “piccola patria” e portando a compimento quelle riforme che ci permettono di svolgere il nostro ruolo nel rilancio delle istituzioni europee.

C’è sicuramente consapevolezza della causa di fondo del malessere sociale che ultimamente si è manifestato in alcuni quartieri della città con punte virulente di “guerriglia urbana”. Non solo non si è potuto fare a meno di inanellare i dati della crisi a Roma quasi fossero un bollettino di guerra: in sette anni sette punti in meno di valore aggiunto, 30 mila posti di lavoro perduti al di fuori della CIG, 75 mila posti di lavoro perduti transitando attraverso la CIG, tasso di disoccupazione raddoppiato dal 5,8 all’11,3 per cento, tasso di disoccupazione giovanile al livello del 44,9 per cento, superiore alla media italiana del 40 per cento. Ma si sono anche individuate, senza mezzi termini, nei litigi istituzionali, negli eterni conflitti tra regione e comune e tra governo e amministrazione capitolina le ragioni di fondo dell’incapacità di dare risposte concrete al malessere dei cittadini. Non si è potuto tacere quello che tutti vedono. E cioè che gli effetti devastanti della grande depressione su Roma hanno colto impreparata un’intera classe dirigente a tutti i livelli: una classe dirigente litigiosa, inadeguata, irresponsabile e priva di capacità propositiva. Nel rappresentare i rapporti tra Campidoglio e Pisana, Causi utilizza un’espressione che rende plasticamente l’idea della situazione: «continuano a comportarsi da separati in casa».

C’è la denuncia dell’«arretrato di manutenzione urbana» e dei «vistosi segnali di caduta della qualità dei servizi pubblici essenziali» da affrontare attraverso un «piano per le periferie». E tuttavia i disagi manifestati dai cittadini per questa situazione diffusa di degrado, soprattutto nei quartieri periferici, costituiscono solo i sintomi di un malessere che ha cause più profonde da indagare con maggiore compiutezza. I figli e i nipoti degli ex baraccati e degli ex borgatari degli anni cinquanta e sessanta, migrati dalle regioni centro-meridionali del paese, stanno subendo un arretramento dei livelli di benessere fino a rasentare la soglia di povertà. La condizione di profonda incertezza rispetto al futuro fa sì che queste persone sviluppino una tipica avversione verso i deboli: non perché c’è in loro il senso del nemico, ma per paura di cadere nello stesso livello. Allora, attraverso l’aggressione al nero, al nordafricano, al bengalese, si stabilisce  una distanza rispetto al pericolo di una contaminazione da contatto. È la reazione a questo rischio e a quello di cadere al loro stesso livello. È una distorta ricerca di dignità. È qui che fanno leva i movimenti populisti per incanalare la violenza verso gli immigrati e la protesta verso le istituzioni considerate le principali responsabili dell’afflusso di stranieri nei quartieri multietnici della città. Manca ancora una lettura attenta e puntuale di questo fenomeno sociale.

C’è attenzione al tema della sicurezza e del contrasto dell’illegalità e tuttavia appare carente un’analisi aggiornata delle mafie a Roma. Causi evita di pronunciarne il nome e parla genericamente di «pericolose organizzazioni criminali». Ma altra cosa sono i poteri mafiosi che hanno messo le mani sulla città, le inedite commistioni tra mafie e  pezzi della destra estrema e populista, la loro penetrante capacità di organizzare consenso diffuso intorno ai traffici illeciti e al riciclo dei proventi di tali attività, di riempire i vuoti lasciati dalle istituzioni, dalla politica e dalla società civile organizzata, di utilizzare settori collusi e corrotti di pubblica amministrazione e di imprenditoria locale e di soffiare sul fuoco del malessere sociale nei quartieri con una maggiore presenza di immigrati. È pertanto sacrosanta l’indicazione di alzare il livello della risposta repressiva. Ma non se ne esce solo con una più riequilibrata dislocazione territoriale dei presidi fissi delle forze dell’ordine. Ci vuole un’azione capillare di sensibilizzazione, di divulgazione delle caratteristiche del fenomeno, di educazione per stroncare anche una mafiosità latente che ci riguarda un po’ tutti.

C’è sicuramente una puntuale disamina dei problemi da affrontare per conseguire il risanamento finanziario di Regione e Comune come condizione per liberare risorse in direzione degli investimenti. E si avverte senza dubbio il senso d’urgenza nel procedere verso un profondo rinnovamento delle pubbliche amministrazioni centrali e locali e delle aziende pubbliche concessionarie di servizi essenziali per favorire la modernizzazione dei processi la riorganizzazione delle strutture, la qualità dei servizi al cittadino, l’aumento di produttività, la riduzione dei costi.

Ma il Pd romano nella “due giorni” al Teatro Quirino si è limitato ad elencare solo alcuni titoli generici delle cose da fare, rinviando l’approfondimento nei circoli e nelle sedi istituzionali. Sono temi estrapolati dai documenti regionali per la programmazione dei fondi europei 2014-2020: aerospazio, scienza della vita, beni culturali e tecnologie per il patrimonio culturale, industrie digitali, sicurezza, green economy, agrifood. Nulla è stato detto su alcuni nodi cruciali che impediscono la progettazione e la realizzazione di vere politiche di sviluppo nella città per modificare drasticamente la struttura economica e sociale dei territori. Come concentrare e integrare le diverse politiche a livello locale? Con quali strumenti partecipativi? Come costituire dal basso efficaci partenariati pubblico-privati? Come creare lavoro in una logica produttiva stabile mediante processi di autoimprenditorialità economicamente sostenibile e coinvolgendo giovani italiani e stranieri?  Come gestire i beni comuni in una logica di welfare produttivo? Causi ha riproposto con calore la litania del decentramento municipale come se fossimo all’anno zero. È possibile che non si sia accorto che proprio in questi giorni si sta stupidamente perdendo l’occasione dell’istituzione della città metropolitana di Roma capitale per dare finalmente la piena autonomia ai municipi e permettere così di avere un’istituzione di prossimità attrezzata per affrontare i gravi problemi della città? La Legge Delrio – fortemente voluta dal governo Renzi – ha offerto finalmente ai romani tale opportunità ma la vecchia e cattiva politica sta facendo di tutto per aggirarla. E una nuova e buona politica a Roma ancora non si intravede.

 

 

 




100 anni di Federico Caffè: l’eredità di un maestro e le politiche europee *

 

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Mario Draghi, presidente BCE, ricorda Federico caffè e parla delle misure BCE contro la crisi

<<Ciao Ignazio!>> sussurra Mario Draghi, interrompendo la sua relazione. Era entrato nella sala il governatore della banca d’ Italia Ignazio Visco, in deciso ritardo dalla pausa pranzo. Si accomoda in prima fila, accanto al rettore della terza università di Roma, Mario Panizza, nell’ aula magna della Facoltà di Economia in cui si svolge un convegno importante, in occasione del centenario della nascita di Federico Caffè. Caffè era l’economista per eccellenza, docente universitario, consulente della banca d’ Italia e dei cittadini -come amava definirsi- , che ha fatto perdere misteriosamente le sue tracce ormai 27 anni fa.
La giornata è iniziata poco dopo le 9 ed è terminata nel tardo pomeriggio, perché gli interventi sono stati molti, lunghi e articolati; la maggior parte anche appassionati, al limite della commozione. In cattedra si alternano alcuni tra i più famosi allievi di Caffè e l’impressione che si ha è quella di trovarsi di fronte ai membri del gotha della politica economica italiana, un insieme di menti che hanno determinato e indirizzato le politiche economiche del paese, dietro le quinte. A dimostrazione del clima estremamente amichevole, sembra quasi una rimpatriata, ci sono i saluti, per niente istituzionali ma calorosi tra baci e abbracci e pacche sulle spalle. Nella prima mattinata i relatori analizzano la figura e gli insegnamenti del loro maestro, indicando collegamenti con il presente ed evidenziando la genialità del precursore che è stato Caffè, oltre ai suoi pregi e difetti come persona. Alle 15 fa il suo ingresso nella sala il governatore della Banca Centrale Europea Mario Draghi. Quando era studente di Caffè, ricorda la sua capacità di guardare dentro i suoi studenti e provare amore e fiducia verso di loro. I 30 minuti successivi trascorrono con un’ interessante panoramica sulla reazioni della BCE alla crisi del 2008, partendo da quanto la disoccupazione sia degradante e iniqua per l’uomo e per la sua dignità, consegnando i soliti dati allarmanti alla platea studentesca. Rivendica a gran voce le misure, convenzionali e non, che ha adottato Bruxelles: l’abbattimento dei tassi d’ interesse da 1.5% del novembre 2009 allo 0.05% odierno; l’interesse negativo sui depositi della banche nel suo istituto per stimolare il credito e quindi la ripresa, come anche il credito diretto agli istituti di 1000 miliardi a 3 anni. Snodo cruciale del discorso sono anche le misure non convenzionali di politica monetaria: le linee di credito alle banche ad un interesse vicino allo zero per finanziare famiglie e imprese e della direzione presa per arrivare ad una vigilanza unica del mercato bancario culminata con gli stress test di qualche giorno fa. L’ ennesima immissione di liquidità è garantita dall’acquisto di particolari titoli bancari (ABS e COVERED BOND) mirati a trasformare i crediti, di prima categoria, in capo alle banche in liquidità per il sistema economico. La strategia che sta dietro queste misure è una politica monetaria molto espansiva, che vorrebbe far ripartire i consumi e gli investimenti per riportare l’Europa a crescere. Draghi ha parlato della necessità di passare dalla riflessione all’ azione, che però non può essere appannaggio esclusivo della banca centrale, perché se una caratteristica fondamentale dei rapporti economici è la fiducia, quando si parla di nazioni, la riduzione del rischio paese e l’aumento di fiducia dei mercati è una precisa responsabilità politica che corre attraverso le riforme strutturali per la competitività, per un fisco, una burocrazia e un mondo del lavoro più agili e uniformi che però devono garantire chiarezza e soprattutto diritti nel raggiungimento degli obiettivi macroeconomici. Draghi si è sentito più volte solo di fronte alle diverse necessità dei paesi dell’eurozona e alle critiche ricevute specialmente dal fronte tedesco nei confronti del suo operato. Ma l’unione monetaria, ha ribadito nelle ultime battute, non è perdita di sovranità, che viene comunque meno quando lo stato è vittima di un enorme debito pubblico, ma condivisione delle scelte per creare fiducia e forza nelle scelte del lungo viaggio quale è l’Europa. Come sempre il governatore è stato accompagnato dalle polemiche perché ritenuto uno dei responsabili del disagio sociale, mutato ormai tra la gente comune in rabbia, rassegnazione e sfiducia provocato dalle politiche di austerità. Come da copione all’esterno dell’edificio si sono presentati un centinaio di studenti in corteo appartenenti alla rete Link che con il lancio di uova e vernice hanno chiarito qual è il clima di intolleranza verso la figura di Draghi. Ma anche dentro l’aula magna  la tensione si è alzata.
Al termine dell’incontro, mentre il governatore salutava e si dirigeva all’ uscita un giovane ricercatore si è alzato e forte della sua prenotazione per le domande, ha chiesto di poterle rivolgere direttamente al governatore ricevendo come risposta un no categorico con la rassicurazione che qualcun’ altro gli avrebbe dato risposta. Le considerazioni da fare sarebbero molte: in primo luogo durante l’incontro è stato citato Caffè e il suo pensiero riguardo la prepotenza e pericolosità dei poteri forti dell’economia che lui chiamava “incappucciati della finanza”, al suo amore per gli studenti. La domanda per lui era proprio rivolta in questa direzione e vorrei invitare i lettori a riflettere su questo: siamo veramente sicuri che ci sia stato un favoritismo nei confronti del mondo della finanza a discapito dei cittadini o l’austerity deriva dal fatto che le politiche fiscali (spesa pubblica e tasse) non essendo controllabili dall’Europa hanno aperto il terreno alle condizioni durissime di salvataggio della BCE? Una risposta oggettiva è difficilissima da dare. Si può affermare però che l’Europa nel disegno dei suoi padri nasce per tutelare pace e crescita duratura attuando una netta scelta di campo: l’essere umano e i suoi diritti al centro. Se Federico Caffè, scoprendo il cappuccio, potrebbe trovare il suo allievo Draghi questo non è possibile dirlo, ma sicuramente avrebbe combattuto per difendere il capitale umano che in Europa si sta degradando, cercando di salvare le persone dalla povertà e cambiando un sistema finanziario che troppo spesso antepone profitti enormi alla sua missione di pubblica utilità, non imponendo sacrifici impensabili e polarizzazione delle ricchezze per interi popoli.
L’Europa non deve essere un onere finanziario e sociale ma una scelta politica che operi a vantaggio dei cittadini.

Francesco Lomonaco

* Resoconto didattico di uno studente di Economia dell’Università di Roma Tre




Come ottenere i finanziamenti del bando Smart&Start in 10 punti

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Guida completa al bando nazionale per il finanziamento di startup innovative. A disposizione fino a 1,5 milioni per azienda

Torna il bando Smart&Start, ma soprattutto tornano 200 milioni di euro per l’innovazione. Il decreto è approdato in Gazzetta ufficiale mercoledì 12 novembre e di fatto sostituisce il precedente. I finanziamenti per i singoli progetti possono arrivare fino a 1,5 milioni di euro, partendo da un minimo di 100 mila euro. Possono partecipare le imprese giovani, quelle appena nate, ma anche quelle che ancora non hanno visto la luce. E le richieste possono arrivare da tutta Italia.

Ecco una guida in dieci domande e risposte per orientarsi meglio nella ricerca dei fondi.Qui intanto per scaricare il bando. 

  1. Quanti soldi ci sono nel bando Smart&Start? 

Quest’anno il bando  Smart&Start mette a disposizione complessivamente circa 200 milioni di euro. L’aiuto è dedicato alla “nuova imprenditorialità” e punta a “sostenere la nascita e lo sviluppo, su tutto il territorio nazionale, di startup innovative”. L’importo, che andrà a coprire le spese o i costi sostenuti dalle startup, potrà arrivare a un massimo di 1,5 milioni di euro e non scenderà sotto i centomila per ciascun piano d’impresa finanziato.

2.  Chi li mette e da dove vengono?  

L’iniziativa parte dal ministro dello Sviluppo economico che il 24 settembre scorso ha firmato un decreto, recentemente pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, in cui vengono disciplinati e illustrati gli incentivi del programma Smart&Start. Per conoscere altri dettagli, relativi alla presentazione delle domande a ai requisiti specifici dei piani d’investimento, bisognerà aspettare una circolare “esplicativa” del ministero.

Le risorse economiche vengono recuperate dai fondi rimasti dei programmi PON“Ricerca e competitività” 2007-2013, PON “Sviluppo Imprenditoriale Locale” 2000-2006. Ma anche da quelli destinati dal ministro per la coesione territoriale nel 2013 al finanziamento di progetti per la nascita e lo sviluppo di nuove imprese innovative e di spin off della ricerca nel territorio del cratere sismico aquilano. Con un altro decreto del ministro dello Sviluppo economico possono poi essere individuate ulteriori risorse.

L’ente che si occuperà della gestione dei finanziamenti (burocrazia, concessione ed erogazione dei fondi, controlli e ispezioni) sarà – come per lo scorso anno – Invitalia, ovvero l’agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa.

3. Di che tipo di agevolazioni si tratta?

L’aiuto offerto dal bando Smart&Start è fondamentalmente di due tipi. Il primo è strettamente economico, trattandosi della concessione di un prestito. Il finanziamento è “agevolato” perché si rimborsa con interessi a “tasso zero” e può arrivare a coprire un importo pari al 70% delle spese o dei costi ammissibili dal bando (max 1.050.000 euro).

Per le startup costituite interamente da giovani under 35, da donne o che prevedano la presenza di almeno un esperto con un dottorato di ricerca (preso da non più di sei anni), l’importo del prestito arriva all’80% delle spese (max 1.200.000 euro). Il prestito ha una durata massima di otto anni e va rimborsato con rate semestrali costanti posticipate, che scadono il 31 maggio e il 30 novembre di ogni anno.

All’agevolazione economica però si affianca, solo per le imprese nate da meno di un anno, anche un aiuto meno “materiale” ossia un servizio di tutoraggio tecnico-gestionale che le aiuti a orientarsi meglio con il mercato dei capitali, il marketing, l’organizzazione delle risorse umane, l’innovazione e la tecnologia.

4. Cosa cambia tra Nord e Sud Italia?

Rispetto allo scorso anno, questa volta possono beneficiare delle agevolazioni le startup provenienti da tutto il territorio nazionale. Per quelle del Sud (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia) e del territorio del cratere sismico aquilano è previsto però un aiuto in più: dovranno restituire solo l’80% del finanziamento ricevuto. Il restante 20% è, a conti fatti, un contributo offerto loro a fondo perduto.

Anche nel servizio di tutoraggio cambia qualcosa a seconda della provenienza dell’impresa. Nelle zone del Mezzogiorno e del territorio aquilano, infatti, il valore del servizio è pari – per ogni singola impresa – a 15 mila euro. Il contributo si dimezza per le altre startup localizzate nel resto d’Italia.10632634_10203967786388597_6242021403406882393_n

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5 passi per partecipare ai bandi in modo vincente

 

5. Chi può ottenere i finanziamenti Smart&Start? 

Possono beneficiare delle agevolazioni Smart&Start le startup innovative che abbiano compiuto al massimo quattro anni di attività. Le aziende devono essere di piccole dimensioni, con un valore di produzione inferiore ai cinque milioni di euro e con sede legale e operativa su tutto il territorio nazionale, devono avere i conti in ordine ed essere iscritte nel Registro delle imprese. Può presentare domanda anche chi ha intenzione di mettere in piedi una startup entro i termini previsti dal bando, compresi i cittadini stranieri (che siano però in possesso del visto startup). Possono accedere agli aiuti anche le imprese non residenti in Italia, a patto che – insieme a tutti gli altri requisiti – abbiano almeno una sede sul territorio italiano.

6. Chi non può?

Non sono ammesse ai benefici  le startup controllate da altre imprese che, nell’anno precedente la presentazione della richiesta, abbiamo smesso di svolgere un’attività analoga a quella cui si riferiscono nella domanda di partecipazione. Le agevolazioni non valgono per le imprese di produzione agricola primaria o del settore del carbone. I fondi disponibili non possono essere utilizzati per sostenere attività connesse all’esportazione.

7. Cosa si può fare con i soldi di Smart&Start? 

Con le risorse messe a disposizione si possono coprire diversi tipi di spese e costi. Si parte dai piani d’impresa caratterizzati da un significativo contenuto tecnologico e innovativo, passando per lo sviluppo di prodotti, servizi e soluzioni nel campo dell’economia digitale, fino ad arrivare alla valorizzazione dei risultati della ricerca pubblica e privata. Le spese devono essere sostenute dopo la presentazione della domanda ed entro i due anni successivi alla stipula del contratto di finanziamento.

Con i prestiti si possono quindi comprare: impianti e attrezzature tecnologiche, componenti software e hardware, brevetti e licenze, certificazioni, Know how e conoscenze tecniche, progettazione, sviluppo, personalizzazione e collaudo di soluzioni architetturali informatiche.  Non si possono fare spese che riguardino la sostituzione degli impianti, macchinari e attrezzature oppure relative a commesse interne, quelle sostenute attraverso il sistema di locazione finanziaria. I finanziamenti non valgono per pagare spese notarili, imposte, tasse e scorte.

Inoltre, i beni acquistati devono essere nell’attivo di bilancio per almeno tre anni, ammortizzabili e utilizzati nell’unità produttiva destinataria dell’agevolazione. Non possono essere comprati da soggetti che hanno relazioni con l’acquirente e la compravendita non può avvenire tra società controllate o collegate. Il pagamento deve avvenire attraverso un conto corrente bancario dedicato alla realizzazione del programma di investimento.

I fondi possono coprire anche i coti sostenuti dall’impresa beneficiaria nei 2 anni successivi alla firma del contratto di finanziamento, a patto che questi siano costituiti da: interessi sui finanziamenti esterni , quote di ammortamento di impianti, macchinari e attrezzatture tecnologiche (con particolare riferimento a quelli che riguardano informazione e comunicazione), canoni di leasing, costi relativi al personale dipendente, licenze e diritti di proprietà industriale, licenze di software e servizi di incubazione e acceleratori d’impresa.

8. Come si fa domanda? 

Le domande andranno presentate al “soggetto gestore”, Invitalia, o almeno così si faceva l’anno scorso, quando erano previste procedure di accesso esclusivamente telematiche ed era necessario dotarsi di una firma digitale di formato .p7m e registrarsi nell’area riservata attraverso il sito www.smartstart.invitalia.it. Un’interfaccia web consentiva la compilazione della domanda e il successivo invio. Al momento non è ancora possibile presentare domanda per il nuovo Smart&Start: la data di apertura dello sportello sarà stabilita da una circolare ministeriale, che chiarirà anche le modalità di accesso alle agevolazioni.

Il 13 novembre 2014 (giorno di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del nuovo decreto) è stato l’ultimo giorno utile per presentare domanda per il “vecchio” Smart&Start (DM 6 marzo 2013). Le domande saranno valutate in base alla coerenza e alla competenza possedute da chi le redige, rispetto all’attività svolta. Importante anche che l’idea alla base del piano di impresa sia innovativa, la potenzialità del mercato di riferimento, la sostenibilità economica del progetto e la fattibilità tecnologica e operativa.

Un punteggio aggiuntivo è previsto per chi abbia conseguito il rating della legalità  e per chi finanzia il piano di impresa per almeno il 30% dei fondi richiesti attraverso “conferimenti in denaro iscritti alla voce del capitale sociale e della riserva da sovrapprezzo delle azioni o quote delle start-up innovative, anche in seguito alla conversione di obbligazioni convertibili in azioni o quote di nuova emissione, da parte di uno o più investitori qualificati”.

9. Tempi? 

Smart&Start è una misura a sportello. Non c’è un termine per la presentazione delle domande, ma le agevolazioni sono concesse nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, quindi non conviene perdere tempo. L’eventuale esaurimento delle risorse disponibile comporterà, infatti, la chiusura anticipata dello sportello. La valutazione delle richieste si conclude entro 60 giorni dalla data della lor presentazione. I programmi devono essere avviati dopo la presentazione della domanda e vanno realizzati entro due anni dalla stipula del contratto di finanziamento.

10. Come si possono perdere le agevolazioni? 

Le agevolazioni Smart&Start non sono cumulabili con altre, fatta salva la garanzia rilasciata dal Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese. In più, prima dell’erogazione del finanziamento e poi in ogni fase del procedimento, Invitalia e ministero dello Sviluppo economico possono effettuare controlli e ispezioni  sulle imprese agevolate per verificare che siano effettivamente operative. Se qualcosa non va, Invitalia può sospendere il prestito per un periodo massimo di sei mesi. Se, dopo questo periodo, l’impresa continua a non essere operativa, le agevolazioni vengono completamente revocate. La sospensione può essere decisa anche se l’attività dell’impresa comincia a discostarsi troppo da quella presentata nella richiesta di fondi.

La revoca del prestito, invece, può arrivare se l’impresa: perde i requisiti previsti per la qualificazione di startup innovativa, non rispetta i tempi della realizzazione del programma, cessa l’attività o si trasferisce, viene sottoposta a procedure concorsuali, e in altre situazioni che verranno poi eventualmente descritte dalla circolare ministeriale.

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