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Speciale agenda urbana europea, l’Europa riparte dalle città

ueAperta, inclusiva, partecipata: la nuova Agenda urbana europea che si inizia a delineare in questi mesi è il risultato di un cambio di paradigma che vede la Commissione europea impegnata a recuperare un dialogo stretto con quei contesti urbani che rappresentano la principale speranza di ripresa per l’economia Ue.

La due giorni di Cities – Cities of Tomorrow: Investing in Europe, la conferenza organizzata a Bruxelles dalla DG Politiche regionali e urbane della Commissione europea, ha fatto il punto sullo stato di salute delle città europee e sugli strumenti necessari per rilanciare una politica urbana europea che aggiorni approcci come quelli della Carta di Lipsia e della ville durable che hanno tenuto banco nell’ultimo decennio.

Perché un’agenda urbana europea?
Rafforzare la dimensione urbana europea rappresenta l’unico modo per affrontare efficacemente le sfide che le città si trovano ad affrontare soprattutto col perdurare della crisi economica che manifesta proprio sui contesti urbani i suoi effetti più significativi. A problemi come la scarsità di housing sociale, la mancanza di trasporti pubblici di qualità e la lentezza dei meccanismi di governance sono però proprio le città di tutta Europa a sperimentare dal basso soluzioni che ristabiliscono la cooperazione tra diversi livelli istituzionali e rimettono di nuovo le persone al centro delle politiche.

A tali costatazioni, scontate per gli osservatori più attenti del dibattito visto dal fronte urbano, è seguita una progressiva presa di coscienza del tema da parte delle istituzioni europee, dall’approvazione della risoluzione del Parlamento europeo nel 2011 che invitava la Commissione a migliorare il coinvolgimento dei livelli urbani fino al rafforzamento della cooperazione tra le presidenze di turno del Consiglio (Grecia in testa) sul tema della povertà urbana.

Con l’avvio del nuovo periodo di programmazione, che aumenta la dotazione finanziaria delle città assegnandogli una quota minima del 5% del Fesr, la necessità di un approccio trasversale dei vari dicasteri della Commissione europea ai temi urbani è diventata una necessità invocata da sempre più parti: Stati membri, amministrazioni locali e stakeholders chiedono alla Commissione europea di mettere in comune risorse e strategie per concentrare in maniera interdipendente politiche e azioni, esattamente come dovrebbero fare le città fra loro.

Un’Europa come network di grandi centri urbani più che come insieme di Stati è la visione condivisa da chi già fa rete nei confini europei, come Eurocities, e da chi guarda all’Europa urbana come ad un modello unico per il resto del mondo.

Tra questi ultimi, Jon Clos di UN Habitat e Raymond Barber (If mayors ruled the world) sono i sostenitori più accesi di un’Europa ambasciatrice dell’urbanità, capace di mettere la sua storia e il protagonismo decisionale dei suoi sindaci al centro di un confronto sul futuro dell’urbanizzazione mondiale.
Politiche integrate di qualità per attirare investimenti e, dall’altro versante, sostegno all’uscita dalla povertà delle periferie urbane sono i pilastri di un’azione declinata con strategie e approcci diversi da città di tutta Europa.

La definizione di un’Agenda urbana attraverso un confronto attivo tra quanto realizzato dai diversi contesti urbani servirà proprio a stabilire obiettivi specifici con target misurabili ma sarà anche al contempo un quadro di riferimento in cui inserire politiche e strumenti già esistenti o in divenire.

A colpire l’osservatore esterno è l’apertura di un dibattito che vede la Commissione europea ancora incerta su forme e sistemi di monitoraggio di tale Agenda ma decisa ad insistere sulle esperienze di maggiore successo degli ultimi anni (come il Programma Urbact) e a basare su tali modelli operativi (basati sulla partecipazione degli stakeholders e la condivisione delle scelte in vista di un piano d’azione) anche l’implementazione di strumenti finora non ancora decollati come il Reference Framework for Sustainable Cities.

Le città europee e l’Agenda urbana

Intervista al sindaco di Goteborg Anneli Hulthén

In che modo Goteborg sta affrontando le sfide dell’Agenda urbana europea?
Anneli-Hulten-440x314 goteborgL’intero budget dell’amministrazione di Goteborg è basato sulla sostenibilità sulle tre prospettive e cerchiamo di tradurre tali prospettive in tre obiettivi concreti: problemi sociali, questioni ambientali e sfide economici. Cerchiamo di affrontare tutte queste sfide assieme

Quali sono le sfide che state affrontando in termini di inclusione sociale?
Stiamo fronteggiando grandi sfide sul fronte dell’integrazione sociale in quanto a Goteborg il 20% della popolazione provengono da paesi diversi dalla Svezia. Ciò significa che abbiamo circa 120 diverse lingue e ciò mette fortemente sotto pressione il sistema educativo poiché è difficile fornire una buona istruzione a tutti quando abbiamo così tanti gruppi linguistici e differenze culturali. Addirittura a volte ci sono alunni che arrivano nel nostro paese a 12-13 anni e non sono abituati al sistema educativo svedese. Proviamo a vincere le sfide dell’integrazione al massimo attraverso l’insegnamento della lingua svedese o insegnando nella loro lingua specialmente matematica o inglese. Senza dubbio la sfida educativa è quella più importante per noi

Le città svedesi sono viste spesso a livello europeo come un modello di gestione positiva di servizi sociali: in che modo la crisi economica sta colpendo il livello di servizi sociali? State notando conseguenze particolari rispetto al passato?
L’economia dei comuni svedesi si è mantenuta abbastanza buona anche durante la crisi economica ma ciò non significa che abbiamo la possibilità di fare tutto ciò che vorremmo sul fronte delle questioni sociali. Il tasso di disoccupazione in Svezia e nelle sue città è particolarmente alto in Svezia, soprattutto fra i giovani: oltre il 25 per cento dei giovani non hanno un lavoro e questa è una cifra decisamente elevata. La forte disoccupazione mette una certa pressione sui comuni perché siamo quelli a cui tocca erogare un sostegno economico a coloro che non hanno lavoro. Quindi anche se l’economia ha tenuto bene, soprattutto in confronto a molte altre città europee, gestire il sistema di sicurezza sociale è una sfida continua.

In modo l’innovazione urbana può contribuire a restituire fiducia ai giovani nei confronti dello sviluppo economico futuro?
Penso che si debba dare fiducia ai giovani perché credo che molte persone, soprattutto fra i giovani della mia città, hanno perso speranza nel futuro. Dobbiamo cominciare a ridargli di nuovo questa fiducia. E’ possibile riuscirci ma c’è bisogno che la politica sia migliore di quanto lo sia oggi e di quanto lo sia stata prima. Anche se c’è la crisi, quello che abbiamo imparato è che bisogna guardare avanti

Cosa può fare l’Unione europea per questo?
L’Unione europea dovrebbe rivolgersi in maniera più diretta ai suoi cittadini e ai contesti locali. A volte abbiamo bisogno di rivolgerci ai livelli nazionali, altre volte invece di rivolgerci direttamente proprio al livello europeo. Devono conoscere le sfide e i problemi che stiamo vivendo nelle città e questo non viene sempre comunicato dagli Stati membri alle istituzioni Ue

Intervista al sindaco di Lisbona Antonio Costa

antonio costa9 lisbonaIn che modo Lisbona si è preparata sul fronte delle politiche urbane al nuovo periodo economico europeo appena iniziato?
Abbiamo iniziato ad aprile 2012 organizzando una piattaforma con tutti gli stakeholders urbani, a partire dall’università, dalle associazioni imprenditoriali e di cittadini, con l’obiettivo di definire come articolare i grandi obiettivi di una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva sul fronte locale con gli obiettivi di sviluppo europeo. Abbiamo identificato un nucleo di progetti che abbiamo sviluppato e che intendiamo proseguire nel nuovo periodo di programmazione economica 2014-2020.

La partecipazione dei cittadini è molto importante per quello che state facendo a livello di politiche urbane?
Sì, credo che questo nuovo ciclo esige un rafforzamento del partenariato e il modo più intelligente di articolare gli obiettivi è senza dubbio la mobilitazione di tutti: dell’università per l’innovazione, delle imprese per lo sviluppo di queste innovazioni generando crescita e lavoro e dell’amministrazione locale, il partner che può meglio sviluppare e applicare queste innovazioni nell’edilizia, nell’illuminazione pubblica, nella mobilità urbana, nell’inclusione delle fasce più svantaggiate.

Il vostro piano d’azione punta a migliorare la qualità della vita delle persone in tutti i quartieri della città: su cosa si sta concentrando l’amministrazione locale per realizzare questo obiettivo?
Ci siamo focalizzati su una parte della città perché se vogliamo fare tutto ciò che servirebbe in tutti i quartieri della città non arriveremo mai ad una realizzazione davvero concreta. Abbiamo selezionato, in funzione della nostra strategia di sviluppo della città, le aree principali di intervento. Si tratta soprattutto di zone nel centro storico, perché è la parte più importante per migliorare la competitività della città, ma ci stiamo concentrando anche sulle strategie di base per il coinvolgimento delle comunità nei quartieri della corona esterna della città per i quali è importante la mobilizzazione popolare e una nuova forma di sviluppo locale

Per quello che riguarda l’innovazione urbana e la smart city, che tipo di approccio state prediligendo?
La smart city dipende soprattutto da un concentrato di buone idee sulla città: la tecnologia non cambia da sola la città. E’ piuttosto uno strumento al servizio delle idee che abbiamo per migliorare la città

Queste risposte che state dando alla crisi, sul piano culturale e ambientale, possono essere dei modell utili anche per ‘Europa e per realizzare delle politiche diverse per le città?
Le politiche urbane offrono a tutti delle diverse soluzioni che possiamo conoscere e adattare alle nostre città. Quello che è importante è la diversità delle nostre politiche che diversifica gli strumenti che abbiamo per fare politica.

Intervista al sindaco di Gent Daniël Termont

gentse-burgemeester-Cosa si aspetta Gent dalla nuova agenda urbana europea?
Penso che se ne parli ancora troppo in generale ma è il momento di dare delle risposte concrete, vale a dire come è possibile realizzarla o quali sono i contatti da sviluppare tra Commissione europea e città. In Belgio il governo federale ha sempre costituito un tramite tra questi due livelli e molte città anche in altri paesi europei hanno testimoniato di aver riscontrato lo stesso problema nei loro contesti nazionali, con punti di vista diversi tra governi centrali e livelli urbani. E’ per questo che abbiamo proposto lo stabilimento di contatti diretti fra la Commissione europea e le grandi città europee, come anche con quelle più piccole che sono interessate, con l’obiettivo di realizzare accordi diretti tra Commissione e città per arrivare a risultati concreti e non limitarsi solo a discussioni teoriche.

Partecipazione civica, innovazione: quali sono gli elementi che vanno inseriti in questa Agenda urbana europea per condividere davvero delle esperienze positive?
Per Gand è molto importante lavorare con gli abitanti della città. Li chiamiamo in inglese smart citizens ed è il tema attorno a cui abbiamo organizzato l’assemblea generale di Eurocities a novembre scorso. C’erano circa 450 sindaci e amministratori locali provenienti da tutta Europa e a loro abbiamo proposto differenti esempi realizzati in città di collaborazione diretta con i residenti urbani, coinvolgendoli in quest’azione. Penso che lo stesso sistema di lavoro possa essere utilizzato anche nel rapporto con la Commissione europea, promuovendo un lavoro diretto con le città e favorendo un incontro costante con i commissari che non devono rimanere fermi a Bruxelles o a leggere i dossier nei propri uffici ma vengano ad incontrare le città e i cittadini per rendersi conto dei tanti progetti che vengono realizzati nei contesti urbani. In quel momento potranno avere degli indicatori concreti e delle cifre con le quali sarà possibile valutare l’azione urbana nell’ambito dell’Agenda europea.

Ciò si lega al discorso della qualità della vita, come i progetti Urbact sull’alimentazione sostenibile e la famosa iniziativa del giovedì vegetariano. Pensa che queste iniziative concrete che incidono sulla vita quotidiana dei cittadini, possano essere inserite in un quadro europeo che promuova la qualità della vita in maniera innovativa?
Certamente, ne sono convinto,. Ci sono molti esempi che possono migliorare la qualità della vita delle persone. Un solo esempio: Abbiamo un’Abbazia medievale ma non avevamo fondi per poterla tenere aperta in chiave turistica. Sono i residenti che abitano attorno all’Abbazia che mi hanno chiesto di prenderla in gestione e adesso hanno messo su un comitato di un centinaio di persone impegnato a tenere viva l’Abbazia, aprendola quotidianamente, organizzando concerti e attività socio-culturali. Sono convinto che possiamo migliorare la vita nella città grazie a tutti questi progetti ed è molto importante stabilire come scopo dell’azione pubblica il miglioramento della vita delle persone.

Non esiste Agenda urbana senza cittadini, insomma
Senza dubbio è impossibile che esista. E’ decisivo avere anche un piano politico per tutta la città. Le do un altro esempio. Come organizzare la partecipazione civica nella città: si può organizzare una riunione con duecento o trecento persone ma sono sempre gli stessi che prendono la parola mentre ci sono tanti altri che hanno buone idee ma non osano dirle. A Gent abbiamo diviso la città in 25 diversi quartieri e abbiamo lavorato in piccole zone, organizzando una serie di attività per favorire l’incontro tra le persone e fargli esprimere la loro opinione sul futuro della città. Anche questo è molto importante per migliorare il contesto urbano e per rafforzare quel sentimento di legame con la città, facendo sì che possano esprimere la propria opinione non solo ogni cinque anni quando ci sono le elezioni comunali.

 Simone d’Antonio  (da www.cittalia.it)

 
 

 

 

 




Uk, in arrivo il primo standard per le smart city

smart-cityIl Dipartimento dell’Innovazione in collaborazione con il British Standard Institute sta elaborando un modello condiviso e applicabile sul territorio britannico per progettare città smart

Parlare di smartness significa, in un’ottica urbana, mettere al primo posto innovazione tecnologica ed interconnessione. Ma per far “dialogare” efficacemente sistemi e servizi è necessario che questi “parlino la stessa lingua”, ovvero che vengano progettati e realizzati secondo un modello uniforme e condiviso. I primi passi in questo senso li sta muovendo il Regno Unito, che ha dichiarato di star lavorando alla realizzazione di uno standard per le smart city che possa essere applicato a livello nazionale.

PAS 180 e PAS 181
L’impegno, portato avanti dal Dipartimento per l’Innovazione (BIS – Business, Innovation & Skills) in collaborazione con il British Standards Institute (BSI), è quello di redigere una sorta di vademecum che possa essere adottato nei vari ambiti progettuali, primo fra tutti quello delle infrastrutture strategiche digitali del paese. La Guida rientrerà nelle pubblicazioni PAS (Publicly Available Specification), programma di specifiche generali che definiscono i requisiti da verificare  nell’analisi degli standard. In questo momento il team è impegnato, anche grazie al supporto di diversi partner governativi ( fra cui: Cambridge University e l’Università di Westminster, il Birmingham City Council, BRE, Fujitsu, Future Cities Catapult, IBM, Leeds City Council, il Royal Borough of Greenwich e il Technology Strategy Board) nello sviluppo del PAS 180, ma molto probabilmente sarà il documento successivo, già in previsione, il PAS 181, quello che segnerà effettivamente la nascita di un modello strategico condivisibile per la progettazione di smart city all’interno del territorio britannico.
Le smart city di tutto il mondo –  ha dichiarato Scott Steedman, direttore divisione Standards di BSI –  hanno bisogno di standard chiari ed efficaci. Il lavoro del dipartimento è tutto rivolto alla determinazione delle linee guida per la nascita delle smart city, dal loro concepimento alle infrastrutture tecnologiche e le norme di settore. Vogliamo essere i primi al mondo a lanciare degli standard per smart city, non solo per dare il via alla trasformazione dei nostri centri urbani, ma per favorire anche le nostre aziende nella competizione globale

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Guida sintetica sui finanziamenti comunitari

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guida ai finanziamenti europei 2014-2020




La storia degli eBook

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Con una infografica proviamo a raccontare la storia dei libri digitali, così per tratteggiare sinteticamente la strada finora percorsa attraverso lo sviluppo tecnologico, le politiche commerciali e l’evoluzione culturale.

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La storia degli eBook




Rifiuti Miniera di domani

pinoRingrazio Massimo Piras presidente ZeroWaste e il direttore della Biblioteca Antonio Trimarco che ci ha consentito di mettere in cantiere questo seminario

Ringrazio altresì i “ragazzi” Giuseppe Girardi, Fabio Musmeci, Giulio Izzo  dell’Enea,  Salvatore Genova dell’ESPER  e gli altri coordinamenti che hanno voluto condividere con noi questo avvio e con cui siamo certi collaboreremo.

Per info consultate  HYPERLINK “http://www.Corviale.com” www.Corviale.com e un grazie a Elisa, Valerio per la loro passione e impegno.

 

Il seminario su “Rifiuti miniera di domani”, grazie al contributo di diverse realtà, ha iniziato a muovere i primi passi e si inserisce nel contesto della riconversione del ciclo dei rifiuti eliminando nuove megadiscariche ed inceneritori come quelli di Malagrotta per procedere al totale Recupero di Materia senza combustione dei rifiuti.

 

Questo nuovo ciclo prevede una serie di impianti di trattamento “a freddo” ed una serie di attività decentrate nel territorio da parte del Comune di Roma, come l’apertura in ogni Municipio di un Centro di Riuso e Riparazione oltre che di scambio gestito da volontariato ed onlus per reimmettere oltre al Centro di raccolta gestito da AMA come proposto da Rifiuti Zero.

 

Il progetto di rigenerazione urbana di Corviale è una occasione straordinaria per avviare un progetto pilota sulla gestione corretta Verso Rifiuti Zero che partendo dal Municipio 11, di cui Corviale è un sito con tutte le caratteristiche necessarie, possa estendersi a tutti i Municipi.

 

Un’occasione che dobbiamo costruire insieme.

 

Conforta  la partecipazione e l’attenzione con cui è stato seguito e il livello di competenze con cui è stato illustrato il tema.

Faccio qui una sintesi degli obiettivi che il seminario si era proposto e accenno al come proseguire:

– far conoscere e  far avere consapevolezza alla nostra Comunità del “Valore della Monnezza” e quanto sia importante, per rendere concreto quel valore, la Riduzione, il Riuso, il Riciclo/Recupero, le famose 3 C.  Una consapevolezza, vero patrimonio per la riuscita del progetto, che va estesa  da parte di noi tutti ai nostri concittadini che vivono nel nostro territorio

– Valore che va collegato alle reali possibilità nel creare lavoro a tempo indeterminato. Perché i rifiuti ci saranno sempre e a ciclo continuo. Un lavoro che ha bisogno di formazione professionale, di acquisire competenze specifiche, di collaborazione e di coordinamento con la filiera produttiva presente sia nel  Quadrante di Corviale che verso l’esterno  con quel ciclo e rete che lo trasforma in Valore.

–  “Rifiuti zero” si coniugano con  ambiente più sano e  la qualità del  vivere nel nostro Quadrante. Non è sufficiente avere un territorio  con  1.400 ettari di parchi

(Valle dei casali e tenuta dei Massimi) per misurarne la caratura ambientale. Questo patrimonio può produrre economia verde  in termini di agricoltura di vicinanza e di energia con positive ricadute per tasse più basse sia per gli abitanti che per le amministrazioni pubbliche (vedi Ater, Comune, Asl). In pratica possiamo mettere nelle tasche degli abitanti denaro e nei loro palati un cibo più sano e gustoso e nei bilanci della Regione e del Comune risorse economiche  che dobbiamo pretendere che vengano reinvestite sul territorio per la manutenzione e per investimenti produttivi.

 

Opportunità che trovano radici  nel progetto di rigenerazione urbana che stiamo promuovendo da oltre 5 anni e che è passaggio obbligato per la nostra Comunità.

Bisognerà gestirlo in modo sì partecipativo ma accompagnato  con le competenze adeguate e nelle forme giuridiche/amministrative più attinenti  per realizzarlo.

Attenzione particolare va dedicata nell’inserimento al lavoro delle fasce svantaggiate

(cooperative sociali con disabili, ragazze madri, disoccupati di lungo corso,….) che in queste attività possono ricavarne autonomia  e benefici economici e psico-fisici.

Una scelta che incide positivamente sui costi dello stato sociale delle amministrazioni

Ricordiamo,  ancora una volta, che vanno sbloccati i fondi esistenti  per la riqualificazione  e che con logica conseguenza può riportare sicurezza e legalità, precondizioni  per lo sviluppo di queste economie  in quanto il Palazzo Ater- il Serpentone  è la struttura che con i suoi spazi e luoghi avvia quel circuito virtuoso che  ci potrà consentire di andare a meta.

 

Pino Galeota

 




RIVOLUZIONE: in America a 10 euro

new yorkDalla Repubblica: ”

Andare in America con un biglietto da 10 euro diventerà presto una realtà. Confermando indiscrezioni che circolavano da tempo, la Ryanair ha annunciato ieri che entro pochi anni lancerà un servizio regolare di rotte tra l’Europa e gli Stati Uniti “low cost”: anzi si può dire a costo bassissimo, tenuto conto di quanto si spende normalmente sulle altre linee aeree per attraversare l’Atlantico. Secondo quanto riporta stamani il Daily Telegraph, Michael O’Leary, vulcanico e spesso controverso amministratore delegato della compagnia irlandese, ha dichiarato a una conferenza a Dublino che offrirà biglietti per New York e Boston a 10 euro, con il viaggio di ritorno ancora più economico che costerebbe 7 euro e 30 centesimi. Insomma, con 17 euro si potrebbe andare nella Grande Mela e tornare indietro.

Naturalmente, come è la norma per la linea che ha lanciato i voli a basso costo in Europa rivoluzionando trasporti e stile di vita di milioni di persone, quello sarà solo il prezzo di base: è probabile che andranno calcolate a parte le tasse (un’altra ventina di euro) e chi vorrà depositare un bagaglio al check-in (oltre a quello a mano da portare a bordo) dovrà pagare un extra, prevedibilmente piuttosto esoso, così come saranno da pagare a parte le bibite e il cibo durante il volo, anche questi generalmente cari (l’alternativa, quasi una necessità per un volo di sette-otto ore, è portarsi da bere e da mangiare

con sé). Inoltre, non tutti i posti costeranno 10 euro: “Ci sarà un’ampia sezione di ogni aereo riservata ai passeggeri di business class e a quelli di premium” (una classe con poltrone più piccole della business ma più grandi dell’economica), afferma O’Leary. “Esiste un 15 per cento del pubblico disposto a pagare di più per avere maggiori comfort e saremmo pazzi a rinunciarci”.
Dopo un anno difficile in cui ha visto ridursi fatturato e profitti, subendo critiche per un servizio giudicato dagli utenti troppo spartano e a volte addirittura scontroso e sgarbato, a vantaggio della linea aerea a basso costo rivale Easy Jet che ha invece allargato la propria fetta di mercato e i propri guadagni, la Ryan Air si prepara insomma a una riscossa internazionale di grande respiro, oltre ad avere già cambiato marketing e regole (permettendo perfino di portare a bordo un secondo piccolo “collo” a mano) per riconquistare passeggeri delusi. Il suo boss O’Leary indica che i voli per gli Usa partiranno da 14 grandi città europee e raggiungeranno da 12 a 14 principali destinazioni negli Stati Uniti. Il servizio inizierà entro sei mesi dall’acquisto dei circa 40 aerei a lungo raggio di cui la compagnia ha detto di avere bisogno per i collegamenti tra Europa e America, l’acquisto dei quali, osserva il Telegraph, potrebbe richiedere fino a cinque anni di tempo. Al massimo entro il 2019, dunque, si potrà andare a New York con 10 euro. Meno di quello che costa oggi un viaggio in treno con le Frecce da Milano a Bologna.”




Benessere equo e sostenibile: ricerca Cnel-Istat

benessereIndagine per valutare il progresso di una società

 E’ un progetto targato Cnel e Istat, quello di misurare il benessere equo e sostenibile. Presentati quindi i dati del Rapporto sul Bes.
La percezione di una buona condizione di vita è maggiore in Friuli-Venezia-Giulia, Trentino-Alto-Adige, Liguria, Toscana e Lombardia.
Comunque gli italiani sono mediamente soddisfatti della propria condizione.
Il divario tra aree del paese riguarda soprattutto la sfera economica, come certificato dal report finale dell’indagine “Il benessere equo e sostenibile dal punto di vista delle persone”.
L’indagine e’ stata condotta con 3.346 questionari (attraverso una diffusione via web a cui hanno collaborato anche testate giornalistiche nazionali), 18 focus group in sei regioni e 90 storie di vita.
L’obiettivo dell’indagine e’ di misurare il “benessere equo e sostenibile”, per valutare il progresso della societa’ non solo dal punto di vista economico, ma anche sociale e ambientale, di fatto andando oltre il Pil.
“La frattura tra Nord e Sud, eccezion fatta per il Piemonte, è particolarmente evidente e marcata, denotando come la percezione che hanno i cittadini del Meridione della propria qualita’ di vita e quindi del proprio benessere sia nettamente inferiore rispetto a quella dei connazionali del Nord”. Dopo la Campania, agli ultimi posti si classificano Puglia, Marche, Basilicata e Calabria. Prime si trovano il Friuli-Venezia-Giulia, il Trentino-Alto-Adige, la Liguria, la Toscana e la Lombardia.
La ricerca punta anche a indagare come gli italiani agirebbero sul loro benessere se ne avessero l’opportunita’. In prima linea,
per tutti, c’e’ la salute e all’ultimo posto la voce “politica e istituzioni”, “a testimonianza di quanto in questo frangente storico i cittadini vedano lo Stato come un ostacolo al miglioramento della qualita’ della propria vita, piuttosto che come un’opportunità”.
Ma anche nella scelta delle priorita’ le differenze territoriali non mancano: gli intervistati nel Nord Est scelgono di investire maggiormente, rispetto al Nord Ovest, nella dimensione della salute e della qualita’ dei servizi, mentre quelli del Nord Ovest ritengono prioritarie le dimensioni del lavoro, conciliazione dei tempi di vita e del paesaggio e patrimonio culturale. Al Sud e nelle Isole il dominio “benessere economico” colloca al terzo posto, non lontano da quello dell’istruzione e formazione (al secondo posto, dietro alla salute).



Aruba incentiva lo sviluppo delle startup con il Programma Aruba Cloud Startup

start upUn’iniziativa rivolta alle imprese tecnologiche, che avranno la possibilità di disporre per tre anni di un credito cloud compreso tra 6.000 e 75.000 euro

Aruba S.p.A., società specializzata nei servizi di web hosting, e-mail, PEC e registrazione domini, presenta il Programma Aruba Cloud Startup, un’iniziativa rivolta a tutte le startup tecnologiche, che avranno la possibilità di disporre per tre anni di un credito cloud compreso tra 6.000 e 75.000 euro, a seconda della formula a cui intendano aderire.

Mettendo a disposizione tale credito, l’obiettivo di Aruba è quello di incentivare lo sviluppo delle startup, fornendo loro il meglio in termini di piattaforma, data center, hardware, connettività e supporto IT; rivolgendosi al contempo sia ad aziende appena nate dal business innovativo e tecnologico, sia a quelle già avviate che hanno bisogno di spingere sull’acceleratore tecnologico.

Per aderire al Programma Aruba Cloud Startup è necessario che le startup vengano presentate da un’azienda partner del programma, come ad esempio incubatori privati o pubblici, acceleratori d’impresa, università o venture capital. Già due importanti realtà italiane nel mondo degli incubatori tecnologici, come Nana Bianca e H-Farm, hanno aderito al programma iniziando a proporre le proprie startup.

Aruba ha studiato due formule differenti, a seconda della tipologia di impresa che presenterà richiesta di affiliazione:

  • Formula Boost, nata per venire incontro a quelle startup che non dispongono ancora di una vera e propria infrastruttura IT e che potrebbero ottenere reali benefici operando su un’architettura cloud. Le startup idonee riceveranno 2.000 euro all’anno per tre anni;
  • Formula Elite, pensata su misura per quelle startup che necessitano di un’infrastruttura IT avanzata, le cui performance e la cui scalabilità possono fare la differenza. Le imprese idonee riceveranno 25.000 euro all’anno per tre anni. Per entrare a far parte del programma Elite, Aruba inviterà le aziende partner con le proprie startup al Pitch Day, una giornata di incontro dedicata alla presentazione del proprio modello di business e della propria architettura IT, nel corso della quale Aruba valuterà l’idoneità a beneficiare del credito cloud.

«Siamo molto orgogliosi di presentare il Programma Aruba Cloud Startup – commenta Stefano Cecconi, amministratore delegato di Aruba S.p.A. – un’iniziativa che ci pone nuovamente al fianco delle aziende italiane. Pensiamo che il cloud, meglio di qualsiasi altra tecnologia, si adatti alle specifiche caratteristiche delle startup tecnologiche, che spesso sono soggette ad una crescita non lineare anche in termini di necessità di risorse IT. Inoltre, il modello cloud che offriamo permette ai nostri utenti di non dover pensare alla gestione del data center, della connettività o dell’hardware, dei quali ci occupiamo noi, lasciando così che essi si concentrino sul proprio business, elemento quanto mai importante per un’impresa che sta nascendo».

Inoltre, Aruba offrirà ai propri aderenti, periodicamente, una giornata di formazione denominata Cloud Training Day, mettendo a disposizione tutto il proprio know-how. In tale occasione, tecnici esperti che lavorano direttamente sulla piattaforma cloud illustreranno i principali utilizzi delle soluzioni Aruba Cloud, proponendo live demo per realizzare un’infrastruttura sul cloud.

Alessandra La Rosa