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Un regolamento per Firenze

Arriva il nuovo regolamento edilizio di Firenze che dovrebbe riqualificare una grande parte della città a “volumi zero”

Interventi per 1,5 miliardi di euro e 10mila posti di lavoro. Questi in sintesi alcuni dei numeri del nuovo regolamento urbanistico (Ruc) forse a “a volumi zero” che ha avuto il via libera dalla giunta del Comune di Firenze. E dall’operazione dovrebbero arrivare 65 milioni di oneri di urbanizzazione previsti nelle aree in trasformazione che riguarderanno800.000 metriquadri di superficie sui quali saranno fatti interventi di trasformazione previsti, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia, ristrutturazione edilizia anche con demolizione e ricostruzione, ristrutturazione urbanistica, nuova edificazione.

«Un semaforo verde – afferma il sindaco di Firenze Dario Nardella – atteso da 15 anni, per la tappa decisiva di un processo cominciato quando era sindaco Matteo Renzi. Sono tre le parole chiave di questo documento: rigenerazionè, ovvero la trasformazione a volumi zero, cioè senza costruire un metro cubo di cemento in piú, di800.000 metri quadri di immobili dismessi; sostenibilita, investendo sul risparmio energetico e sul social housing; sviluppo, con la potenziale creazione di 10.000 nuovi posti di lavoro».

Il regolamento prevede 87 aree di trasformazione; 19 aree con superficie in trasferimento; 20 con superficie in atterraggio; 107 per servizi dove realizzare strade, piste ciclabili, parcheggi scambiatori, impianti sportivi, verde pubblico, altri servizi pubblici e impone, oltre a ciò, nelle trasformazioni nelle quali è prevista la destinazione residenziale e che interessino una Sul (superficie utile lorda) complessiva superiore a2.000 metriquadri, il reperimento di una quota pari al 20% di superficie da destinare alla residenza in forma convenzionata. E ciò potrebbe produrre circa50.000 metriquadri dedicati a forme di housing sociale.

«Si tratta di un nuovo strumento urbanistico – prosegue Nardella – che abbiamo voluto corredare con una semplificazione nelle procedure, ossia la possibilitá d’intervenire senza piano attuativo e quindi con intervento edilizio diretto in caso di restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia con mutamento della destinazione d’uso originaria».

Oltre a ciò secondo il Comune c’è anche una grande facilitá d’uso del regolamento poichè ci sono anche oltre 200 schede norma, nelle quale oltre alla destinazione di progetto, è descritto il tipo di intervento consentito, gli obiettivi, le prescrizioni, le specifiche mitigazioni, la fattibilitá idraulica, geologica e sismica.

Oltre a ciò il Regolamento urbanistico individua 40 aree di riqualificazione ambientale, nodi e porzioni lineari della rete ecologica che necessitano di interventi mirati a rendere la rete piú efficiente. Inoltre circa l’ottimizzazione della prestazione energetica del patrimonio esistente è ammesso l’incremento della superficie, all’interno della sagoma esistente, se si garantisce un miglioramento in termini di prestazione energetica.

Novità anche per ciò che riguarda l’utilizzo degli immobili. Il Ruc, infatti, prevede l’uso temporaneo degli immobili dismessi, da il via libera alle famiglie che vogliono suddividere un solo appartamento anche sotto i50 metri quadratifuori dall’area Unesco e da la possibilitá d’introdurre forme di tutela delle botteghe storiche.

«Introduciamo – afferma l’assessore alle politiche territoriali, Elisabetta Meucci – una norma che risponde alle esigenze della cittá e dei giovani in questa fase così difficile. Consentiamo ai giovani di utilizzare in modo temporaneo gli immobili dismessi, superando le destinazioni urbanistiche permanenti. Questo permetterá a loro di avviare attivitá ovviamente con destinazioni in forma sperimentale e ai padroni di casa di acquisire risorse che ne consentano il mantenimento. Una misura che serve anche alla cittá per continuare a crescere ed evolversi».

Il Regolamento urbanistico (Ruc) del Comune di Firenze, presentato in giunta, andrà all’esame del Consiglio comunale dal 9 febbraio 2015 e al documento sono state presentate 746 osservazioni, di cui 184 considerate accoglibili e 299 parzialmente accoglibili.

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Temi trattati al prossimo expo

“Allo stato attuale la produzione agricola mondiale potrebbe facilmente sfamare 12 miliardi di persone……. si potrebbe quindi affermare che ogni bambino che muore per denutrizione oggi è di fatto ucciso”
Jean Ziegler, già Relatore Speciale delle Nazioni Unite sul diritto al cibo

Signor presidente del Consiglio,
i giornali ci informano che lei sarà a Milano il 7 febbraio per lanciare un Protocollo mondiale sul Cibo, in occasione dell’avvicinarsi di Expo. Ci risulta che la regia di tale protocollo, al quale lei ha già aderito, sia stata affidata alla Fondazione Barilla Center for Food & Nutrition. Una multinazionale molto ben inserita nei mercati e nella finanza globale, ma che nulla ha da spartire con le politiche di sovranità alimentare essenziali per poter sfamare con cibo sano tutto il pianeta.
EXPO ha siglato una partnership con Nestlè attraverso la sua controllata S.Pellegrino per diffondere 150 milioni di bottiglie di acqua con la sigla EXPO in tutto il mondo. Il Presidente di Nestlé Worldwide già da qualche anno sostiene l’istituzione di una borsa per l’acqua così come avviene per il petrolio. L’acqua, senza la quale non potrebbe esserci vita nel nostro pianeta, dovrebbe quindi essere trasformata in una merce sui mercati internazionali a disposizione solo di chi ha le risorse per acquistarla.
Questi sono solo due esempi di quanto sta avvenendo in preparazione dell’EXPO.
Scriveva Vandana Shiva: “Expo avrà un senso solo se parteciperà chi s’impegna per la democrazia del cibo, per la tutela della biodiversità, per la difesa degli interessi degli agricoltori e delle loro famiglie e di chi il cibo lo mette in tavola. Solo allora Expo avrà un senso che vada oltre a quello di grande vetrina dello spreco o, peggio ancora, occasione per vicende di corruzione e di cementificazione del territorio.”
“Nutrire il Pianeta, Energia per la vita.” recita il logo di Expo. Ma Expo è diventata una delle tante vetrine per nutrire la multinazionali, non certo il pianeta.
Come si può pensare infatti di garantire cibo e acqua a sette miliardi di persone affidandosi a coloro che del cibo e dell’acqua hanno fatto la ragione del loro profitto senza prestare la minima attenzione ai bisogni primari di milioni di persone ?
Expo si presenta come la passerella delle multinazionali agroalimentari, proprio quelle che detengono il controllo dell’alimentazione di tutto il mondo, che producono quel cibo globalizzato o spazzatura, che determina contemporaneamente un miliardo di affamati e un miliardo di obesi.
Due facce dello stesso problema che abitano questo nostro tempo: la povertà, in aumento non solo nel Sud del mondo ma anche nelle nostre periferie sempre più degradate.
Expo non parla di tutto ciò.
Non parla di diritto all’acqua potabile e di acqua per l’agricoltura familiare.
Non parla di diritto alla terra e all’autodeterminazione a coltivarla.
Non si rivolge e non coinvolge i poveri delle megalopoli di tutto il mondo, non si interroga su cosa mangiano, non parla ai contadini privati della terra e dell’acqua, scacciati attraverso il Land e Water grabbing, ( la cessione di grandi estensioni di terreno e di risorse idriche a un paese straniero o ad una multinazionale), espulsi dalle grandi dighe, dallo sviluppo dell’industria estrattiva ed energetica, dalla perdita di sovranità sui semi per via degli OGM e costretti quindi a diventare profughi e migranti.
E non cambia certo la situazione qualche invito a singoli personaggi della cultura provenienti da ogni angolo della terra e impegnati nella lotta per la giustizia sociale. Al massimo serve per creare qualche diversivo.
In Expo a fianco della passerella delle multinazionali si dispiega la passerella del cibo di “eccellenza”. Expo parla solo alle fasce di popolazione ricca dell’occidente e questo ne fa oggettivamente la vetrina dell’ingiustizia alimentare del mondo, nella quale la povertà si misurerà nel cibo: in quello spazzatura per le grandi masse e in quello delle eccedenze e degli scarti per i poveri.
In questi mesi, di fronte a tutto quello che è accaduto nella nostra città, dall’illegalità allo sperpero di ingenti risorse economiche per l’organizzazione di Expo in una città dove la povertà cresce quotidianamente e che avrebbe urgenza di ben altri interventi, noi abbiamo maturato un giudizio negativo su Expo.
Ma come cittadini milanesi non posiamo fuggire la responsabilità di impegnarci affinché l’obiettivo di “Nutrire il pianeta” possa essere meno lontano.
Per questo avanziamo a lei e alle autorità politiche ed amministrative che stanno organizzando Expo alcune precise richieste.
Il Protocollo mondiale sulla nutrizione che lei intende lanciare, pur dicendo anche alcune cose condivisibili, evitando i nodi di fondo, rimane tutto all’interno dei meccanismi iniqui che hanno generato l’attuale situazione . Noi le chiediamo di porre al centro la sovranità alimentare e il diritto alla terra negati dallo strapotere e dal controllo delle multinazionali in particolare quelle dei semi. Chiediamo che sia affermata una netta contrarietà agli OGM che sono il paradigma di questa espropriazione della sovranità dei contadini e dei cittadini, il perno di un modello globalizzato di agricoltura e di produzione di cibo che inquina con i diserbanti, consuma energia da petrolio, è idrovoro e contribuisce al 50% del riscaldamento climatico.
Le chiediamo che venga affermato il diritto all’acqua potabile per tutti attraverso l’approvazione di un Protocollo Mondiale dell’acqua, con il quale si concretizzi il diritto umano all’acqua e ai servizi igienico sanitari sancito dalla risoluzione dell’ONU del 2011.
Chiediamo che vengano rimessi in discussione gli accordi di Partnership tra Expo e le grandi multinazionali, che, lungi dal rappresentare una soluzione, costituiscono una delle ragioni che impediscono la piena realizzazione del diritto al cibo e all’acqua.
Chiediamo che si decida fin d’ora il destino delle aree di Expo non lasciandole unicamente in mano alla speculazione e agli appetiti della criminalità organizzata e che, su quei terreni, venga indicata una sede per un’istituzione internazionale finalizzata a tutelare l’acqua, potrebbe essere l’Authority mondiale per l’acqua, e il cibo come beni comuni a disposizione di tutta l’umanità. Una sede dove i movimenti sociali come i Sem Terra, Via Campesina, le reti mondiali dell’acqua, le organizzazioni popolari e i governi locali e nazionali discutano: la politica per la vita.
Una sede nella quale la Food Policy diventi anche Water Policy, dove si discuta la costituzione di una rete di città che assumano una Carta dell’acqua e del Cibo, nella quale si inizi a concretizzare localmente la sovranità alimentare, il diritto all’acqua, la sua natura pubblica, la non chiusura dei rubinetti a chi non è in grado di pagare, la costituzione di un fondo per la cooperazione internazionale verso coloro che non hanno accesso all’acqua potabile nel mondo.
Una sede nella quale alle istituzioni e ai movimenti sociali, venga restituita la sovranità sulle scelte essenziali che riguardano il futuro dell’umanità.
“La Terra ha abbastanza per i bisogni di tutti, ma non per l’avidità di alcune persone” affermava Gandhi. E questa verità oggi è più che mai attuale e ci richiama alla nostra responsabilità, ognuno per il ruolo che svolge.




Il cemento e le periferie

David Harvey nel suo recente saggio The Crisis of Planetary Urbanization, scritto per il catalogo della mostra Uneven Growth Tactical Urbanisms for Expanding Megacities (in corso al MoMa di New York), sostiene che mai come negli anni della peggior crisi economica globale il cemento  si stato «versato ovunque e ad un ritmo senza precedenti sulla superficie del pianeta terra». E tuttavia, se da una parte la bolla immobiliare spinge il PIL di molti paesi emergenti, come la Cina, molto al di là delle secche della crisi, «il crescente costo della vita, in particolare del cibo, dei trasporti e della casa, ha reso la vita quotidiana progressivamente più difficile per le popolazioni urbane».

Le periferie delle grandi città sono i luoghi dove stanno andando in scena con maggiore intensità gli effetti della crisi planetaria scatenati dall’uso senza precedenti di cemento. Harvey sottolinea come «il boom dell’urbanizzazione abbia avuto poco a che fare con il soddisfacimento dei bisogni delle persone. E’ servito piuttosto ad assorbire il surplus di capitale, a sostenere i livelli di profitto, e a massimizzare i valori di scambio indipendentemente dai valore d’uso. Le conseguenze sono state spesso del tutto irrazionali: da una parte una cronica carenza di alloggi a prezzi accessibili in quasi tutte le principali città, dall’altra condomini vuoti per gli ultra-ricchi il cui interesse principale è di speculare nei valori immobiliari».

Le enormi disuguaglianze urbane si consolidano grazie alle politiche di austerità di bilancio, che minano la possibilità di mantenere servizi accessibili a tutti. «La riluttanza nel tassare i ricchi, determinata dallo strapotere di una oligarchia ormai trionfante, significa declino dei servizi pubblici per le masse e accumulo di ulteriori sorprendenti ricchezza per pochi», aggiunge Harvey. Le rivolte delle periferie di Londra Stoccolma e Parigi, insieme al manifestarsi in altre forme dell’indignazione per le disuguaglianze sociali o per le repressioni violente della polizia, sono la manifestazione di quanto il processo di urbanizzazione che ha generato la bolla immobiliare e innescato la crisi economica, sia diventata «su scala planetaria il centro di una travolgente attività economica, mai vista prima nella storia dell’umanità». C’è un dato che rappresenta molto bene questo processo: lo sviluppo economico della Cina, fortemente trainato dal settore delle costruzioni, ha generato tra il 2011 e il 2012 una produzione di  cemento e acciaio equivalente a più della metà di quella degli Stati Uniti in tutto il XX secolo.

L’analisi del geografo britannico è chiara: «L’urbanizzazione da sempre è un ambito fondamentale per l’infinita accumulazione del capitale al cui interno sono ospitate, in nome del profitto, forme di barbarie e di violenza sulle popolazioni». Secondo questa lettura la crescente emarginazione sperimentata dagli abitanti delle periferie e le rivolte che ne sono scaturite non sono affatto sorprendenti. Il modello di sviluppo imposto dalla urbanizzazione planetaria ha «spazzato via tutte le pretese di governance urbana democratica, e ha progressivamente cercato la sorveglianza della polizia militarizzata e del terrore come principale modalità di regolazione sociale». Il cemento è quindi l’altra faccia della violenza operata attraverso la segregazione spaziale e sociale, contro la quale si sta rivoltando una classe urbana emergente in molti paesi del mondo.

Curare le periferie con il cemento

Anche nel nostro paese le periferie sono in subbuglio: il diritto alla casa viene negato dall’assenza di politiche abitative che consentano ai meno abbienti l’accesso ad un alloggio dignitoso, le ristrettezze dei bilanci comunali hanno progressivamente ridotto la disponibilità di servizi di base e deteriorato la qualità dello spazio pubblico. Eppure nel dibattito sulle periferie si parla solo di scadente qualità architettonica, di fallimento dei piani urbanistici senza mai sfiorare il tema del progressivo aumento delle disuguaglianze di reddito che hanno approfondito le differenze nell’esercizio del diritto alla città. L’unica voce che a questo riguardo si è levata è stata quella di papa Francesco che ha esortato a «seguire la linea della integrazione urbana» e ha ammonito contro «quei progetti che intendono riverniciare i quartieri poveri, abbellire le periferie e “truccare” le ferite sociali invece di curarle promuovendo un’integrazione autentica e rispettosa». Si possono curare le periferie con nuove e più “sostenibili” iniezioni di cemento? Con tutta evidenza no.

Eppure sulle pagine dei giornali in questi giorni sta circolando il resoconto di un convegno, promosso dalla Fondazione Italcementi, dal significativo titolo Rammendo e rigenerazione urbana per il nuovo Rinascimento. «L’incontro, che si è svolto alla Fiera di Bergamo, ha avuto come riferimento il corpus teorico e progettuale sviluppato da Renzo Piano – presente con un video e attraverso la testimonianza di uno dei suoi principali allievi, Mario Cucinella – nel suo anno da Senatore a vita: rimediare alle slabbrature architettoniche e urbanistiche, economiche e sociali del Paese adottando non più la logica delle grandi opere, ma quella della ricucitura e del rammendo» precisa Il Sole 24 Ore. Dal sindaco di Bergamo, dove si è tenuto il convegno, al ministro delle Infrastrutture, fino al Ceo di Italcementi, il leitmotiv è stato – ça va sans dire – la rigenerazione urbana e le grandi opportunità che offre per utilizzare nuove tecnologie edilizie. «Basti pensare ai nuovi tipi di cemento e di legno, di alluminio e di vetro che la nostra industria ha sviluppato», precisa il Ceo di Italcementi Carlo Pesenti. Insomma le periferie come campo di applicazione su grande scala di sperimentazioni già avviate. Come, ad esempio, Rifo, «una iniziativa promossa da Italcementi e realizzata dall’Università di Bergamo che prende il nome dal modo gergale con cui i ragazzi dicono «rifacciamo» nei loro giochi. In questo caso, il «rifacciamo» riguarda l’urbanizzazione delle città italiane con il recupero delle aree dismesse e l’ammodernamento di asset immobiliari e infrastrutturali obsoleti».

Se la cura che si sta profilando per le periferie riguarda innanzi tutto la valorizzazione del patrimonio immobiliare, compreso ciò che resta dell’edilizia residenziale pubblica, si ha più di una ragione a guardare con sospetto l’enfasi che sta crescendo attorno all’idea di “rammendo” lanciata da Renzo Piano , sempre più coincidente con l’«architettura di facciata» di cui parlava il papa. Un po’ più di attenzione a ciò che sta succedendo nel resto d’Europa, a questo riguardo non guasterebbe ed eviterebbe di ricorrere alla retorica del Rinascimento italiano per mascherare un rimedio che rischia di essere peggiore del male.

Riferimenti

D. Harvey, The Crisis of Planetary Urbanization, in Post Notes on Modern & Contemporary Art around the Globe, 18 novembre 2014.

P. Bricco, «Rifacciamo» le città partendo dalle periferie, il Sole 24 Ore, 25 gennaio 2015.

J. M. Bergoglio, Seguire la linea dell’integrazione urbana, Millennio Urbano, 29 ottobre 2014.




Massimo Alvisi per il ‘rammendo urbano’ di Battipaglia

Tracciare le linee strategiche del Puc della città sulla base del ‘Manifesto’ di Renzo Piano

Le linee guida urbanistiche e strategiche per la città e la periferia di Battipaglia, in provincia di Salerno, saranno redatte da Massimo Alvisi, e dal suo team, secondo i principi del ‘rammendo urbano’ maturati nel corso dell’esperienza con il team di Renzo Piano.

Massimo Alvisi, insieme a Mario Cucinella e Maurizio Milan, è stato tra i tre tutor del Gruppo G124 di Renzo Piano e si è occupato (a titolo gratuito) di seguire e coordinare i sei giovani architetti che sviluppano il progetto per riqualificare le periferie.

Le linee strategiche per le politiche urbanistiche della città di Battipaglia, che l’architetto redigerà affiancando il commissario prefettizio della città, dott. Gerlando Iorio, porranno i presupposti per la futura redazione del PUC.

In una conferenza pubblica tenutasi il 22 gennaio, nel palazzo comunale di Battipaglia, Massimo Alvisi ha descritto i criteri con i quali il team di professionisti da lui diretto opererà nel corso dei prossimi sei mesi per favorire il miglioramento della qualità della vita nel disgregato tessuto della città campana e per incoraggiare l’attivazione delle risorse economiche, culturali, sociali presenti nel suo territorio.

In merito ai criteri che utilizzerà Alvisi ha dichiarato alla redazione di Edilportale: “Affronteremo il progetto attraverso una prima fase di ascolto della città e dei cittadini. Raccoglieremo il lavoro già fatto fino ad oggi di programmazione e analizzeremo capillarmente la città e il territorio attorno per comprenderne le potenzialità. Battipaglia ha delle risorse straordinarie sia nella sua realtà produttiva che nel suo tessuto se considerato fino al mare che deve tornare ad essere una risorsa attiva della città”.

Inoltre l’architetto si avvarrà di sistemi di partecipazione, non solo di analisi e ascolto, ma anche di azione di trasformazione e gestione futura dei beni comuni.

Il suo team di lavoro sarà composto da molti dei giovani architetti che, selezionati a partecipare al primo anno di attività di G124, hanno ora costituito un team di progetto autonomo, denominato INSITI; i giovani architetti coinvolti sono: Roberta Pastore, Eloisa Susanna, Federica Ravazzi, Roberto Corbia, Francesco Lorenzi. Alle loro professionalità si aggiungono quelle dell’urbanista Umberto Bloise, del sociologo Carlo Colloca e dell’esperto di governance Christian Iaione.

Le linee strategiche per il PUC saranno pronte entro la fine di giugno 2015, dopo di che verrà lanciato un concorso per la redazione del Piano.

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Marracash nella Pperiferia di Roma

E’ ambientato a Tor Bella Monaca, una delle periferie di Roma,  e ha come protagonisti alcuni ragazzi ripresi durante momenti di una loro giornata, il nuovo video del rapper siciliano Marracash , ” In Radio “. L’amicizia, i primi amori, le incomprensioni, il ritorno nel gruppo , sullo sfondo degli anonimi palazzoni di periferia. E’ bello il video firmato da Cosimo Alemà.

” In radio ” , è il terzo singolo estratto da ” Status ” , il cd di Marracash uscito il 20 gennaio scorso  che questa settimana ha debuttato al 2° posto della classifica  ufficiale FIMI.

Fra le collaborazioni quelle con Neffa, Fabri Fibra e Tiziano Ferro.

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Prima giornata di Campionato: 8 febbraio al CalcioSociale di Corviale

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Basta con l’architettura di «serie B»

Mario Cucinella ripensa le periferie: «Lì cova il populismo perché sono realizzate male»

Non c’è bisogno di costruire sempre un Guggenheim in stile Gehry per fare buona architettura, non c’è bisogno di progetti su grande scala (musei, grattacieli o stadi che siano) per poter trasformare davvero una città e non è nemmeno necessario scegliere la via del glamour a tutti i costi (il fascino della super residenza costosa e del parco da miliardario) per sentirsi una archistar, anzi il tempo delle archistar può dirsi ormai davvero finito. Mario Cucinella (fondatore nel 1992 dello studio MCA) sintetizza in questi paradossi l’intervento che terrà sabato 24 gennaio, alla Fiera di Bergamo, nell’ambito del convegno annuale della Fondazione Italcementi sul tema Rammendo e rigenerazione urbana per il nuovo Rinascimento, un convegno in cui protagoniste saranno prima di tutto quelle stesse periferie dove per lungo tempo si è concentrato il lato più oscuro della urbanizzazione.

Cucinella (nato nel 1960, tra i suoi progetti più recenti il Villaggio residenziale per l’Expo di Milano) segue tra l’altro in qualità di tutor il gruppo di lavoro incaricato di studiare la periferia di Catania, e in particolare il quartiere Librino, nell’ambito del «G124», il laboratorio per progettare la riqualificazione delle periferie delle città messo in piedi da Renzo Piano e che oltre a Catania sta studiando le periferie di Roma e Torino. E proprio Piano, senatore a vita per meriti architettonici oltre che progettista del Centre Pompidou di Parigi e dell’ampliamento dell’Harvard Art Museum di Boston, aprirà con un suo video il convegno di sabato che vede tra i partecipanti Giampiero e Carlo Pesenti, Emanuela Casti, Michele Molè, Silvano Petrosino, Geminello Alvi, Francesco Daveri, Aldo Mazzocco, Giorgio Gori.

«Periferie come Librino o come Scampia a Napoli — spiega Cucinella — dimostrano da una parte il fallimento della ricostruzione degli anni Settanta, quella ricostruzione globale che è stata prima di tutto una manovra politica, un paradigma da esibire e che ha portato solo emarginazione. Ma dall’altro che non ci devono essere mai cittadini di serie A e di serie B perché in quelle stesse periferie prodotto di quell’idea sbagliata di architettura ci sono persone che vivono e lottano tutti i giorni per recuperare una giusta dimensione dell’esistenza». Ma Cucinella va oltre: «Il degrado è solo il sintomo evidente di un malessere ben più grave, sociale e non solo progettuale, che per essere curato deve essere prima di tutto studia-to e conosciuto bene. I politici ma anche certi famosi architetti preferiscono invece teorizzare senza sapere, senza essere mai andati a vedere una di quelle periferie così degradate». Il risultato? «Un populismo contro tutto e contro tutti».

Partendo sempre dall’esperienza del Librino, Mario Cucinella (che tra i buoni modelli cita anche il laboratorio «A di Città» di Rosarno, in provincia di Reggio Calabria) definisce i modi per un buon rammendo delle periferie: «A volte può bastare progettare una piccola biblioteca di quartiere, mettere una nuova panchina in un giardinetto o disegnare il percorso pedonale tra una scuola e una palestra per creare nuove opportunità e per migliorare la qualità della vita. Questa è la mia idea di rammendo: qualcosa che non sia imposto, ma che sia ragionato, qualcosa che serva prima di tutto a mettere insieme e non a dividere». Per fare questo bisogna parlare con chi vive nel degrado delle periferie: «Non si possono fare interventi dall’alto, non c’è più bisogno dell’architetto-personaggio e non bisogna neppure più inseguire l’effetto a tutti i costi con progetti che facciano parlare i giornali o le tv, altrimenti si rischiano nuovi fallimenti. I giovani architetti, come quelli che lavorano con me al Librino, in questo sono davvero eccezionali, perché riescono a far parlare le persone dei propri bisogni, riescono insomma a entrare nel cuore della gente. Forse perché sono più consapevoli e non inseguono più i sogni della celebrità. Anche se la cosa più grave resta la totale assenza dello Stato, mentre la distanza tra cittadini e istituzioni continua a crescere giorno dopo giorno».

Seguendo la lezione di Piano, Cucinella ipotizza dunque «una serie di interventi sulle periferie che sappiano essere inclusivi e che non siano mai estranei agli abitanti». Anche perché nell’idea delle grandi aree metropolitane che tanto piace ai politici «non esisterà più la divisione tra centro e periferia». Proprio quelle periferie spesso indicate come bacino di elezione della violenza e del degrado («Lo ripeto, la violenza e il degrado sono i sintomi di un malessere più generale») e dove oggi, più che in altre aree urbane, si trovano a convivere popoli e religioni. Eppure per l’architetto Cucinella (che ha firmato anche progetti per scuole ecosostenibili, centri di assistenza e ministeri in Palestina, a Gaza e ad Algeri) non ci sono dubbi: «Finché c’è tolleranza, finché non si giudica l’altro, finché non si hanno pregiudizi contro chi non la pensa come noi ogni confronto, anche quello tra religioni, è fonte solo di nuove idee, mai di conflitti».

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Idee innovative per le città del futuro

Case e orti urbani galleggianti, immobili ricavati da vecchi granai abbandonati o in micro spazi urbani inutilizzati, funghi hi-tech per il compostaggio in città. Queste le proposte vincitrici del concorso di idee ‘Cities of Our Future’

La crescente urbanizzazione impone di ridisegnare le città in un’ottica di sostenibilità, intelligenza e vivibilità. E per farlo servono nuove tecnologie, ma sopratutto idee che le rendano applicabili. Idee che non necessariamente devono essere grandi e rivoluzionarie ma possono anche essere semplici soluzioni ad alcune problematiche e piccole innovazioni che innalzino la qualità della vita degli abitanti.

E’ partito da queste considerazioni il concorso di idee ‘Cities for Our Time’, bandito dal magazine Metropolis, che ha recentemente annunciato i vincitori. Ai partecipanti è stato chiesto di presentare una proposta concreta e site specific che potesse rispondere ad almeno una delle ‘questioni urbane’ che dovranno essere necessariamente affrontate nei prossimi anni: dai cambiamenti climatici alla domanda abitativa, dalla necessità di ridurre l’impatto ambientale a un miglioramento della mobilità urbana.
Non è stato posto un limite che potremmo definire ‘di grandezza’, alle soluzioni (si poteva andare da semplici gadget a idee per riprogettare un intero nucleo urbano) ma l’importante è che fossero realizzabili e appositamente pensate per una specifica area o struttura.

Giuria ‘social’ e giuria critica
Le proposte sono state pubblicate su una pagina web dedicata e votate da una giuria ‘popolare’, attraverso il canale Facebook, e da una ‘critica’, composta da professionisti, studenti e esperti del settore. Quelle ‘idonee’ sono state raccolte e pubblicate in un libro acquistabile online e intitolato “Cities for Our Time Fall 2014 Competition Entries”, mentre i vincitori sono stati ‘sponsorizzati’ via web.

Vediamo le proposte che hanno conquistato il podio- sia per i critici che per la giuria popolare- e che potrebbero essere destinate a cambiare il volto delle nostre città future.
NIMITZ GARDENS di James Ferello, studente alla University of Cincinnati
1° posto giuria critica
2° posto giuria popolare

gardens

Siamo nella baia di San Diego, dove Ferello ha progettato una sorta di giardino pubblico galleggiante. L’area, accessibile a chiunque, dovrebbe essere utilizzata non soltanto come parco dove passeggiare, fare sport e via dicendo, ma sopratutto come orto pubblico, dove ciascun cittadino possa coltivare frutta e ortaggi. Per l’irrigazione del ‘giardino galleggiante’ si utilizzerebbe naturalmente l’acqua marina sottostante che, grazie a un mega impianto depurativo, verrebbe filtrata e sanificata.

FLOATING SUBURBIA: ANTICIPATING CLIMATE CHANGE di Michael Kaufman, studente University of Cincinnati

1° posto giuria popolare

suburbia

La proposta di Kaufman vuole essere una soluzione ai cambiamenti climatici ed è appositamente pensata per la città di Houston, in Texas. Una città che conta una popolazione di oltre 6,3 mln e che è vicinissima al Golfo del Messico e quindi subirà gli effetti di un’innalzamento dei livelli dell’acqua. Per risolvere questo problema sono state immaginate delle case galleggianti, o meglio un sistema che renda galleggianti gli edifici esistenti. La ‘trasformazione’ dovrà essere graduale e dovrebbe portare, da qui fino al 2080, una vera e propria elevazione delle abitazioni. La novità però non è solo questa, ma anche nell’aver pensato un sistema strutturale alla base degli edifici totalmente sostenibile ed economico perché realizzato con gli scarti di vecchie bottiglie di plastica.
360 LIVING SILOS di Elaine Gallagher Adams, AIA, Raquel Alves, Megan Hopton, Al-Sharif Khaled, Najah Wallabi, Chen Zhao, professori e studenti al Savannah College of Art and Design (SCAD)

2° posto giuria critica

silos
Quante strutture dismesse e inutilizzate potrebbero essere recuperate per scopi abitativi? Risponde a questa domanda la proposta di trasformare tutti i silos non più utilizzati per il deposito e lo stoccaggio di grano in condomini eco sostenibili ed efficienti. E anche belli, a dir il vero. La particolare forma cilindrica consentirebbe di progettare degli appartamenti perfetti da un punto di vista di orientamento, perché, avendo a disposizione uno spazio di 360°, potrebbe essere possibile pensare per ogni stanza la giusta posizione. Con un conseguente risparmio anche in termini di consumi energetici. A ‘completare l’opera’ almeno due piccoli giardini interni per piano, perché se si costruisce green, il verde vero non può mancare.
URBANIZING SETBACKS di Zoltan J. Racz e Nathan Korrki

3° posto giuria critica

urbanizing
E’ vero che le periferie vanno rigenerate e riqualificate, ma molte delle persone che lavorano in città preferirebbero vivere vicino al posto di lavoro, se solo potessero permetterselo. Senza poi considerare che il pendolarismo quotidiano è dannoso anche per la città perché si traduce in tanto traffico e inquinamento. Come coniugare, quindi, basso impatto ambientale con sostenibilità economica? Sfruttando tutti quegli spazi inutilizzati, che potrebbero essere usati per realizzare dei micro condomini. Questa la proposta di Racz e Korrki, che hanno immaginato nella downtown di Phoenix, in Arizona, un piccolo complesso edilizio con 18 micro-abitazioni, spazi di co-working, e un supermercato, da realizzarsi su un terreno in disuso davanti a un parcheggio. La struttura, va da sé, è altamente sostenibile: ha pannelli solari in copertura, impianti efficienti e pavimentazioni in legno riciclato.

WASTE TO BEAUTY, FUNGI COMPOSTING GARBAGE di Erica Anderson, studente alla University of Cincinnati

3° posto giuria popolare

composting

Segue la scia dei solar e wind tree la proposta di Anderson di realizzare dei mini ‘funghi’ per il compostaggio dei rifiuti organici che siano anche piacevoli da vedere. La soluzione è stata specificatamente pensata per la città di Chicago, in modo da consentire al singolo cittadino ma sopratutto ai gestori di bar e ristoranti di smaltire i propri rifiuti personalmente e in modo più semplice e immediato. Compostaggio, ma non solo. I funghi sono infatti pensati per essere energeticamente indipendenti, grazie alla ‘raccolta’ di sole ed acqua; hanno una funzione ‘educativa’ perché la base trasparente permette ai passanti di capire il funzionamento del sistema e fungono anche da illuminazione notturna, perché i ‘rami’ hanno un fluido fosforescente.

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Canili comunali di Roma – Raggiunto il punto di pareggio tra cani entrati ed usciti

canetSimona Novi, presidente AVCPP: “Nonostante i 2060 cani e gatti entrati in un solo anno, il lavoro dell’Associazione Volontari Canile di Porta Portese è efficace per il benessere degli animali ed efficiente per Roma Capitale”

Canili comunali come luogo di passaggio a Roma

Raggiunto il punto di pareggio tra cani entrati ed usciti

ROMA, 30 gennaio 2015 – Nel 2014 sono entrati nel canile di ingresso di Roma Muratella 2060 animali tra cani e gatti, di cui 1313 cani. Di questi 1313 cani, 1207 cani sono usciti tra adozioni, affidi (cani ancora non sterilizzati) e ricongiungimenti con le famiglie che li avevano smarriti. Se a questi 1207 cani usciti si sommano anche i 138 decessi che purtroppo si sono registrati (a causa delle condizioni critiche in entrata, di malattie terminali o in ragione della tarda età: un dato costante negli anni) si evince che su base annua sono stati 1345 i cani che non hanno occupato le gabbie dei canili comunali di Roma, superando di ben 32 unità il punto di pareggio tra le entrate e le uscite di animali.

“Siamo molto soddisfatti del lavoro svolto. Nonostante le migliaia di cani e di gatti che accogliamo ogni anno in condizioni assai critiche perché malati, feriti, morsicatori, maltrattati, sequestrati, terrorizzati e smarriti, il nostro obiettivo è stato raggiunto e siamo stati efficaci per il benessere dei cani – che devono avere nei canili comunali solo un punto di stabilizzazione e passaggio- ed efficienti per il nostro committente, Roma Capitale” dice Simona Novi, Presidente dell’Associazione Volontari Canile di Porta Portese, la onlus no profit che gestisce dal 1997 i canili comunali Muratella, Rifugio Ponte Marconi ex Cinodromo e Rifugio Vitinia ex Poverello e svolge attività di adozioni e volontariato a titolo gratuito per Roma Capitale in un canile privato convenzionato romano.

“Questa è la dimostrazione di come possa ben funzionare il modello pubblico di accoglienza degli animali, soprattutto quando gestito da associazioni di volontariato animalista esperte che hanno come unico ed esclusivo scopo la stabilizzazione degli animali e la loro pronta uscita dalle gabbie verso una adozione consapevole e certificata. Purtroppo – conclude Novi – i canili privati convenzionati, che gestiscono ogni giorno migliaia di animali, non possono vantare gli stessi successi con gravi deficit di adozioni. E quindi spreco di denaro pubblico e nessuna speranza per il futuro per gli animali”.

Cani e gatti entrati nel 2014

2060 animali

Cani entrati nel 2014

1313 cani

Cani adottati

581

Cani in affido

258

Cani ricongiunti alle famiglie che li avevano smarriti

368

Cani deceduti

138

Totale cani usciti dalla gabbie dei canili comunali di Roma

1345

Delta tra cani entrati e cani usciti

Sono usciti 32 cani in più di quanti entrati

Per info, Ufficio Stampa AVCPP , cellulare 331 6005643




Mostra “Banlieue”

La mostra intende offrire uno spunto di riflessione e uno spaccato simbolico di relazioni artistico e culturali delle periferie e raccoglie opere di artisti italiani e francesi contemporanei.

L’Associazione ArtGallery di Milano, in collaborazione con l’Institut français Milano, è lieta di presentare la mostra collettiva “Banlieue”, a cura di Federica Morandi, che inaugurerà mercoledì 4 febbraio alle ore 18.30 al Palazzo delle Stelline di Milano, Corso Magenta 63. In mostra le opere di Ador&Sèmor, Michele Guidarini, Massimiliano Petrone, Sanja Milenkovic, Jacopo Prina, Giulio Vesprini, Silvano Belloni.

La mostra intende offrire uno spunto di riflessione e uno spaccato simbolico di relazioni artistico e culturali delle periferie: banlieue come luogo d’insicurezza e precarietà sociale, ma anche inno alla ricchezza insita nelle differenze e al valore della convivialità. L’evento raccoglie opere di artisti italiani e francesi contemporanei, rappresentanti delle varie discipline espressive e tecniche artistiche: a coagulare i linguaggi delle opere in esposizione è il tema delle periferie, un confronto reale e diretto con la realtà. Una raccolta di lavori che testimoniano i principali approcci al concetto di periferia e le relative traduzioni formali verso la storia, la cronaca, la contemporaneità. Banlieue delinea una mappa di simboli e linguaggi che punteggiano il nostro oggi: l’arte esiste per gli artisti come risposta immediata alla realtà, alla vita, alla quotidianità, al fine di rappresentare scorci di esistenza con il ritmo frenetico del nostro tempo.

Periodo espositivo: 5 febbraio – 6 marzo 2015

Dal martedì al venerdì dalle 15 alle 19

www.associazioneartgallery.org

 

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