1

fatto@scampia

La Cooperativa Sociale “La Roccia” ha per scopo il perseguimento dell’interesse generale della comunità locale mirato alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini attraverso lo svolgimento di attività finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate. La cooperativa opera sul territorio di Scampia, periferia a nord della città di Napoli, ed è retta da principi di mutualità e solidarietà; non ha fini di lucro e persegue lo scopo mutualistico nell’interesse e per il vantaggio di tutti i soci ed al suo interno esistono due realtà produttive, i laboratori di sartoria e di cartotecnica.

Il laboratorio di sartoria nasce nel 2004, all’interno della Cooperativa Sociale “La Roccia”, a seguito di un corso di formazione per Sarte della Regione Campania che ha coinvolto un gruppo di ragazze di Scampia interessate all’inserimento lavorativo in questo campo professionale; esso si trova presso il Centro “Alberto Hurtado” e si propone di formare al lavoro ragazze e donne del quartiere Scampia. In particolare, oltre al trasferimento delle competenze professionali specifiche, lo scopo è offrire un’esperienza di serena crescita nei valori della cultura del lavoro e della legalità.
Il laboratorio di cartotecnica della Cooperativa Sociale “La Roccia” di Scampia, nato nell’anno 2009, si trova presso la “Bottega artigiana per il libro” nella ex casa del custode della Scuola Elsa Morante in viale della Resistenza. Ne sono promotori e protagonisti 4 giovani, ai quali sono state trasferite le competenze, durante una formazione biennale, da un allievo della scuola del grande maestro napoletano Michele Eliseo. Il progetto nasce da un importante finanziamento della Fondazione Vodafone Italia e dalla collaborazione della Provincia di Napoli che ha concesso i locali della ex casa del custode all’interno della Scuola Elsa Morante.
Nel corso di questi anni i laboratori di sartoria e di cartotecnica della Cooperativa Sociale “La Roccia” sono cresciuti, grazie allo sviluppo professionale e personale delle persone che ne fanno parte: la formazione sul campo ha permesso alle nostre sarte e ai nostri artigiani un incremento delle competenze professionali, attraverso un confronto costante con la realtà del mercato e le problematiche legate al lavoro quotidiano, attraverso la possibilità di sperimentare lo spirito della cooperazione e condividere le responsabilità dell’attività professionale.
Il marchio fatto@scampia veicola l’idea di un prodotto completamente made in Scampia, progettato e realizzato secondo lavorazione artigianale, e legato inestricabilmente al territorio in cui nasce ed opera la realtà cooperativa, il cui scopo è certamente quello di contribuire allo sviluppo e al radicamento della cultura del lavoro e della legalità sul territorio.
Dal 2013, con il negozio online fatto@scampia, la Cooperativa Sociale “La Roccia” affronta una nuova sfida: l’e-commerce, la nuova frontiera del mercato.

Link al sito




Milano: presentato il Piano urbano mobilità sostenibile per i prossimi anni

L’assessore alla Mobilità e Ambiente Pierfrancesco Maran del comune di Milano ha illustrato alla Giunta il Piano della Mobilità Sostenibile (PUMS). Il documento è frutto di un approfondito confronto aperto con la città e con gli enti coinvolti avviato nel 2013 ed è stato redatto sotto la supervisione di un Comitato Scientifico. Il piano è destinato a ridisegnare la mobilità di Milano nei prossimi 10 anni e ridefinisce i confini della Città metropolitana, andando a servire e collegare ampie zone extraurbane.
“Abbiamo di fronte a noi una grande sfida: riuscire a garantire dei servizi ancora più efficienti e sostenibili ad un maggior numero di persone – ha dichiarato l’assessore Maran -. Oggi Milano è già un punto di riferimento a livello internazionale per le politiche di mobilità, ma la nascita della Città metropolitana ha ridefinito i confini comunali, rendendo indispensabile una rimodulazione dei servizi in base alle reali esigenze di chi ogni giorno vive e transita a Milano. Il Piano va proprio in questa direzione, aumentando i servizi nelle periferie e verso la Città metropolitana”.
“Il Piano – prosegue Maran – non è una scatola chiusa, ma può essere ancora arricchito grazie al contributo che le associazioni di categoria, comitati, cittadini e consiglieri comunali vorranno apportare nei prossimi 60 giorni”.
Dopo la delibera di presa d’atto della Giunta, infatti, la prossima settimana il documento, insieme al rapporto ambientale e alla sintesi tecnica, verrà messo a disposizione per 60 giorni presso gli uffici del Settore Pianificazione e Programmazione Mobilità e del Settore Politiche Ambientali ed Energetiche e pubblicato sul sito del Comune di Milano e di Regione Lombardia, in modo che chiunque possa prenderne visione e presentare le proprie osservazioni sulla procedura di VAS.

Allo scadere dei 60 giorni il PUMS verrà adottato in Consiglio Comunale con le eventuali modifiche apportate. Il Piano verrà nuovamente messo a disposizione per altri 60 giorni per le osservazioni sui contenuti, per poi essere approvato definitivamente dal Consiglio Comunale.
A livello di trasporto urbano, il piano prevede il potenziamento della rete con il prolungamento di alcune le linee metropolitane oltre i confini comunali, in particolare: la M2 da Cologno Nord a Brugherio e da Assago a Rozzano, la M3 da San Donato a San Donato est, la M5 da San Siro a Settimo e la M4 da San Cristoforo a Corsico – Buccinasco. A questo si aggiunge la progettazione di una sesta linea, lungo la connessione radiale Nord-Ovest, Sud-Est, con servizio sugli assi Certosa/Sempione e Tibaldi/Quaranta. Il documento prevede inoltre la modernizzazione della M2, con il rinnovo del materiale rotabile, l’impermeabilizzazione delle gallerie e il restyling delle stazioni.
Ovviamente sul reperimento delle risorse, che per questi investimenti sono sempre stati in larga parte statali, il piano non ha titolo per entrare nel merito. Tuttavia per la prima volta negli strumenti di piano vi è un allegato dettagliato che analizza l’utilità marginale di ogni singolo investimento e che potrà aiutare Comune di Milano, Città Metropolitana, Regione e Governo a definire costi benefici di ogni investimento per orientare le scelte e l’allocazione delle risorse disponibili nei prossimi anni.
Alcune delle attuali linee tranviarie vedranno inoltre allungare il loro percorso e si trasformeranno nelle cosiddette Linee T, linee di forza più veloci e complementari alla rete delle metropolitane.
Il Piano considera poi di istituire sistemi rapidi su gomma per collegare la città ad alcune importanti direttrici ad oggi non ancora servite: Arese – Lainate, Vimercate, Segrate – Pioltello, Paullo, Binasco e del Cusago.
Per quanto riguarda l’offerta di parcheggi, il PUMS ne prevede la realizzazione in funzione dei prolungamenti delle linee metropolitane a Monza Bettola, lungo la direttrice di via Novara, San Donato Est, Corsico- Buccinasco e Lambrate. Il PUMS indica inoltre la necessità che i parcheggi vengano realizzati lungo le direttrici ferroviarie dell’hinterland, intercettando l’utenza quanto più possibile in prossimità dell’origine del viaggio.
Si ritiene di mantenere Area C, fino alla realizzazione di M4, ai suoi attuali confini alla Cerchia dei Bastioni. Il Piano individua come azione prioritaria la realizzazione di una Low Emission Zone posta in prossimità del confine comunale ma all’interno della cerchia delle tangenziali. Uno strumento che prevede l’installazione di varchi elettronici in grado di controllare in maniera automatica il rispetto delle regole adottate dalla Regione Lombardia sulla circolazione veicolare, in funzione delle classi emissive Euro, consentendone un effettivo controllo sul territorio comunale di Milano, nonché il controllo di camion e veicoli di ampie dimensioni, seguendo il modello londinese.
Il PUMS promuove l’ulteriore diffusione dei mezzi in condivisione. Già oggi Milano è, con Parigi e Berlino, un punto di riferimento europeo per questi servizi, che verranno estesi al punto che con ogni probabilità nei prossimi anni ogni cittadino sarà registrato ad almeno un servizio di sharing.

E’ un’evoluzione già in corso, grazie all’avvio del car sharing nel 2013, e che nei prossimi mesi vedrà l’aggiunta dello scooter sharing e delle bici a pedalata assistita, con l’estensione di Bikemi fuori dalla cerchia della 90/91.
Un altro aspetto fondamentale del Piano è la valorizzazione dello spazio urbano, attraverso interventi di moderazione della velocità veicolare (zone 30 e isole ambientali) che renderanno la città più sicura e sostenibile. ” Tra le grandi città italiane, Milano è quella che registra il più basso indice di mortalità sulle strade. La nostra priorità è rendere le strade di Milano sempre più sicure attraverso provvedimenti mirati a ridurre la velocità stradale” , sottolinea l’assessore Maran. Parallelamente il PUMS incentiva la mobilità dolce, rafforzando o la rete ciclabile e prevedendo una rete di itinerari pedonali.
Il Piano cerca di rendere anche più efficienti le imprese milanesi e lombarde attraverso una gestione più smart della logistica merci, che sviluppi alcuni progetti sperimentali già in corso, integrandoli con la low emission zone e consentendo una migliore gestione dei sistemi di carico e scarico.
Il Piano renderà Milano una città accessibile a tutti. In questo contesto si inserisce l’elaborazione del Piano di Eliminazione delle Barriere Architettoniche (PEBA), che prevede l’offerta di applicazioni tecnologiche in grado di fornire informazioni sulle condizioni di accessibilità dei percorsi stradali, oltre ad interventi puntuali per le aree di interscambio del trasporto pubblico.
La piena attuazione del PUMS avrà come effetti positivi la riduzione del 25% del traffico nelle zone a velocità moderata, l’aumento della velocità del trasporto pubblico del 17%, il decremento della congestione da traffico dell’11% e la riduzione delle emissioni di gas climateranti del 27%. Inoltre il PUMS porterà un aumento della popolazione con buona accessibilità al trasporto pubblico del 142%. Il valore dei benefici complessivi per la collettività, secondo il documento presentato, risulta essere oltre il doppio del valore dei costi per la collettività, comprensivi degli investimenti.

link all’articolo




A Firenze l’ufficio urbanistica utilizzerà i droni. Come sfruttarli in città

Monitorare i monumenti, l’andamento dei cantieri e gli eventuali abusi edilizi con i droni. L’idea dell’assessore all’Urbanistica, Elisabetta Meucci.

Dopo essere stati utilizzati per creare modelli 3D, monitorare i cantieri di Expo Milano 2015 e anche per ispezionare zone di difficile accesso per gli essere umani, i droni sbarcano ora anche nella città di Firenze.

L’assessore all’Urbanistica, Elisabetta Meucci, vorrebbe infatti predisporre un progetto speciale per l’utilizzo dei droni per monitorare la trasformazione della città e far partecipare i cittadini ai cambiamenti in atto e in tempo reale.

L’idea è quella di monitorare i monumenti, l’andamento dei cantieri e gli eventuali abusi edilizi nella città e mostrarli tramite la rete civica del Comune ai cittadini in tempo reale. L’innovativo strumento di controllo è previsto dal nuovo regolamento urbanistico, di recente approvato dalla giunta e ora in attesa dell’ok del consiglio comunale (leggi qui).

DRONI. I SAPR (Sistemi Aerei a Pilotaggio Remoto) dotati di sensori ottici (fotocamere) oppure di LIDAR (Laser Imaging Detection And Ranging), riescono oggi a colmare quel vuoto tra il rilievo di precisione con tecniche manuali (ad esempio tramite la stazione totale) e la fotogrammetria aerea (per giustificare il quale servono ampie estensioni di terreno da coprire in ogni missione).

I SAPR riescono bene dove occorrano rilievi di elevata precisione e risoluzione su estensioni fino ad alcuni chilometri quadri.

Tuttavia – spiega l’ing. Maurizio Vannucchi che ha coordinato la presenza del Collegio degli Ingegneri e Architetti di Milano a DroneItaly – l’utilizzo professionale dei SAPR è soggetto a specifiche normative quali il Codice della Navigazione Aerea, i regolamenti ENAC, e a problematiche connesse alle procedure di autorizzazione al volo, alla privacy in tema di dati personali raccolti con videoriprese, alla sicurezza intrinseca dell’apparato e del suo funzionamento oltre a quella relativa al contesto nel quale va ad operare che spesso sono disattese dagli operatori non qualificati e possono portare ad un quadro sanzionatorio molto elevato”.

link all’articolo




Street Art a Roma. l’altro turismo

È una mappa in movimento: mutante, mercuriale, imprevedibile. Cambia di giorno in giorno, anzi dalla notte al giorno. Alzi gli occhi e l’intera facciata di un palazzo ha un altro volto, senso, aspetto. Roma è arrivata tardi rispetto alle altre capitali europee ma oggi è una delle città più sintonizzate sui fermenti della arte pubblica urbana. Un museo a cielo aperto, muri che parlano, quartieri trasformati da artisti di livello internazionale.

Si chiamano Blu , Borondo , Roa , Sten & Lex , Agostino Iacurci , Mr. Klevra , Seth , Lucamaleonte , Tellas , Philippe Baudelocque , Herbert Baglione , Omino71 . Una lista parziale, in continuo divenire, che si accresce grazie a contributi che si intersecano, talvolta in contraddizione, talaltra in aperto conflitto. Tra di loro c’è chi ha scelto la via antagonista della creatività come logo politico, fieramente illegale, senza passaporti, bolli, accrediti ufficiali. Altri invece dialogano con le istituzioni e sul crinale complesso del “media-messaggio” si rivolgono a un pubblico globale, incarnando più istanze. Sia come sia è una vivacità insperata in una metropoli sostanzialmente conservativa come questa, poggiata con statica mollezza su sé stessa e sulla retorica della Caput Mundi.
Benvenuti allora. Benvenuti nell’altra Roma, quella che si batte e combatte. Ieri quasi ghetto, oggi quasi centro nel divenire fluttuante di una città che non ha più ceti sociali ma strappa le distanze, le riduce, le ricuce in forma di grotteschi paradossi, si cresce addosso. Una tavolozza da occupare fuori e dentro i 68,2 chilometri del Gra, Grande Raccordo Anulare, la cinta che dovrebbe contenere senza riuscirci i fianchi dell’Urbe, creatura bulimica che straborda metastatica verso i caselli autostradali, i Castelli, il mare: hinterland perpetuo Gli artisti urbani, attraversando questa Roma mastodontica, le restituiscono in fondo un’interezza smarrita: la possiedono, ne narrano le contraddizioni e le schizofrenie, ne ridisegnano la geografia usando spray, texture, carte veline, stencil, sticker, oppure litri di tempere, acrilici, pennarelli, gessi. Rivoluzione centripeta. Avanguardie dinamiche sostenute da gallerie di creativi come Wunderkammern o 999 Contemporary , oppure che trovano casa, asilo concettuale, rifugio e paradigma sociale nell’unico museo abitato/occupato: il Maam , luogo di frontiera rispetto all’arte ufficiale.
Fuori e dentro. Ogni artista qui ha il suo segno, come un marchio. Realizzano opere destinate a sgretolarsi, alla mercé dei tag dei writers, dei manifesti pubblicitari, dello sfregio o degli agenti atmosferici, ma che sopravvivono sul web anche quando vengono cancellate grazie a foto e video. Arte come atto di rivolta e denuncia, gesto anarchico coniugato al plurale, creatività nata senza mercato e che tuttavia qualcuno cavalca e che fa gola ai mercanti. Arte che ha fatto i conti con denunce, censure, multe e che adesso le amministrazioni hanno sdoganato per colorare pezzi di città, riqualificare l’edilizia popolare, cambiare le prospettive in quartieri dimenticati come San Basilio o Tor Marancia . I risultati sono stupefacenti e spesso realizzati di concerto con chi abita i palazzi dell’Ater, quel popolo di lotte per la casa che ha guadagnato ogni centimetro di tetto sopra la testa attraverso battaglie memorabili, deportazioni, occupazioni, liste, fatica. Dunque Roma ha oggi molte nuove pelli da mostrare. Tanto che anche il turismo d’élite se n’è accorto e cerca oltre il centro-cartolina. Cerca e trova murales immensi, opere minimali, segni da ammirare, fotografare, vedere. E farsi raccontare. Testaccio, Ostiense, Quadraro, Pigneto, Casilina, San Lorenzo, San Paolo, Tor Bella Monaca, Ottavia, Trullo. Avanti il prossimo. Più è periferia, più c’è spazio per dire una storia, interpretare una metafora. Se ne sono accorti i tipi di NotForTourist , agenzia di viaggi specializzata in tour alternativi che organizza visite guidate nelle zone più “calde” dell’arte di strada romana. Esattamente come accade a Berlino, Londra, New York o Parigi. Nessun finto centurione, zero souvenir, un’altra città. C’è richiesta, e loro la soddisfano. Su TripAdvisor gli escursionisti commentano soddisfatti. Scrive FrancYTravel: “Il tour è stato interessante e stimolante… camminando nei quartieri di Ostiense e Garbatella abbiamo scoperto, grazie alla nostra guida, degli angoli nascosti in cui l’arte, libera di esprimersi, è alla portata di tutti. Il percorso era ben organizzato e ci ha permesso di ammirare davvero tanti tesori! Sicuramente lo raccomando per conoscere una Roma diversa e speciale”. Stanchi del Colosseo o di Fontana di Trevi? Provate con Blu al Porto Fluviale. Spiega bene il senso e il concetto David Diavù Vecchiato, artista e insieme curatore del M.U.Ro. Museo di Urban Art al Quadraro che semina colori fino a Borghesiana, Torpignattara, piazza Epiro : “ Dove si dipingono murales si verifica una riappropriazione da parte dei cittadini di territori e spazi spesso dimenticati e lasciati all’incuria. C’è inoltre riappropriazione del concetto stesso di arte, perché possono trovare opere in strada anche coloro che non sono avvezzi a visitare musei e gallerie. E anche gli artisti si riappropriano di qualcosa. Di un ruolo sociale che deve saper creare partecipazione, condivisione, dibattito”. Includere, tracciare linee, riannodare identità. Il M.U.Ro. è visitabile passeggiando, oppure in bici, o grazie a pacchetti speciali pensati per le scolaresche . Fate voi. L’associazione “ Roma a piedi ” naturalmente propone itinerari “per chi viaggia con lentezza”. Sul sito è scaricabile gratuitamente un kit di sopravvivenza che offre consigli e percorsi anche per chi desidera approcciare la street art romana. Così complessa, variegata, esplosiva. Gli ideatori di APPasseggio hanno fatto di più: con il il sostegno dei Go Teller, guide intelligenti e di alto livello, hanno mappato l’arte urbana nei vari quartieri, e creato itinerari appositi, ricchissimi di contenuti, storie, aneddoti. Molti gli incontri anche gratuiti che organizzano. Basta cercare in Rete, le proposte sono molte. Perché sappiate che a Roma c’è un’altra Roma. È una città che ha respiro lungo, ley-lines cangianti. È marginale, furiosa, graffia ogni centimetro a disposizione, ruba spazi, guarda in alto, aggredisce il cielo. Ed è fatta di muri che non dividono.

link all’articolo




Frutta urbana

Preservare gli alberi da frutta in ambito urbano, nelle proprietà pubbliche e private;
Aumentare il numero di alberi da frutta nella proprietà pubblica, privata e nelle scuole;
Documentare una parte del patrimonio botanico della città grazie alla mappatura e all’identificazione degli alberi da frutta lungo le strade, nei parchi, nei giardini pubblici e privati;
Sviluppare attività di cura e potatura degli alberi da frutta e ridurre l’impatto di malattie e parassiti utilizzando metodi biologici;
Aumentare la quantità di frutta raccolta a beneficio della comunità, sviluppando e promuovendo delle azioni collettive;
Distribuire gratuitamente la frutta raccolta sviluppando collegamenti tra chi ha la frutta e chi ne ha bisogno;
Creare comunità, rinforzando le connessioni tra le persone e organizzando interventi ed eventi collettivi sulla cura, la raccolta e la conservazione della frutta;
Creare occupazione durante i periodi di raccolta e distribuzione della frutta e affidando la manutenzione ordinaria e straordinaria dei frutteti a figure professionali che coordinino il lavoro dei volontari.

Reintrodurre nel suo ambito d’elezione una delle tessere di paesaggio periurbano più tipico del bacino del Mediterraneo: il frutteto promiscuo.
Reintrodurre i valori ecologici, di cui i frutteti sono portatori (servizi ecosistemici, aumento della complessità di specie e di habitat, nonché della resilienza dell’ecosistema urbano).
Reintrodurre i valori culturali di cui i frutteti sono portatori (saperi agronomici, botanici, gastronomici, di educazione alimentare e di condivisione)
Creare di una rete di frutteti urbani integrando quelli nuovi e quelli preesistenti, mappandone gli elementi a tutte le varie scale, in tutte le configurazioni spaziali e le fasi storiche per creare un pomarium urbano diffuso,
Diffondere e salvaguardare l’ampia biodiversità del nostro territorio, recuperare frutti e sapori antichi, creare di nuove aree verdi a bassa manutenzione, ma con un importante ruolo nell’ecosistema urbano.
Proporre alle scuole e a chi fosse interessato una didattica nuova, ricca di storia, tradizioni e cultura.
Sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi della sicurezza alimentare e sulla riduzione dell’impatto ambientale negativo legato alla produzione convenzionale della frutta.

link al sito




Edilizia: nuovi modelli unici semplificati per CIL e CILA

I nuovi modelli sono stati redatti in conformità alla nuova Legge 160/14 che ha modificato l’intervento edilizio relativo alla Manutenzione Straordinaria. In particolare con la nuova normativa è possibile il frazionamento delle unità immobiliari anche con l’aumento della SUL e l’accorpamento con aumento del carico urbanistico. Quindi la Manutenzione Straordinaria ora prevede interventi edilizi che sono anche onerosi. Nel caso di Roma Capitale oltre agli oneri concessori, nel caso di aumento del carico urbanistico, è necessario calcolare gli oneri della monetizzazione calcolati in base alla deliberazione di C.C. n. 73/2010.
Con la vecchia procedura questo era possibile sono con la presentazione della DIA al municipio di appartenenza, attendere 30 gg. per l’inizio dei lavori. Ora la CILA elimina i tempi di attesa per l’inizio dei lavori, riduce i costi relativi ai diritti di segreteria e rende più snella la procedura per il cittadino in quanto nei modelli è stata eliminata la dimostrazione della legittimità del fabbricato poichè i titoli edilizi essendo in capo all’A.C. non devono essere più forniti dal cittadino.
Pertanto la nuova modulistica è più gravosa per l’Amministrazione Comunale, in termini di verifiche tecniche ed amministrative, in quanto dovrà verificare in tempi stretti se la documentazione è completa, se devono essere acquisiti pareri di Enti alla tutela dei vincoli, e se l’immobile risulta legittimo. Ciò comporta che i Municipi dovranno modificare la loro organizzazione a tal fine.

La nuova modulistica qui pubblicata è attualmente in fase sperimentale presso i Municipi ed entrerà in vigore a partire dal 1 marzo 2015.

Documenti scaricabili:
modello-cil
modello-cila

link al sito




La carta dei giardini urbani condivisi

La diversità botanica, sociale, culturale è un valore importante da difendere e una risorsa per l’arricchimento del vivere urbano. Così come per la natura, anche la società e la cultura si evolvono da sempre in una dinamica continua, riflettendo esigenze, sinergie, esperienze sempre diverse. Di conseguenza anche l’identità dei luoghi è legata a processi evolutivi in divenire e quindi a un cambiamento continuo.

Nel 2001, l’UNESCO ha ampliato il concetto di sviluppo sostenibile indicando che “la diversità culturale è necessaria per l’umanità quanto la biodiversità per la natura […] È una delle radici dello sviluppo inteso non solo come crescita economica, ma anche come un mezzo per condurre una esistenza più soddisfacente sul piano intellettuale, emozionale, morale e spirituale”. (art 1 e 3 della Dichiarazione Universale sulla Diversità Culturale, UNESCO, 2001).

Attraverso la valorizzazione della diversità, si può creare una nuova cultura del giardino insieme a un nuovo linguaggio per la convivenza civile e l’abitare. Crediamo quindi nell’importanza del rispetto di tutte le culture per rinforzare la condivisione e la partecipazione degli spazi pubblici della città.

Promuovere i valori della biodiversità e quindi dell’eterogeneità ambientale, favorisce una maggiore eterogeneità sociale: in un sistema multiculturale, come quello in cui viviamo, è fondamentale trovare metodi e tecniche per parlare a tutto il mondo.

Una nuova tipologia di giardino deve potersi esprimere in maniera irregolare, in costante evoluzione, in modo non ripetitivo, per diventare un vero e proprio laboratoro socio-culturale di sperimentazione e qualità. Lontano dalla ricercatezza e dal conformismo del giardino pubblico tradizionale o dalla maglia fissa e geometrica degli orti urbani comunali.

Nel giardino multietnico, fondato sulla comunicazione e sull’appartenenza, è importante lasciare spazio alla creatività e all’inventiva che si modellano sullo spirito dei luoghi e su chi li abita. Nella precarietà e nella marginalità si esprimono una libertà creativa assoluta e una ricchezza di valori sperimentali, non contaminati e non convenzionali, che sono un’inesauribile fonte di risorse e di soluzioni tecniche ed estetiche.

È importante difendere questi valori per migliorare l’ambiente, per le generazioni presenti e future, attraverso idee e progetti innovativi, punto di partenza per pensare e ri-pensare alla sostenibilità sociale e ambientale della città.
Nuovi giardini devono poter creare una rete di connessioni urbane per inserire la natura in città e con l’obiettivo di far crescere la città in sintonia con questi obiettivi.

Per questi motivi anche Linaria è un’organizzazione in costruzione permanente e in continua evoluzione. Non vuole offrire solo i risultati compiuti di una ricerca o di un progetto, ma indicare possibili terreni di indagine e nuovi strumenti che siano conformi a un oggetto, il giardino, il paesaggio, la città, in costante divenire.

link al sito

 




Ibrahim, l’uomo che coltiva il deserto

«Noi rappresentiamo l’Islam moderato e moderno. Gli uomini dell’Isis sono solo terroristi». Ibrahim Abouleish invoca spesso Allah, quando parla della sua incredibile avventura umana, imprenditoriale e ambientale, l’aver trasformato 20.000 ettari di deserto del suo Egitto (partendo dai primi 70 conquistati a 60 chilometri a nordest del Cairo) in terreno fertile coperto da filari di alberi ad alto fusto, coltivazioni rigorosamente biodinamiche, allevamenti di bufali egiziani, fabbriche di tisane, scuole, asili nido e ora anche L’Università di Eliopoli per lo Sviluppo sostenibile («è la prima nel mondo», sorride soddisfatto). L’opera si chiama Sekem, in egiziano antico «vitalità del sole».

Ibrahim Abouleish è il relatore-simbolo del convegno internazionale «Oltre Expo-Alleanze per nutrire il Pianeta, sì è possibile» organizzato dall’Associazione per l’agricoltura biodinamica, col patrocino del Fondo Ambiente Italiano, della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli e con la partecipazione di Slow Food. L’Aula Magna Gobbi dell’Università Bocconi è strapiena, in prima fila Giulia Maria Crespi, da sempre aperta e combattiva sostenitrice dell’agricoltura biodinamica che ha fortemente voluto questo appuntamento. La scommessa è esplicita, dimostrare cioè che il futuro dell’Italia sta nelle sue stesse radici: agricoltura, alimentazione, paesaggio, artigianato e quindi turismo in un ambiente tutelato. Sul palco Carlo Triarico, presidente dell’Associazione per la biodinamica: «L’Italia ha il primato europeo nell’uso dei pesticidi, 10 chili a ettaro. La Francia ne usa la metà però attira il doppio del turismo. Penso che il nesso sia chiaro. All’agricoltura va restituita la dignità che le spetta».

Tanti i relatori italiani e internazionali. In questo quadro spicca Ibrahim Abouleish, mite signore di quasi ottant’anni, eleganza europea, occhiali sottili, sguardo penetrante, studi giovanili in Germania, due lauree in Medicina e Ingegneria che hanno sostenuto la sua vocazione: «Quando nel 1977 tornai in Egitto trovai un Paese distrutto da tre guerre. Ripensai alle parole del profeta Maometto: “Quando si avvicina l’Apocalisse, la fine del mondo, coltiva la terra e vedrai che non ti abbandonerà”. La terra è una madre dal grande cuore. Anche quando i suoi figli la maltrattano lei perdona e offre altre possibilità».

Poco prima aveva scoperto l’esistenza, e il fascino, dell’agricoltura biodinamica proprio in Italia grazie a Giulia Maria Crespi: «Mi spiegò bene di cosa si trattava, ma quando le parlai del mio progetto per il deserto mi disse che ero un pazzo». Cominciò un’avventura difficile, all’inizio ebbe contro anche gli Imam che lo ritenevano un adoratore del sole per i principi antroposofici alla base della coltivazione biodinamica, poi arrivò una targa ufficiale degli Sceicchi islamici in Egitto che definiva la sua opera «una iniziativa islamica». Oggi Sekem significa 20.000 ettari di ex deserto coltivati con 85 aziende, 10.000 lavoratori musulmani ma non mancano cristiani ed ebrei (il 40% donne) in tutto l’Egitto, 2.000 dipendenti impegnati a Sekem nella trasformazione dei prodotti (800 donne). Le scuole della comunità accolgono ogni giorno 600 studenti. Ha convinto l’intero Egitto che l’uso dei pesticidi nella coltivazione del cotone è dispendioso, dannoso per raccolto e ambiente: la soppressione biologica dei parassiti ha portato a un aumento del 30% della resa del cotone grezzo.

Ora Abouleish è soddisfatto dei proseliti che raccoglie: «Centinaia di migliaia di ettari in Egitto sono stati sottratti al deserto. Dopo l’Europa, siamo il luogo al mondo in cui più si usa l’agricoltura biodinamica». Guarda con affetto alle nuove generazioni: «Sono certo che tutta l’agricoltura si riconvertirà così. Quella tradizionale si sta rivelando sempre più costosa, per gli antiparassitari, dannosa per l’acqua, per l’aria, per la terra stessa e per la salute dei consumatori. La natura è il nostro vero, sicuro futuro».

link all’articolo




Open Data Day, in Italia dieci appuntamenti per la trasparenza

Sabato 21 febbraio è la giornata internazionale dei dati aperti. Le occasioni per discutere le opportunità dell’uso intelligente dei dati per migliorare la qualità della vita.

Gli Open Data non servono a niente se non migliorano la vita delle persone. Forti di questa convinzione, sono molti quelli che sabato 21 febbraio parteciperanno al terzo evento italiano dedicato ai Dati Aperti. L’Open Data Day celebrato a livello internazionale, è un’occasione di incontro, distribuita in Italia tra dieci città, per costruire, secondo gli organizzatori, un modo nuovo e diverso di pensare la relazione reciproca tra informazione, diritti e conoscenze, al fine di migliorare il rapporto tra Pubblica Amministrazione, imprese e cittadini.

Un obiettivo da raggiungersi proprio attraverso un uso diverso della enorme mole di dati che tutti noi produciamo a lavoro o nel tempo libero, interagendo con strumenti digitali, banche dati, uffici, spazi pubblici e privati. Ma quando si parla di dati aperti si parla anche dei dati ambientali generati dal monitoraggio del livello d’acqua nei fiumi, di quelli sulla qualità dell’aria, dei dati sulla frequenza delle corse del trasporto pubblico, dello stato del patrimonio artistico o dei crimini commessi in un certo lasso di tempo all’interno di un certo territorio.

Dati che sono in genere prodotti, gestiti e pagati da enti pubblici, e che sono pubblici per legge, e che dovrebbero essere utilizzabili da chiunque, per decidere, ad esempio, se e dove impiantare una certa attività commerciale, piuttosto che per realizzare interventi socioabitativi o reindirizzare le politiche di sicurezza nel caso di enti territoriali e di governo. Per gli esperti questi dati devono diventare occasione per innovare prodotti e servizi privati ed aumentare l’efficienza e l’efficacia dei servizi pubblici, ma anche, come sostiene l’Associazione degli Stati generali dell’Innovazione (SGI), per “migliorare la trasparenza ed il controllo democratico, e favorire la partecipazione alla vita pubblica.” E qui un bell’esempio è il lavoro che sui dati comunali e ministeriali effettua l’associazione Open Polis che li offre ai cittadini per promuovere la partecipazione civica attraverso la conoscenza degli atti, dei comportamenti, e delle decisioni dei nostri rappresentanti. Secondo SGI però i dati aperti “Necessitano di maggiore traduzione e diffusione, cosa spesso non garantita, che va a scapito dei cittadini e delle opportunità che gli vengono così precluse”.

Gli fa eco Ernesto Belisario, avvocato, esperto di dati aperti nella Pubblica Amministrazione: “L’Open Data Day sarà importante solo se riuscirà ad essere l’occasione per uscire dalla ristretta cerchia degli addetti ai lavori, se rappresenterà il momento in cui fare capire ad amministratori, cittadini e imprenditori il valore dei dati aperti per la trasparenza e la crescita economica.” Diversamente? “Se dovesse diventare un evento autoreferenziale “per iniziati” sarebbe l’ennesima occasione perduta.”

Per questo, poiché la politica ci ha abituati al mantra dell’innovazione tecnologica che non si realizza, c’è da chiedersi come possano effettivamente migliorarci la vita i dati aperti. Secondo Morena Ragone, giurista, esempi virtuosi ce ne sono eccome: “Il notissimo Open Coesione, che rende accessibile ai cittadini i dati relativi all’impiego del fondi strutturali europei; oppure Confiscati Bene ­ che mappa, monitora e rende disponibili ed intellegibili i dati dei beni confiscati alle mafie ­, e ancora Open Pompei, che interessa un settore, quello dei beni artistici, tanto prezioso e delicato.” Quindi i dati aperti non sono più solo una parola ad effetto. Certo necessitano di standard unici, di protocolli di qualità e una chiara esposizione di scopi e utilità e della lorro effettiva messa in comune da parte di chi li produce. L’International Open Data Day 2015 può essere l’occasione per farlo di più e meglio.

L'”evento hub” italiano si svolge a Roma, ma uno dei momenti più partecipati sarà a Bari, presso il Politecnico, dove nel promeriggio si svolgeranno gli hackaton: momenti di lavoro collettivo in cui sviluppatori di software, programmatori, appassionati, lavoreranno sui temi del monitoraggio ambientale, dell’infomobilità e dei beni culturali.

link all’articolo




Tor Sapienza, la periferia fatta da noi

Oggi Tor Sapienza la conoscono un po’ tutti. Su quel pezzo di periferia romana si sono accesi di colpo i riflettori e per un attimo molti hanno visto cosa sono le periferie in questo momento, “savane urbane” dove si consuma una macelleria sociale senza tregua. I fatti di Tor Sapienza hanno scosso l’intera comunità locale, a cominciare dagli abitanti del complesso abitativo Morandi che si sono ritrovati al centro della scena mediatica, rimanendo in parte prigionieri dei suoi effetti superficiali.

Chi vive o lavora da anni sul territorio sa bene che quanto accaduto è il risultato del profondo disagio sociale, alimentato da diverse forme di deprivazione. Una combinazione complessa e distruttiva di fattori territoriali negativi diffusi in molte periferie. La crisi economica accentua le conflittualità e mancano le risposte in grado di incidere in maniera strutturale sulle emergenze socio-economiche di questi territori marginali.

Al Morandi, come in altre periferie a rischio, si registra una povertà urbana articolata, non solo economico-finanziaria, ma culturale e relazionale: comunità isolate con network sociali frammentati. In tale scenario è forte il bisogno di progettualità concrete che nascano dalle realtà del territorio e che siano finalizzate a superare l’isolamento rispetto al resto della città. Gli interventi organici di rigenerazione urbana dovrebbero essere il nuovo orizzonte d’azione politica, affinché vengano avviati progetti pluriennali e plurisettoriali orientati alla conversione ecologica e sociale. Sebbene ancora in fieri, un tentativo in questa direzione è il Progetto Urban Re-Block di Tor Sapienza: da circa due anni un gruppo di organizzazioni territoriali, insieme all’Università Roma Due di Tor Vergata, sta provando a elaborare un piano di azione locale di rigenerazione efficiente ed efficace degli insediamenti urbani attraverso pratiche di economia alternativa e solidale.

L’area di riferimento è il complesso Morandi a Tor Sapienza, caratterizzata da un’alta densità abitativa e dalla presenza di edifici di edilizia pubblica in forte stato di degrado. La scelta di operare nel Complesso Morandi raccoglie diverse sfide, tra cui quella di sperimentare una priorità centrale della periferia romana, cioè l’inclusione sociale anche a fini occupazionali e di riqualificazione edilizia sostenibile. L’azione ha come obiettivo il migliorando della qualità di vita dei residenti, attraverso l’attivazione di un processo partecipativo, che proponga progetti di sostenibilità ambientale e sociale e riqualificazione del territorio, a partire da interventi sulle strutture abitative fino alla progettazione di interventi di riqualificazione socioeconomica. L’idea è di elaborare, attraverso percorsi partecipati, un nuovo patto locale che definisca piani di zona territoriali, fondati sulla conversione ecologica e sociale e in cui i valori che regolano la convivenza sociale vengano definiti dal basso. Tale obiettivo, però, è realizzabile soltanto se si inizia a ripensare anche l’idea di economia locale.

Le problematiche territoriali affrontate da RE-Block sono comuni a molte periferie o insediamenti urbani, ad alta densità abitativa. In Italia sono stati mappati 167 aree simili a quella di Tor Sapienza. Al gruppo di supporto locale hanno partecipato oltre trenta organizzazioni, a dimostrazione della ricchezza del tessuto associativo locale, che è stato poco valorizzato e sempre tenuto ai margini dalla politica locale. In questi due anni, grazie ad un’analisi approfondita delle esigenze della comunità locale fondata su una metodologia partecipata, è stata ridata voce e dignità a quel fermento sociale. Sulla base di queste analisi, infatti, sono state proposte soluzioni e costruiti alcuni progetti.

Questi ultimi fanno parte del Piano di Azione Locale Morandi-Tor Sapienza, cosi come richiesto dal programma Urbact, che è in fase avanzata d’attuazione. La sintesi delle proposte aperte, emerse da questo percorso, sono riassumibili in queste linee di azione:

AreeProgettualideiWorking Groups ProgettiIndividuati  
  RIABILITAZIONE URBANA DEL COMPLESSO MORANDI Riqualificazione dell’intero complesso:scarsa o inesistente manutenzione delle strutture fisiche. 1
Riqualificazione della spina centrale, sia per uso abitativo, sia per servizi (spazi per le associazioni). 2
Azioni di efficientamento energetico: ripartire dalla proposta ATER 2007, attualizzarla attraverso le nuove tecnologie. 3
  AZIONI DI RIGENERAZIONE PER-NELLO SPAZIO PUBBLICO Riqualificazione della Scuola Vittorini per attività sociali e culturali che abbiano un effettiva ricaduta sul complesso Morandi e sul territorio di Tor Sapienza. 4
Il riutilizzo sociale ed economico dell’attuale Mercato Rionale per attività di aggregazione dei Giovani o attività mirate all’occupazione giovanile. 5
      ECONOMIA LOCALE ED INCLUSIONE SOCIALE Promuovere una filiera produttiva locale legata al settore del riuso e del riciclo, collegata ad una filiera corta artigianale che coinvolga il lavoro informale dei raccoglitori di materiali di scarto e residui solidi urbani. 6
Creare una relazione tra le attività di Agricoltura Urbana nelle aree verdi della zona e in concessione al vicino parco della Mistica con il tessuto localedi Tor Sapienza. 7
Promuovere attività culturali e di socialità utilizzando la chiave della multiculturalità e l’integrazione, attraverso il potenziamento dei Centri Culturali Municipali Morandi eMichele Testa 8
Creazione di un Centro di promozione e sostegno all’occupazione giovanile che offre servizi   diinformazione,orientamento, formazione,consulenza   per auto imprenditorialità.Creazione di un Servizio di consulenza e accompagnamentoalle piccole imprese locali   e allo start up di impresecooperative e artigianali (nel nuovo mercato)Favorire azioni di supporto allo sviluppo dell’identità “artistica” del quartiere e dell’arte come strumento di emancipazione sociale, di trasformazione culturale e di sviluppo economico.  9
  Servizio di consulenza alla progettazione per lo sviluppo locale sostenibile, inclusivo e l’empowerment di comunità 10

Il percorso progettuale che si sta delineando insieme agli attori locali può diventare un esempio di come strutturare i percorsi di rigenerazione urbana. Infatti, il processo Urbact sperimentato nell’area Morandi-Tor Sapienza contiene degli elementi innovativi rispetto alle precedenti pratiche operate nei quartieri romani, così sintetizzabili:

  • Il partenariato. Gli stakeholders individuati hanno memoria ed esperienza su ciò che è accaduto e accade nel quartiere, nonché un’effettiva capacità di comunicare e intermediare con i cittadini.
  • La giusta scala d’azione. Individuare i progetti in base alle esigenze e capacità locali, non andare fuori target.
  • La ricerca di un’integrazione degli attori istituzionali. Saper indirizzare su aree specifiche diverse competenze e risorse.
  • L’attenzione verso la programmazione Comunitaria.
  • Un approccio multi-tematico e multi-settoriale alla rigenerazione urbana che mette al centro le persone, in relazione alla dimensione ecologica e sociale della qualità del vivere.

Il processo partecipativo attuato nel Morandi sta riscontrando un notevole apprezzamento in altri paesi: è stato presentato in seminari internazionali come un percorso di definizione della progettualità locale innovativa sia nei contenuti proposti, sia nelle modalità gestionali. Intanto a Roma si fa fatica a trovare riscontri presso le istituzioni comunali, nonostante siano state più volte sollecitate a contribuire a queste progettualità mettendo a disposizioni risorse e competenze. Per questa ragione sono stati promossi diversi incontri con i cittadini, il Municipio e gli assessorati competenti, cercando di mettere assieme  possibili risorse proposte da far confluire nel piano di azione locale.

Di sicuro, per ricucire il tessuto sociale delle periferie non occorre solo coinvolgere gli enti locali, sempre più atrofizzati dai vincoli del Patto di stabilità, ma serve prima di tutto sperimentare anche dal basso nuovi strumenti per dare le gambe a piccoli progetti con cui contribuire a “superare”, qui e ora, situazioni sempre più esplosive.

Sabato 21 febbraio alle ore 16, presso la Sala Giovanni XXIII a Tor Sapienza, si terrà un incontro di presetazione del Progetto Re-block.

link all’articolo