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Il buco nero delle periferie

In 40 anni dieci piani nazionali (fallimentari): almeno tre miliardi spesi a vuoto.
Da Catania a Milano, viaggio nelle periferie italiane
È dagli anni ’70 che si prova ad aggredire il degrado urbano, di recuperare le periferie, di strutturare modelli di rigenerazione urbana. Con ingenti risorse spese. E scarsi risultati ottenuti. Dal 1978, con il lancio dei primi piani di recupero urbano fino all’ultimo piano di lotta al degrado sociale e culturale delle periferie, il cui bando sta per uscire in «Gazzetta», abbiamo visto almeno dieci piani nazionali che avevano come obiettivo la riqualificazione urbana. Eppure le periferie continuano a esistere, anzi crescono con una velocità che supera ogni capacità di gestione, programmazione e spesa. A Milano come a Roma, a Palermo come a Padova, la decrescita economica e il flusso migratorio non fa che acutizzare un problema che quasi 40 anni di tentativi non hanno risolto.

Il primo tentativo, fatto con i piani di recupero lanciati nel 1978 (con la legge 457 sull’edilizia residenziale pubblica) di iniziativa pubblica o privata, ha subito evidenziato due limiti che si è cercato di superare nei successivi strumenti complessi: cioè la impossibilità di fare varianti al piano regolatore e la distinzione netta tra operatore pubblico e privato.

I programmi integrati di intervento – previsti dalla legge 179/2002 per «riqualificare il tessuto urbanistico, edilizio e ambientale» – rappresentano il primo vero passo avanti per l’intervento su scala urbana, perché aprono all’integrazione di diverse funzioni, residenziali e non residenziali, all’interno del progetto e anche all’integrazione di risorse pubbliche e private. Ma si infrangono nelle aule dei tribunali amministrativi per via delle frequenti impugnazioni (almeno i programmi più importanti).

E saltiamo subito ai Pru, i Piani di recupero urbano del 1993 (introdotti dal decreto legge 398). È il vero inizio della stagione dei cosiddetti programmi complessi, con la regia saldamente incardinata nel Cer, il Comitato per l’edilizia residenziale dell’allora ministero dei Lavori pubblici. Furono avviati con un grande bando nazionale predisposto nel 1994. E sancivano il “matrimonio” tra pubblico e privato, con il concorso di risorse miste da far convergere su un vasto progetto. Ma erano anche molto complicati e – soprattutto, come si è capito ben presto – richiedevano una forte mano pubblica, anche a livello territoriale e locale. Si è cercato di semplificare le procedure attraverso il ricorso alla conferenza di servizi e all’accordo di programma (strumenti nel frattempo creati nel 1990) per superare le difformità rispetto ai piani regolatori comunali.

La Finanziaria del 1997 regala i Contratti di quartiere, che hanno visto anche una seconda edizione nel 2000. Ma rappresentano un passo indietro rispetto ai piani precedenti perché un possono introdurre varianti urbanistiche e il finanziamento è vincolato solo a certe tipologie di intervento. Una novità interessante è l’apertura alle associazioni no profit sul territorio, attraverso gli enti locali, per riqualificare il territorio. I contratti di quartiere fanno subito emergere dei limiti nell’attuazione, che si manifesteranno anche nei successivi piani. Hanno coinvolto in tutto su 195 comuni per quasi 1,3 miliardi di fondi pubblici stanziati, di cui 824 statali. Ebbene, in base all’ultimo aggiornamento disponibile (maggio 2014) sono stati erogati quasi 487,3 milioni. La corte dei conti ne ha stigmatizzato la gestione «insoddisfacente, non solo perché esso è stato tardivo, ma anche perché parziale, in conseguenza di una carente trasmissione di dati al Ministero delle infrastrutture in particolare da parte di alcune Regioni». Inoltre i magistrati lamentano un «assenza di un monitoraggio concomitante con la gestione ha precluso possibili interventi correttivi, sostitutivi, di revoca o semplicemente di sollecito dell’esecuzione delle opere». Conclusione? «La conoscenza parziale dei risultati conseguiti, solo in parte motivata dal mancato completamento degli interventi, è risultata non adeguata a consentire una valutazione dell’efficacia ed efficienza della gestione».

Nuovo tentativo con i Prusst (Programmi di riqualificazione urbana e sviluppo sostenibile sul territorio), avviati nel 1998 con il decreto del ministero dei Lavori pubblici n.1169. Il target si alza perché il piano punta a realizzare infrastrutture, riqualificare ampie aree industriali, vaste aree periferiche ma anche del centro città. Nella sua filosofia, è un primo vero “piano città” di ampio respiro. Ma anche i Prusst danno lavoro ai magistrati della Corte dei Conti. Nel 2006 arriva la “pagella”: anche in questo caso, i risultati sono scarsi ed emergono limiti evidenti. «I risultati ottenuti dagli organismi proponenti non possono, quindi, ritenersi soddisfacenti, nonostante la massiccia partecipazione e il diffuso interesse all’utilizzo di questo strumento», si legge nella valutazione della Corte dei Conti. Complessivamente i Prusst prevedevano uno stanziamento di 339,5 milioni ma, dall’analisi condotta su un campione monitorato dalla Corte dei Conti (che vale 44,8 milioni) emerge uan spesa di solo il 22% rispetto al totale finanziato.
Dall’Europa, nel 1994 arrivano i piani Urban (con una seconda edizione nel 2000), dedicati ai contesti fortemente degradati nelle strutture e con grave disagio sociale. Ne hanno beneficiato molte città del Mezzogiorno, che hanno passato una selezione dei un bando europeo.

Visti in prospettiva, tutti questi piani rivelano un grosso limite: l’estrema lunghezza dei tempi attuativi. Cui corrisponde l’estrema incertezza dei finanziamenti. Un cocktail che ha un unico effetto certo: quello di far evaporare i soggetti privati interessati al finanziamento e alla gestione. A questo si aggiunge la sperimentata inadeguatezza della macchina amministrativa. Del tutto trascurata, poi, la fase del monitoraggio.

Dopo questi grandi piani c’è una parabola discendente, anche perché nel frattempo il vento cambia. Dal 2008 la crisi finanziaria comincia in Italia a far sentire i suoi effetti sull’economia reale. I valori immobiliari cominciano a scendere e così pure le risorse statali e regionali da investire sul territorio. I privati invece si concentrano – comprensibilmente – su progetti di elevato valore immobiliare, localizzati non certo nelle periferie degradate.

La “legge obiettivo delle città” che il governo Berlusconi ha annunciato nel 2004 non vedrà mai la luce. Nel giugno del 1998 nasce un piano per il social housing che resta inattuato in larga parte. Anche il successivo piano proposto dall’ex ministro Maurizio Lupi resta ancora inattuato nella sua parte più incisiva: la riqualificazione del patrimonio di edilizia residenziale per quasi 500 milioni di euro.

L’ultimo piano dedicato alle città, è quello omonimo lanciato dal governo Monti nel 2012. Grandi aspettative alimentate dal governo che ha parlato di 4,4 miliardi di risorse per riqualificare le città. Piovono una montagna di candidature (457 proposte). Ma la montagna partorisce il topolino: il tutto si riduce – dopo una incredibile dilazione di tempi (in larga parte dovuta a un inedito percorso attuativo per i progetti) – a una manciata di opere pubbliche senza alcun filo conduttore.

Oggi nuovo punto a capo. Si torna a parlare di periferie. I requisiti molto ampi dei progetti lasciano prevedere un’altra pioggia di progetti provenienti da città di ogni ordine e grado. Il tutto per conquistare una somma compresa tra 500mila euro e 2 milioni.

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Com’è bella la città

Durante il dibattito si è discusso delle nuove sfide poste dalle necessità di un’integrazione tra spazi rurali e spazi urbani, di centro e periferia, di sharing economy, di rigenerazione urbana, di bellezza come emozione sensibile legata al piacere, e di come l’architettura possa rispondere alle nuove sfide poste dalla globalizzazione e dai flussi migratori.

Il lavoro dell’architetto è quello di immaginare il futuro degli spazi, e far sì che cambino nel modo in cui si sono immaginati.E’ un lavoro affascinante, di apertura al mondo, ma nello stesso tempo selettivo perché l’architetto deve arrivare a produrre un’unica forma.Pe quanto riguarda il rapporto tra dimensione locale e globale, viene sottolineato dagli ospiti come la dimensione locale sia fondamentale. Locale e globale sono in un rapporto dialettico. A livello locale si risolvono questioni che possono risolvere problemi nazionali.

Nella città contemporanea, cosa è centro e cosa periferia? Secondo la filosofa Chris Younès, “la città storica ha dei limiti. Ha abbattuto i muri e si è sviluppata nelle campagne, per cui la separazione oggi non è più valida.” Centro e periferia sono parole dure del nostro linguaggio, non più adeguate a descrivere la realtà. Le periferie sono l’ultima forma di presenza della città verso la campagna. “Oggi la complessità della città deriva da un uso errato del termine periferia, intesa come disagio e marginalità. L’immagine che meglio descrive la periferia oggi è il caleidoscopio. Napoli, Genova, Milano, sono città con la periferia nel centro”, spiega Stefano Boeri. L’idea di rigenerazione urbana è il grande cantiere urbano contemporaneo, intendendo per rigenerazione una rinascita.Da circa dieci,quindici anni si assiste ad un mutamento nella concezione del rapporto centro-periferia. Oggi c’è l’idea che le campagne abbiano un’ esistenza radicata, forte, conservata anche nella memoria. E’ importante anche investire nei piccoli centri,che in Italia rappresentano l’80% del paesaggio.I centri rurali hanno grandi potenzialità, e sono un forte motore di sviluppo, anche turistico.Valorizzare i piccoli centri significa tutelare il paesaggio.

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Rapporto sulle città 2015

Lo stato dell’arte ragionato sulle aree metropolitane.
“La politica in Italia dovrebbe occuparsi di più delle nostre città, a cominciare dalle città metropolitane, e questo produrrebbe benefici per tutto il paese, come raccomandato peraltro dall’Unione europea e dalle agenzie internazionali. E questo nonostante che l’Italia sia un’eccezione nel panorama mondiale, non tanto perché molto urbana, l’eredità storica delle cento città, ma, al contrario, perché diversamente urbana”.

È quanto suggerisce il “Rapporto sulle città 2015” di Urban@it, il Centro nazionale di studi per le politiche urbane, costituitosi il 15 dicembre 2014 e promosso da sette università – Università di Bologna, Politecnico di Milano, Università IUAV di Venezia, Università di Firenze, Università Roma Tre, Università Federico II di Napoli, Politecnico di Bari – a cui si sono aggiunte l’Università La Sapienza di Roma e l’Università Milano Bicocca, e da altri tre soggetti (ANCI, Società Italiana degli Urbanisti e Laboratorio Urbano).

Quest’anno, a seguito dei lavori promossi da gruppi che riuniscono ricercatori, studiosi e decision makers, il Rapporto presenta uno stato dell’arte ragionato sull’Agenda urbana, e in particolare, sulle aree metropolitane. I capitoli del rapporto riguardano infatti: a) le conoscenze disponibili; b) le innovazioni istituzionali; c) le risorse e gli strumenti; d) i modelli e gli esempi che ci vengono dall’estero.

QUALE AGENDA. Il Rapporto sottolinea la necessità di coordinamento delle diverse politiche settoriali e dei diversi attori pubblici e privati che investono sulle medesime aree e territori; la mancanza di una regia nazionale e la sostanziale inattività del Cipu (Comitato interministeriale per le politiche urbane); i rischi ai quali queste incertezze espongono iniziative recenti come la riforma metropolitana e il Programma operativo nazionale per le città metropolitane del ciclo di programmazione dei fondi strutturali 2014-2020 (Pon metro).

LE CONOSCENZE. Sul fronte delle conoscenze, il documento evidenzia i contributi che il sistema della ricerca universitaria ha dato più volte alla conoscenza delle problematiche urbane; i recenti e importanti approfondimenti sulla forma dell’urbanizzazione, la diffusione dell’immigrazione e le priorità del riciclo; i gravi problemi ancora da affrontare soprattutto in relazione a traffico, trasporti, alloggi, energia e coesione sociale.

INNOVAZIONI. Dal Rapporto emerge l’eterogeneità delle situazioni createsi con la coincidenza di provincia e città metropolitana, con gli estremi di Firenze e Torino, nonché l’interesse per la sperimentazione del Piano strategico metropolitano.

Nell’attuale delicato momento di attuazione della riforma delle città metropolitane, le soluzioni individuate presentano un carattere ancora interlocutorio.

La redazione e adozione degli statuti metropolitani è in anticipo rispetto alla definizione delle leggi regionali di riordino istituzionale.

STRUMENTI E RISORSE. Prive da sempre di un indirizzo coerente, le politiche urbane in Italia vivono una fase incerta. Il Pon metro prende le mosse sia dall’identificazione della centralità delle città nella definizione di processi di uscita dalla crisi economica e sociale, sia dal riconoscimento della profonda diversità di condizioni di partenza dei contesti metropolitani italiani.

Il documento, oltre a descrivere l’attuale delicato momento di attuazione della riforma delle città metropolitane, e i gravi problemi di traffico, trasporti, alloggio, energia e coesione sociale da affrontare, evidenzia l’opportunità di inserire i programmi italiani nel processo aperto dalle istituzioni internazionali.

MODELLI ED ESEMPI. Infine, il Rapporto illustra la varietà dei paesi del mondo che hanno adottato e stanno realizzando politiche urbane; il ruolo svolto da organismi internazionali e sovranazionali nel diffondere modelli e far circolare esempi e conoscenze; il ruolo crescente dei paesi di recente urbanizzazione anche nella elaborazione di nuovi interventi; il carattere innovativo e sperimentale di molte esperienze anche se di minor peso o geograficamente marginali.

Rapporto_sulle_citta_2015

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“Ottobrata Solidale” a Roma con le ACLI

Quattro eventi dedicati alle “periferie esistenziali”

in cammino verso in Giubileo della Misericordia

Il Sistema ACLI di Roma si mette in cammino verso il Giubileo della Misericordia, coinvolgendo famiglie, giovani, anziani e tutte le fasce più fragili della comunità per renderli protagonisti di un mese speciale: la “Ottobrata Solidale”.

A scaldare il mese più atteso dai romani, per il suo accogliente tepore e la sua magnifica luce, saranno quattro eventi dedicati alle “periferie esistenziali” alle quali ci richiama Papa Francesco, e per le quali ci impegnamo quotidianamente per contribuire a garantire a sempre più persone la piena esigibilità dei propri diritti, il protagonismo sociale, l’impegno civico e la solidarietà.

E’ importante accendere i riflettori su quegli anticorpi in grado di vaccinare la nostra comunità da derive egoistiche di personalismi e indifferenza per rendere concreta la solidarietà che nasce dal basso. Il Giubileo straordinario è, infatti, una grande occasione per avviare un Cantiere della Speranza dal taglio fortemente culturale, educativo e sociale per una rinascita morale ed etica della città incentrata su: sussidiarietà, solidarietà, partecipazione, responsabilità e legalità, oggi più che mai.

Il vero scatto in avanti per una società che non lascia indietro nessuno è possibile solo continuando a lavorare per il rafforzamento di una rete sociale snodo fondamentale di una sussidiarietà verticale e orizzontale pienamente agita.

La “Ottobrata Solidale” sarà soltanto l’inizio: durante il percorso Giubilare avvieremo anche numerosi nuovi servizi permanenti a partire da uno sportello per l’esigibilità dei diritti presso la parrocchia di San Gelasio (zona Rebibbia) e un Corner Job sul lavoro dedicato a giovani presso il centro giovanile GP2 (San Carlo al Corso).

Un percorso all’insegna della bellezza della concretezza, un impegno ordinario che diventa straordinario nella misura in cui lo condivideremo insieme.

GLI APPUNTAMENTI IN PROGRAMMA

1° Evento: Sport e Disabilità

Sabato 10 Ottobre 2015 – Parco Tutti Insieme – Via Tenuta della Mistica SNC dalle ore 10.30 alle 18.00

Festa aperta a tutti i bambini promossa dall’US ACLI di Roma in collaborazione con la Nazionale Italiana Cantanti e U.N.I.T.A.L.S.I che porterà in scena i personaggi delle fiabe più amate grazie al Progetto Bambini. Durante l’evento sarà offerta la merenda solidale grazie a “il pane A Chi Serve” e sarà possibile partecipare all’esibizione di Shuttlecock e giocare a Calcio Balilla insieme a Francesco Bonanno, Presidente Federazione Paralimpica Italiana Calcio Balilla e pluri campione del mondo.

2° Evento: Inclusione sociale e Terza età

Martedì 20 Ottobre 2015 – Centro Anziani Sabotino – Via Sabotino, 7 ore 16.30

Presentazione Vademecum Antitruffa realizzato nell’ambito dell’iniziativa promossa dalla FAP e dalle ACLI di Roma con il prezioso contributo e collaborazione della Polizia di Stato. Il percorso si articola in maniera itinerante nel territorio ed è composto da 3 appuntamenti sui temi della tutela e della prevenzione dalle truffe tenuti da personale specializzato della FAP, da referenti dei commissariati di zona e alla presenza di una psicoterapeuta che cura l’aspetto legato all’ascolto e al sostegno post trauma.

3° Evento: Recupero e Povertà

Sabato 24 Ottobre 2015 – La Pelanda – Piazza Orazio Giustiniani, 4 ore 16.00

Uno spettacolo tra arte, immagini, musica e parole per presentare e rilanciare il progetto “il pane A Chi Serve” alla presenza di artisti e volti noti. Un evento per mettere in scena la bellezza della concretezza di un’iniziativa che “aiuta chi aiuta” recuperando e distribuendo il pane a 1600 bisognosi al giorno attraverso le principali associazioni di categoria. Durante la serata sarà consegnata la Mollica Solidale, un riconoscimento per quanti con ineguagliabile impegno si sono messi in gioco per la straordinaria riuscita del progetto.

4°Evento: Giovani ed occupazione

Giovedì 29 Ottobre 2015 – Parrocchia Santa Maria Madre del Redentore – Viale Duilio, 18 ore 18.00

Presentazione e avvio nelle parrocchie, a partire dalle periferie della Capitale, del progetto “Job to go, il lavoro svolta!” promosso dalle ACLI di Roma e dalla Cisl di Roma e Rieti, un itinerario di educazione, in-formazione e orientamento al lavoro, per i giovani e con i giovani già sperimentato con successo in alcune scuole di Roma. All’evento presenzierà S.Em R.ma il Sig. Card. Agostino Vallini.




Trullo, sgomberato insediamento abusivo

 

Ringrazio davvero la Polizia di Roma Capitale e la Polizia di Stato per essere intervenute questa mattina in un terreno in via Alberese, nel quartiere Trullo vicino a via Isacco Newton, dove nel tempo erano sorte baracche abusive nelle quali erano ospitate una trentina di persone. – Lo dichiara Emanuela Mino, Presidente del Consiglio del Municipio Roma XI.

Una situazione segnalata da tempo dai cittadini e che in breve tempo potrà vedere una soluzione. L’area è infatti di proprietà privata e l’intervento è stato disposto dalla Prefettura proprio su segnalazione dei primi: all’intervento di oggi, servito a rendere le strutture inservibili, seguirà nei prossimi giorni la bonifica dell’area a cura del privato.

 




Volkswagen, una parabola dell’Europa?

Wolfsburg, settembre 25-28/2015.

Si sono io lo scienziato tedesco che solo per caso, studiando e testando di versi modelli di auto in nome del rigore scientifico e del diritto dell’opinione pubblica mondiale all’informazione, ho scoperto il caso dei trucchi montati coi software su alcuni modelli Volkswagen”.

E’ Peter Mock che parla, “Il ragazzo prodigio tipico figlio della nuova Berlino unita[1]”.

Sbaglia e anche di molto, il “banchiere” (Jens Weidmann, presidente della Bundesbank): “questo scandalo ha compromesso il made in Germany, ed è importante che si chiarisca rapidamente”.

No, è ben di più. A ricordaglielo è proprio il suo conterraneo, nuovo capo della Volkswagen, Matthias Mueller: “solo con umiltà e trasparenza torneremo forti”. Umiltà, Herr Weidmann!

Il cittadino normale del ventottesimo paese membro dell’Unione si sta chiedendo: con quale autorevolezza, civile e morale e, persino, professionale ora ai tavoli dei permanenti negoziati dell’Unione e nell’Unione, la Germania, paese membro e leader di Europa siederà; e chiederà – come è giusto che avvenga, e vale per ciascuno dei 28 verso gli altri membri – coerenza, trasparenza, convergenza? Impegno e sacrifici.

“Lo scandalo è destinato ad avere ripercussioni gravissime per l’azienda della Germania. Tuttavia non va considerato solo un brutto affare tedesco. Il caso presenta alcuni aspetti trascurati che ci riguardano direttamente e dovrebbero suscitare e interrogativi e incrinare certezze”[2].

Una parabola dell’Europa? Certamente una parabola per l’Europa.

Nella Volkswagen lo Stato (la Bassa Sassonia) è azionista con il 20 per cento e con una golden share che gli concede di influire sul controllo. In Germania vige, dai tempi della sua uscita dalla tragica era del nazismo e dalla guerra, un sistema di relazioni industriali (Mitbestimmung[3]) interessante e spesso invidiato, che porta i lavoratori e il sindacato a forme di co-gestione/co-determinazione di molti processi e fatti aziendali.

Siccome non stiamo di fronte ad un “errore”, ma ad un sistema tecnologico e di politica (competizione e concorrenza) industriale, tutti i soggetti sono in campo e tutti sono chiamati a rispondere: la proprietà (privata e pubblica), l’impresa/management, il sindacato.

Solo pochi anni fa il gruppo Volkswagen, ad esempio, era stato al centro di una spericolata scalata lanciata dalla Porsche.

Facciamo anche qualche passo indietro. Dentro il governo ( e la governance) della Unione: la Commissione, 13 gennaio 2003.

Il Commissario all’industria Gunter Verheugen convoca il Gruppo di alto livello “Cars 21”. “Al suo fianco, l’amministratore delegato di Volkswagen Bernd Pischetsrieder (all’epoca anche presidente dell’associazione europea). In quel comitato sedevano anche sindacalisti, politici e altri industriali, anche Sergio Marchionne. Ma lo schieramento tedesco era il più compatto. La direttiva chiave sulle emissioni di anidride carbonica e di ossido d’ azoto del 2007 matura in questo contesto”. La trattativa procederà tra i frenanti e i disponibili a norme esigenti. “Alla fine le soglie furono fissate, ma i controlli reali furono affidate alle autorità nazionali. Una scelta su cui pesò, di nuovo, la pressione delle case tedesche”[4] . Di recente, abbiamo assistito allo stesso schema politico, sulla Unione bancaria.

Non è una questione di supremazie o egoismi: è la questione delle Politiche europee, in questo caso quella industriale. E’ la questione del deficit di integrazione europea; che non si fa solo sul fronte dei bilanci e della moneta. E’ il modello di integrazione europea che siamo riusciti a costruire a mostrare tutte le sue deficienze.

Torniamo a Peter Mock. Lavora alla Icct (International council on clean transportation), Ong ecologista. Competente ed autorevole. “All’inizio, racconta a Manager Magazin, ci eravamo posti l’obiettivo di provare che le auto tedesche nelle versioni offerte alla clientela americana sono più pulite rispetto Agli stessi modelli nelle varianti vendute per il mercato europeo, perché le norme americane sono più severe”.

E così, oltre che confermare che la severità (anche nei controlli) degli americani è più alta e affidabile, abbiamo scoperto la frode. La frode verso milioni di consumatori. Ed ecco un altro – strategico fronte – della questione Volkswagen: il rapporto, impari e sempre perdente, tra consumatore e grandi aziende. Un altro campo dove soltanto con più Europa e più integrata sarà possibile agire in un mercato sovranazionale controllabile e controllato. E’ la grande questione del capitalismo e le regole.

E torniamo alla Germania, ascoltando uno scrittore tedesco, ottimo conoscitore del suo popolo e della sua anima. “L’anima tedesca è in crisi, perché scopre all’improvviso che un simbolo decennale del suo successo di Paese risorto nel dopoguerra dalle macerie, democrazia solida e aperta al mondo è fondata sull’inganno. L’anima tedesca è in crisi, perché questo inganno fa a pezzi l’immagine di credibilità che a fatica il Paese si era ricostruito.”[5]

Sia chiaro, di questa credibilità l’Europa ha bisogno. Non riusciremo mai a costruire più Europa rallegrandoci o speculando sugli incidenti o anche sulle pecche degli altri; ma neppure chiudendo gli occhi o sospendendo il pensiero. L’Unione è fatta di eguali: tutti ai nastri di partenza, permanentemente. Volkswagen, una parabola per Europa.

L’autore ha recentemente pubblicato: EUROPA, ragazzi e ragazze riscriviamo il sogno europeo – Marotta&Cafiero, Napoli, 2014

 [1] Andrea Tarquini, intervista a la Repubblica, 25 settembre 2015.

[2] Alessandro Penati, “Stato azionista, regole e finanza spericolata, flop del modello Europa”, la Repubblica 27 settembre 2015

[3] La Mitbestimmung, spesso è tradotta co-gestione; ma co-determinazione è più corretta. Non implica, infatti, che i lavoratori/il sindacato attuino una vera e propria cogestione dell’impresa, ma che l’azienda debba avere il loro consenso in determinati momenti. In pratica questo avviene attraverso “i consigli di impresa” (Betnebsrat) e la presenza di una rappresentanza dei lavoratori nelle istanze dirigenziali delle società/imprese/aziende.

[4] Giuseppe Sarcina, “la lobby tedesca e la conquista di Bruxelles”, in Corriere della sera 25 settembre 2015.

[5] Peter Schneider, “Noi tedeschi in crisi di identità”, in la Repubblica 26 settembre 2015.




L’Alveare della Città delle mamme

Da un anno a Roma c’è un alveare davvero speciale: si tratta di un coworking con spazio baby, promosso dell’associazione Città delle mamme. In questi dodici mesi l’Alveare ha ospitato oltre venticinque coworkers che in base alle personali esigenze, usufruiscono dei servizi di coworking e spazio baby. Le attività svolte dalle persone che lavorano all’Alveare sono le più svariate: dalla psicologa al blogger informatico, dall’amministratrice di condominio all’organizzatore di viaggi, dalla consulente aziendale all’architetta, dalla giornalista all’illustratrice.
Rispondendo alle esigenze della community dell’Alveare sono stati avviati servizi salva tempo come la spesa a domicilio tramite il Gruppo di acquisto solidale. In questi primi mesi di attività questo spazio ha reso un servizio al territorio, non solo contribuendo a riqualificare una zona del quartiere Centocelle in abbandono (i locali sono stati concessi in convenzione dal Comune attraverso l’Assessorato alle politiche per le periferie, lo sviluppo locale, il lavoro), aprendo gli spazi per feste e appuntamenti ludici, e ospitando i seminari e le riunioni di associazioni di volontariato attive nel quartiere.
Qui sono stati organizzati o ospitati, tra gli altri, corsi di autopromozione sul web, seminari sui finanziamenti pubblici, corsi su come aprire e gestire un blog, servizi di orientamento al lavoro. Presso l’Alveare, inoltre, si svolgono due progetti completamente gratuiti finanziati dalla Regione Lazio, (grazie alla vittoria dei bandi Fraternamente e Innovazione sostantivo femminile) che rispecchiano i due filoni di interesse principali del coworking, la genitorialità con “Un abbraccio per mamme e papà”, progetto di accompagmamento alla maternità e alla paternità, e il lavoro, con “Empower woman together”, progetto di innovazione sociale destinato a donne che hanno perso il lavoro a causa della maternità o della crisi.
Da prima della sua apertura l’Alveare ha anche collaborato con gli altri coworking romani nell’elaborazione delle linee guida sui bandi della Regione Lazio in materia di coworking, e ha sviluppato relazioni solide con altri coworking nazionali. Ha collaborato con varie università e centri di ricerca per indagini e studi su economia collaborativa, nuove forme di lavori e welfare. È infine partner del Dipartimento di Scienze dell’Educazione, Cattedra di Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni dell’Università degli studi Roma Tre per la ricerca Coworking e imprendotirialità, della professoressa Valeria Caggiano.
Un noto proverbio africano recita “per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio”, ed è proprio ciò che offre lo spazio dedicato alle bambine e ai bambini de L’Alveare: uno spazio di comunità e condivisione, dove i genitori trovano un sostegno professionale nella gestione quotidiana di figlie e figli. Qui bambine e bambini socializzano con i pari, sperimentano attività e laboratori stimolanti, sviluppano relazioni significative, non allontanandosi necessariamente per tante ore dal genitore; si promuove un concetto di educazione condivisa e non delegante, che tiene conto delle esigenze di mamma e papà, ma soprattutto dei bisogni del bambino.
Lo spazio baby può ospitare bambine e bambini dai quattro a trentasei mesi. Il servizio favorisce la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, per sostenere le donne e uomini nel rientro o nella permanenza nel mondo lavorativo. I vantaggi di tale organizzazione? Flessibilità, con pacchetti personalizzati in base alle esigenze della famiglia; costi contenuti; la possibilità di proseguire l’allattamento materno; il piccolo gruppo educativo (di massimo dodici bambini presenti contemporaneamente), che favorisce lo sviluppo delle abilità linguistiche e sociali; attività didattiche in base alla fascia d’età; la possibilità di frequentare corsi, incontri di gruppo e consulenze individuali professionali su temi inerenti alla genitorialità e all’infanzia.
Il progetto pedagogico è incentrato principalmente sull’accoglienza, sul rispetto dei tempi di crescita e dei bisogni di ciascun bambino. Lo spazio baby dispone infatti di un ampia area esterna, dove giocare e fare attività di giardinaggio e orticoltura, e di servizi igienici adeguati all’età. Le educatrici sono professioniste laureate in ambito psico-socio-educativo e con esperienza pluriennale (il servizio rispetta i parametri di sicurezza dei nidi comunali, con un rapporto educatrice bambini di uno a sei.
Insomma, le “api” si sono autorganizzate tra mutuo aiuto e attenzioni ai più piccoli: ora l’Alveare (info@lalveare.it) compie un anno.

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La nuova era dell’accumulo domestico di elettricità

Chimiche avanzate a base di ioni di litio promettono una operatività più efficiente e una vita utile più lunga.

Spinto dalla crescente diffusione di impianti fotovoltaici residenziali, il mercato degli accumulatori domestici di elettricità – che fino all’inizio di quest’anno, quando Tesla ha annunciato la sua batteria Powerall, non attirava particolare interesse – sta crescendo notevolmente.

In occasione dell’evento Solar Power International, tenutosi ad Anaheim, una società di nome SimpliPhi Power ha presentato un sistema di batterie da destinare ad abitazioni e piccole imprese che offre una vita utile maggiore rispetto ad altre batterie agli ioni di litio e non richiede costosti sistemi di ventilazione e raffreddamento.

La società entra in gioco a poche settimane dall’introduzione di un altro impianto plug-and-play della Orison che, a differenza delle opzioni presentate da SimpliPhi e Powerall, non richiede elaborate installazioni o permessi per un allestimento domestico o nelle piccole imprese.

Orison ha avviato una campagna Kickstarter e si aspetta di avviare la vendita a partire dal 2016
Orison non ha ancora avviato le vendite: ha avviato una campagna Kickstarter per raccogliere preordini e si aspetta di avviare la vendita a partire dall’anno prossimo. Le sue innovazioni sono incentrate attorno ai sistemi di controllo e comunicazione delle batterie: è sufficiente connettere il sistema ad una presa a muro per permettere alle batterie di trasferire la corrente secondo lungo un flusso bidirezionale e caricarsi o trasferire corrente nel sistema domestico.

La crescente popolarità dei pannelli solari per abitazioni sta accrescendo l’interesse per batterie in grado di accumulare l’elettricità ricavata. In futuro, i residenti potrebbero beneficiare di sistemi del genere ed assumere un maggiore controllo sulle modalità e le tempistiche di ottenimento dell’energia, aiutando gli operatori a gestire la domanda durante il giorno e alleggerire il carico sui loro sistemi.

Per il momento, nonostante l’appariscente ingresso di Tesla nel mercato, batterie simili continuano a essere troppo care e ingombranti per la maggior parte dei clienti. SolarCity, il più grande fornitore solare negli Stati Uniti, ha cominciato a offrire un sistema combinato per la produzione e l’accumulo di energia elettrica con il Powerwall a partire dall’estate, ma il sistema è disponibile solamente per le abitazioni di nuova costruzione.

Prima ancora, la rivale SunEdison ha acquisito la Solar Grid Storage, una società specializzata nell’integrazione fra pannelli solari e sistemi di accumulo – anche se non è ancora certo cosa questa manovra comporterà per il mercato domestico.
Il traguardo finale, per alcuni utenti, sarà l’interruzione totale del collegamento alla rete elettrica
Il traguardo finale, per alcuni utenti, sarà l’interruzione totale del collegamento alla rete elettrica grazie a un numero sufficiente di pannelli solari e batterie per lo stoccaggio. Per la maggior parte delle persone, però, questo non accadrà troppo presto. “Il nostro mercato guarda alle persone che sono ancora legate alla rete, ma con una produzione ed un accumulo distribuiti è la rete a diventare la fonte di backup”, spiega la CEO di SimpliPhi Catherine Von Burg.

I prodotti della Orison utilizzeranno batterie a litio e manganese-cobalto provenienti da un fornitore che il CEO Eric Clifton non ha voluto divulgare. SimpliPhi, d’altro canto, sta utilizzando una chimica relativamente nuova e conosciuta come litio ferro fosfato. L’assenza di cobalto nel catodo rende queste batterie meno soggette alla scarsità di materiali (il cobalto è un materiale scarso e costoso) ed al surriscaldamento – un problema comune alle batterie agli ioni di litio, che hanno dimostrato una allarmante tendenza all’instabilità termica (un surriscaldamento incontrollato che può distruggere la batteria) o all’incendio.

Le batterie in litio ferro fosfato vengono utilizzate in un certo numero di applicazioni – la BAE Systems, ad esempio, produce autobus ibridi che ricorrono a questa tecnologia – ma non sono ancora stati ampiamente applicate nei sistemi di accumulo stazionari. Nei primi anni 2000, Stuart Lennox, CTO e fondatore di SimpliPhi, ha ottenuto la licenza per la tecnologia da parte del pioniere delle batterie John Goodenough.

Lo svantaggio con le batterie in litio ferro fosfato sta nella loro inferiore capacità volumetrica rispetto ad altre batterie a ioni di litio – intorno al 50 percento in meno rispetto al litio ossido di cobalto, stando allo scienziato Stanley Whittingham, direttore dell’Institute for Materials Research dell’Università di Binghamton. “Se disponete di un garage in cui riporle, allora si può fare”, dice. “Occuperà tutto lo spazio disponibile”.

I sistemi della Orison saranno disponibili a partire da $1.600 per due kilowatt-ora di energia (una comune abitazione americana consuma intorno a 30 kilowatt-ora di elettricità al giorno). Il Powerall parte invece da $3.000 per sette kilowatt-ora, abbastanza da tenere le luci accese per diverse ore, ma non da alimentare una intera abitazione per un giorno. SimpliPhi non ha ancora rilasciato i prezzi per i suoi sistemi. Per il momento resta ancora da scoprire se privati e piccole imprese saranno interessate a investire in questi sistemi di accumulo.

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Le nuove frontiere della cooperazione, dal Worker buyout ai beni confiscati

Rapporto Euricse. Sono 252 le imprese recuperate dai lavoratori costituiti in cooperative; poi ci sono quelle nate per gestire beni a favore di intere comunità di cittadini e 123 cooperative sociali impegnate nella gestione di beni confiscati alla criminalità organizzata.
L’azienda chiude? La prendono i lavoratori. I beni comuni vengono svenduti? Li tutela la comunità. I beni vengono confiscati alla criminalità organizzata? Li gestiscono soggetti sociali. Sono le nuove sfide della cooperazione, che negli ultimi anni non solo sono cresciute in numero e portata, ma che hanno anche subìto una forte spinta innovativa. A renderne conto è l’Euricse, l’Istituto europeo di ricerca sull’impresa cooperativa e sociale, che ha pubblicato il terzo rapporto “Economia cooperativa. Rilevanza, evoluzione e nuove frontiere della cooperazione italiana”.
In Italia nel complesso sono 67.062 le cooperative attive, che hanno generato un valore di produzione di 90,7 miliardi di euro e che hanno dato lavoro a oltre un milione di persone. In 10 anni – dal 2001 al 2011, quindi anche in piena crisi – sono aumentate del 15%. Tra queste, le cooperative sociali sono 11.264, con una crescita dell’88,5 per cento in 10 anni. Ma la vera portata innovativa sta tutta qui, nelle nuove forme cooperative che negli ultimi anni hanno preso sempre più piede in Italia. “Nuovi tipi di cooperative caratterizzate da un orientamento sociale più marcato di quelle tradizionali, orientate cioè a perseguire interessi di carattere generale, più che a risolvere un problema economico di un particolare gruppo sociale” evidenzia Euricse. E questo avviene in almeno tre ambiti: le cooperative costituite tra lavoratori per scongiurare la fine di un’azienda, quelle nate per gestire beni a favore di intere comunità di cittadini e quelle impegnate nella gestione di beni confiscati alla criminalità organizzata.
Le cooperative tra dipendenti, worker buyout. In Italia, le prime esperienze risalgono agli anni ’80, in una fase critica per l’economia. Con la ripresa degli anni ’90 il fenomeno sembrava ridimensionato, finchè non è scoppiata la crisi. Nel complesso, le imprese recuperate dai lavoratori costituiti in cooperative sono state 252: il settore di attività prevalente è quello manifatturiero (con più del 60% dei casi). Si tratta di imprese di piccola o media dimensione, ma altamente specializzate. Delle cooperative nate a cavallo degli anni ’80 e ’90, il 36% è ancora attivo. “Dati questi che vanno valutati tenendo conto che si trattava in tutti i casi di salvare imprese in gravi difficoltà al momento della loro conversione – sottolinea Eurisce -. Questi risultati suggeriscono che, quando adottata, questa forma cooperativa è effettivamente in grado di superare situazioni di crisi e di stabilizzare e sviluppare l’attività produttiva a beneficio non solo dei soci lavoratori, ma anche del contesto socio-economico di riferimento”.
La cooperativa di comunità. Questaseconda forma di cooperativa – di cui nel rapporto Euricse non fornisce dati – è finalizzata a gestire beni o a realizzare servizi a favore dei cittadini di una determinata comunità. Ha iniziato a diffondersi negli ultimi anni ma alcune regioni hanno già approvato leggi per il loro riconoscimento e sostegno. Soprattutto perché “si è iniziato a collegare queste cooperative con la tematica dei beni comuni – anch’essa divenuta di attualità soprattutto dopo il referendum sulla privatizzazione dell’acqua – di cui potrebbero diventare un soggetto gestore” si precisa nel rapporto.
Le cooperative che gestiscono beni confiscati alla criminalità organizzata. Sono oltre 11 mila gli immobili – per un valore di 362 milioni di euro – e 1.700 le imprese confiscate. L’81% dei beni si trova nelle quattro regioni del Sud. Sono 448 le organizzazioni che hanno in gestione questi beni e 123 sono cooperative sociali. Di queste, il 66% opera nelle regioni meridionali. Di 75 è stato possibile ricostruire i dati economico-patrimoniali e di 85 quelli occupazionali. Il valore della produzione ne 2013 era di 130 milioni – contro i 118 del 2011 – e il capitale investito ammontava a 118 milioni. Sempre nel 2013, occupavano 4.281 lavoratori di cui il 2% con difficoltà gravi di accesso al lavoro, con una netta prevalenza di contratti a tempo indeterminato.

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Occupato canile Muratella: no alle #privatizzazioni

ANIMALI A ROMA. OCCUPATI MURATELLA E CINODROMO
CONTRO GLI IMPRENDITORI DEL RANDAGISMO
DENTRO I CANILI COMUNALI DI ROMA


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La protesta contro la gara indetta dal Comune di Roma al massimo ribasso e senza tutela per gli animali e per i lavoratori coinvolti

ROMA, 30 settembre 2015 – Il canile comunale Muratella occupata da domenica 27 settembre. Il rifugio comunale Ponte Marconi ex Cinodromo occupato da oggi. Questa la risposta di volontari ed operatori alla decisione del Comune di Roma di andare all’aggiudicazione dei canili comunali ai vincitori del bando di “Ferragosto” per la gestione dei canili comunali di Roma.

Dopo 20 anni di gestione animalista e no profit, vincitore è risultata una impresa barese, proprietaria di un mega canile da 1200 posti a Bari assai fatiscente (come le immagini diffuse da La Repubblica domenica 27 settembre hanno documentato) e gestore di stabulari per animali da laboratorio per l’Università di Bari. Oltre che multiservizi con servizi di pulizie, smaltimento tutti i tipi di rifiuti anche speciali,  manutenzione del verde e servizi di disinfestazione e derattizzazione.

Volontari ed operatori dei canili comunali protestano per la decisione del Comune di Roma di assegnare i canili comunali, per la prima volta in 20 anni, a soggetti profit che fanno del randagismo motivo di business. Richiedono garanzie sul benessere degli animali, sul rispetto delle norme per la sicurezza, sui curricula del personale che dovrà occuparsi degli animali.

Massima solidarietà alla lotta animalista non solo da parte delle associazioni nazionali come LAV, ENPA, Animalisti Italiani, Comitato U.G.D.A. ma anche da parte del mondo dello spettacolo con artisti, attori, cantanti come  Agnese Nano, Christiane Filangeri, Claudia Zanella, Claudio Corinaldesi, Daniela Poggi, Elena Santarelli, Fabio Troiano, Filippo Timi, Francesca Inaudi, Giulia Bevilacqua, Jasmine Trinca, Libero De Rienzo, Lillo Petrolo, Lorenza Indovina, Lorenzo Lavia, Luca Argentero, Lucia Ocone, Ludovico Fremont, Maria Rosaria Omaggio, Maya Sansa, Michele Riondino, Sonia Bergamasco, Susanna Tamaro, Valentina Lodovini, Vinicio Marchioni, Remo Girone e molti altri che da giorni stanno facendo girare le loro foto sui social network con messaggi di solidarietà ad animali, volontari ed operatori dei canili comunali di Roma.

Per info: 331 6005643