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Questo spot di Carlo Verdone e Franco Carraro dimostra che Roma non è cambiata negli ultimi 20 anni

“Ricucire le periferie”, “rilanciare le periferie”, “le periferie luoghi da cui ripartire”. Tutti i candidati a sindaco di Roma hanno usato questi slogan durante i loro tour per la città. Da Giachetti a Marchini, da Meloni a Fassina fino a Raggi, il ruolo delle periferie in campagna elettorale è dominante. Perché i quartieri dimenticati, habitat dei cittadini che vivono ai margini della Capitale, restano comunque un invitante bacino di voti se si è capaci di incanalare il malcontento a forza di promesse di rinascita e riqualificazione.

Per questo fa un certo effetto rivedere uno spot del 1989 dell’allora candidato sindaco di Roma Franco Carraro in quota Partito socialista. Lui e Carlo Verdone passeggiano nel quartiere romano di Vigne Nuove dove, dieci anni prima, il regista ha girato alcune scene del suo primo film “Un sacco bello”. Verdone fa notare a Carraro come persista il degrado del quartiere e chiede cosa si potrebbe fare per riqualificare zone come quelle. Carraro spiega il problema delle periferie e le possibili misure: “Penso che questo sia uno dei grandi nodi della città, con periferie che in realtà sono lager. Eppure gli spazi ci sono, non ci vorrebbe molto a creare una piazza, luoghi di ritrovo, impianti sportivi. Queste zone potrebbero essere sistemate. In questo modo la gente vivrebbe meglio qui e intaserebbe meno il centro”.

Parole che oggi ci suonano come familiari dato che, se si butta un occhio allo stato in cui versano le periferie romane, di miglioramenti se ne sono visti ben pochi. Carraro, allora ministro del Turismo nel Governo De Mita, venne scelto sindaco dopo il “patto del camper” stretto tra i leader del Psi e della Dc, Bettino Craxi e Arnaldo Forlani. La sua amministrazione fu sconvolta da arresti eclatanti tra i membri della giunta. La sua esperienza terminò con le dimissioni dei consiglieri di opposizione e la nomina di un commissario. La storia che si ripete.

Al termine dello spot Carraro e Verdone si salutano sperando che fra ulteriori dieci anni la situazione sarà migliorata. A distanza di quasi trent’anni il loro auspicio non sembra essersi realizzato.

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Il sociologo: «Periferie abbandonate producono egoismi»

«Una vicenda inaudita, che mi indigna. Ma purtroppo non mi meraviglia». Fabrizio Battistelli, docente di Sociologia alla Sapienza, le periferie romane le ha studiate a lungo. E dunque non si sorprende per il disinteresse complice degli automobilisti che, alla Magliana, hanno ignorato la disperata richiesta di aiuto di Sara Pietrantonio, uccisa col fuoco dall’ex.

Professor Battistelli, perché non si meraviglia?
Non posso non pensare all’imbarbarimento delle nostre città. Una serie di fattori, il primo dei quali l’estensione stessa delle metropoli come Roma, sta facendo perdere la dimensione della convivenza tra le persone. Un’involuzione che si è già verificata nelle città non europee, ma ormai è un modello globale: la città come luogo di estraneità. Luoghi in cui viene meno la reciprocità, che ancora nei centri medi e piccoli fa ritenere a ciascuno di noi di poter avere già incontrato l’altro o di poterlo incontrare. Sto parlando della base dello scambio della socialità: condividere assieme una situazione comune.

Intende dire: succede a questa ragazza, ma potrebbe succedere anche a me, a mia moglie, a mia figlia?
Esatto. Una reazione primordiale dell’individuo, che è oggi spesso è totalmente soffocata, una luce che è in ognuno di noi, ma che ormai tende a spegnersi per colpa dell’isolamento, dell’alienazione e della paura. Era evidente che di trattava di un’assoluta emergenza: una persona fragile che chiede aiuto alle 3 di notte. Le reazioni di chi assiste a un episodio del genere possono essere diverse. C’è quella altruistica: è di chi decide di intervenire, anche mettendo in conto una percentuale di pericolo, per un beneficio grande per l’altro. Oppure c’è la reazione normale di chi prende il telefono e fa il 113.

Qui non si è verificata nemmeno quest’ultima.
Per una mancanza tipica di questo tempo – e di questo spazio, l’Italia – di cultura delle istituzioni, preposte alla sicurezza di tutti e di ciascuno. Consapevolezza che, devo dire, esiste più in altre società, quelle che nutrono più fiducia nelle istituzioni, che hanno più senso civico.

Siamo tutti costantemente connessi, sempre col cellulare in mano, ma nessuno ha pensato di chiamare la Polizia. Gli automobilisti, individuati, hanno detto che non avevano capito.
Non c’era possibilità di fraintendere. Non si trattava di una rissa tra extracomunitari o di un regolamento di conti. Nemmeno lo sforzo di fare una segnalazione anonima alle forze dell’ordine…

Come si è potuto arrivare a una tale chiusura a riccio?
Le città storicamente sono nate perché le persone hanno deciso di vivere assieme, proprio per difendersi dai pericoli esterni. Oggi però il deserto, che una volta veniva chiuso fuori dalle mura, si è trasferito dentro. È un processo di tutte le grandi città. Colpa di uno scarso capitale sociale, di una insufficiente fiducia reciproca che caratterizza un Paese come l’Italia. Anche la moltiplicazione delle differenze non ha aiutato l’omogeneità di condominio e di quartiere che esisteva fino a 30 anni.

Gestire le differenze è un’operazione complessa: scontiamo l’assenza di politiche di integrazione?
È proprio così. A tutto questo dobbiamo aggiungere amministrazioni che negli anni sono state sempre più lontane, sempre più inefficienti e ciniche… La Chiesa, presente fin dall’inizio nelle borgate e nei quartieri poveri, già nel 1974 aveva fatto la sua diagnosi sui «mali di Roma». Precoce ma lucida. Troppi sindaci invece hanno ignorato il tema della coesione sociale. E questa è una responsabilità che interpella chi si candida a governare Roma Capitale. Fatiche di Ercole.

Le responsabilità dei comportamenti però sono individuali: non si può criminalizzare un quartiere…
Questo è evidente, perché assieme agli automobilisti ‘indifferenti’ ci sono anche le persone che si fermano e pensano all’altro. Però non sono quelle che più spesso girano alle 3 di notte…

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Periferie di Roma: sono fatte di persone, non solo di edilizia

Ripartire dalle persone, riavvicinare cittadini e istituzioni, uscire dall’emergenza e cominciare a pianificare: così si può fare la rigenerazione urbana.

Le periferie di Roma hanno preso la parola con il convegno “Periferie: adesso parliamo noi”: è stata l’occasione di parlare della rigenerazione urbana. Tra tanti temi, tutti sono d’accordo su un punto di partenza: le persone.
Quando si parla di periferie si tende sempre a concentrarsi sulle loro condizioni fisiche. Il degrado, che condiziona le vite dei cittadini, è la prima cosa che balza agli occhi. Per questo oggi, quando si dice la parola “periferie”, si pensa subito a interventi di natura edilizia, urbanistica, architettonica.

Ma c’è anche chi nelle periferie ci vive. Le persone, con le loro vite, il loro lavoro, le loro storie. Uno dei temi ricorrenti dell’incontro “Periferie: adesso parliamo noi”, organizzato dal Coordinamento periferie (che mette insieme comitati di Corviale, Statuario, Tor Bella Monaca, Torpignattara, Torrespaccata) il 26 maggio scorso con l’obiettivo di comunicare sette richieste a chi governerà in futuro la capitale, è stato proprio questo. Sì, perché per parlare di periferie, bisogna conoscere le persone che ci vivono. E capirle.

Periferia, un concetto ambiguo

Una ricerca dell’Università Roma Tre, presentata dal professor Pasquale De Muro, ad esempio, ci mostra dei dati preoccupanti rispetto ai livelli di istruzione di chi vive in periferia, livelli che sono comparabili a quelli dei Paesi a medio reddito. Il tasso di abbandono scolastico è altissimo, e ci sono persone che lavorano poco, male, con guadagnano scarso e hanno un livello di istruzione bassissimo, spesso al di sotto della scuola secondaria. E quindi poche possibilità di trovare un lavoro migliore.

«Tranne alcune piccole cose, per risolvere questo problema non c’è nessuna iniziativa», commenta De Muro. «Non possiamo andare da nessuna parte, se non risolviamo questi aspetti».
Oggi però non è semplice parlare di “periferie”, e il rischio è anche quello di essere fuorvianti. A Roma esistono infatti tante periferie diverse, ha ricordato Carlo Cellamare, urbanista dell’Università La Sapienza. Ci sono diverse periferie – anche l’Olgiata, ad esempio, lo è -, ci sono anche periferie benestanti. Il maggiore sviluppo di Roma oggi è fuori del Grande raccordo anulare, dove abita il 23% della popolazione. «Sta cambiando il modo di intendere le città», riflette il professore della Sapienza. «Anche la dicotomia centro-periferia non può essere intesa nello stesso modo. Quello che accomuna oggi tutte le periferie è la distanza delle istituzioni e della politica».

Le periferie di Roma sono piene di risorse

Ma le periferie oggi sono anche i luoghi dove nascono i fiori dal cemento. «Sono i luoghi dove c’è il fermento, dove ci sono le iniziative, la mobilitazione, le produzioni culturali. Sono un po’ un laboratorio sociale», ha spiegato Cellamare. «A Tor Bellamonaca abbiamo una grande produzione di musica, il rap». Anche questo fa pensare al punto da cui siamo partiti: per lavorare sulle periferie occorre lavorare sulle persone. «Non ha senso intervenire solo fisicamente, se non si lavora su un altro terreno», riflette il professore della Sapienza.

«Piazza Castano è una delle poche piazze pubbliche a Tor Bella Monaca. Spesso ciò che è pubblico diventa territorio di nessuno. Ma poi i cittadini hanno iniziato a rimetterla a nuovo». È una delle tante forme di riappropriazione della città e di mobilitazione che accomunano le diverse periferie di Roma. Un altro esempio è il Cubo Libro, sempre a Tor Bella Monaca, un edificio occupato dove un gruppo di cittadini ha messo su una biblioteca pubblica, con le donazioni degli abitanti del quartiere. «Questo tipo di realtà sono in rete in tutta Roma e organizzano anche il prestito interbibliotecario», ha raccontato. E poi ci sono le aree verdi, che sono state prese in carico da alcune associazioni, mentre altre si fanno carico del problema della casa.
Di tutto questo dovrà tenere conto chi governerà Roma. «Le amministrazioni dovrebbero fare un’alleanza con la città, con i cittadini», auspica Cellamare, «avvicinare l’istituzione ai cittadini. E risolvere il problema del lavoro. Il contrasto a problemi come lo spaccio lo facciamo portando il lavoro, energia forte per rilanciare le periferie».

Dall’emergenza alla pianificazione

Di queste persone, che ogni giorno lavorano insieme, e in silenzio, per migliorare la vita delle periferie di Roma in cui vivono, ce n’erano molte all’incontro del 26 maggio. Una di queste è Caterina. Fa parte di un’associazione di genitori delle scuole di Piazza Cardinali, L’albero di Gelsi, fatta da genitori dei bambini delle scuole riunite accanto a Piazza Cardinali. All’incontro rappresentava il comitato di quartiere di Torpignattara. Il suo intervento, molto sentito, ha messo l’accento sul grave problema che contraddistingue le politiche che riguardano le periferie. Sono politiche di emergenza, e mai di pianificazione. La non pianificazione è urbanistica: Torpignattara è uno spazio teoricamente tutelato, a livello paesaggistico e archeologico, ma, non essendoci pianificazione, è vittima dei costruttori. Non c’è una pianificazione della mediazione culturale, nonostante ci siano moltissime comunità diverse. Non c’è pianificazione dei servizi di sopravvivenza, come trasporti e nettezza urbana. «Questo provoca una tensione latente, che sfocia nella tensione culturale, la non corretta pianificazione di questi servizi è un colpo al cuore della società interculturale” è l’opinione del comitato di quartiere. E poi non c’è pianificazione del servizi culturali: non ci sono cinema, biblioteche, nemmeno una piazza al centro del quartiere. Infine, non c’è pianificazione dei servizi di sviluppo economico, con la quantità delle serrande chiuse che evidenzia la perdita di identità del un intero comparto produttivo.

Per rigenerare le periferie di Roma, e con esse tutta la città, occorre passare dall’emergenza alla pianificazione. Occorre pensare alle persone. E, una volta per tutte, ascoltarle. Il Coordinamento delle periferie ha diffuso un documento con sei richieste ai candidati sindaco. Le periferie aspettano le risposte.

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Rigenerare le periferie: sei proposte ai candidati sindaco

Un coordinamento di quattro grandi periferie chiede un Accordo di programma. Che comincia con la riorganizzazione dell’Amministrazione.

Sei proposte per i candidati sindaco, perché finalmente anche a Roma si avviino percorsi per rigenerare le periferie, ridando ai cittadini quella qualità di vita di cui hanno bisogno, occorre avere un modello di sviluppo condiviso e partecipato, ma servono anche strumenti e strutture in grado in realizzare quanto serve per raggiungere gli obiettivi. Ieri, durante il convegno CANTIERE APERTO. Periferie: adesso parliamo noi, è stato presentato il documento che redatto dal Coordinamento Periferie di Corviale, Statuario Tobellamonaca, Torpignattara e Torrespaccata. Contiene sei proposte ai candidati sindaco, che sono state elaborate durante un lungo lavoro di incontri, ricerca, dibattito cui hanno partecipato associazioni, gruppi, singoli cittadini delle periferie citate.

Il coordinamento chiede di fare alcune scelte precise, perché il problema delle periferie non si affronta con le ruspe, ma appunto in una prospettiva di rigenerazione, che tra l’altro valorizzi le risorse – umane, culturali, ambientali – che in questi quartiere ci sono, anche se sottovalutate o trascurate.

Un’Amministrazione meno rigida e più efficace

Fra i primi punti è indicata la necessità di riformare l’organizzazione l’Amministrazione comunale, sostituendo l’Assessorato alle periferie con un Assessorato per la rigenerazione urbana e ridefinendo l’organigramma dando spazio a Dipartimenti trasversali. L’Amministrazione è infatti troppo rigida e settorializzata, tanto da apparire inadeguata a qualunque politica che voglia essere innovativa.

Il primo passo per definire un piano per rigenerare le periferie, secondo Pino Galeota, è di «mettere tutti attorno ad un tavolo, insieme all’Amministrazione, Asl, scuole, trasporti… L’obiettivo è arrivare ad un Accordo di programma, con un responsabile di progetto e uno stato di avanzamento dei lavori opportunamente monitorato». L’alibi per non intervenire seriamente sulle periferie è sempre la mancanza di fondi, ma «non è vero che non ci sono risorse. Bisogna imparare a usare meglio quelle europee, ma anche a coinvolgere le aziende e soprattutto il privato sociale. E poi c’è il ruolo delle municipalizzate, da mettere a punto e valorizzare».

Luca Lo Bianco ha indicato una serie di fattori che sono di ostacolo ad una strategia che punti a rigenerare le periferie: tra l’altro, il fatto che negli ultimi anni l’idea di un forte decentramento è stato accantonata e che si punta alla rivisitazione delle società di servizio pubblico con riforme che prevedono la dismissione, cosa poi nei fatti impossibile… «Se si realizzasse un vero decentramento sui Municipi, anche il dibattito sulle periferie si sposterebbe», perché «al cosiddetto centro rimangono alcune politiche, integrate tra loro, ma tutto il resto si fa sui territori». Ed è evidente che questo implica una ridefinizione della macchina comunale. Tra l’altro, occorre usare di più strumenti nuovi come gli Uffici di scopo, organizzati attorno ad obiettivi ben delineati, raggiunti i quali si sciolgono». Tutto questo implica anche un «ragionamento con i sindacati, che riguardi la ridefinizione del senso del lavoro pubblico e affronti i temi delle funzioni, ma anche quello, molto concreto, degli orari di lavoro, e quindi di apertura al pubblico».
Processi complessi, ma non impossibili. Che andrebbero sviluppati, secondo torrespaccataAlfredo Fioritto, creando le condizioni per una vera «partecipazione alle scelte, a qualunque livello». D’altra parte, i cambiamenti sono già in atto e incidono fortemente sulla governace. La legge del 2014 sulle città metropolitane ha abolito le provincie, sostituite dalla Conferenza metropolitana (quella di Roma comprende 120 comuni) e ha istituito un Consiglio metropolitano e un sindaco eletti dai cittadini. Se questa è la strada, secondo Fioritto, «è evidente che anche l’Assessorato alle Periferie non ha più senso» e che bisogna ragionare in termini completamente diversi, perché cambia l’idea stessa di centro e di periferia.

Sei proposte per rigenerare le periferie

Le sei richieste sono frutto di un lungo lavoro di dibattito e approfondimento, che ha coinvolto associazioni, movimenti, singoli cittadini, università e centri di ricerca. Ecco una sintesi delle richieste:

Promuovere un forum dedicato alle periferie e quindi alla Rigenerazione Urbana entro la seconda decade di luglio.

L’abolizione dell’Assessorato alle Periferie e la costituzione dell’Assessorato per la Rigenerazione Urbana, attraverso la realizzazione di una effettiva interdisciplinarietà, che abbia funzioni e poteri di riconosciuto coordinamento.

La definizione di un nuovo organigramma dell’Amministrazione, che dia funzioni e poteri a Dipartimenti responsabili, che dovranno collaborare con chi verrà incaricato di coordinare i progetti individuati.

L’attivazione di sperimentazioni nelle cinque Periferie, congiuntamente con tutti i soggetti pubblici e privati interessati, che entro un anno definiscano contenuti, scelte e procedure per avviare le attuazioni. Il cosiddetto stato avanzamento lavori dovrà avere tempi, modalità e responsabilità note e forme di comunicazione partecipate. Va individuato un Responsabile del progetto, che abbia le competenze per coordinarlo e per seguire il suo iter amministrativo e interistituzionale.

La definizione di un modello di sviluppo delle periferie, che renda protagonisti i cittadini, le presenze territoriali e che preveda le necessarie connessioni con l’Area metropolitana, con la Regione Lazio e la governance nazionale, oltre che con i settori produttivi pubblici e privati.

La sottoscrizione di un Accordo di Programma o altro atto similare, che renda procedibile il progetto condiviso tra tutti i soggetti pubblici e privati interessati.

Il coordinamento chiede inoltre che, nella fase di transizione, a fronte delle problematiche sulla sicurezza e la legalità nei grandi agglomerati periferici, si pensi ad una presenza continua di Ater-Regione e del Comune di Roma sui territori.

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Radio impegno, la prima web radio notturna contro mafia e criminalità

Un progetto sostenuto da 40 associazioni, racconta Massimo Vallati, responsabile del Calciosociale e tra i promotori della Radio, anche se entro Natale si conta di arrivare a quota 100. In collaborazione con Asl e i municipio “si lavorerà per offrire un servizio notturno di assistenza alle persone più in difficoltà”.
Sette mesi fa un incendio doloso aveva tentato di cancellare il Campo dei Miracoli a Corviale, Roma, il primo centro di calcio sociale al mondo dedicato allo sport, sì, ma soprattutto all’integrazione. Le fiamme, però, non sono bastate a cancellare quello che negli anni, con la collaborazione dell’associazione Libera di Don Luigi Ciotti, è diventato un luogo simbolo di legalità e lotta alla malavita. Il 30 maggio, infatti, sulle ceneri di quell’episodio, proprio al Campo dei Miracoli ha inaugurato Radio Impegno, la prima web radio notturna d’Italia nata per dire no alla mafia e alla criminalità. Un progetto sostenuto da 40 associazioni, racconta Massimo Vallati, responsabile del Calciosociale e tra i promotori della Radio, anche se entro Natale si conta di arrivare a quota 100. E che tra i suoi obiettivi ha “la denuncia delle piccole e grandi prepotenze della criminalità”, e l’invito, rivolto alla cittadinanza, “a partecipare alla vita sociale e politica della città”.
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“Vogliamo costruire una rete di tutti quei soggetti impegnati a diffondere la cultura della legalità e rispondere insieme e più forti contro chi vuole distruggere i nostri sogni – spiegano i fondatori di Radio Impegno – di notte hanno voluto colpire il Campo dei Miracoli, atto infame e intimidatorio contro di noi e contro tutti gli uomini e le donne che provano ogni giorno a cambiare questa città. Così anche noi scegliamo la notte, per mostrare il lato migliore di noi, la nostra capacità di far rete, di unirci solidali. Per la prima volta a Roma numerose associazioni potranno quindi unirsi insieme per dare una scossa: non si tratta solo di Corviale, ma della nostra città”.

Radio Impegno trasmetterà tutti i giorni, da mezzanotte alle sette del mattino, ospite per la puntata zero, andata in onda la notte tra il 29 e il 30 maggio, il capo della Polizia Franco Gabrielli, mentre il presidente di Anac Raffaele Cantone interverrà nel corso della prima puntata ufficiale, il 30. Ad appoggiare il progetto, poi, anche testimonial d’eccezione come Aldo Bonucci, Ricky Tognazzi, Marco Travaglio, Zoro e Don Ciotti.

Per quanto riguarda il palinsesto, invece, sarà in continua evoluzione. Si parlerà di legalità, di lotta alla criminalità, grandi opere e appalti, “per evitare che si trasformino nell’ennesima occasione mancata”, e in collaborazione con Asl e i municipio, “si lavorerà per offrire un servizio notturno di assistenza alle persone più in difficoltà”. Ampio spazio, poi, verrà offerto alle associazioni, sia quelle che hanno contribuito alla nascita del progetto, sia alle realtà sociali che vorranno partecipare. “Collegarsi sarà facile, anche con chi si trova fuori Roma, basta un cellulare. Speriamo che tanti decidano di partecipare, di essere protagonisti e di portare avanti assieme a noi le loro battaglie. Una voce sola non basta – precisa Radio Impegno – solo una rete solida e motivata potrà dar vita ad un progetto collettivo così ambizioso”.

Diffondere la cultura della legalità via web, spiega Vallati, “è il primo passo per cambiare nel concreto le cose. Non solo le voci ma anche le facce, per non perdere Roma. Noi saremo online ogni notte, per sette ore, un canale di controinformazione libero e indipendente”.

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COSTRUIRE IL WELFARE LOCALE È COSTRETTO AD INTERROMPERE LE PROPRIE ATTIVITÀ

Con grande rammarico vi comunichiamo che dal 2 settembre il Progetto Well-Fare | Tra mediazione e comunità, costruire il welfare locale nel Municipio Roma IV ha esaurito il proprio mandato ed è costretto ad interrompere le proprie attività. Il Municipio Roma IV ha infatti deciso di chiudere tutte le convenzioni con gli Enti attuatori del Piano regolatore sociale municipale e di rimettere i servizi a bando.

Ci dispiace dover interrompere bruscamente le nostre attività: speravamo infatti in una soluzione diversa che ci permettesse di operare in continuità fino alla nuova aggiudicazione dei bandi, ma cosi non è stato.

La situazione attuale, che vede l’interruzione drastica delle attività fino a nuova aggiudicazione, potrebbe causare l’assenza dei progetti per un lungo periodo non permettendo quindi nessuna programmazione. Vengono perciò interrotti percorsi educativi e di inclusione sociale nelle scuole e nei centri anziani, in quartieri multiproblematici in cui il lavoro di costruzione di un sistema di welfare locale dovrebbe avere una continuità nel lungo periodo per essere veramente efficace.

Vi scriviamo per darvi un arrivederci e per ringraziarvi delle bellissime esperienze fatte insieme che hanno visto nascere due reti sociali a San Basilio e Pietralata (San Basilio Social Street e Pietralata Social Street) che hanno raggruppato l’insieme delle Associazioni, del Privato Sociale e delle Scuole dei due quartieri.

A San Basilio, Pietralata e ultimamente a Settecamini, abbiamo avviato laboratori e performance dove gli anziani hanno recitato, le donne tessuto e condiviso, le associazioni collaborato. Con i bambini delle scuole abbiamo costruito tanti arredi urbani e con gli adulti abbiamo ripulito e riqualificato le piazze e le aree verdi del territorio. Con i bibliopoint e i centri culturali abbiamo organizzato attività culturali e con tutti voi abbiamo costruito indimenticabili, piccoli e grandi eventi di quartiere in cui molti hanno cucinato, altri suonato e ballato, in cui i bimbi hanno giocato, gli aquiloni hanno volato, gli adulti partecipato.

A tutti voi va il nostro commosso ringraziamento, sperando ci sia ancora un futuro insieme e che il lavoro comune non venga vanificato. Lo speriamo davvero con tutto il cuore.

L’equipe del Progetto Well-Fare | Tra mediazione e comunità, costruire il welfare locale

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Street Art: Tor Marancia sbarca a Venezia

Il progetto Big City Life selezionato per la Biennale

Il Progetto ormai nel quartiere lo conoscono un po’ tutti, difficile farlo passare inosservato, soprattutto per le splendide facciate dei palazzi Ater reinterpretate da grandi street artist internazionali. Big city life è stato realizzato a Tor Marancia nel 2014, grazie al Protocollo di intesa tra Municipio VIII, ATER, Associazione Culturale 999Contemporary e al contributo di Fondazione Roma.

Un progetto che ha già portato molta attenzione sul quadrante e che adesso riceve anche questo importante riconoscimento: la selezione per il Padiglione Italia alla 15° Mostra Internazionale di Architettura, che ha per tema “Taking Care – Progettare per il bene comune”. “Possiamo dirci davvero orgogliosi di portare l’eccellenza culturale del nostro Municipio VIII fino alla vetrina internazionale ‪della Biennale‬ di ‪Venezia‬ – afferma l’Assessore municipale alla Cultura, Claudio Marotta – Perché è con questo spirito che abbiamo lavorato al servizio del territorio: tentare di raggiungere risultati di eccellenza e, allo stesso tempo, insistere su ogni fronte con un attento lavoro di coesione sociale”.

Da sempre il progetto ha avuto il sostegno delle istituzioni municipali: “Un’esperienza unica, dove arte e rigenerazione urbana si sono incontrate per regalare bellezza e cultura al quartiere, al Municipio, alla città ed oggi al mondo intero, grazie alla visibilità universale della Biennale – scrive in una nota che annuncia la selezione il minisindaco uscente e ricandidato al Municipio VIII, Andrea Catarci – Big City life a Tormarancia rappresenta anche molto di più, per quel che è nato durante ed intorno alle opere dei 22 artisti internazionali. Si è attivata la partecipazione diretta degli abitanti dei lotti popolari, dove è nata l’esperienza dell’Associazione mast35 – seguita – Tanti giovani hanno abbracciato il progetto di recupero e hanno realizzato un vero e proprio museo a cielo aperto di arte contemporanea con visite guidate e cura dei lotti e delle opere”.

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Lo sport sociale alla Biennale di Venezia

Lo sport è un bene della comunità che fa bene a tutti, il simbolo per eccellenza dello stare insieme, emblema del valore della partecipazione e del coinvolgimento di tutti, senza lasciare nessuno ai margini. L’architettura, a sua volta, è uno strumento al servizio della collettività. Ecco perché lo sport sociale arriva alla Biennale d’architettura di Venezia con l’Uisp, l’Unione Italiana Sport per Tutti, che presenta il progetto To Moves – Torino Movement, Values, Expression, Sport, ovvero un presidio stabile per l’educazione alla convivenza civile, al rispetto e alla cittadinanza attiva attraverso il gioco, lo sport e il movimento.

“L’Uisp è alla Biennale Architettura di Venezia perché è parte di un progetto promosso dal ministero della Cultura”, ha detto Vincenzo Manco, presidente nazionale Uisp. “Abbiamo costruito, insieme ad uno studio di architetti, un dispositivo che possa essere installato nella periferia di Torino, al Parco Dora. Con questo strumento l’Uisp animerà le periferie con giochi di strada, sport, animazione e giocoleria. Lo facciamo perché c’è bisogno di rigenerare le periferie e costruire relazioni positive. Quel dispositivo sarà un presidio di costruzione di cittadinanza attiva, rispetto dell’ambiente e dei valori di solidarietà e fratellanza tra i popoli”, ha affermato.

Marco Navarra, l’architetto dello studio Nowa che ha pensato il dispositivo per l’Uisp, ha presentato il progetto spiegando che “lo sport cambia la vita delle persone perché riesce a cambiare lo spazio in cui vivono le persone, rompendo i confini in cui spesso siamo costretti a vivere. Stiamo lavorando ad un dispositivo mobile che può essere utile per le attività che l’Uisp svolge nelle periferie italiane, offrendo una serie di spazi e articolazioni che si prestano a diverse attività”.

Il progetto è stato presentato alla Biennale, nel Padiglione Italia, intitolato Taking care – Progettare per il bene comune, che promuove 20 progetti nati “dal basso”. Organizzato nelle tre sezioni Pensare, Incontrare e Agire, mostra cosa significhi utilizzare l’architettura per incidere sulle trasformazioni sociali ed economiche dell’ambiente costruito e sottolineare come l’architettura possa fare la differenza anche in contesti con grande limitazione.

To Moves fa parte del progetto più ampio Periferie in Azione e punta alla realizzazione di altri quattro container carrabili diversamente allestiti che da Venezia come destinazione cinque periferie urbane. C’è appunto lo Sport-box curato da Uisp che andrà a Torino (Nowa), un ambulatorio mobile gestito da Emergency (progetto di Matilde Cassani), un Green-box realizzato con Legambiente (cooperativa Arcò), un Legality-box che andrà a Cerignola su un terreno sequestrato alla mafia e gestito con l’associazione Libera (progetto di Antonio Scarponi) e, infine, un Culture-box con libri a disposizione realizzato con l’Associazione biblioteche italiane (Alterstudio).

Se l’idea vi piace, se credete che le periferie italiane siano luoghi ricchi di potenzialità e progettualità, se pensate che valga la pena sostenere processi di riqualificazione e rigenerazione urbana, allora potete visitare il sito dedicato al progetto Periferie in Azione, sul quale è stata lanciata la compagna congiunta di crowdfunding civico che contribuirà alla realizzazione di tutti i dispositivi.

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A Corviale con l’Albergo delle Piante

Un intervento artistico nato dal basso per mettere in moto “relazioni non previste”.
Nella Cavea di Corviale, in via Mazzacurati, a novembre ha preso il via quello che per i due ideatori, Mimmo Rubino e Angelo Sabatiello, è prima di tutto un progetto artistico: l’Albergo delle Piante. Complice lo stato di abbandono dell’area, rimasta inutilizzata dopo la chiusura del mercato coperto, i due artisti hanno quindi pensato di “ripopolarne i gradoni” con delle piante. In circa sei mesi le scalinate si sono riempite di vasi e piante delle dimensioni più disparate.

“Vengo dalla Street Art ma assieme ad Angelo avevamo la volontà di fare un intervento che fosse partecipato – ci spiega Mimmo Rubino – Non siamo partiti con un atteggiamento moralista o con intenti sociali, ma come puro intervento artistico, non avevamo volontà di riqualificazione”. La conversazione con Mimmo spazia, e arriviamo a parlare della differenza tra questo intervento e la Street Art: “Spesso si arriva nei luoghi, si impone un progetto e non sempre si lascia qualcosa. Noi volevamo fare un intervento più sobrio, che mettesse in moto delle relazioni non previste. Ora ne gestiamo la comunicazione, ma il sogno è che diventi autonomo e che in un paio di primavere si riesca a lasciarlo crescere da solo”.

La sensazione, quando si entra nella Cavea per partecipare ad uno degli appuntamenti del mercoledì pomeriggio (puntuali perché alle 17 si serve il tè), è quella di trovarsi al centro di un palco, con tanti spettatori, le piante, che aspettano un gesto. “Il sogno è quello di arrivare a 300 alberelli in buona salute. Non vogliamo riempire completamente questo spazio ma mantenere il gusto da cortile – seguita Mimmo – I gradoni non erano riempiti e le piante, in qualche modo, fungono da segnaposto per le persone. Ci piacerebbe che qualcuno organizzasse eventi, magari musicali. Questo deve essere un cavallo di Troia per fare altro”.

Pur rimanendo un intervento artistico, è innegabile che questo progetto una funzione sociale la stia svolgendo. Fin da subito infatti è partita una collaborazione con la vicina Comunità di Convivenza, che fa capo alla ASL e al vicino Centro diurno di salute mentale. Gli ospiti della Comunità ogni mercoledì si intrattengono con i visitatori (che mai devono dimenticare di trovarsi in casa d’altri) mentre annaffiano e curano le piante. “L’intento – ci racconta la Psicologa Sara Paci – è quello di parlare e collaborare. Il mercoledì è diventato un momento di incontro e integrazione tra i ragazzi della Comunità, i cittadini e le altre realtà del quartiere. Una volta alla settimana parlano con tutte le persone che arrivano davanti alla loro porta, la convivialità è utile a tutti, figuriamoci in questo frangente”. Oltre alla comunità terapeutica, partecipa anche il CAG (Centro di Aggregazione Giovanile) del quartiere, assieme ad alcuni abitanti incuriositi dall’esperimento. “È difficile avere una partecipazione attiva – continua Sara – ma noi pensiamo che stare sul territorio con la nostra presenza continua costruirà sostegno e partecipazione”. Con i ragazzi della Comunità abbiamo parlato a lungo, come con L. che ci ha raccontato quanto sia bello uscire di casa e trovarsi tra queste piante: “Prima questo posto era grigio, adesso è più bello e si può condividerlo con gli altri”.

In media ogni mercoledì una ventina di persone partecipa alla cura delle piante, ma con l’arrivo dell’estate, ci confessa Mimmo, “vorremmo avere qualcuno ogni giorno, perché con il caldo avranno bisogno di maggiore cura”. In questi mesi sono stati rubati vasi, ma poco importa “pensiamo che se le portano via è perché le cureranno meglio di noi – spiega Mimmo – Ci piacerebbe arrivare a un vivaio a pieno regime, magari organizzando delle vendite per raccogliere fondi”.
Prima di andarcene L. non manca di indicarci un angolo della Cavea, lì un alberello è cresciuto facendosi strada attraverso un tombino: “Se cresce vuol dire che sotto c’è acqua – ci spiega – e questo mi dà speranza”.

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Prezzemolo e dintorni, gli orti in condominio

Atdal over 40 si occupa da oltre 10 anni di fragilità lavorativa riguardante lavoratori e lavoratrici over 40 che escono dal circuito lavorativo e non riescono più a rientrarci.
Il progetto che abbiamo pensato riguarda i condomini spesso luoghi rissosi, dove ognuno vive per sé nell’indifferenza
Trasformare un condominio in un luogo di incontro e di condivisione è il nostro sogno in antitesi a ogni altra forma di isolamento e solitudine. E’ nel silenzio infatti che nascono le violenze sopratutto alle donne e ne ostacolano l’ inclusione anche nel mondo del lavoro.
Utilizzare spazi comuni come terreno di incontro, scambio e sostegno reciproco trasforma non solo il luogo, ma le stesse persone che lo abitano: da litigiose a solidali.
La nostra proposta vuole utilizzare gli spazi collettivi interni di un condominio e renderli produttivi, in termini non solo economici, ma anche di benessere sociale. I terrazzi, i tetti, i cortili e giardini condominiali sono luoghi spesso abbandonati, dove con facilità e poca spesa è possibili impiantare orti, anche verticali se lo spazio è ristretto. Un orto collettivo è un sistema di approvvigionamento, ma anche uno luogo di incontro,di costruzione culturale e di collaborazione.
I laboratori formativi di orto condominiale che immaginiamo sono finalizzati alla coltivazione di piante aromatiche perché usate abitualmente come condimento nella nostra cucina e, tuttavia, prodotte per il 70% all’estero, in alcuni casi, poi, benché presenti in molte ricette, anche difficili da reperire (cerfoglio, dragoncello,coriandolo ecc.)
Abbiamo usato la metafora del prezzemolo perché benché pianta comune e poco appariscente, è presente ed indispensabile in una molteplicità di ricette.
OBIETTIVI
Il principale obiettivo del laboratorio è quello di formare e sensibilizzare delle donne inoccupate over 40, alla creazione di orti verticali urbani o condominiali, come luogo di unione e di scambio dei saperi.
DESTINATARI
Ci rivolgiamo a donne over 40 inoccupate, le più fragili perché spesso senza una preparazione specifica e senza una identità lavorativa alle spalle ma che hanno immagazzinato una grande quantità di competenze. Valorizzare la loro esperienza vuol dire partire da quello che già fanno tutti i giorni e renderlo produttivo: saper coltivare un orto necessita di conoscenze nuove, ma si possono acquisire facilmente.
METODOLOGIA
Il laboratorio è strutturato in tre parti, con metodologie teoriche e pratiche. La prima parte è di conoscenza e di supporto anche psicologico alle donne partecipanti, la seconda di formazione alla coltivazione e creazione di orti verticali con erbe aromatiche e spezie, la terza di promozione all’auto-imprenditorialità. Gli incontri seguono una metodologia interattiva e ad alto valore esperienziale, proprio per rendere i laboratori pratici e facili da apprendere.
PERCORSO
I laboratori sono suddivisi in tre parti distinte, con un totale complessivo di 10 incontri della durata di 3 ore ognuno per tre edizioni.
1) SOSTEGNO E ORIENTAMENTO ( 2 incontri)
L’ obiettivo è quello di analizzare insieme i vissuti legati allo stato di non attività, per poter ascoltare i vissuti e le emozioni delle partecipanti, insieme al loro senso d’identità
2)L’ORTO VERTICALE: ERBE E SPEZIE (6 incontri)
Le erbe intense e resistenti. Dal rosmarino alla santoreggia, dall’alloro all’issopo,
Le erbe delicate e spontanee. Basilico e prezzemolo, origano e menta,
L’orto verticale – tecniche di coltivazione,
Raccolta e lavorazione – sostanze nutritive,
Avversità malattie/insetti nocivi
3 AUTOIMPRENDITORIALITA’ (2 incontri)
I due incontri hanno l’obiettivo di stimolare nelle partecipanti la voglia di fare frutto dell’esperienza acquisita e tradurla in opportunità professionale. Il laboratorio offre strumenti su come riconoscere e sviluppare la propria idea imprenditoriale da sole o in associazione con altre persone, e impostare una strategia d’impresa.

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