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Boldrini riceve delegazione cittadini Corviale: parlerò con Raggi

Ho chiesto anche a Gabrielli di garantire presidio di sicurezza.
“Una volta che la Giunta capitolina sarà stata composta, chiamerò la sindaca Virginia Raggi per passare anche a lei le richieste degli abitanti di Corviale”. Lo ha detto la presidente della Camera Laura Boldrini al termine dell’incontro a Montecitorio con alcune famiglie e ragazzi della periferia romana.

Boldrini spiega come oggi “sia stata mantenuta una promessa fatta in occasione della sua visita” a Corviale il 6 maggio scorso e dice di essere felice che le famiglie abbiano accettato di venire a Montecitorio: “Nelle grandi città la maggioranza delle persone vive in periferia e dunque la loro riqualificazione è un tema nazionale e non solo locale. Le diseguaglianze aumentano e bisogna individuare politiche per ridurre questa forbice, che è il segno che questa democrazia non sta bene”.

La Presidente della Camera ha fatto da ‘guida’ ai ragazzi e ragazze della periferia romana in Transatlantico e nell’Aula di Montecitorio e ha sottolineato più volte l’importanza del Parlamento, la sua storia e in cui ha anche spiegato l’andamento dei lavori parlamentari. Quindi ha ricordato che a maggio i cittadini di Corviale le abbiano “affidato alcune richieste, tra cui quella per un presidio di sicurezza. Ho già incontrato il prefetto Gabrielli, che ora sta valutando un intervento. Questi cittadini devono poter ottenere quello che chiedono: le istituzioni non possono deludere e devono uscire dal Palazzo. Altrimenti resta lo spaccio, la strada”, ha concluso.

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Ostia, inaugurata la pista di atletica al Giannattasio

È stata inaugurata la pista di atletica dello stadio Giannattasio di Ostia.

L’impianto sportivo è candidato ad ospitare le Olimpiadi del 2024 ed “è la prima opera realizzata con contributo governativo” ha detto Malagò.

Oltre al presidente del Coni era presente il sottosegretario di Stato Luca Lotti e il vicesindaco di Roma con delega allo sport, Daniele Frongia.

A Roma l’altro intervento riguarda la realizzazione del palazzetto di Corviale.

“Sono due zone, Ostia e Corviale, molto complicate, dove c’è un altissimo tasso demografico e molta fame di sport. Il Coni ci ha messo la faccia scegliendo questa struttura ad Ostia e quella a Corviale, sono scelte molto importanti” ha aggiunto Malagò.

“Credo che lo sport sia la medicina migliore per risolvere i problemi. Ora bisogna bandire la nuova gara per le infrastrutture, per spogliatoi e servizi”ha aggiunto il presidente del Coni.

Presente anche il presidente del Comitato Paralimpico Luca Pancalli.

“È un giorno importante, era una promessa che il nostro governo aveva fatto – ha sottolineato il sottosegretario di Stato Lotti – Avevamo lanciato una sfida: 100 milioni di euro per le periferie e lo sport e ora si iniziano a raccogliere i primi frutti anche se c’è ancora molto lavoro da fare”.

Il vicesindaco di Roma ha detto: “Siamo contenti di esserci oggi per l’inaugurazione della nuova pista Giannattasio. Questa giornata per noi è molto importante, è una risposta in un territorio che è stato sciolto per mafia: il valore dello sport è esattamente questo, riqualificare l’ordinario e dare risposte concrete ai cittadini”.

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Le periferie al centro, per far ripartire Roma

Paolo Berdini sarà il prossimo assessore all’Urbanistica di Roma. Un tecnico, con una storia a sinistra, scelto da Virginia Raggi in uno dei ruoli chiame per la sua amministrazione. Un nome di alto profilo per uno dei compiti più complicati per il rilancio della capitale. Come per il neosindaco di Milano Beppe Sala, la parola chiave è per il suo assessorato sarà “periferie”: da lì si deve ripartire. A differenza del primo sindaco di Milano, però, Berdini dell’argomento si occupa da tutta una vita. “Ma va bene, l’importante è rimettere al centro le periferie”. Se la Città eterna è arrivata a questo scempio, la colpa è’ dell’”ubriacatura da mattone facile”, che ha espanso le città all’inverosimile, distruggendo le strutture sociali e il welfare di prossimità. Come fermare questa deriva?

“Questa congiuntura economica aiuta un po’ a raggiungere l’obiettivo di bloccare quest’espansione urbanistica – risponde – costata anni di emarginazione sociale. Non sono contro il fatto che le città cambino: le città nell’Ottocento e nella prima metà del Novecento sono cambiate dando però un servizio ai cittadini. Oggi noi stiamo costruendo periferie devastanti dove non c’è più alcun servizio, né alcun senso comunità. Credo sia un grande obiettivo risanre le periferie. E risanaree le periferie significa non far più crescere le città”.

È sempre stato un avversario del Piano regolatore che ha visto la luce nel 2008. Ci spiega perché?

“Perché il piano era basato su ubriacatura da mattone facile che ci veniva dagli Stati Uniti e dalle politiche liberiste. Gli Usa sono stati il faro di queste politiche da indebitamento delle famiglie per comprarsi un’altra casa. Dal 2008, guarda caso l’anno dell’approvazione del piano regolatore di Roma, questa finzione è crollata e con essa queste politiche scellerate. Tutto questo è legato alla più grave crisi del sistema capitalistico, più grave anche della crisi del ’29. Dunque bisogna pensare che quel piano scellerato pensato sull’efferscenza del mattone sia arrivato alla consunzione per sua stessa natura, se posso dire. Qui c’è un ragionamento a mio avviso molto interessante di come ricostruiamo le basi non solo di Roma, ma del sistema produttivo dell’Italia intera disancorandolo dalla speculazione immobilare”.

Il tema delle periferie è centrale, non solo a Roma, ma anche a Milano, stando alle parole del neosindaco Sala. Perché si insiste così tanto?

“Il tema è centrale e sono contento che lo dica anche Sala. Forse poteva avere il coraggio di dire che costruire la sede di Expo in espansione rispetto ad una città che ha già problemi urbanistici è stato un grande errore. Però va bene, oggi rimettiamo al centro le periferie. Sono centrali perché è lì che si concentra la sofferneza sociale. Con questa visione della città e delle periferie stiamo disarticolando la struttura della società che prima teneva un po’ tutti attraverso le forme del welfare. Mi sembra che rimettere al centro le periferie sia uno strardinario elemento che può aiutare un’evoluzione culturale del sistema Italia”.

Concretamente come intende agire per affrontare i problemi delle periferie romane?

“Il cardine del ragionamento è che bisogna accorciare le distanze tra centro e periferia. Accorciare le distanze in senso metaforico, avvicinandole ad esempio attraverso sistemi di trasporto su rotaia che a Milano esistono in grande quantità e sono molto efficienti ma a Roma non esistono. Dopodiché bisogna fare blocco per ricostruire il welfare urbano. Non possiamo non fare niente in periferia perché non abbiamo soldi. I soldi vanno tolti, come dice la campagna Sbilanciamoci, da altre poste di bilancio che non servono a nulla. Bisogna investire su inclusione sociale e cultura per i giovani”.

L’elemento centrale nella campagna elettorale è stato il tema delle Olimpiadi. È evidente che se dovessero farsi avranno un impatto significativo anche sul piano urbanistico. Si è già dichiarato contrario al villaggio per gli atleti a Tor Vergata e ora si vedrà se proeseguire con la candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2024. Che valutazione fa di questa partita? Come pensa di gestire impatto urbanistico?

“Bella domanda. Intanto diciamo che il nuovo sindaco Virginia Raggi aveva detto con molta nettezza che avrebbe ridiscusso la partecipazione di Roma. Dopodiché se si facessero, ci sono modelli postivi da seguire. Si prenda Barcellona ’92: hanno costruito una serie di impianti in periferia che sono rimasti alla città. Non è la stessa esperienza di Torino dove abbiamo costruito cattendrali in montagna che adesso dobbiamo demolire. A Barcellona si è costruito dentro la città. Si è pensato di fare del bene alla città e non di costruire case agli atleti. È un cambio di ottica, di prospettiva. Le Olimpiadi possono esere accettate, ma a patto che protino beneficio in periferia e non a chi ha guadagnato mettendo in ginocchio il 90% della popolazione mondiale”.

Quindi un’altra Olimpiade è possibile non esiste solo il no pregiudiziale.

“C’è un referendum in atto, per questo ne parlo con molta prudenza. Il segretario del partito radicale sta raccogliendo le firme. La democrazia è anche questa, ma se l’esito al referendum sarà favorevole, allora la realizzazione va impostata così. Quella spesa pubblica deve migliorare la vita dei romani”.

Una curiosità: come si è avvicinato al M5S e a Raggi, lei, che ha una storia di sinistra?

“L’incontro con i Cinque Stelle è cominciato tre anni fa quando mi hanno chiesto di scrivere delle leggi per il Parlamento. Ho conosciuto questi ragazzi con meno di 30 anni che hanno a cuore la città pubblica e hanno una visione di città in controtendenza con l’idea che tutto è mercato. I quattro giovani consiglieri comunali del Movimento a Roma hanno impostato un’azione micidiale con cui hanno cui svelato tutta Mafia Capitale in anticipo: da lì ho inizato a collaborare con loro. Tra questi c’è anche Virginia Raggi. È avvenuto in questo frangente l’incontro, nel merito delle questioni al di là dello schieramento. È una problema di merito e lì non hanno sbagliato una mossa”.

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Sviluppo sano attraverso la parola, la creativita’ e la musica

È il progetto di ‘Il Carosello’ su ‘L’arte del gioco: attivita’ espressive stimolate dai cartoon’
(DIRE-Notiziario settimanale Psicologia) Roma, 5 lug. – Uno sviluppo sano attraverso la parola, la creativita’ e la musica. A proporlo a bambini e adolescenti e’ la cooperativa romana ‘Il Carosello’, che per l’estate da’ vita a un nuovo progetto: ‘L’arte del gioco: attivita’ espressive stimolate dai cartoon’.

Da Snoopy a Inside out, da Zootropolis al libro della giungla, i giovani partecipanti saranno stimolati a costruire i costumi di scena, scrivere il proprio testo a partire da quello cinematografico e, infine, a sviluppare le attivita’ di movimento. Il tutto nel rispetto delle regole della casa: si fa la colazione la mattina, poi c’e’ la mensa, e si apparecchia rigorosamente tutti insieme. “Adesso abbiamo 20 bambini e possiamo arrivare a 60”, fa sapere Mariarosaria Danza, responsabile dell’area clinica del centro romano (in Via Mario De Renzi tra 42 e 48) e didatta della Societa’ italiana di psicodramma analitico.

La cooperativa integra culture e formazioni disciplinari diverse e si avvale della collaborazione di numerose figure professionali: educatori, insegnanti, logopedisti, operatori socio-sanitari, assistenti all’infanzia, psicologi dell’eta’ evolutiva e di comunita’, oltre a volontari che da anni operano nel settore dell’immigrazione e della mediazione familiare. “Il Carosello” collabora inoltre con la rete dei servizi socio-territoriali, progetta e realizza varie iniziative rivolte ai bambini per favorirne l’incontro, lo scambio creativo e lo sviluppo.

La musica e’ un elemento centrale delle sue attivita’. “Aiuta a trasmettere i principi, le regole del tempo e dello spazio.

Durante il soggiorno estivo- spiega Danza- i minori potranno scoprire i propri talenti musicali utilizzando il pianoforte, la batteria, il violino e piccoli strumenti costruiti insieme, fino ad arrivare al metodo ORFF: musica, ritmica, drammatizzazione e canto”. Alla base di queste offerte formative c’e’ un forte progetto pedagogico: “Non abbandoniamo mai i bambini ai giochi, ma li seguiamo con delle regole e degli obiettivi precisi. Ad esempio, i costumi saranno realizzati attraverso il taglio di stoffe sartoriali, la drammatizzazione del nuovo testo sara’ costruita dai bambini quale pretesto per parlare, creare e giocare. I giochi di movimento saranno quelli della nonna e l’arte del gioco- continua la psicodrammatista- consistera’ proprio nel mettere a punto nuovi scenari realizzati insieme con loro. Inoltre, i libri d’arte della casa editrice Arte bambino, ci guideranno nei giochi d’acqua”.

Il Carosello e’ un centro polifunzionale per la famiglia e l’infanzia. Ha in se’ una ludoteca, uno spazio baby che corrisponde a un nido e un centro clinico quale ‘maison verte’ ispirata e guidata dalla teoria di Francoise Dolto. Sono seguiti i minori dai 18 mesi ai 18 anni. “Negli ultimi anni i problemi dell’apprendimento sono aumentati notevolmente, ma noi li affrontiamo proponendo attivita’ d’arte, musica e lettura ad alta voce. Integriamo in maniera trasversale le diverse competenze cliniche, pedagogiche ed artistiche, per avviare un progetto di prevenzione”. La Cooperativa e’ immersa nel verde e questo rende possibile la realizzazione di tante attivita’ sportive e tanti altri giochi. “L’arte del gioco rientra nell’espressione della creativita’- continua la psicologa-, noi mettiamo a punto un gioco individualizzato e attento alle esigenze di ogni bambino, al fine di creare quella situazione simbolica adatta a lui”.

Di progetti ‘Il Carosello’ ne ha tanti. “Abbiamo creato una nuova App ‘LE PinoPAROLE: Impariamo i gruppi consonantici con PINO!’, per aiutare insegnanti, genitori e logopedisti a prevenire i disturbi del linguaggio e dell’apprendimento. Abbiamo costruito delle fiabe legate all’uso delle parole con i gruppi consonantici che creano le maggiori difficolta’ ai bambini.

Prossimamente vorremmo lavorare sulle relazioni aggressive con gli adolescenti seguiti dai servizi sociali, partendo dai filmati sul bullismo. Faremo parlare i ragazzi e poi svilupperemo con loro uno psicodramma. Vorremmo proporre a questi adolescenti- conclude- anche un corso da pizzaiolo con tanto di attestato professionale per aiutarli ad un autentico reinserimento nel tessuto sociale”.

Per informazioni si veda il sito: www.ilcarosello.it

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Londra, 23 giugno 2016, remain or leave?

Scrivo queste note da Forest Hill (Londra).

Giovedì 23 giugno, alla domanda: “Il Regno Unito deve rimanere come membro dell’Unione Europea o deve lasciare l’U.E.?”, i cittadini e le cittadine britannici hanno risposto: Leave-Lasciare.

Non è servito a nulla l'”Accordo speciale” siglato il 16 febbraio 2016 per dare al Regno Unito uno statuto particolare di membro dell’Unione. Diario europeo, il 16 febbraio 2016, all’indomani di quello che va ancora considerato l’ultimo atto di generosità e di responsabilità dei 27 Paesi membri dell’U.E. per dare alla Gran Bretagna una possibilità di sentirsi ancora membro effettivo e convinto della Unione – faceva due considerazioni dalle quali vogliamo ripartire.

La prima. Il primo ministro David Cameron, scrivevamo

“non ha investito nel delineare e approfondire una forte politica europea del suo Paese, evidenziando e sottolineando, ad esempio, i vantaggi per il Regno Unito della partecipazione al vasto Mercato unico europeo. Non ha neppure provato ad aprire un confronto duro e serrato nel suo stesso partito”.

Le conseguenze di questa errata impostazione politica le abbiamo potuto verificare durante una lunga campagna referendaria, nella quale sono emerse gravi segnali di una situazione sociale, etica e valoriale che devono preoccupare tutti i cittadini e le cittadine britannici – qualsiasi sia stata la scelta fatta da ciascuno nelle urne referendarie.
Durante le ore terribili successive all’assassinio della deputata Jo Cox, tutti gli europei hanno dovuto constatare

“il tragico fallimento dell’establishment britannico, e naturalmente c’è la responsabilità di Cameron: non aveva capito quanto alta fosse l’intossicazione portata dal veleno anti europeo nel Paese, e nello stesso partito”

(così si esprimeva sul Corriere della Sera, il 17 giugno 2016, Graham Watson, britannico, già presidente dell’Alleanza dei liberali e democratici per l’Europa (Alde) al Parlamento europeo nel 2011-2014).

Alla memoria della splendida Jo Cox, assassinata mentre svolgeva la sua doverosa azione democratica tra la sua gente, vogliamo dedicare le parole dal suo conterraneo John Donne (Londra 1572-1631), ancora scritte nella memoria di tutti i tempi, aggiungendovi una connotazione di genere per onorare la bellezza della pur breve vita di Jo:

“Nessun-a uomo-donna è un’isola,/ completa in se stessa;/ ogni uomo-donna è un pezzo del continente,/ una parte del tutto./ Se anche solo una zolla/ venisse lavata via dal mare,/ l’Europa ne sarebbe diminuita,/ come se le mancasse un promontorio,/ come se venisse a mancare/ una dimora di amici tuoi,/ o la tua stessa casa”.

In effetti una “zolla” della terra britannica è stata “lavata” da una mano assassina; Europa è “stata diminuita” di una componente della sua storia e della sua vitalità. Se nessun britannico e nessun europeo lo dimenticherà, allora la domanda fatidica: “Per chi suona la campana?” potrà avere la risposta sempre necessaria, impegnativa e inequivocabile : “Essa suona per te”. E sarà la risposta veramente strategica per tutte le generazioni di europei. La campana suona per te, Britannia. La campana suona per te, Europa.

Jo Cox si era laureata a Cambridge, dove insegnava ed insegna lo storico australiano, Christopher Munro Clark, il quale nel 2013 ha pubblicato una monumentale ricerca storica sulla prima guerra mondiale, dal titolo: “I sonnambuli. Come l’Europa è andata alla guerra nel 1914” (pubblicata in Italia dall’editore Laterza).

“Siamo ancora in tempo per evitare una nuova edizione aggiornata a questo secolo. A meno di continuare a far finta di nulla, mentre il campo della politica ingiallisce e nelle praterie dell’antipolitica crepitano le fiamme”

(Lucio Caracciolo, “L’Europa della paura e i politici sonnambuli”, in: la Repubblica 17 giugno 2016).

La seconda considerazione di Diario (16 febbraio 2016) diceva:

“due debolezze sono a confronto, una Gran Bretagna alle prese con i suoi specifici conflitti ideologico-culturali e sociali, che scarica il tutto su una Unione Europea perennemente a metà del guado di un processo di integrazione mai compiuto; sul cui percorso di completamento annaspa e non riesce a trovare una strategia comune e condivisa. Si chiede Etienne Davignon: “ La domanda è: dovremmo ripensare a un nuovo giuramento? Io credo che sia arrivato il momento di farlo”.

Sì, è giunto il momento di nuovamente compromettersi con l’unico futuro possibile per il continente europeo. La sua Unità. Ma, quale? Come? Con chi?

Mentre attendevo l’esito del Referendum (anche per attenuare un poco l’ansia dell’attesa, mentre l’altalena dei risultati arrivavano dalle numerose circoscrizioni britanniche, con lenta ma, alla fine, con inesorabile determinazione ) mi sono “distratto” con la lettura dell’ultimo volume di Andrea Camilleri (“L’altro capo del filo”, maggio 2016), in compagnia del commissario Montalbano e mi sono imbattuto in questa inattesa e bella pagina:

“…il vrazzo di molo indove lui s’attrovava erano stati divisi in tante sezioni tutte transennate. Taliati da lontano, parivano ‘na specie di labirinto. Gli vinni logico pinsare che erano meglio ‘sti transenne mobili chiuttosto che mura e filo spinato come stavano pinsanno di fari tanti paesi europei”. Poi, in compagnia della sua solitudine, diresse la sua parola al vicino: “Chi pensi tu dell’Europa? spiò al grancio che dallo scoglio allato lo stava a taliare. Il grancio non gli arrispunnì. “Prifirisci non compromittiriti? Allura mi compromitto io. Io penso che dopo il granni sogno di ‘st’Europa unita, avemo fatto tutto il possibili e l’impossibili per distruggerinni le fondamenta stisse. Avemo mannato a catafottirisi la storia, la politica, l’economia ‘ncomuni. L’unica cosa che forsi restava ‘ntatta era l’idea di paci. Pirchì doppo avirinni ammazzati per secoli l’uni con l’autri non nni potivamo cchiù. Ma ora ce lo semu scordati, epperciò stamo attrovanno la bella scusa di ‘sti migranti per rimittiri vecchi e novi confini coi fili spinati. Dicino che tra ‘sti migranti s’ammucciano i terroristi ‘nveci di diri che ‘sti povirazzi scappano dai terroristi’. Il grancio che non voliva esprimiri la so pinioni prifirì sciddricari nell’acqua e scompariri” (p. 85).

Improvvisamente, questa lettura mi è parsa una sorta di parabola di questa Europa incerta, indefinita, contraddittoria. E l’urgenza di una assunzione di responsabilità piena, definitiva, da parte di individui, popoli e Stati mi è parsa essere la risposta necessaria alla ‘campana che suona’.
I cittadini e le cittadine della Gran Bretagna si sono, dunque, espressi. I paesi membri della Unione sono ora 27. Il Regno Unito è un Paese “terzo”. (Se le diverse componenti dei “popoli britannici” – ad esempio la Scozia, ma anche la Irlanda del Nord – non condivideranno questo approdo, dovranno trovare il modo di dirlo. Ci vorrà del tempo. Molto tempo. Mentre non c’è più tempo per tergiversare sulle conseguenze del Referendum).

“Out is out”. Ventisette Paesi membri della Unione conoscono bene i capisaldi dei Trattati: nelle prossime ore (non mesi e neppure settimane di stanche discussioni o inattuali negoziati) il Governo della Gran Bretagna dovrà formalizzare al Consiglio Europeo (dove tutti i 27 Paesi membri sono presenti) la loro richiesta di recesso. “Tertium non datur”.

Le attese dei popoli europei – convinti membri di questa Unione – e il compito dei Governi degli Stati membri di questa Unione richiedono una piena e consapevole assunzione di responsabilità nel delineare il destino della integrazione europea.
Subito, a partire da queste ore, possiamo e dobbiamo, dunque, riprendere il cammino della integrazione, approfondendo l’unico percorso utile per tutti i Paesi e per tutti i popoli europei: quello di una “integrazione differenziata ed univoca”, nel quadro comune di una Europa unita, voluta e tenacemente promossa da tutti i membri della Unione.
Ripensare a “un nuovo giuramento” ( a cui ci invitava Etienne Davignon, uno dei padri della costruzione europea) non significa inerpicarsi per sentieri di sogno indeterminato.

Utilizzando l’attuale “Trattato sull’ Unione europea”, da una parte, si tratta di proseguire il percorso della integrazione dei Paesi che non hanno adottato la moneta unica, intensificando la integrazione delle politiche comuni necessarie ed adeguate alla complessità dell’essere liberi e forti nella vastità e complessità del mondo globale ed interconnesso. Dal mercato unico, al digitale, all’innovazione tecnologica, ad una nuova fase di industrializzazione, alla comune sicurezza dei nostri popoli.

La consapevolezza che deve animare questa importante componente della Unione è che – anche se al di fuori della zona euro e della integrazione politica – il mero “mercato unico”, non può bastare a dare ai propri popoli una certezza di stabilità nel mondo globale. Un soloesempio. In tema di lotta al crimine organizzato, la strada più efficace è rappresentata da accordi multilaterali e non bilaterali. Si pensi alla minaccia del terrorismo. Si pensi ai crimini economici. Si pensi al traffico degli esseri umani. Tutte queste attività criminose passano attraverso infrastrutture illegali che hanno diramazioni in ogni singolo paese. E’ possibile combattere da soli? Occorrono infrastrutture di “intelligence” per condividere informazioni, con paesi amici, dunque con l’Europa unita. Occorre che i criminali siano inseguiti, arrestati e processati oltre le singole giurisdizioni di competenza. Dunque abbiamo bisogno di una stabile, fiducia e di istituzioni comuni, europei. La conclusione è che il solo “mercato comune delle merci” non basterà ai Paesi che pure scelgono un modello di integrazione non-politica.

Nello stesso tempo, i Paesi che hanno adottato la moneta unica – senza subire sospetti e neppure tentativi di invasioni di campo – devono poter procedere ancora più speditamente verso il completamento della Unione economica e monetaria e la costruzione di una Unione Politica. Necessaria , indispensabile per sostenere l’impegno di una moneta unica, di fronte a mercati mondiali: delle merci, delle monete e delle istituzioni globali connesse.
L’impatto positivo di questa più intensa integrazione (“cooperazione rafforzata”, dice l’attuale Trattato) dei Paesi “euro” si estenderà certamente anche verso i Paesi, non Euro, membri della stessa, unica Unione europea. Ecco alcuni esempi di una “integrazione differenziata” dentro una condivisa scelta di Unione Europea, con le sue Istituzioni, ancora meglio e di più, democratiche di quelle vigenti nel modello di governance attuale, tutta da ripensare.

Molte, e altre, fasi dovrà affrontare questo percorso di Unità Europea.

“Il grande errore della mia generazione – ha dichiarato Bernard-Hery Lévy, in un recente dibattito a più voci – è stato credere che l’Europa fosse fatta, che fosse un lavoro finito, che fosse iscritta nel senso della Storia e che qualunque cosa fosse accaduta, sarebbe rimasta e andata avanti. Non è così”

(cfr. “Il Corriere della sera, 20 giugno 2016).

Appartengo a quella generazione; quell’errore mi appartiene. Imparo giorno per giorno, perciò, la lezione, affinché questa Europa, diversificata e unita, possa e debba incontrare e fare la Storia. E’ l’unico modo per vivere il presente non da “sonnambuli”




Elezioni amministrative 2016. Quale cambiamento?

Sala-consiliareSe 771 mila romani su un milione e 147 mila elettori, che consegnano una scheda votata validamente, decidono di affidare l’amministrazione del Campidoglio ad una esponente del M5S, significa che qualcosa di molto profondo pervade la società. E non riguarda solo Roma ma l’intero Paese. È vero, a Roma c’è stato lo scandalo di Mafia Capitale e il fallimento della giunta Marino. Ma da soli, questi elementi non bastano a spiegare quanto è avvenuto.  Già nel 2013 si erano manifestate le avvisaglie del ciclone. Non era mai accaduto che una forza politica alla prima esperienza elettorale raggiungesse il 25,5 per cento dei voti. Un consenso uniforme su tutto il territorio nazionale e proveniente da elettori di destra e di sinistra, da comuni ricchi e da quelli poveri, dalle grandi città e dai centri più piccoli e rurali. Un consenso proveniente dai giovani in misura maggiore rispetto al Pd e al Pdl che non a caso persero meno dove c’erano più vecchi. Al successo del M5S corrispose la scomparsa dei partiti identitari della Prima Repubblica e il serio ridimensionamento dei principali partiti sorti nella Seconda.

Poi è arrivato Matteo Renzi con le riforme istituzionali più alcune misure innovative sul terreno socioeconomico, messe a punto dal suo governo. E si è ravvivata la speranza. Già alle europee del 2014 sembrava che il PD avesse ripreso il suo percorso di cambiamento. Ma era un abbaglio. Era il canto del cigno. Qualcosa di molto simile a quanto capitato al PCI in occasione delle elezioni europee del 1984 sull’onda emotiva della morte improvvisa di Enrico Berlinguer. Non c’è da meravigliarsi se fino a qualche decennio fa i partiti duravano settanta anni e oggi meno di dieci.

Cosa non ha funzionato?

Il cambiamento ha bisogno di facce nuove e di politiche nuove che nascono da processi sociali che partono concretamente dalle comunità territori. Altrimenti l’elettorato s’accontenta delle facce nuove e non bada alle proposte. Non già perché sono di destra o di sinistra, ma perché non le avvertono come qualcosa che nasce nel dialogo che le comunità territori organizzano e orientano. Una politica è giusta non perché è astrattamente razionale ma perché nasce da esigenze reali. E tali esigenze devono essere lette con idonei strumenti. Una politica è giusta se viene sperimentata e monitorata socialmente, organizzando in modo scientifico l’analisi dei suoi impatti sociali con il coinvolgimento sistematico delle comunità territori.

Abbiamo imparato sulla nostra pelle che la giustizia sociale non è frutto di una teoria ma di un metodo. E il metodo è l’organizzazione dell’analisi sociale con la partecipazione democratica delle comunità territori. È per questo che i partiti e le organizzazioni di rappresentanza non hanno più senso se restano come sono. E la gente li percepisce e sempre più li percepirà come un intralcio e una zavorra.

Queste strutture nascono con la società di massa quando erroneamente si pensava che la giustizia sociale fosse frutto di una teoria o di un’ideologia e che le soluzioni derivassero da una razionale applicazione di ricette astrattamente e collettivamente elaborate sulla base di un progetto organico di società. Ma oggi anche la politica e non solo la sfera religiosa è stata inondata da una inarrestabile secolarizzazione e laicizzazione. Restano evidentemente i valori di libertà e di eguaglianza ad orientare l’approccio ai problemi. Ma questi sono appunto semplicemente dei valori che ci caricano e motivano sul piano etico ma non ci offrono in sé alcuna soluzione ai problemi. Da ricercare, invece, laicamente, con il dialogo paziente e l’ascolto reciproco.

Cosa cambiare allora?

Intanto, bisogna completare alcuni cambiamenti già avviati, scongiurando ripensamenti e arretramenti che ci farebbero tornare indietro. La riforma costituzionale va, dunque, confermata al referendum perché è attesa da decenni. Essa chiude la fase dell’instabilità dei governi e apre quella di una democrazia decidente, che si può realizzare solo rendendo più efficaci le funzioni dell’esecutivo e quelle legislative e di controllo del Parlamento. È bene semplificare il percorso per fare le leggi, superando il bicameralismo paritario che è causa di lentezze ingiustificabili. E poi non se ne può più dell’eterno conflitto tra Stato e Regioni che ritarda ogni decisione importante per i cittadini. È giusto, dunque, eliminare le competenze concorrenti tra Stato e Regioni e dare dignità costituzionale alle autonomie con il nuovo Senato.

Inoltre, i risultati elettorali dimostrano che il sistema maggioritario permette effettivamente il cambiamento – almeno quello che si realizza con l’alternanza di facce nuove – e non è affatto un modello che perpetua le rendite di posizione e il potere di chi già ce l’ha. La riforma costituzionale e l’Italicum, dunque, non sono affatto l’anticamera del fascismo ma costituiscono opportunità concrete per ricambiare i gruppi dirigenti del Paese.

Tuttavia, il cambiamento non è soltanto governabilità e facce nuove. È anche fatto di politiche nuove che permettano ai cittadini di migliorare le proprie condizioni di vita. E dunque si parta dalla sussidiarietà nei rapporti tra cittadino e istituzioni e tra i diversi livelli istituzionali, principio quest’ultimo introdotto nella riforma costituzionale del 2001 e non ancora attuato. Si dia all’individuo la possibilità di levarsi la veste di suddito e indossare quella di cittadino e così edificare da protagonista, dal basso e con vero spirito federalista, insieme agli altri cittadini, un’articolazione variegata degli istituti della democrazia, dalla comunità autogovernata di strada e di quartiere in cui vive e dal diversificato tessuto della società civile in cui opera al municipio metropolitano che deve poter acquisire la dignità di Comune, dal Comune piccolo o grande che deve volontariamente associarsi con altri per gestire funzioni complesse, alla Regione che deve dismettere improprie funzioni di gestione ed esercitare solo quelle di programmazione, dallo Stato che deve acquisire efficienza, semplicità e capacità di orientamento agli Stati Uniti d’Europa la cui utopia rimane, per ciascun europeo, la prospettiva concreta e realistica affinché si realizzi finalmente lo “status” di cittadino del mondo.

Ma queste proposte resteranno bei proponimenti senza alcuna possibilità di realizzazione, se non si introducono nel dibattito pubblico due riforme da fare urgentemente: quella dei partiti e quella delle organizzazioni di rappresentanza degli interessi, che oggi costituiscono un blocco all’innovazione. I partiti devono diventare, con un’apposita legge, case di vetro capaci di accogliere tutti coloro che ne condividono programmi e regole. E le organizzazioni di rappresentanza degli interessi non devono temere che una legge dello Stato le regolamenti come lobby. Finendola una volta per tutte con la pretesa di rappresentare, contestualmente, interessi particolari di una categoria o di un gruppo e un interesse generale che inevitabilmente può entrare in conflitto con le esigenze di una cerchia ristretta di persone. C’è già il Terzo Settore che, con la riforma appena varata, dovrà mettere insieme e sviluppare esclusivamente le forme associative che sono tenute a svolgere – costituzionalmente – attività di interesse generale. I partiti, invece, sono per definizione delle parzialità che devono formare nuovi gruppi dirigenti da lanciare nelle consultazioni elettorali e devono saper intercettare i bisogni sociali delle comunità territori per elaborare politiche efficaci. Le lobby, a loro volta, devono dichiarare con precisione gli interessi che rappresentano e intendono tutelare, le risorse che utilizzano per farlo e sottoporsi a procedure trasparenti nel loro rapporto con le istituzioni. Nel frattempo, sia gli uni che le altre potrebbero autoriformarsi e contribuire spontaneamente al cambiamento. Altrimenti si prospetterà inevitabilmente per loro un destino di irrilevanza e marginalità. E la società civile, con le sue immense e vivide risorse, operanti spesso nel silenzio senza ricercare visibilità e contropartite, si abituerà a farne a meno e inventerà altre forme per supplirne le funzioni.

Fonte : afonsopascale.it apri l’articolo originale



Il piano periferie di Renzi: prestiti ai condomini

Un fondo pubblico per ristrutturarli. I soldi restituiti a rate in bolletta.
Tornare ai fasti di Petroselli – il sindaco comunista che diede una casa a molti romani a cavallo fra i Settanta e gli Ottanta – è impossibile. Altri tempi, altri numeri. Fu lui a volere Tor Bella Monaca, il quartiere che oggi simboleggia il degrado di Roma e che allora apparve come un sogno realizzato. I numeri bulgari conquistati lì dai Cinque Stelle e in altri quartieri popolari delle grandi città hanno però messo in allarme il governo. Oggi stesso al ministero del Tesoro ci sarà una riunione di Padoan con la sua squadra per analizzare i risultati e iniziare a ragionare seriamente della prossima legge di Stabilità. C’è da scommettere che le ragioni di chi punta a nuovi sgravi alle famiglie rispetto a quelli promessi alle imprese (Renzi è il primo a pensarla così) avranno più orecchie attente di qualche giorno fa. La tentazione di far prevalere scelte di impatto mediatico su quelle capaci di cambiare in profondità la struttura dell’economia italiana sarà sempre più forte. In ogni caso, a meno di andare allo scontro con la Commissione europea, per il governo non sarà facile far quadrare i conti. Come dimostra la discussione sul prestito pensionistico, oggi le ipotesi più gettonate sono le meno costose per il bilancio pubblico. Oppure deve trattarsi di misure capaci di stimolare la domanda interna: la più avanzata, già valutata tecnicamente da Tesoro e Palazzo Chigi prima delle elezioni, riguarda proprio la cura delle grandi periferie.

Il punto di partenza è uno sconto fiscale in vigore. Oggi chi vuole ristrutturare il condominio o installare pannelli solari può contare su un bonus piuttosto forte: del 55 per cento nel primo caso, addirittura del 65 nel secondo. Tutte le spese sostenute fino al limite dei 96 mila euro sono detraibili per ben dieci anni. Di qui il boom dei lavori negli appartamenti e nelle palazzine. Ma per quanto lo sconto sia alto, chi deve mandare avanti una famiglia con meno di mille euro al mese non è in grado di sostenere alcuna spesa straordinaria. L’idea è quella di applicare il meccanismo su larga scala per chi ha un reddito molto basso, soprattutto al di sotto degli ottomila euro all’anno, la soglia sotto la quale non si paga nemmeno l’Irpef.

Immaginate una grande palazzina in cattive condizioni, i cui condomini siano d’accordo per ritinteggiare le scale, la facciata, e magari anche risparmiare sulle bollette con l’installazione di pannelli fotovoltaici. L’amministratore si rivolge ad un fondo pubblico, il quale si incarica di sostenere le spese in vece dei singoli proprietari. Al fondo andrà il vantaggio fiscale che oggi è riconosciuto a ciascun privato. Il pagamento dei lavori veri e propri avverrebbe attraverso la bolletta energetica dei condomini, la quale beneficerebbe in ogni caso di una riduzione dei costi per via dei pannelli fotovoltaici. Il piano è già stato studiato con l’Enea, e prevede il coinvolgimento della Cassa depositi e prestiti, presso la quale verrebbe costituito il fondo. I dettagli sono ancora da mettere a punto: potrebbe essere costituito presso Cdp immobiliare, o ad hoc. «In ogni caso sarà uno strumento virtuoso dai costi contenuti per lo Stato», dice il viceministro Enrico Morando. «Il vantaggio può essere esponenziale: per il settore edilizio, per quello dell’energia, e di sostegno alla ripresa dei prezzi immobiliari. Vivere in un appartamento in una palazzina ristrutturata e resa più efficiente è un vantaggio anzitutto per chi li possiede». Per risolvere i problemi di Tor Bella Monaca o delle Vallette non basta certo la tinteggiatura dei palazzi. Le periferie non sono tutte uguali: più si scende a Sud, più è facile che sommino degrado urbano a degrado sociale. Altri strumenti nel frattempo stanno prendendo il via, come il fondo per la povertà educativa finanziato con il sostegno delle Fondazioni bancarie. Piccoli passi per ritrovare il consenso perduto.

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Torino e Roma, la politica nelle periferie

La campagna elettorale appena conclusa sarà ricordata per una parola: periferie. Cerchiamo di capire quanto sono importanti.

In questa campagna elettorale, la parola più utilizzata – a volte correttamente, a volte a sproposito – è stata periferie. Proprio nelle periferie il peso degli elettori si è rivelato decisivo per cambiare gli equilibri politici delle principali città italiane, soprattutto Roma e Torino. Ci sono due mappe molto interessanti realizzate da You Trend, dalle quali partiremo nella nostra analisi.
Virginia Raggi (wikimedia.org)

Virginia Raggi (wikimedia.org)
Roma, un monte innevato.

La prima, quella forse più ovvia dato il risultato finale, sembra un monte, dove le periferie rappresentano le pendici che salgono verso una punta innevata. Le “scure” periferie hanno votato la candidata del Movimento 5 Stelle, Virginia Raggi, per oltre il 60% (e anche fino al 79%). Al centro, invece, il divario con Roberto Giachetti, candidato del Partito Democratico, è stato più stretto ma comunque a vantaggio della Raggi, che ha trionfato al ballottaggio con il 67,15%. Oramai, purtroppo, constatiamo una scarsa affluenza alle urne. Roma ha di poco superato il 50% (per la precisione 50,15%), e in diverse municipalità si è scesi ampiamente sotto, come ad esempio nella 15, che ha toccato il 44,46%.
Le due Torino.

Diverso il discorso di Torino che, per certi aspetti, appare ancora più illuminante. Nella mappa di You Trend la città appare spaccata in due. Le periferie hanno votato per la pentastellata Chiara Appendino (c’è anche una mappa realizzata da Sky, ancora più dettagliata). A queste zone si aggiungono anche quartieri più “giovani” e multiculturali come Borgo Rossini e Vanchiglietta. Al contrario, zone come La Crocetta, San Salvario e in generale il centro e la collina hanno scelto il sindaco uscente PD, Piero Fassino.
Il dato dell’astensione, comunque migliore della Capitale, è pesante. Sebbene sia uniforme in tutte le zone della città, quasi un cittadino su due non è andato a votare (54,41% è l’affluenza finale). A poco valgono le indignazioni e gli attacchi verso chi non vota: sono cittadini anche quelli che non votano, e se quelli che non votano sono in tanti significa che c’è un problema politico, non ci vuole molto a capirlo. Per lo stesso motivo, considerare “voti di serie B” quelli del «centrodestra che ha votato 5 stelle» significa non voler ascoltare l’elettorato.
Chiara Appendino (chiaraappendino.it)

Chiara Appendino (chiaraappendino.it)
Le periferie hanno votato un po’ di più.

Sempre per restare attaccati ai numeri, emerge come nei quartieri in cui si è votato di più si siano imposte Raggi e Appendino. A Roma, dove Virginia Raggi ha prevalso ovunque, nelle municipalità 1 e 2 l’affluenza media è stata del 48,2%, qui la nuova sindaca ha ottenuto meno consensi. Nelle municipalità 6 e 10, dove ha stravinto, l’affluenza è stata del 49,83%.

Molto più interessante, invece, il dato di Torino. L’unica circoscrizione in cui Fassino ha vinto (superando il 59% dei consensi), cioè la 1 (Torino Centro), è anche quella dove si è votato di meno, con un’affluenza del 51,2%. In tutte le altre, dove Chiara Appendino ha prevalso con un picco del 64,76% nella Circoscrizione 5, l’affluenza è stata sempre superiore al 52%, con una media del 54,6%. Dove si è votato di più, si è scelto di mandare a casa Fassino. In generale, sono state le periferie ad alzare l’affluenza, premendo per il cambio di rotta, pur mantenendo una fiacca corsa alle urne.
Quanto contano le periferie.

Almeno nelle grandi città, si registra la netta risalita dell’importanza politica delle periferie. Eppure non è un concetto nuovo. Basta guardare le cronache degli ultimi anni per capire che le periferie sono il luogo in cui si misura la forza istituzionale di una città, quando non addirittura dello Stato.

Qualche anno fa, Torino visse una sorta di pogrom contro alcuni nomadi in zona Vallette, scaturito da un’aggressione poi rivelatasi inventata. Negli scorsi giorni, invece, in zona Falchera sono state sgomberate alcune famiglie in emergenza abitativa che occupavano appartamenti vuoti. Emergenza ancora più forte a Roma, dove sono frequenti gli sgomberi e la città è salita alla ribalta delle cronache, negli ultimi anni, per gli scontri “tra poveri”, cioè tra abitanti delle periferie – fortemente provati da crisi e disoccupazione – e stranieri (come, ad esempio, i fatti di Tor Sapienza).

Si tratta di zone dove il conflitto sociale è acuito dalle difficoltà economiche. Qui la politica deve (doveva) intervenire al più presto, la sua assenza (ricordata da Diego Novelli) ha contribuito ad allargare il divario tra “poveri” e “ricchi”, fino a registrare addirittura differenze di salute. Lo studio del professor Giuseppe Costa, epidemiologo dell’Università di Torino, pubblicato sul «Venerdì» di Repubblica, ha evidenziato un divario nell’aspettativa di vita: più bassa alle Vallette (77,8 anni), più alta in collina (82,1).ù
La retorica dell’aiuto.

Il rischio, ora, è che la “riscoperta” delle periferie, citate da tutti i candidati nelle città più grandi (anche Sala, appena eletto sindaco di Milano con il centrosinistra, ne ha parlato), diventi lo studio di un fenomeno folkloristico, nella stucchevole logica delle «periferie che vanno aiutate». Ebbene no, le periferie delle grandi città non vanno «aiutate», vanno «incluse», quindi coinvolte in politiche di integrazione, sviluppo e riqualificazione. Dove, precisiamo, riqualificazione non può coincidere soltanto con la costruzione di nuovi centri commerciali e grandi stradoni. Vanno sostenute le iniziative culturali, senza “imporle” dal centro, perché le energie ci sono, vanno bensì ascoltate. Basti pensare – tanto per fare due esempi torinesi – a Barriera di Milano o a Mirafiori, dove le iniziative sono variegate e stimolanti.

Il rapporto con le periferie, per Virginia Raggi, Chiara Appendino e tutti gli altri, sarà la vera sfida. Chi perderà le periferie, lo abbiamo visto, perderà la città, allontanando i cittadini dalla politica e dalle istituzioni. Qui si gioca il futuro delle metropoli e non è una scoperta di due giorni fa.

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Vinta la battaglia ora bisogna vincere la guerra

La guerra che ora la nuova amministrazione deve vincere a Roma è impegnativa e risolutiva.
Lo richiede una città da troppo tempo senza una direzione e un progetto.
La vittoria che tutte le periferie hanno consegnato al nuovo sindaco conferma che la partita da giocare è lì.
Se si apriranno finalmente i cantieri della rigenerazione
se si apriranno davvero i cantieri della mobilità sostenibile
se si apriranno velocemente i cantieri del decoro, della sicurezza e della legalità in tutti i territori
allora a Roma avrà vinto la speranza.




Anche noi ogni giorno, sotto il cielo di Roma

Sotto i cieli di Roma, sotto quella parte di cielo che sta sopra la nostra città, ci sono – unitamente ai promotori di questa iniziativa – altri mondi che, pur non godendo della grande ribalta, vivono/agiscono per il Bene comune e per affermare che democrazia, convivenza e progresso passano per una collettiva, e non elitaria, crescita culturale.

Si tratta di migliaia di operatori culturali, di associazioni, di piccoli teatri, di scrittori, attori, operatori dello spettacolo, musicisti, artisti che anche nelle periferie dimenticate, lavorano a fianco del disagio e dell’abbandono delle regole della civile convivenza. Persone che, ogni giorno, affermano l’esigenza di vivere (come scrivono i promotori di Sotto i cieli di Roma) in “…una città piena di energie creative e di bellezza, pronta a riprendersi il suo prestigio e di rispecchiarsi nella trasparenza dei suoi cieli”.

Da questi mondi – che spesso lavorano ignorati dai più e dalla Pubblica amministrazione – provengono diversi operatori che hanno “messo la faccia” durante la campagna elettorale chiedendo ai candidati sindaci di essere ascoltati e proponendo – in diverse occasioni – la loro visione di Roma come comunità accogliente, aperta, educativa, partecipata, delle opportunità per tutti, del lavoro, delle arti e della cultura. Una città nella quale i primi (e anche i secondi) siano in grado di vedere gli ultimi (e anche i penultimi).

La dignità della Capitale passa attraverso la rigenerazione urbana e un ritrovato senso di appartenenza: civis romanus sum!

Troppe periferie e anche zone semicentrali in degrado.

Teatri, cinema, luoghi dell’espressività musicale e artistica chiusi o abbandonati.

Troppi quartieri senza un luogo culturale ed aggregativo. Spesso rimangono solo i centri commerciali!

Roma deve essere la città delle culture diffuse! Solo per questa via si formano partecipazione e pubblico potenziale. Le grandi istituzioni culturali, i grandi teatri, gli artisti più noti debbono essere interessati allo sviluppo di un tessuto socio-culturale che riconnetta la città disgregata nella quale, sempre più spesso, purtroppo, l’ignoranza diventa status e l’isolamento scelta obbligata.

Questo lo abbiamo detto e scritto durante la campagna elettorale e continueremo ad affermarlo – operativamente – ogni giorno. Non siamo di passaggio.

Occorre riconoscere alle attività culturali i benefici sociali generati in termini di comunità, di prevenzione dei disagi e di ricostruzione del tessuto connettivo tra cittadini e Istituzioni. Questo riconoscimento deve passare non favoritismi clientelari o bandi malscritti e per pochi “fortunati”, ma per la concessione agli operatori culturali (tutti dai primi agli ultimi) di una serie di beni e servizi (comunicazione, Ama, energia, canoni agevolati…).

Sotto questa fetta di cielo romano vogliamo la città dello Star Bene che ha bisogno non di sfratti ma di Presìdi culturali nelle periferie e in tutta la città; dunque – insieme ai grandi teatri e alle Istituzioni culturali che debbono continuare a vivere e a svilupparsi per affermare che Roma è una grande Capitale – occorrono spazi formativi, sociali e culturali aperti ai cittadini, alle associazioni, agli artisti, ai musicisti, agli attori e ai danzatori come volano dello sviluppo economico, delle rigenerazioni urbane e della Ricostruzione del rapporto tra cittadini e Amministrazione.

Per questo aderiamo alla manifestazione con la disponibilità a portare la nostra testimonianza.

Da soli nessuno ce la fa!

Corviale domani per il coordinamento di associazioni aderenti all’appello

ADESIONI

PINO GALEOTA

GINO AURIUSO

TONINO TOSTO

FRANCESCA SERPE

STEFANO MARTINI

ANDREA MASALA

TITTI CERRONE

MARCO IELPO

SUSY SERGIACOMO

FLAVIA DI DOMENICO

FRANCESCA D’ATENA

MARIA ELENA LAZZAROTTO

MONICA MELANI

FILIPPO NANNI

MARIO DE CHIARA

GIANNI PALUMBO

TOMMASO CAPEZZONE

MASSIMO VALLATI

DANILO PACE

RENATO MASTROSANTI

ELEONORA TOSTO

SANDRO ZIONI

AUGUSTO PASCUCCI

MARCO MARINELLI

TONI COSENZA

BRUNO ALLER

MARISA FACCHINETTI

ALESSANDRO FORNACI

NADIA FACCHIELLI

GIANLUCA CASADEI

FRANCESCO MAZZEO

PAOLO INNARELLA

NANDO CITARELLA

EMILIO GENAZZINI

altri cinquanta firmatari in rappresentanza di (Arci, Corviale domani, AGCI, Forum Terzo settore Lazio, UNIAT, Abraxa Teatro, FEDITART, FEDIM, Scuola di musica Najma, Cantieri Rubattino, CESV, Scuola di musica Alessandrino, Palco Comune, Associazione culturale Torpignattara, Centro d’arte Il Mitreo di Corviale, Associazione Strada facendo, Associazioni scrittori Entroterra, Associazione scrittori La città delle stelle, Università Popolare di Roma…)