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Periferie, una Commissione di inchiesta valuterà il degrado delle città.

Un anno di tempo per lo studio di struttura urbanistica, trasporto urbano, scuole, impianti produttivi e sportivi e per l’invio di proposte di intervento.
Lo stato delle periferie e le condizioni di degrado delle città saranno esaminate da una Commissione parlamentare di inchiesta. La Commissione, istituita con una delibera della Camera dei Deputati, pubblicata in Gazzetta Ufficiale, avrà un anno di tempo per un lavoro articolato in tre fasi.

Periferie e Commissione parlamentare di inchiesta
Nella prima fase la Commissione parlamentare di inchiesta condurrà una indagine sui potenziali fattori di disagio. Saranno passate in rassegna la struttura urbanistica dei quartieri, la presenza di infrastrutture di trasporto e le condizioni della mobilità urbana. Verranno valutati anche la composizione sociale degli abitanti, la presenza di attività produttive, di lavoro sommerso o precario, la situazione dei giovani e la distribuzione di strutture collettive, come scuole, presidi sanitari e impianti sportivi.

Si passerà quindi alla seconda fase in cui la Commissione ascolterà le proposte di associazioni e organizzazioni operanti sul territorio.

Nella terza e ultima fase la Commissione inoltrerà alla Camera proposte di intervento, anche di carattere normativo.

Per lo svolgimento di questo lavoro sono previsti dodici mesi. Alle attività parteciperanno 20 deputati che saranno nominati dal Presidente della Camera. Al funzionamento della Commissione sono stati destinati 50mila euro.

delibera

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Profughi a Capalbio? Stanno meglio nelle “periferie xenofobe”

L’antico adagio “mal comune mezzo gaudio” sarebbe un titolo perfetto per questa estate, dove i poveri e i ricchi si sono ritrovati finalmente uniti da un problema comune: i migranti.

È difficile, purtroppo, non fare ironia su questa simpatia che sboccia tra la cause anti-migranti, portate avanti degli abitanti del quartiere residenziale di Monteverde a Roma o del borgo esclusivo di Capalbio, e quelle dei loro cugini lontani del quartiere popolare di Tor Sapienza.

Non a caso, nulla come la vignetta di Mauro Bani, racconta di un mondo – direi ormai un gruppo sparuto – impreparato alla realtà, prima ancora che ai migranti. Nel “mi hai svegliato cazzo, stavo sognando per te un mondo migliore”, l’intellettuale di Capalbio rivolgendosi al “vucumprà, prende corpo quella lontananza della “classe pensante” dai problemi reali delle persone che, spesso, devono pensare a sopravvivere nel presente. La lotta per la sopravvivenza di chi è costretto al doppio lavoro per dare da magiare ai figli, rende la gente di Tor Sapienza più simile a chi ha attraversato il deserto e il mare.

Solo un anno fa le periferie romane bruciavano di rabbia e disperazione. I media proponevano le scene della guerriglia nelle strade, i minori portati via da Via Morandi e i migranti “evacuati” di notte scortati dalla polizia, stipati su un autobus dell’Atac mentre l’allora Assessora F. Danese cercava una sistemazione “segreta”.

Ricorderete i cori unanimi che bollavano le periferie xenofobe, tutti pronti a tacciare di razzismo la gente esasperata dalla prospettiva di dover ridividere lo zero per zero. Zero asili, zero illuminazione pubblica, zero polizia, zero trasporti, zero servizi sanitari e zero lavoro. Gli “intellettuali” lanciavano accuse di razzismo, nel frattempo i razzisti – quelli veri – cavalcavano la situazione, sbattendo in faccia a padri disoccupati i famosi 35 euro al giorno dati per ogni migrante.

A nessuno fece comodo però parlare di giustizia sociale, di risorse, di equità e di distribuzione e, portati via un centinaio di migranti, nulla è cambiato. Così, sono dapprima terminate le poche risorse e dopo sono finiti anche gli spazi e, in un inarrestabile trend in un cui sono le periferie ad aumentare e non i quartieri “buoni”, ecco arrivare i migranti a Monteverde e a Capalbio.

E, appena si pensava che finalmente gli abitanti di Monteverde, Capalbio e Tor Sapienza avessero le stesse responsabilità morali e sostanziali nell’accoglienza, le denunce alla Asl, i ricorsi al Tar e i pareri qualificati di sociologi, ambientalisti, economisti, storici dell’arte e altri, hanno sollevato il sospetto che il bello è molto meglio che resti per pochi e che è necessario conciliare l’obbligo morale dell’accoglienza con il fatto che questa avvenga solo dove non c’è niente da distribuire. A un tavolino del bar suonerebbe tipo così: “non dovete tornare a casa vostra ma neppure venire vicino alle nostre”.

È evidente il problema della distribuzione delle risorse nel nostro paese che però, si chiama “razzismo” solo quando incendiano i cassonetti in borgata, e non quando protestiamo perché la villa vicino alla nostra viene abitata da un gruppo di migranti.

Forse è anche vero che la politica migratoria e dell’accoglienza ha molte falle, che sarebbe urgente sanare, e concordo con Chicco Testa quando dice che giovani di 20 anni che arrivano in Italia, devono poter lavorare e non restare in un limbo basato su una normativa spesso assistenzialista che, in nessun paese, ha mai aiutato né autoctoni né migranti. Concordo meno quando questo vale solo per “gli stranieri” che vengono a Capalbio perché la lingua, l’istruzione, l’accesso ai servizi e il lavoro sono strumenti di emancipazione per chiunque, e andrebbero distribuiti in modo equo.

Sono certo che questa “scossa” estiva ci farà finalmente chiedere se non sia il caso che l’Italia “che sta meglio” condivida spazi luoghi e risorse con un’accoglienza equamente distribuita tra i Parioli e Tor Bella Monaca.

Intanto lasciamo che l’Italia che accoglie continui a essere quella degli operai, dei disoccupati e dei precari delle “periferie xenofobe” perché i migranti, la disperazione e la morte sono roba per gente di tutti i giorni, gente che sa vivere con zero ed è capace ancora a far mangiare tre figli con un solo stipendio.

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Dal vuoto urbano nasce l’«Espace imaginaire»

Saint Denis, dove i cittadini ripensano il quartiere.
A Saint Denis, comune della periferia nord di Parigi ci si chiedeva cosa fare dei 5 mila metri quadri di vuoto urbano fino ad un anno fa occupati da un palazzone poi demolito. La risposta è stata l’Espace imaginaire, un progetto pensato all’insegna della green economy e della partecipazione e realizzato per e con gli abitanti della cittadina. Un punto di incontro dove poter curare un orto urbano, partecipare ad attività ricreative – dai film ai laboratori di riciclo – mangiare prodotti a km zero, portare i propri bimbi a scoprire la magia della natura grazie ad uno spazio dedicato alla biodiversità. La regola dell’Espace imaginaire, inaugurato a giugno scorso, è non buttare via niente: tutti i materiali usati per la sua realizzazione sono stati recuperati dalle imprese locali e trasformati in loco. Lo scorso anno il comune di Saint Denis ha lanciato un bando per progetti temporanei che riguardassero quest’ampia porzione di territorio. A vincere la call sono state le associazioni Interazioni Urbane e Mains D’Oeuvres con il loro progetto partecipato e a rifiuti zero, che ha preso vita grazie al costante dialogo con i residenti, le associazioni attive sul territorio e i tanti lavoratori presenti nel quartiere. Nell’attesa di veder sorgere proprio lì il CNAM, il Conservatorio nazionale di arti e mestieri, quest’area sarà animata dall’Espace imaginaire per due anni. “Dopo una prima fase di mapping iniziata a gennaio scorso in cui sono emerse criticità e punti forti, abbiamo stabilito, sempre insieme agli abitanti, quali attività inserire su questo terreno. Da qui sono stati creati i laboratori di quartiere e per ogni progetto abbiamo formato un gruppo tematico che doveva occuparsi del suo sviluppo. La terza fase è stata quella del recupero dei materiali, infine quella dell’autocostruzione”, spiega a Corriere Sociale Lorenzo Fauvette, architetto e project manager di Interazioni urbane. Ad oggi, con i 13 mila euro previsti dal bando, che con le sovvenzioni dalla regione sono arrivati a 17 mila – sono stati creati uno spazio principale con quattro container, ognuno dedicato ad un’attività. C’è un bistrot a km zero alimentato in parte dai prodotti degli orti urbani, in parte dall’invenduto del mercato rionale lì accanto, il magazzino dove trovare gli strumenti da costruzione e un tavolo di lavoro, uno spazio polifunzionale dedicato alla proiezione dei film e ad altre attività culturali, fino al uno spazio dedicato alla biodiversità. Un modo per sensibilizzare i più piccoli a preservare la natura attraverso l’osservazione diretta di insetti e piccoli animali. Così i residenti si stanno riappropriando di uno spazio pieno di potenziale. “Saranno state oltre cento le persone coinvolte nel processo di realizzazione del progetto. Nella costruzione ci hanno aiutato molti abitanti, adulti e bambini, e poi senza tetto e rifugiati sia a Parigi che provenienti da Roma”. Perché oltre all’economia circolare, l’Espace imaginaire ha come punto forte l’inclusione sociale. Elemento senza il quale un quartiere, in qualsiasi città del mondo, sopravvive male.] A Saint Denis, comune della periferia nord di Parigi ci si chiedeva cosa fare dei 5 mila metri quadri di vuoto urbano fino ad un anno fa occupati da un palazzone poi demolito. La risposta è stata l’Espace imaginaire, un progetto pensato all’insegna della green economy e della partecipazione e realizzato per e con gli abitanti della cittadina.

Un punto di incontro dove poter curare un orto urbano, partecipare ad attività ricreative – dai film ai laboratori di riciclo – mangiare prodotti a km zero, portare i propri bimbi a scoprire la magia della natura grazie ad uno spazio dedicato alla biodiversità.

La regola dell’Espace imaginaire, inaugurato a giugno scorso, è non buttare via niente: tutti i materiali usati per la sua realizzazione sono stati recuperati dalle imprese locali e trasformati in loco.

Lo scorso anno il comune di Saint Denis ha lanciato un bando per progetti temporanei che riguardassero quest’ampia porzione di territorio. A vincere la call sono state le associazioni Interazioni Urbane e Mains D’Oeuvres con il loro progetto partecipato e a rifiuti zero, che ha preso vita grazie al costante dialogo con i residenti, le associazioni attive sul territorio e i tanti lavoratori presenti nel quartiere.

Nell’attesa di veder sorgere proprio lì il CNAM, il Conservatorio nazionale di arti e mestieri, quest’area sarà animata dall’Espace imaginaire per due anni.

“Dopo una prima fase di mapping iniziata a gennaio scorso in cui sono emerse criticità e punti forti, abbiamo stabilito, sempre insieme agli abitanti, quali attività inserire su questo terreno. Da qui sono stati creati i laboratori di quartiere e per ogni progetto abbiamo formato un gruppo tematico che doveva occuparsi del suo sviluppo. La terza fase è stata quella del recupero dei materiali, infine quella dell’autocostruzione”, spiega a Corriere Sociale Lorenzo Fauvette, architetto e project manager di Interazioni urbane.

Ad oggi, con i 13 mila euro previsti dal bando, che con le sovvenzioni dalla regione sono arrivati a 17 mila – sono stati creati uno spazio principale con quattro container, ognuno dedicato ad un’attività.

C’è un bistrot a km zero alimentato in parte dai prodotti degli orti urbani, in parte dall’invenduto del mercato rionale lì accanto, il magazzino dove trovare gli strumenti da costruzione e un tavolo di lavoro, uno spazio polifunzionale dedicato alla proiezione dei film e ad altre attività culturali, fino al uno spazio dedicato alla biodiversità.

Un modo per sensibilizzare i più piccoli a preservare la natura attraverso l’osservazione diretta di insetti e piccoli animali.

Così i residenti si stanno riappropriando di uno spazio pieno di potenziale.

“Saranno state oltre cento le persone coinvolte nel processo di realizzazione del progetto. Nella costruzione ci hanno aiutato molti abitanti, adulti e bambini, e poi senza tetto e rifugiati sia a Parigi che provenienti da Roma”.

Perché oltre all’economia circolare, l’Espace imaginaire ha come punto forte l’inclusione sociale. Elemento senza il quale un quartiere, in qualsiasi città del mondo, sopravvive male.

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La rabbia dei rapper di strada contro il degrado delle periferie

La voce dei rapper di strada denuncia, alza la voce, per urlare il degrado, lo spaccio, le periferie dimenticate. Sono i rapper milanesi dei muretti, quelli che non sono celebri e ricchi come Fedez o J-Ax, ma che sanno guardare e ascoltare. Maria Sorbi su Il Giornale li ha rintracciati e descrive nel modo che segue il loro mondo “Anni fa, quando J-Ax e Fedez non avevano ancora fatto il «salto», il ritrovo dei rapper milanesi era il Muretto di San Babila.

Oggi lì «ci sono solo i truzzi», dicono nelle crew, e Fedez vive in un attico a City Life. Ma loro, i rapper di strada, non hanno smesso di denunciare in rima. I muretti attorno a cui si trovano sono quelli scrostati delle periferie, da Baggio a Niguarda, quartiere da cui proviene Mondo Marcio. La rabbia è sempre la stessa.

Dopo un periodo di silenzio durato qualche anno, il rap milanese torna a fare la sua parte. E punta il dito contro. Contro la doppia velocità a cui va la città, contro il business della droga, contro le periferie dimenticate. E nei testi ingloba anche qualche novità: affronta il tema dell’immigrazione e usa lo spagnolo contaminato dei latinos e della pandillas. A volte con testi che funzionano, altre volte con scivolate un po’ troppo ingenue che scimmiottano in malo modo i rapper americani. L’urlo che si alza dai palazzoni tutti uguali dei quartieri del degrado si rinnova ma resta pungente e non risparmia nessuno, media compresi, accusandoli di parlare delle periferie solo ed esclusivamente per risse, spaccio e violenze.

Los Markinos scrive «Come a Quarto» e descrive Quarto Oggiaro parlando di «pochi ladri, tanti spacciatori, madri al cimitero con i fiori, collaboratori che fanno i nomi». Una sorta di Scampia milanese di cui però non vuole sentir parlar male. Da via dei Cinquecento Josh Mck reppa «Corvetto è»: «Corvetto è periferia, la vita marcia s’avvia, niente alta borghesia. La povertà, amici al campo, vu cumprà, municipale, finanza, è un tatuaggio permanente». Il rapper scrive anche un testo («La casa è un diritto») per denunciare i tempi d’attesa per avere una casa popolare, le madri costrette a cercare un rifugio per i propri figli e a inventarsi una dimora con le occupazioni abusive. Assieme a un’altra autrice, Sista ira, scrive anche «Milano bianca» per denunciare il giro di cocaina che uccide i giovani.

Razza a parte, quartiere Bonola, si definiscono i «Tony Montana di Milano», prendendo a prestito l’immagine di Al Pacino in Scarface. «Bonola è un quartiere di sta c…. di città, non puoi scegliere fra, non puoi scegliere tra, è così che va». Nel video ci sono le piazze deserte, graffiti di denuncia dei writers sui muri, i palazzi, i motorini truccati. Ritmo reggae e atteggiamento studiato al millimetro per la Bn crew, che scrive «Welcome to Baggio». Tema del testo: il fumo. «Lo respiriamo tutti, tanto da cambiare il clima di questa città in rovina» denunciano. La crew di Milano Ovest dà invece il benvenuto «nella Milano West, fra traffici illeciti. Da Bonora a Bovisa fuoco alla divisa, dai palazzoni in piazzetta, la gente scappa in fretta». Più giovani, i rapper di Squarto Gang, scrivono, dai banchi dell’istituto Cardano a Lampugnano, «Vita scolastica» raccontando la loro storia si studenti tutt’altro che modello, che subiscono il richiamo della strada e della periferia. Milano Esotica se la prende con «i vecchi in borghese sulle panchine» e annuncia: «Fratello, ci trovi al Tg5, hanno arrestato la Squarto a bordo della M5». La crew Gioventù bruciata dedica un pezzo a San Vittore e a chi entra ed esce dal carcere. E poi c’è Dargen D’Amico, più elaborato, più famoso, fondatore di un’etichetta indipendente. Definisce ironicamente il suo genere «emo rap» poiché tratta anche di tematiche intimiste. Anche lui parla della città. «Amo Milano perchè quando sorge il sole non se ne accorge nessuno, perché è un giardino degli emirati e siamo tutti immigrati, perché è la capitale morale del commercio immorale». D’Amico se la prende con il Giardino verticale e il quartiere di porta Nuova ceduto a un fondo del Quatar. Ed è proprio lì che abita un altro rapper: il brasiliano Lorenzo Carvalho, famoso anche per aver ospitato Fabrizio Corona durante la sua fuga all’estero da latitante. Un altro che, partito dalle periferie, è finito a vivere nei grattacieli. Ma l’anima più infuocata resta quella del ghetto, dove ancora graffia la voglia di denunciare.”

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Quando la musica va nelle periferie: Labaro Rock Festival

Al parco Marta Russo di Roma.
Labaro Rock Festival è una manifestazione che promuove la musica emergente e indipendente nell’ambito della riqualifica delle periferie. Il festival è giunto alla quattordicesima edizione ed è organizzato dall’associazione ONLUS Occupiamoci di… Dal 1 al 4 settembre tre artisti si avvicenderanno sul palco a partire dalle 21 nel parco Marta Russo di Roma. L’ingresso è gratuito. Nelle passate edizioni del festival si sono esibiti gruppi e musicisti come Il Muro del Canto, Giorgio Canali, Gang, Roberto Angelini, Valentina Lupi, Rosso Malpelo, Andrea Ra, Wogiagia, E42, Babalot, Mary in June, Giancane, Riccardo Sinigallia.

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Borgate. Uscita nella calma insolita di periferia

Mostra fotografica personale di Pas Liguori

a cura di Valeria Cirone

Inaugurazione con dibattito:
16 settembre 2016 alle ore 18.30

Palazzo Velli Expo
Piazza di Sant’Egidio, 10

Intervengono oltre l’autore:
Prof. Carlo Cellamare
Docente di Tecnica e pianificazione urbanistica. Facoltà di Ingegneria, Università la Sapienza
Dott.ssa Valeria Arnaldi
Scrittrice e giornalista

Date e orari mostra:
dal 17 al 25 settembre 2016
dalle ore 11.00 alle 20.00

Ingresso libero

Sessanta fotografie esposte su due livelli per un viaggio nell’attualità della periferia di Roma.
Le immagini, relative a un’indagine condotta in 12 borgate storiche*, sono accompagnate dalla proiezione di ulteriori documenti e materiali di approfondimento.

L’autore, stimolato dall’esigenza di contatto diretto con i luoghi delle realtà periferiche cittadine, ha condotto “uscite” fotografiche sistematiche in condizioni temporali e ambientali omogenee: alle prime luci di ogni domenica mattina.

L’inizio del giorno festivo è momento di collettivo ristoro. Con la particolarità di edifici al massimo del loro contenuto possibile di vite presenti e piazze, strade praticamente deserte.
Una scelta che vede condensati gli elementi utili alle finalità di progetto.
Da un lato, l’esplorazione di volumi, spazi e strutture con fattori confondenti ridotti; dall’altro, la registrazione simultanea dell’umanità non visibile in apparenza, ma lì presente e protagonista dei luoghi.

In quelle fasi, intermedie tra sonno, sollievo da fatiche e tensioni, nel quadro di un concomitante e più lieve risveglio urbano, i gesti più spontanei sono quelli di un ripristino della cura di sé. Anche se per pochi istanti, un leccarsi le ferite indotte dalla routine dei giorni precedenti. Espansioni affettive che vengono lette come fertili e auspicabili per la miglior predisposizione e attenzione alla cura dei luoghi e dei contesti in cui in definitiva si vive in comune.

L’indagine, pur restando fedele all’asciuttezza, ai valori, alla storia e alle trasformazioni delle borgate, rifugge da impostazioni di ripresa voyeuristica, un po’ pettegola e retorica sullo stato di problematiche che non sono comunque negate.
Prendendo volutamente le distanze da spettacolari alterazioni post-produttive, si è privilegiata la percezione del luogo, del rapporto tra territorio-uomo, misurandone linee, angoli e contrasti nei loro limiti e nelle loro possibilità di sviluppo sociale.
Le fotografie di “BORGATE – Uscita nella calma insolita di periferia” non sono da contemplare. Desiderano far riflettere e contribuire all’iniziativa di identità e responsabilità in aree complesse dove tradurre in pratica i vantaggi derivanti dall’integrazione di istanze e culture differenti, contrastando impersonali derive urbanistiche e incitando a una vita degna e migliore.

* Acilia, Gordiani, Pietralata, Primavalle, Prenestino, Quarticciolo, San Basilio, Tiburtino III, Tor Marancia, Trullo, Tufello, Val Melaina

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ABITARE A ROMA in periferia

Fotografie di Rodrigo Pais nella seconda metà del ‘900
MUSEO di ROMA in TRASTEVERE, piazza di Sant’Egidio, 1/b – Roma
INAUGURAZIONE MARTEDÌ 20 SETTEMBRE, ore 17,30
Apertura al pubblico: 21 settembre -13 novembre 2016
La mostra, promossa da Roma Capitale – Assessorato alla Crescita culturale-Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali con il patrocinio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e della Regione Lazio, è stata ideata e prodotta dall’Università di Bologna.
Le immagini realizzate dal fotografo Rodrigo Pais restituiscono con stile diretto e pragmatico, caratteristico del fotocronista, l’identità profonda della città di Roma e della sua periferia, con la stessa intensità d’immagini fotografiche di grandi autori come: William Klein per il progetto sulle strade della città natale “New York 1954-1955”, Bruce Davidson in “East 100th Street” serie del 1966-1968 che racconta la realtà di un caseggiato dell’East Harlem conosciuto per il suo degrado abitativo, Garry Winogrand e la sua fotografia di strada tra New York e Los Angeles, le riprese delle vie deserte di Eugène Atget e l’umanità di Robert Doisneau per la città e i sobborghi di Parigi, e naturalmente Vivian Mayer per la brulicante Chicago.
Della capitale italiana Pais non testimonia soltanto un periodo storico dal punto di vista dello sviluppo urbano o storico-politico ma ne entra nelle trame più sottili. La sua fotografia, sociale e documentaria, in diverse occasioni di denuncia, è rappresentazione di una realtà cruda e diretta che restituisce all’osservatore l’identità di una città che si trova nei volti della gente, nei luoghi e nei paesaggi in cui abitano. L’approccio documentarista e l’uso agevole della piccola Leica o della Rolleiflex, comportano un grado elevato di coinvolgimento dei soggetti che permette al fotografo di catturare ciò che si dipana in strada tra eventi epocali ed altri apparentemente insignificanti. La prolifica raccolta documentale prodotta con dovizia e professionalità, composta da quasi 380.000 fototipi di valore storico imprescindibile ma anche di grande valore artistico, è la testimonianza storica, culturale e sociale di una grande metropoli ma altresì della quotidianità che senza l’obiettivo fotografico e la sensibilità di Pais sarebbe perduta.
La mostra è organizzata in tre sezioni. La prima, affidata all’architetto Stefano D’Amico, ricostruisce lo sviluppo edilizio pubblico e privato con i suoi difetti, ma anche gli innegabili pregi a partire dagli anni ’50 con il Piano INA-CASA, o Piano Fanfani, dal nome di Amintore Fanfani, allora Ministro del lavoro e della previdenza sociale, fino agli anni ’90 del secolo scorso. La seconda, affidata al professor Francesco Sirleto, illustra le lotte per il diritto alla casa di una popolazione emarginata in una situazione abitativa costituita da baracche precarie costruite con materiali di fortuna, partendo dalle prime manifestazioni spontanee ai movimenti più consapevoli e organizzati da enti come il Sunia. La terza, non può che essere riferita al sociologo Franco Ferrarotti che fin dagli anni ’70 si è occupato delle periferie di Roma e, in particolare, delle condizioni di vita dei baraccati andando ad abitare per un certo periodo in una baracca al Borghetto Latino.
Note biografiche
Rodrigo Pais è nato a Roma il 28 settembre del 1930 da genitori migrati in città alla ricerca di un lavoro. Trascorre l’infanzia e l’adolescenza al centralissimo Rione Monti, dove frequenta le scuole elementari ma le modeste condizioni familiari lo conducono fin da giovanissimo a occuparsi di svariati lavori: sciuscià, cappellaio e garzone di bottega. Proprio tra le mura della bottega di barbiere, il giovane Pais ha la fortuna di incontrare un cliente che lavora presso il laboratorio del noto ritrattista Elio Luxardo che, a conoscenza della passione del ragazzo per la fotografia, lo invita in camera oscura. È il 1946 e inizia la grande avventura nel campo della fotografia, Pais incomincia a lavorare come stampatore nel laboratorio Binazzi e Lombardini ma solo nel 1950 ricopre il ruolo di fotoreporter per la rivista “Vie Nuove”. Il 1954 è l’anno in cui inizia la sua collaborazione con “l’Unità”, organo ufficiale del PCI, ma sono anche gli anni in cui lavora per “Paese”, “Paese Sera”, il “Corriere della Sera”, il “Corriere dell’informazione” e “La Stampa”. La sua attività fotogiornalistica è terminata nel 1998, dopo cinquant’anni di scatti fotografici che in ampi periodi hanno raggiunto il ritmo di 5 o 6 servizi giornalieri. Rodrigo Pais muore a Roma il 9 marzo del 2007 e lascia un ampio archivio fotografico e documentale che ricopre interamente la seconda metà del XX secolo.
Bibliografia essenziale
Benevolo L., Roma oggi, Laterza, Bari 1977;
Berlinguer G. – Della Seta P., Borgate di Roma, Editori Riuniti, Roma 1976 (II ed.); Caracciolo A., Roma capitale, Editori Riuniti, Roma 1974;
Cederna A., I vandali in casa, Laterza, Bari 1957;
Ferrarotti F., Roma Caput Mundi. Dalla metropoli alla baraccopoli l’anima perduta della città, Gangemi editore, Roma 2014;
Ferrarotti F., Roma da capitale a periferia, Laterza, Bari 1970;
Ferrarotti F., Spazio e convivenza. Come nasce la marginalità urbana, Armando editore, Roma 2009;
Ferrarotti F., Vite di Baraccati, Liquori, Napoli 1974;
Insolera I., Roma moderna, Einaudi, Torino 1976 (VII ed.);
Lelli M., Dialettica del baraccato, De Donato, Bari 1971;
Pasolini P. P., Le ceneri di Gramsci, Garzanti, Milano 2006;
Rossi P.O., Roma. Guida all’architettura moderna 1909-2000, Laterza, Roma-Bari 2000 (III ed.);
Sardelli R., Scuola 725: Non tacere, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1972;
Sardelli R., Vita di Borgata, Edizioni Kurumuny, Lecce 2013;
Sirleto F., Le lotte per il diritto alla casa a Roma, Ass. Culturale Aldo Tozzetti, Roma 1998; Segarra Lagunes M.M. – Vittorini R. (a cura di), Guida ai quartieri romani INA Casa. Dieci brevi itinerari attraverso i quartieri INA Casa realizzati a Roma dal 1949 al 1960, Gangemi editore, Roma 2002;
Tozzetti A., La casa e non solo, Editori Riuniti, Roma 1989.

Comunicato stampa mostra




Incendio a Muratella, la denuncia del Canile

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Alle ore 16.30 circa di ieri lunedì 22 Agosto, scoppia il secondo incendio, dopo quello di domenica, intorno al canile di Muratella su Via della Magliana, solo che questa volta il fuoco avvolge completamente la parte alta del canile, quella a ridosso della montagna. Vengono distrutte alcune gabbie del settore reperibilità, all’incirca cinque, dove alloggiano i cani in attesa di essere trasferiti ai settori di degenza situati nell’aerea opposta. Ma per fortuna e come sempre  alcuni volontari ed ex-lavoratori si trovano in canile e riescono a portare i cani in salvo. Prontamente danno l’allarme perché il fuoco si espande in maniera minacciosa e rapida lungo tutto l’arco della recinzione del canile, mettendo in pericolo il resto dei cani e dei gatti presenti. Alle ore 17.00 circa arrivano i Vigili del Fuoco che iniziano a mettere in sicurezza il canile, spegnendo il fuoco che avanza, mentre i veterinari della ASL RMD a fine turno, lasciano la struttura senza accertarsi delle condizioni degli animali. Solo intorno alle 21.00 il fuoco viene definitivamente spento. Sempre alle 21 (e finalmente!)  il Comune  – in particolare l’ufficio Tutela e Benessere Animale –  si decide a mandare un funzionario per accertarsi dello stato in cui si trova il canile in quel momento, ricordiamo che il Comune di Roma è proprietario della struttura e responsabile degli animali presenti. I Vigili del Fuoco, alla fine del loro lavoro impartiscono una consegna ben precisa: sorvegliare ogni ora se insorgono dei nuovi focolai. Cosa decide di fare il funzionario ancora presente?
Dopo aver effettuato qualche telefonata non ritiene necessaria alcuna sorveglianza all’interno della struttura e lascia il canile! Anche i Vigili Urbani, chiamati per attuare le istruzioni dei Vigili del Fuoco, decidono di non rimanere a vigilare durante la notte. Lascia il canile anche la Protezione Civile. A quel punto a prendersi carico di eseguire le istruzioni dei Vigili del Fuoco è uno degli ex lavoratori che si rende disponibile a trascorrere tutta la notte in canile per monitorare la situazione.

Ecco dove è giunta la tutela del benessere degli animali nella città di Roma. Il Comune proprietario dei cani e gatti che si trovano all’interno del canile e che dovrebbe occuparsi del loro benessere e sicurezza cosa fa? Gli gira le spalle e se ne disinteressa lasciando gli animali da soli! Soli, in balìa delle fiamme e del fumo!
Dal 1° Maggio il Canile Comunale della Muratella è abbandonato a se stesso e ancora oggi dopo 115 giorni niente è stato fatto per la gestione del canile , gestione in capo all’unico titolato a farlo, ovvero il Comune di Roma.

Il Presidente AVCPP

Giuseppe Villirillo

(349/6443335)




Periferie: MiBACT e Architetti, al via la selezione di dieci aree indicate dai Comuni per interventi di riqualificazione

Entro fine mese la scelta delle aree, a metà settembre il bando per il concorso di idee per gli interventi

Hanno tempo fino al prossimo 31 agosto singoli Comuni, unioni di Comuni, così come associazioni di Comuni per presentare proposte ideative per la promozione di interventi di riqualificazione di periferie urbane che, una volta valutate, saranno oggetto di un concorso di idee per la promozione di dieci interventi, tra quelli selezionati, destinati a giovani architetti under 35.
L’iniziativa è frutto di una convenzione sottoscritta tra la Direzione Generale Arte e Architettura Contemporanee e Periferie Urbane del MiBACT ed il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori.
Le proposte potranno riguardare aree che necessitano di interventi per il miglioramento della qualità del decoro urbano; il Ri.U.So e la rifunzionalizzazione di aree pubbliche e di strutture edilizie esistenti, per finalità di interesse pubblico; l’accrescimento della sicurezza territoriale e della capacità di resilienza urbana; il potenziamento delle prestazioni e dei servizi di scala urbana; la mobilità sostenibile e l’adeguamento delle infrastrutture destinate ai servizi sociali e culturali, educativi e didattici, nonché alle attività culturali ed educative.
Completata la fase di selezione delle dieci aree – affidata ad un apposito comitato scientifico composto da rappresentanti della Direzione Generale del Ministero, del Consiglio Nazionale degli Architetti e dell’Anci – entro il successivo 15 settembre verrà bandito il concorso di idee finalizzato all’acquisizione delle proposte per la riqualificazione delle aree scelte.
Per l’attuazione dell’iniziativa, la Direzione Generale finanzierà i premi dei vincitori del concorso di idee, per un importo complessivo di 100.000 euro. Le proposte acquisite mediante concorso saranno offerte gratuitamente ai Comuni interessati, affinché, una volta reperite le necessarie risorse, possano procedere alle successive fasi della progettazione e della realizzazione degli interventi di riqualificazione urbana.
Tra le finalità della convenzione quelle di promuovere la centralità e la qualità del progetto; la partecipazione e la condivisione delle comunità locali e la promozione dei talenti dei giovani architetti. Tutto ciò nella consapevolezza che la riqualificazione delle periferie possa essere attuata anche attraverso il Ri.U.So. di frammenti urbani.

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Settimo Torinese, la periferia che si candida a Capitale della cultura per il 2018

21 le città candidate che coprono un po’ tutta la penisola. La finalista la si scoprirà solo il 31 gennaio 2017. Ma nell’elenco delle prescelte ci sono dei nomi inaspettati. Uno di questi è Settimo Torinese, provincia di Torino, una città di periferia nata dall’immigrazione e fatta dalle fabbriche. «Perché cultura», spiega Elena Piastra, vicesindaco del comune, «non significa solo “bello”. Ma anche incontro, inclusione, innovazione»

Mantova è la capitale di oggi. Il prossimo anno cederà lo “scettro” a Pistoia. E nel 2018? Quale città sarà la “regina” della cultura italiana?. Ad oggi sono 21 le candidate finaliste a Capitale Italiana della cultura 2018. La procedura di valutazione si concluderà entro il 31 gennaio 2017. Ogni città, per aderire al bando, ha realizzato una bozza di progetto che sarà sottoposto alla giuria di sette esperti del settore della cultura, delle arti e della valorizzazione territoriale e turistica. A metà novembre ci sarà una prima selezione e le città finaliste dalle 21 attuali passeranno a 10.

Tra le 21 candidature proposte (a seguire l’elenco completo), una è veramente particolare e potrebbe sembrare – ma non fatevi ingannare dall’apparenza – una candidatura anomala, ma non è così. Noi, questo comune, l’abbiamo scelto come apertura della sezione Cultura del Bookazine di Vita di agosto, già nelle edicole. È Settimo Torinese, in provincia di Torino.

È una storia particolare la sua. «È un comune nato dall’immigrazione», ci ha raccontato Elena Piastra, vicesindaco di Settimo, è stata sua l’idea della candidatura. A Settimo Torinese, alla fine degli anni 50, ci vivevano poco più di 10mila persone. Era conosciuto come il “paese delle lavandaie”, le famiglie benestanti della vicinissima Torino – appena 13 chilometri di distanza – portavano qui i loro indumenti da lavare. Quando negli anni 60 sono arrivate le fabbriche, è arrivato pure il lavoro e con il lavoro le famiglie che venivano dal Polesine e – in gran parte – dal sud Italia.

In soli 10 anni la popolazione ha raggiunto 43mila abitanti che sono cresciuti fino a 50mila negli anni 80, dove ancora, alla scuola elementare, i bambini andavano divisisi in tre turni diversi perché le aule non bastavano per tutti. Qui c’erano tutti i presupposti perché il comune diventasse una periferia degradata simile alle banlieue parigine, eppure non è successo. E così dopo 60 anni il “paese delle lavandaie” si candida a diventare Capitale Italiana della Cultura per il 2018.

Settimo Torinese di “bello” nel senso canonico del termine forse non ha un granché. Anzi, è un paese che si è ritrovato ad avere la più alta concentrazione di case popolari in Italia. «Non abbiamo musei, né grandi chiese o monumenti o porticati in pietra», ammette Elena Piastra. «Ma il bando non parla solo di bellezza; ma di innovazione, inclusione, cultura ed incontro. Allora sì che una periferia può diventare capitale delle cultura». In comune è infatti presente il centro Fenoglio, il più importante hub del nord Italia per l’accoglienza migranti; il Teatro Laboratorio fondato da Gabriele Vacis, e una fabbrica di Pirelli ridisegnata da Renzo Piano che pure ha detto: «La bellezza naturale del nostro Paese non è merito nostro. Ciò che può essere merito nostro è rammendare le periferie per scoprirne la bellezza…».

Elenco città candidate a Capitale Italiana della cultura 2018

Alghero, provincia di Sassari, Sardegna
Aliano, provincia di Matera, Basilicata
Altamura, provincia di Bari, Puglia
Aquileia, provincia di Udine, Friuli Venezia Giulia
Candidatura congiunta Viterbo – Orvieto (Tr) – Chiusi (Si), Lazio/Umbria/Toscana
Caserta, Campania
Comacchio, provincia di Ferrara, Emilia Romagna
Cosenza, Calabria
Ercolano, provincia di Napoli, Campania
Iglesias, Sardegna
Montebelluna, provincia di Treviso, Veneto
La Spezia, Liguria
Ostuni, provincia di Brindisi, Puglia
Palermo, Sicilia
Piazza Armerina, provincia di Enna, Sicilia
Recanati, provincia di Macerata, Marche
Settimo Torinese, provincia di Torino, Piemonte
Spoleto, provincia di Perugia, Umbria
Trento, Trentino Alto Adige
Unione dei Comuni Elimo Ericini (Buseto Palizzolo, Custonaci, Erice, Paceco, San Vito Lo Capo e Valderice), provincia di Trapani, Sicilia
Vittorio Veneto, provincia di Treviso, Veneto

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