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Roma, la rivoluzione Raggi cancella l’ufficio periferie

Riorganizzazione in vista: nascono i nuovi dipartimenti al Turismo e allo Sport, soppresso quello per le borgate.

«Ci apprestiamo a fare quello che nessuno ha mai fatto prima», rivendica con orgoglio Virginia Raggi, annunciando «la riforma della macchina amministrativa » studiata «per garantire, come avevamo promesso, un’organizzazione del Comune di Roma più efficace, in grado di offrire ai cittadini servizi efficienti e di qualità». E come primo atto sopprime il “Dipartimento Politiche delle periferie, sviluppo locale, formazione e lavoro” — creato dalla giunta Veltroni per dare un segnale forte ai quartieri di cintura, proprio là dove il M5s ha fatto il pieno di voti — distribuendo le varie funzioni sotto due assessorati diversi. Una decisione che neppure Alemanno aveva mai osato prendere.

Non è l’unica novità nel riassetto prefigurato dalla Raggi. Intanto perché tutti i sindaci che l’hanno preceduta, da ultimo Ignazio Marino, hanno varato a pochi mesi dall’insediamento «il riordino delle strutture capitoline ». Che però stavolta, sostiene l’avvocata grillina, «valorizzerà merito, trasparenza, produttività, producendo innovazione e risparmi». Come? Attraverso la procedura dell’interpello: in sostanza, qualunque dipendente ritenga di possedere i requisiti per dirigere un ufficio o un dipartimento, «avrà la possibilità di proporsi per ricoprire gli incarichi da assegnare e sarà quindi scelto in base al proprio curriculum e alle proprie motivazioni». Ma alla fine a individuare il “vincitore” fra i concorrenti in lizza, sarà comunque la sindaca, a sua completa discrezione.

Ma c’è di più: le “Modifiche al Regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi di Roma Capitale”, che Repubblica è in grado di anticipare, introducono alcuni cambiamenti eclatanti. Con la nota inviata ai sindacati da Raffaele Marra, il capo del personale che per conto di Raggi sta mettendo a punto la macrostruttura comunale, non solo si cancella il Dipartimento periferie, che verrà smembrato tra l’ Urbanistica e «l’istituendo Dipartimento turismo – formazione e lavoro», ma pure l’Ufficio città storica, finora governato dall’Urbanistica, viene diviso in due e passa in parte alla Sovrintendenza capitolina, in parte ai Lavori pubblici.

In compenso vengono create tre nuove strutture di vertice, con relativa dotazione dirigenziale: il Dipartimento turismo, di cui s’è già detto; il Dipartimento sport e politiche giovanili, che nasce nonostante il no alle Olimpiadi; soprattutto i Mercati all’ingrosso, destinati a riunire in una «struttura autonoma » il Centro carni, il Centro fiori e le aziende agricole, tutti avviati dalla giunta Marino alla dismissione. La prova dello stop impresso dalla Raggi alla vendita delle partecipazioni non strategiche del Campidoglio. Nonostante il Centro carni perda circa 2 milioni l’anno; il Centro fiori 700mila euro; le
aziende agricole più o meno altrettanto.

Ma la sindaca va avanti. «È pronta, e a breve approderà in giunta, la modifica della macrostruttura per l’allineamento della stessa alle deleghe assessorili », conclude la sindaca.
«Lo scopo è individuare la migliore professionalità disponibile nell’ambito dell’amministrazione capitolina». L’importante è tenersi buoni i 23mila dipendenti comunali.

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Costruire un progetto condiviso per la città

Si è aperto mercoledì 5 ottobre, con un incontro che è solo il primo di una lunga serie, il confronto sulle criticità e le opportunità del territorio tra i Presidenti dei Municipi, i loro assessori all’Urbanistica e ai Lavori pubblici e l’assessore all’Urbanistica e Infrastrutture di Roma Capitale Paolo Berdini.
Due le tematiche su cui impegnare l’amministrazione del territorio individuate dall’assessore Berdini: il completamento delle duecento convenzioni urbanistiche in essere, la verifica delle criticità e l’ultimazione dei Piani di Zona del secondo PEEP. Lavorando, nel frattempo, a un progetto condiviso per la città imperniato su tre obiettivi di fondo: riavvicinare le periferie fra di loro e al centro mediante una rete di trasporto pubblico su ferro con la realizzazione di nuove linee tranviarie, recuperare e destinare a nuovo uso gli spazi abbandonati —come ad esempio il Forlanini, il Santa Maria della Pietà, il San Giacomo— rivedere il protocollo di intesa con Ferrovie e chiudere, finalmente, l’Anello ferroviario.
L’assessore ha poi sottolineato la necessità di promuovere sinergie tra pubblico e privato per creare nuove opportunità di crescita e valorizzazione, come per esempio la realizzazione di una Città della Scienza nei terreni già espropriati a Tor Vergata, un polo di ricerca e di studio da mettere a servizio degli studenti e della città tutta.
I Municipi, a cui l’assessore pensa di attribuire in un prossimo futuro la responsabilità e le risorse economiche per la gestione complessiva della manutenzione ordinaria, hanno poi illustrato le difficoltà e i problemi rilevati -primi fra tutti la carenza di risorse umane, la necessità di un miglior coordinamento degli interventi infrastrutturali e di un più ampio e articolato accesso ai dati e alle informazioni- e la discussione si è incentrata sulle strategie e le pratiche da adottare per la loro soluzione.

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“Riportiamo la periferia al centro”: la proposta di Latina Bene Comune Giovani

L’obiettivo è di “sensibilizzare sull’intervento nei borghi, migliorando l’efficienza dei trasporti, coinvolgendo le fasce più giovani, le associazioni e i centri che si costituiscono come un vero e proprio baluardo contro la disgregazione sociale”.

“Riportiamo la periferia al centro”: questo il progetto dei ragazzi di Latina Bene Comune Giovani che partendo dall’analisi del disagio giovanile nelle zone periferiche della città hanno avanzato una proposta per sensibilizzare sull’intervento nelle aree dei borghi e di Latina Scalo.

“Latina – scrive il gruppo di Lbc Giovani in una nota – ha tra le sue caratteristiche principali quella di avere un’ampia periferia rappresentata dai borghi e da Latina Scalo. Entrambi, abbracciando il nucleo urbano della città, assolvono un ruolo di attiva espansione nonché di sviluppo e collegamento. I giovani di Latina Bene Comune hanno a cuore le esigenze di tutti i ragazzi e le ragazze che vi abitano e ritengono che l’analisi della vita sociale di queste zone sia fondamentale per proporre sia uno sviluppo futuro sia, di riflesso, un miglioramento per tutti gli abitanti del capoluogo pontino”.

“I borghi – prosegue la nota -, in modo particolare, sono agglomerati semplici, elementari, caratterizzati da alcune costanti: una chiesa, un bar, una scuola, un ufficio postale, una piazza. Nati con lo scopo di fare da centri di raccordo fra i vari poderi, avvertono l’esclusione dalla vita politica e culturale della città, non riconoscendosi a volte come parte integrante del territorio. A peggiorare questo quadro è stata la rottura del rapporto tra servizi e persone, così quei pochi spazi dedicati alla socialità sono stati riempiti nel tempo da abbandono ed emarginazione e hanno progressivamente allontanato le vere risorse del presente. Il giovane cittadino del borgo è vittima di un sistema che chiede ma non offre, non concede prospettive, non orienta, non coinvolge.

Non può contare sui trasporti pubblici perché le corse non coprono l’intero arco della giornata o sono comunque insufficienti. Così tra la scuola, la formazione e il lavoro si aggiunge la difficoltà di movimento che trascina con sé molti rinvii. Il giovane che vorrebbe impegnarsi e partecipare si sente perciò ostacolato da una realtà in cui ci sono poche possibilità di crescita. Se non fosse per qualche veterano, per i gruppi scout o per le parrocchie la vita di borgata sarebbe ancora più monotona. Qualche sporadica iniziativa di coinvolgimento, qualche attività ricreativa, la festa patronale d’estate ma nient’altro”.

“C’è dunque bisogno di aggregazione, di spazi condivisi, di impegno e di partecipazione attiva per fertilizzare ogni angolo periferico. I borghi – va avanti ancora Lbc giovani – possono tornare a essere riempiti di persone che condividono momenti culturali, nelle più svariate forme, divenendo così fattore chiave di inclusione e coesione sociale”.

La proposta di Latina Bene Comune Giovani è di “sensibilizzare sull’intervento nei borghi, migliorando l’efficienza dei trasporti, coinvolgendo e promuovendo le fasce più giovani, le associazioni e i centri che si costituiscono come un vero e proprio baluardo contro la disgregazione sociale. Un consolidamento forte che deve partire da una mappatura di luoghi ed edifici comuni da trasformare in biblioteche, aule di studio, palestre e spazi dedicati ai bambini e al gioco. Il borgo deve diventare una risorsa e un’attrattiva per la città e il cittadino deve a sua volta sentire come necessario l’incontro con la realtà periferica. Una realtà che non vuole essere più un luogo di passaggio ma un luogo di interesse e di coinvolgimento, nutrito di progetti, iniziative culturali e attività.

Tra le proposte quella di organizzare nei borghi tavole rotonde aperte a tutti e incontri formativi su temi d’attualità per dare spazio al dibattito e allo scambio di idee. L’obiettivo è di restituire dignità e orgoglio a luoghi considerati collaterali, tutelando i cittadini e investendo sul benessere e l’umanità delle persone”.

“I borghi e le realtà periferiche rappresentano il futuro che lasceremo in eredità ai nostri giovani e alle nuove generazioni è necessario dunque, fin da subito, tracciare un progetto che possa dare prospettive di sviluppo sociale e riportare le periferie al centro dell’interesse collettivo” conclude la nota.

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Fed.It.Art. (Federazione Italiana Artisti)

La Fed.It.Art. (Federazione Italiana Artisti) è una federazione composta da “compagnie teatrali, musicali e di danza” e ha il fine di tutelare gli interessi collettivi della categoria dello spettacolo dal vivo e di rappresentarli nei confronti delle Istituzioni. La Federazione ha come specificità il presidio culturale delle periferie e delle zone svantaggiate con iniziative di base, soprattutto nella Città di Roma. L’unicità di FED.IT ART. nel panorama artistico-culturale della Capitale è data dal gran numero degli aderenti unitamente alla molteplicità delle loro esperienze e competenze applicate a gran parte dei territori urbani

FED.IT.ART. è infatti impegnata nello sviluppo dell’arte e della cultura in un’ottica di espansione territoriale e di decentramento, perseguendo una linea d’intervento che si avvale delle consolidate esperienze nelle province del Lazio di un nutrito gruppo di associazioni che operano nel territorio regionale.

L’ANALISI GENERALE

Il settore culturale a Roma ha subìto negli anni un evidente immiserimento, sia nel’ambito delle risorse messe a disposizione, sia nel deterioramento degli equilibri interni alla sua stessa governance. I modelli teorici perseguiti negli ultimi decenni, che avrebbero dovuto assicurare un virtuoso ripensamento della vita culturale in Città, si sono rilevati inadatti, intermittenti, irrealizzabili quando non dannosi. Questo balbettio istituzionale ha avuto come risultato un evidente depressione degli assetti produttivi interni alle filiere culturali, e l’indebolimento di quel complesso sistema sociale che può e deve trovare nella cultura la sua linfa vitale.

Ne è derivato un deficit culturale gravissimo in tutti gli ambiti della vita sociale della Città che più al mondo contiene Arte e Cultura. Un formidabile passo indietro rispetto a un passato nemmeno troppo lontano.

Roma deve rimettersi in gioco, riattivare la sua capacità attrattiva e la sua bellezza. Occorrono in tal senso strumenti di rapido intervento per ridare slancio alla cultura e restituirle un ruolo cardine nello sviluppo e nella sostenibilità della città.

LE DIFFICOLTÀ

Lo scenario nel quale si muovono gli operatori culturali e le numerose associazioni impegnate nella organizzazione delle iniziative presenta criticità e limitazioni che mal si coniugano con le infinite opportunità che la città offre.

Sproporzioni e mancanza di programmazione nell’attribuzione delle risorse hanno impedito di assicurare continuità e prospettiva ai progetti culturali, relegati in ambiti di sporadica casualità, condannati all’emergenza organizzativa e privi molto spesso di un autentico collegamento col territorio e con le dinamiche sociali in atto.

La frammentazione delle proposte culturali, che progressivamente si è andata accentuando, ha innescato una serie di disequilibri che hanno investito alcuni importanti assetti di riferimento (musei, siti archeologici, teatri, luoghi di produzione, ecc… ) e hanno reso caotico e disorganico il lavoro di quanti operano nel territorio, soprattutto periferico.

La promozione delle attività realizzate nelle sedi centrali più influenti ha sviluppato dinamiche contraddittorie rispetto alle dimensioni metropolitane di Roma, lasciando indietro enormi zone periferiche.

Il depotenziamento della spinta creativa e organizzativa degli operatori ha impedito lo sviluppo di percorsi formativi efficaci e l’esperienza culturale è stata perciò privata di una sua funzione prioritaria, senza la quale non c’è inclusione, non c’è incremento della conoscenza, non c’è crescita sociale.

Anche le grandi kermesse cittadine, che hanno costituito un esempio straordinario di vivacità culturale, sono ormai svuotate di senso e rispondono più a problematiche afferenti alla burocrazia amministrativa, che a esigenze artistico/ culturali. Il rapporto con la cittadinanza si è sfilacciato per ricomporsi in modo occasionale e disorganico solo in occasione di questi grandi eventi e senza un’autentica ricaduta sul territorio.

Il sostegno pubblico, principale fonte di finanziamento per le attività culturali, risente di continue riduzioni; le Istituzioni sono costrette a inseguire le risorse disponibili attraverso lo strumento del bando, quasi sempre presentato nella prossimità delle attività. Questo provoca per i soggetti proponenti una compressione dannosa all’elaborazione dei progetti e limita fortemente gli spazi per la comunicazione e quindi per la condivisione delle iniziative in seno alla comunità.

Ne consegue un panorama quasi mai sinergico rispetto alle finalità e alle modalità di offerta culturale legate ai bandi stessi e la ricaduta sul territorio risulta debole e imprecisa, priva di continuità e senza consolidamento nel tempo delle attività intraprese. La riforma di questi processi, che noi tanto auspichiamo, certamente consentirebbe di evitare sprechi e promuoverebbe un ristabilito rapporto tra amministrazione pubblica e gli operatori del comparto culturale e creativo.

I segnali che giungono da Istituzioni e politica, sia a livello nazionale che locale, testimoniano una crescente tendenza ai tagli in campo culturale; è prevedibile che le risorse destinate al settore vengano progressivamente attribuite ai soggetti più influenti che presentano una capacità più spiccatamente imprenditoriale e una disponibilità economica autonoma e immediata.

Tutte le realtà che operano sui modelli tradizionali, che lavorano sul sociale, sul territorio, che “formano” pubblico e sensibilità, che operano capillarmente scuola per scuola, quartiere per quartiere, vivono questa ulteriore contrazione come una minaccia alla stessa sopravvivenza; gli squilibri prodotti dai criteri, comunque legittimi, che favoriscono le entità più solide e strutturate, porterà fatalmente a concentrazioni produttive e distributive che avranno riflessi negativi anche sulla creatività con pesanti ricadute in termini di occupazione e sui territori più depressi.

Occorre poi sottolineare il pesante carico di adempimenti burocratici e la tortuosa regolamentazione fiscale che gradualmente stanno sovraccaricando le procedure di partecipazione ai bandi e le rendicontazioni finali rendendo in molti casi insostenibile il compito delle realtà operanti.




Come presentare una proposta di progetto nell’ambito dei finanziamenti diretti dell’UE

La presente guida mira ad illustrare le modalità per poter accedere ai programmi tematici, a gestione diretta comunitaria dell’Unione europea, del periodo di programmazione 2014-2020. Mira quindi ad aiutare i soggetti interessati a presentare una proposta di progetto, e a districarsi nella complessa panoramica dei finanziamenti comunitari, nel tentativo di fornire alcune indicazioni utili per favorire una partecipazione più attiva degli attori sul nostro territorio.

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Da La Storta a S. Pietro

Da La Storta a Roma con Mediterraid

Appuntamento ore 9:00 in piazza della Visione (vicino stazione FS La Storta).

Si attraversa il parco dell’Insugherata (breve sosta all’interno del parco) per arrivare a San Pietro attraverso la pista ciclabile presso la stazione FS di Roma Monte mario.

Percorrenza: 19 km – Tempo di percorrenza: 5 ore

Per informazioni Antonello Fratoddi -Presidente mediterraid – 338 2868402 francigena[@]mediterraid.it

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Toccando la Via Francigena nel Sud attraverso parchi e acquedotti

Il percorso toccherà alcune delle principali aree verdi del Municipio Roma V, monumenti, street art e luoghi della memoria: Porta Maggiore (partenza) – Via Casilina – Ponte Casilino – via l’Aquila – via del Pigneto – via Prenestina – Parco delle Energie – Lago ex Snia – Parco Pasolini – Villa Gordiani – Parco Somaini – Villa De Sanctis – Parco di Centocelle – Acquedotto Alessandrino – Parco di Tor Tre Teste – Lago Palatucci – Quarticciolo

Appuntamento ore 9.00 a Porta Maggiore, percorso facile di circa 15 km, si consiglia di portare acqua, scarpe comode e abbigliamento adeguato

Informazioni e contatti

Irene Fusco (FederTrek) 349 8679159

Alessandro Fiorillo (WWF Pigneto – Prenestino) 334 6384307 pignetoprenestino@wwf.it

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Roma, la Caporetto della politica

A quasi cento giorni dall’insediamento di Virginia Raggi come Sindaco di Roma, la città ha vissuto ieri l’ennesima giornata di teatralizzazione della politica. La messa in scena – di questo si tratta: una rappresentazione mediatica di un processo decisionale, da fruire nel palcoscenico delle piattaforme comunicative dei social media – riguardava il voto dell’Assemblea capitolina sulla candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2024.

La giornata di ieri rappresenta la sintesi perfetta del quadro politico romano e dell’approccio alla gestione del potere delle sue classi dirigenti, quelle emergenti – i 5 Stelle – e quelle tradizionali, impersonate dal presidente del Coni Giovanni Malagò. Il ruolo di quest’ultimo nelle vicende della Capitale venne descritto magistralmente dal giornalista economico Alberto Statera su «Repubblica», nell’ormai lontano 2007: «Giovanni Malagò, detto affettuosamente “Megalò”, figlio di una nipote dell’antico ministro democristiano Pietro Campilli, ex concessionario-principe della Bmw e ora di Ferrari e Maserati, ha fatto negli ultimi anni del Reale Circolo Canottieri Aniene, nato nel 1892 da una costola del Tevere Remo (considerato allora troppo nero e papalino) la più formidabile concentrazione di upper class della capitale. Una sorta di stanza di compensazione dei poteri borghesi dei ruoli e della ricchezza, il melting-pot perfetto di commercianti e professionisti, costruttori e alti burocrati, personaggi dello sport, dello spettacolo e imprenditori».

Ieri, insomma, si rappresentava la lotta di classe 2.0 nella sua declinazione romana, quella tra i «cittadini» dell’uno vale uno e la Roma del generone. Ha vinto la piccola borghesia avvocatizia -assurta oggi a «classe generale» – di Virginia Raggi (residente nella borgata, sebbene adottiva, di Ottavia), contro lo strapotere dei quartieri bene: Parioli, Flaminio e Trieste-Salario. Impossibile comprendere quanto avvenuto ieri senza avere chiara la geografia simbolica della città.

Ma ieri si è inscenata, questa volta nella sostanza, la Caporetto della politica e dei buoni processi decisionali. Si sono palesati i limiti e il carattere di queste due anime di Roma, e si è persa l’ennesima occasione per avviare un dibattito acceso e informato sul futuro di una città priva – letteralmente – di progetti o piani strategici. Non sapremo mai se Roma avrebbe potuto disegnare con successo un grande evento internazionale; ma non sappiamo nemmeno se essa sarebbe stata in grado di discuterne in modo sufficientemente maturo da portare a una decisione adeguata, almeno per approssimazione (come sappiamo essere avvenuto per Londra 2012 o per Boston 2024, dove si è invece deciso di rinunciare alla candidatura attraverso un dibattito pubblico serrato).

Oggi, per capire Roma, vanno esaminati con attenzione i comportamenti di questi due contendenti. Partiamo da quello in sella da maggior tempo, il Comitato Roma 2024 di Giovanni Malagò (nell’epoca della personalizzazione della politica non può non personalizzarsi anche la «comitatologia»). Il peccato originale del Comitato è stato quello di non voler coinvolgere in modo reale la città. Gli strumenti e i software per dibattere e partecipare sono ormai innumerevoli, e sono stati testati in moltissimi processi decisionali attorno al globo: poteva essere punto di vanto sperimentarne uno, o più di uno, al fine di coinvolgere uno città diffidente ed esausta come Roma, senza limitarsi a un semplice piano di marketing e comunicazione.

In un recente seminario tenutosi nell’Università di Roma Tre sul tema della «Lezione olimpica», è stato dimostrato come gli eventi di promozione e presentazione della candidatura olimpica non abbiano mai visto coinvolto in prima persona il Comune di Roma; partner, di fatto, non strategico del Comitato. È stato trascurato, insomma, persino il fronte istituzionale della città. Con lo stesso Comune, prima del suo commissariamento dell’ottobre 2015, è nato un forte conflitto attorno al progetto di sviluppo infrastrutturale dei Giochi, anch’esso mai discusso con la città: metà del budget previsto era destinato all’area universitaria di Tor Vergata (periferia sud), dove si sarebbe concentrata la «legacy» dei giochi. Un villaggio olimpico che sarebbe divenuto sede di abitazioni per studenti, in un numero tale da coprire metà del fabbisogno nazionale di case per lo studente (ma per la sola Roma 2).

Un progetto che fa a pugni con la logica di sviluppo strategico di Londra 2012, orientato a ridisegnare la periferia dell’East End, ma anche con quella di Parigi 2024, che ruota attorno alla riqualificazione di un’altra area difficile come quella di Saint Denis. Entrambi inseriscono l’evento olimpico all’interno di una progettazione strategica della città, nella quale i Giochi divengono parte di un disegno più ampio: una pianificazione condivisa con la città – tanto che il processo decisionale a più voci di Londra 2012 è oggetto di analisi «da manuale», per esempio in Le decisioni di policy di Bruno Dente (Il Mulino, 2011, p. 179) – che sembra regalare una visione di metropoli più ampia di quella rappresentata dall’eredità degli studentati.

La debolezza del progetto e l’assenza di un processo di discussione partecipata – attraverso il quale poter coinvolgere la città in un percorso di individuazione di idee, proposte, problemi, desideri… – ha caratterizzato il progetto Malagò: tanto forte la mancanza di «connessione sentimentale» con la città, tanto più forte l’autoreferenzialità del sistema di relazioni che ne ha sostenuto l’azione. Quanto meno un grave errore strategico, che mostra però la crisi della classe dirigente locale di lungo corso.

E quella di recentissimo insediamento? Per ora agisce per rimozioni. Rimosso il vecchio establishment, opera anche la rimozione dei problemi complessi. Grazie a un apparato ideologico che premia una versione molto semplicistica della idea della decrescita e del conflitto contro la casta: il «grande» (evento, in questo caso), è sempre nemico del «piccolo» e della cura del micro, come se la gestione quotidiana di una metropoli non avesse a che fare con i grandi disegni di indirizzo strategico (cosa deve essere la Roma del 2025 per la Sindaca in carica? Di cosa vivrà?). Uno scorciatoia che porta allo stesso risultato di quella operata dal vecchio establishment (quello del «non disturbate il navigatore»): la città, per colpa di tutti, non viene messa in condizione di discutere, dibattere e confliggere in modo articolato e informato, rimanendo senza occasioni di pensarsi proiettata nel futuro.

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Bellezza, perché non sia una postilla

Non basta rifiutare l’idea di bellezza imposta dal mercato, da coloro che dividono le città in centro e periferia e da quelli che decidono cos’è arte e cosa non lo è. Possiamo prenderci cura delle periferie ogni giorno senza ridurle a luoghi in perenne attesa di interventi dall’alto. “Parchi, giardini, luoghi di studio e di scambio vanno inventati nella logica del bisogno di bellezza che noi abbiamo – scrive Antonietta Potente – E questo lo dobbiamo fare noi; dobbiamo inventare, forse anche con atti di disobbedienza civile, senza chiedere il permesso a nessuno…”.
Vorrei ricordare una sensibilità particolare dell’umano che è l’amore alla bellezza, non a una bellezza decisa da canoni culturali specifici; non quella comprata perché è il mercato ad offrirla e nemmeno solo quella donata dall’arte, come tradizione, ma quella ancora da costruire, quella da fare ancora emergere, che fa parte comunque della cura della realtà reale.

È qualcosa che mi inquieta tutte le volte che cammino nel centro delle nostre bellissime città e tutte le volte che raggiungo o mi trovo negli spazi periferici, sempre delle nostre città.

Penso questo soprattutto per quelle situazioni che a prima vista sembrano essere state private di tutto e anche della bellezza. Penso a certi luoghi in cui abitiamo, quasi sempre al margine. Nati nell’urgenza della sopravvivenza; un’alluvione, un terremoto, ma anche a quelle periferie costruite appositamente da chi pensa che certa parte di umanità va sopportata, ma comunque isolata per essere piano, piano dimenticata.

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E mentre la natura ci circonda di bellezza diffusa, diversa o plurale, gli esseri umani sembrano aver circoscritto il dono. Forse perché se ne sono appropriati e l’hanno messa a servizio del potere e del mercato.

Mi colpisce e mi inquieta molto il fatto che l’arte sia collocata nei nostri centri città, quasi come se fosse ormai conclusa; belle reliquie da conservare.

E mentre le città sono cresciute, si sono estese, la bellezza non si è moltiplicata, le periferie sono delle specie di depositi umani, agglomerati i case senza forma; scelte con il criterio dell’ammucchiamento umano, della compravendita immobiliare.

Luoghi pensati perché la gente ci stia solo per dormire, ma non per abitarli, per amarli, quando, addirittura non divengono discariche per i rifiuti. Come per far sì che l’essere umano che abita questi luoghi abbia solo tempo per adattarsi. Minimalismo assoluto, falsa efficienza ed essenzialità. Lo sguardo subito fa fatica e poi si abitua. Ma questo non va d’accordo con l’umano più umano come sensibilità profonda, come desiderio di nuove evoluzioni esistenziali. Eppure non sarà solo la passione per la giustizia che trasformerà la realtà, ma anche la passione per la bellezza o, certamente, sono la stessa cosa, una sfumatura di uno stesso mistero.

La bellezza, questo particolare diritto così sconosciuto nelle nostre quotidiane rivendicazioni. Allora i nostri luoghi non vanno lasciati a se stessi, non vanno nemmeno ridotti a luoghi in attesa di eventi pubblici.

Siamo noi che dobbiamo conoscere, come direbbe Simone Weil, i bisogni terrestri del corpo e dell’anima umana. Parchi, giardini, luoghi di studio e di scambio vanno inventati nella logica del bisogno di bellezza che noi abbiamo… E questo lo dobbiamo fare noi; dobbiamo inventare, forse anche con atti di disobbedienza civile, senza chiedere il permesso a nessuno.

Non possiamo più permettere che i nostri spazi evochino solo l’elemosina che altri ci hanno fatto, con interventi sporadici, quando la bellezza è un dolcissimo desiderio del corpo e dell’anima umana.

È sintomatico, nelle periferie delle grandi città i nomi delle piazze e delle vie vengono attribuiti a personaggi sintonici con percorsi di giustizia: Che Guevara, Martin Luther King, o con date che ricordano gesti di liberazione e resistenza, come per darci un contentino. Come se, nella memoria di chi vive in quei luoghi, dovessero esistere solo pochi pezzi di storia, strappati in qualche modo alla storia ufficiale dedicata in dei conti ai veri eroi e ai veri esempi.

Perché chi percorre una strada di una qualsiasi periferia, non deve sapere che sono esistiti Leonardo da Vinci, Vincent Van Gogh, una mistica come Teresa d’Avila o un evento che nel mondo della fisica si chiama: scoperta del principio di indeterminazione.

Nelle nostre periferie sembra che tutto sia legato a un’elemosina di sopravvivenza o forse all’azione di qualche sporadico rivoluzionario: forse due alberelli e una panchina, nella piazzetta dedicata a qualche eroe. Ma perché non si può passeggiare e appoggiare il nostro sguardo su abbondanti alberi, fiori, fontane?

Perché chi lotta per l’acqua pubblica non deve aver la gioia di farsi spruzzare, in un bel giardino, da una fontana zampillante? Perché i musei sono solo nei centri delle nostre città? Come se in una periferia non fossimo adatti a conservare la bellezza a prendercene cura e a condividerla.

Questa situazione resta un monito per la nostra passione per la giustizia, per l’amore che vorrebbe ricreare dei rapporti diversi; curarne alcuni, farne nascere altri e, insomma partecipare alla trasformazione della vita, perché la bellezza è scintilla dell’umano più umano.

Chiudo queste pagine con una poesia di Drummond de Andrade:

“Il marziano mi ha incontrato per strada e ha avuto paura della mia impossibilità umana. Come può esistere, ha pensato tra sé, un essere che nell’esistere mette un così grande annullamento dell’esistenza?”.

Tratto da Umano più umano. Appunti sul nostro vivere quotidiano, edizioni Piagge. Per acquistare i libri i edizioni Piagge, tel. 055 373737, edizionipiagge.it.

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Bando per la riqualificazione delle periferie: nominato il Nucleo di valutazione dei progetti

Il nucleo di valutazione dei progetti intende procedere speditamente per la valutazione delle proposte da finanziare.
Buone nuove sulla riqualificazione delle periferie delle Città Metropolitane.

E’stato infatti emanato il decreto del segretario generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, consigliere Paolo Aquilanti, con il quale si è proceduto alla costituzione del Nucleo per la valutazione dei progetti per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie, in base al bando nazionale emesso ad inizio estate..
Il Nucleo è composto dal segretario generale della Presidenza del Consiglio Paolo Aquilanti, che svolge le funzioni di presidente, e dai seguenti sei esperti di particolare qualificazione professionale: ing. Michele Brigante, designato dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome; dott.ssa Veronica Nicotra, segretario generale dell’ANCI, designata dall’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI); prof. Fabio Pammolli, professore ordinario di Economia e gestione delle imprese presso la Scuola Superiore Universitaria IMT Alti Studi Lucca; prof.ssa Laura Ricci, direttore del Dipartimento di Pianificazione design tecnologia dell’architettura della Facoltà di Architettura dell’Università di Roma La Sapienza; consigliere Ferruccio Sepe, dirigente della Presidenza del Consiglio dei Ministri; arch. Elisabetta Fabbri.
Nella prima riunione il Nucleo ha definito le proprie modalità di funzionamento nonché ulteriori criteri di valutazione rispetto a quelli di base indicati nel bando allegato al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 25 maggio 2016 che ponevano in primo piano i requisiti della tempestività ed esecutività degli interventi, della capacità di attivare sinergie fra finanziamenti pubblici e privati, della fattibilità economica e finanziaria e della coerenza interna del progetto.
Come si ricorderà al bando hanno presentato progetti quasi tutti i Comuni della Città Metropolitana con una serie di proposte di grande interesse per la riqualificazione e la sicurezza del territorio

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