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Rigenerare le città creando comunità

Nei paesi del centro e nord Europa le politiche di rigenerazione urbana prendono la forma di grandi progetti di ecoquartieri, con il coinvolgimento diretto degli abitanti e delle imprese che li popoleranno: le agenzie di vendita si trasformano in forum di partecipazione per gli abitanti, promozione di start up e agenzie di sviluppo pubbliche o private. La nuova economia urbana si sviluppa insieme all’intervento edilizio. In Italia, intanto, dal basso, sul lato della domanda, le comunità condominiali e di vicinato aiutano a definire i nuovi bisogni e i nuovi desideri dell’abitare di oggi e di domani. Sono diverse le esperienze raccolte, raccontate e fatte incontrare sul sito viviconstile.org, il portale dedicato ai cambiamenti negli stili di vita promosso da Legambiente, che ha iniziato il censimento delle buone pratiche dall’area metropolitana di Milano. Nel condominio green di via San Gregorio, per fare un esempio, è stato realizzato l’angolo dello scambio, con attrezzi da cucina di uso saltuario, trapano e attrezzi faidate, tagliaerba, cesoie, caricabatterie, eccetera. In alcuni casi acquistati in condominio, in altri messi a disposizione dai singoli condomini. Utile un registro di entrata e uscita, libretti d’istruzione, garanzie, manutenzione regolare. Uno o più volontari/condomini ne garantiscono la funzionalità.

È un primo tassello dell’economia circolare. Un altro consiste ad esempio nell’informare i condomini sulla correttezza della raccolta differenziata, evitando così le multe al condominio a causa dei pochi che sbagliano. Un’altra soluzione sperimentata, ecologica e anti spreco, è quella della fontana dell’acqua. Si tratta delle stesse macchinette che garantiscono l’acqua potabile dell’acquedotto, regolando temperatura e dosando la gasatura desiderata, garantendo e controllando periodicamente igiene e manutenzione degli impianti condominiali: il costo può essere anche ripartito con tessere ricaricabili individuali. Si risparmiano costi, fatica e bottiglie di plastica da riciclare ogni settimana.

A produrre comunità non sono soltanto scelte che riguardano i consumi. Si sta diffondendo l’idea di allestire piccole biblioteche condominiali, anche per dischi, cd, e film in dvd. C’è chi ha messo a disposizione un semplice scaffale, con un quaderno, chi una vera e propria biblioteca che ha attirato l’interesse anche dei vicini (come in via Rembrandt, sempre a Milano) ed è divenuto un luogo d’incontro, per un caffè culturale e piccole presentazioni di libri. Una realtà che è diventata una case history dell’associazione Labsus per la promozione della gestione dal basso di beni comuni. In questo caso, la catalogazione e la presenza, seppur volontarie, sono strutturate come in un piccola biblioteca.

Dalla cultura al welfare. Il comune di Milano ha attivato da due anni un servizio di badante e baby sitter condominiale, che ora sta cercando di diffondere tra i condomini privati in accordo con l’associazione degli amministratori Anaci, grazie anche ad un finanziamento della Fondazione Cariplo. In futuro, quindi, ci sarà l’infermiera per gli anziani, anche per chi non ha diritto all’assistenza domiciliare, la badante, l’animatore, il fisioterapista, la baby sitter o l’animatore per i bambini, da utilizzare singolarmente nelle diverse fasce orarie della giornata ma anche con la possibilità di momenti di ricreazione e socializzazione condivisi. Un welfare a domicilio dedicato soprattutto agli over 65, che secondo il censimento del 2011 rappresentano un terzo della popolazione milanese.

Le risposte alla nuova domanda dell’abitare si trovano talvolta direttamente nel mercato tradizionale, talvolta nell’aggregazione in gruppi d’acquisto e cooperative per cercare soluzioni nuove: nasce così a Monza una nuova startup (Nuvidea srl) che si propone per installazioni internet e voce per gli abitanti dei condomini, sostituendo le bollette famigliari dei singoli operatori con le quote dei condomini ad un molto più efficiente, veloce ed economico servizio di telecomunicazioni di tipo aziendale. Il nuovo condominio è interconnesso, come i suoi abitanti che, se vogliono, possono godere di bacheca telematica, servizi cloud per i documenti e la gestione condominiale. La collaborazione e la smart community sostituiscono, così, l’assemblea condominiale!

Le cooperative di abitanti, soprattutto quelle a proprietà indivisa, hanno cominciato a misurarsi su temi del tutto analoghi, soprattutto nelle nuove costruzioni, come nel caso della cooperativa di via Caldera o nei condomini di via Scarsellini, ancora a Milano. In tutti questi casi – come è successo anche nei nuovi condomini in cui è stata coinvolta la Fondazione Housing Sociale (via Cenni, Forlanini, Figino) –, il gestore sociale, il nuovo amministratore dell’edificio “bene comune”, si trova a cercare e creare mercato per nuovi servizi, nuove tecniche e tecnologie dell’abitare. Dai gruppi d’acquisto per le cucine, sino ai nuovi servizi energetici. Coventidue (in corso Ventidue Marzo) rappresenta l’ultimo intervento di ristrutturazione (in classe A) di cohousing: gran parte delle famiglie, che si incontrano con i progettisti da un anno, hanno deciso di vivere senz’auto. E quindi la volumetria dei garage ha potuto essere destinata ad altri spazi in condivisione.

Anche la mobilità sostenibile (a cui è dedicato il capitolo 6 di questo Quaderno) suggerisce soluzioni di comunità. È il caso delle biciclette in condominio: sempre in via Caldera oltre alla rastrelliera sono state acquistate alcune bici, anche a pedalata assistita. Dopo due anni ancora non si è registrato alcun danno o furto, senza alcun controllo o registro di prelievo. Ultimo nato, il servizio di car sharing elettrico condominiale, frutto di una collaborazione tra Legambiente e Share’NGo, il primo importante servizio di car sharing elettrico attivo a Milano, Firenze e Roma, per il quale è da poco cominciata la ricerca di 100 promotori locali. Raggiunte le prime 100 quote di servizio, Sahre’NGo mette a disposizione la prima auto e la prima box charge per la ricarica, fino a 10 auto a disposizione per ogni singola comunità di utenti.

Rinascita di quartiere

L’informazione condivisa è la caratteristica fondamentale del progetto, come nel già citato caso del Pilastro di Bologna, con cui creare nuova comunità. Qui lo strumento on line si chiama corviale.com ed è un vero e proprio giornale promosso dall’associazione Corviale Domani, attiva da anni in questo quartiere della periferia di Roma, caratterizzato dal cosiddetto Serpentone, un unico edificio di case popolari lungo ben 980 metri. Nata come un’aggregazione informale di associazioni, enti, istituzioni, istituti di ricerca, operatori ed esperti in diverse discipline, Corviale Domani ha avviato un percorso, spontaneo, di progettazione partecipata dal basso “per coinvolgere l’insieme della comunità di Corviale, dell’intero Quadrante (Tenuta dei Massimi, Valle dei Casali, Casetta Mattei, Bravetta, Trullo, Magliana Vecchia) e della Città Capitale con cui interagisce”. Gli obiettivi, come racconta corviale.com, sono ambiziosi: “affrontare lo sviluppo urbano e sociale con un approccio globale; potenziare l’economia; creare e assicurare spazi pubblici e infrastrutture di qualità; progettare il territorio integrando l’urbano e il rurale; salvaguardare e valorizzare i beni paesaggistici e architettonici, sia storici che contemporanei; agevolare, offrendo spazi ad hoc, politiche e fruizioni culturali; portare in posizione primaria il tema dell’istruzione e della formazione; migliorare l’ambiente e l’efficienza energetica; valorizzare le diversità come un bene da tutelare”.

L’associazione di promozione sociale si è costituita formalmente nel 2013 e il concorso internazionale Rigenerare Corviale, promosso dall’Ater con il contributo della regione Lazio si è concluso, con la scelta del vincitore, nel maggio scorso. La dotazione prevista è di 7,2 milioni di euro, destinati a una prima parte degli interventi di riqualificazione. Nel frattempo a Corviale continuano ad essere i cittadini che danno risposte immediate e concrete a fenomeni di degrado. È il caso dell’Albergo delle piante, una sorta di vivaio collettivo realizzato per iniziativa di due giovani artisti nella Cavea di Corviale, ex sede del mercato ortofrutticolo, chiuso nel 2015, ridotta a una spianata di cemento. Oppure di Calciosociale, una società sportiva dilettantistica, che in questo caso anche grazie al sostegno della regione Lazio ha realizzato un centro sportivo polifunzionale, il Campo dei miracoli-Valentina Venanzi, con le tecniche della bioarchitettura. Calciosociale ospita attività rivolte in particolare a “uomini e donne, ragazzi e ragazze, giovani con disabilità e ragazzi con problemi di droga, precedenti penali, disagio familiare e senza alcun limite di età”.

La Villa comunale di Scampia, uno dei quartieri più problematici della periferia di Napoli, è il luogo scelto da una rete di associazioni, in collaborazione con le istituzioni locali (comune e municipalità in particolare) per sviluppare un progetto di ripristino di un bene comune. Il titolo del progetto, che prevede interventi di riqualificazione e manutenzione, è emblematico di una forte volontà di riscatto: Valorizziamo Scampia. Promosso da 18 realtà (cooperative, associazioni di volontariato, culturali e ambientali, dipartimenti universitari), con capofila la cooperativa sociale L’uomo e il legno, il progetto è stato finanziato grazie al contributo della Fondazione con il sud e ha coinvolto tantissimi cittadini e 5 scuole, con attività sportive, orti mobili, incontri e flash mob. Tutto con l’obiettivo di promuovere il cambiamento attraverso il protagonismo diretto dei cittadini.

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Abitare i territori metropolitani

In una città come Roma, ferita e umiliata sempre più dalle vicende giudiziarie e dalla sua rappresentanza politica, aggredita ogni giorno dai signori del cemento e dal business del turismo di massa, è forte il bisogno di guardare le cose da punti di vista diversi. Se, ad esempio, si adottano quelli delle persone comuni che abitano la città saltano molte gerarchie e luoghi comuni, emerge un’immagine complessa e per molti aspetti sorprendente della città. Fuori raccordo. Abitare l’altra Roma è una ricerca importante, non solo perché è il frutto di un gruppo di lavoro interdisciplinare ma perché prova a mettere al centro il punto di vista dell’abitare, inteso come casa e abitazione ma anche come organizzazione spaziale e temporale nella vita di ogni giorno, come forma di appropriazione dei territori. Per questo la ricerca, tra le altre cose, parla dei nuovi conflitti di carattere ambientale (comuni ad altre metropoli), ricorda il ruolo del mercato immobiliare, studia il processo in corso di «periferizzazione» dei territori (con le periferie che cercano di rendersi autonome), indaga temi come l’auto-organizzazione e l’informalità. “Si possono riconoscere nei territori locali – scrive Carlo Cellamare, che ha curato la ricerca (edita da Donzelli) – forme di riappropriazione e di autogestione e anche un protagonismo sociale che è forse anche una risposta alla generale mancanza di governo e di progettualità…”. Di seguito, ampi stralci di uno dei primi capitoli (Trasformazioni dell’urbano a Roma. Abitare i territori metropolitani) del libro. Le foto di questa pagina sono di Pas Liguori, autore della mostra Borgate. Uscita nella calma insolita di periferia.
Il libro sarà presentato il 20 gennaio presso la Facoltà di ingegneria di Roma (via Eudossiana 18)

1. Quale Roma?

Roma ha attraversato profonde trasformazioni, che in questi anni stanno emergendo con forza. Non è più, ormai da molto tempo, una città focalizzata sul suo centro storico circondato da una periferia più o meno consolidata. È una città-territorio che si estende per un’area molto vasta e molto articolata al suo interno, dove le persone vivono senza riferirsi (soltanto) al suo centro consolidato, più o meno ampio […]. I fattori nuovi sono diversi: il carattere integrato di tutti questi territori pur diversi tra loro; la vastità e la progressiva estensione (ormai ampiamente a carattere sovraregionale); il carattere di «territorio abitato», anche in quelli che possono sembrare «interstizi» o in quelli che una volta erano ambiti agricoli o inutilizzati (a tutto discapito peraltro dell’agro romano); una moltiplicazione e un’articolazione delle disuguaglianze; una diversa organizzazione spaziale che comporta anche una diversa organizzazione di vita degli abitanti (e quindi una trasformazione di ciò che intendiamo per «urbano»); di conseguenza, un cambiamento antropologico nei modi di abitare. E questo già a partire dalla fascia del Gra. Quando parliamo di territori circostanti, infatti, ci riferiamo non solo a quelli esterni al comune di Roma, ma anche a quelli «extra Gra».

L’obiettivo della ricerca è stato proprio quello di raccontare l’abitare e i suoi cambiamenti. L’idea forte di partenza del libro è l’assunzione di un altro punto di vista, quello degli abitanti, attraverso lo studio e la narrazione delle pratiche dell’abitare e dei fenomeni urbani connessi, per dare una restituzione complessa dei processi e dei fenomeni, e da lì ripensare le politiche e un progetto di convivenza. […]

2. Una ricerca sull’abitare.

Il libro intende documentare queste profonde trasformazioni, e intende farlo attraverso il punto di vista dell’abitare, inteso non solo come casa e abitazione, ma anche come organizzazione spaziale e temporale nella vita quotidiana, come forma di appropriazione dei luoghi, come interpretazione del mondo di significati che caratterizzano i territori. Attraverso questa lettura più vitale e più vissuta, si vuole fornire un’immagine più complessa della città. […]. Il libro è quindi l’esito del lavoro di tre anni di ricerca di un gruppo di lavoro interdisciplinare, composto da urbanisti, sociologi e antropologi […]

3. I territori romani nei grandi processi globali.

I territori romani sono inseriti in grandi processi globali di trasformazione dell’economia, della società e dell’urbano, che a Roma vengono poi declinati con proprie specificità.

Roma città globale?

[…] Non si può negare che Roma sia, a modo suo, una città globale, inserita in una rete di flussi di beni e servizi, economici e finanziari, di migrazioni, energetici ecc. di carattere fortemente internazionale. […] Roma, come noto, è più capitali insieme, che caratterizzano il suo diverso modo di essere «città globale». Oltre a essere capitale politica d’Italia, con tutti i pro e i contro di questo ruolo, è anche la capitale di un altro Stato, il Vaticano, e più in generale è la capitale della cristianità, nonché luogo di riferimento per molte fedi, destinazione di imponenti flussi religiosi e di eventi spesso fortemente caratterizzati dal punto di vista mediatico. È poi una capitale culturale, nella misura in cui detiene un patrimonio archeologico e storico-artistico unico al mondo, capace di attrarre notevoli flussi turistici (che si sommano a quelli del turismo religioso), imponenti rispetto alla popolazione residente (38 milioni di visitatori l’anno). A fronte di questo suo carattere internazionale, si deve registrare una carenza se non una mancanza sia di politiche internazionali sia di politiche mirate all’internazionalizzazione (D’albergo – Lefèvre 2007) che rivelano una forte debolezza «strutturale» in questo campo. Infine, è un crocevia internazionale di importanti flussi migratori. Roma non è mai stata considerata una città industriale e alcune politiche dello Stato centrale storicamente hanno teso a evitare un eventuale sviluppo in questo senso. Nonostante ciò, quasi come una contraddizione, Roma è diventata la seconda città industriale d’Italia (dopo Milano) per numero di occupati. Si tratta, soprattutto, di piccola e media impresa; di un tessuto debole e diffuso, spesso dipendente dal mercato locale piuttosto che destinato all’esportazione.

Urbanizzazione globale e trasformazioni dell’urbano

Anche le trasformazioni che caratterizzano Roma, come vedremo successivamente nel dettaglio, si collocano dentro un processo globale di trasformazione dell’urbano, così come evidenziato da molti ricercatori (Brenner 2014; Schmid 2014) riprendendo peraltro le riflessioni sviluppate da Lefebvre ne La rivoluzione urbana già molti anni fa (1974). Oggi rientrano nel processo di «urbanizzazione globale» (extendend urbanization), ovvero in quel processo complessivo di estensione dell’urbano sull’intero globo terrestre, attraverso le sue diverse forme: le reti infrastrutturali e di trasporto e i flussi di merci e persone; l’estrazione di risorse (e quindi di ricchezza) da tutti i territori, compresi quelli apparentemente più naturali (trasformando il pianeta in una grande miniera); la diffusione degli inquinanti e dei rifiuti (trasformando, d’altra parte, il pianeta in una estesa discarica); la diffusione dei sistemi insediativi urbani (e non solo delle città, per come le abbiamo conosciute storicamente) in maniera estensiva; ma soprattutto la diffusione planetaria dei modelli di vita e delle forme organizzative urbane (anche al di là della diffusione della «società dell’informazione» e delle reti immateriali). il cambiamento è quindi più forte nella dimensione sociale e culturale, più ancora che in quella dello stesso assetto insediativo. Ed è questo che caratterizza anche il vasto territorio abitato della città-regione romana. Non si tratta solo di una regionalizzazione dello sviluppo insediativo (che è già di per sé rilevante), ma di una trasformazione dell’urbano, del modo stesso cioè di vivere la città. Ne è un caso emblematico la recente notizia che Amazon, la grande multinazionale dell’e-commerce, collocherà la sua nuova sede per il centro-sud italia nell’area industriale di Passo Corese, a ridosso di un grande snodo autostradale. […]

La periferizzazione del mondo

Lo sviluppo urbano di Roma è stato fortemente caratterizzato, dal dopoguerra a oggi, dalla crescita delle sue periferie, sia quelle pianificate che quelle abusive che quelle prodotte dalla speculazione. Sebbene la dicotomia centro-periferia non sia più valida in senso stretto, permane una condizione di «perifericità» (e quindi di «marginalità») di molti territori della città di Roma. La periferia è la parte prevalente della città; si potrebbe dire che «Roma è la sua periferia». […] Più che diminuire, la disuguaglianza sociale è invece cresciuta a Roma, come in altre città. […]

Tra Nord e Sud del mondo

Roma si colloca a cavallo tra Nord globale e Sud globale, un mix particolare che determina alcuni fattori fortemente caratterizzanti, dalla debolezza istituzionale e dell’interesse «pubblico» alla precarietà e difficoltà del sistema economico locale e alla rilevante informalità, che spesso ne fa una «città fai-da-te». […]. In particolare, intorno al tema dell’auto-organizzazione e dell’informalità si è concentrata molta attenzione, anche a livello internazionale. Roma e il suo territorio, infatti, offrono da questo punto di vista parecchi esempi, anche molto diffusi sul territorio (sebbene spesso non particolarmente visibili). L’interesse internazionale è legato alla possibilità di ripensare le stesse forme di governo urbano o di gestione di alcune situazioni urbane (e persino di azioni realizzative), dalla gestione delle aree verdi al cohousing e al coworking, dal recupero di aree e immobili dismessi o abbandonati alla gestione degli spazi pubblici e dei servizi collettivi, dal problema della casa agli orti urbani, attraverso un maggiore coinvolgimento dei cittadini/abitanti, attraverso le loro forme organizzative e associative, siano esse formali o informali. Roma e il suo territorio sono sicuramente un laboratorio di esperienze e iniziative molto interessanti da questo punto di vista, sebbene non vi sia sempre un’intenzionalità e non vi siano politiche pubbliche realmente indirizzate in questo senso. Anzi, molto spesso le iniziative di auto-organizzazione sono sollecitate dall’assenza dell’amministrazione pubblica o dalla mancanza di politiche pubbliche. Siamo quindi di fronte a esperienze molto diverse tra loro, alcune molto discutibili e che pongono diversi problemi (pensiamo alla rischiosa deriva dei consorzi di autorecupero nelle aree ex abusive), altre di grande interesse, che costituiscono una punta avanzata e potenzialmente un’opportunità, dove pratiche e processi di auto-organizzazione sono anche pratiche e processi di riappropriazione e di risignificazione dei luoghi, dove sono messe in gioco le capacità creative e progettuali degli abitanti, le dinamiche della cura e della responsabilizzazione, una gestione non economicista dei beni comuni.

4. Le specificità del territorio metropolitano.

Una polarità sovraregionale e gli effetti sulla vita quotidiana

Oltre a essere una città di riferimento a livello nazionale e internazionale, Roma continua a rappresentare una polarità estremamente forte a livello locale e regionale, costruendo un vasto territorio circostante di dipendenza. In particolare, costituisce un polo attrattore per tutta l’Italia centrale (e, in parte, anche rispetto all’Italia meridionale), per quanto riguarda l’occupazione, il sistema di opportunità, i servizi, in particolare quelli sanitari (…); le polarità commerciali (parchi commerciali, centri commerciali di grandi dimensioni, outlet ecc.); le polarità del tempo libero e del loisir; le università […]

Il territorio investito dallo sviluppo e la «periferizzazione»

L’area investita dallo sviluppo insediativo si accresce enormemente. Il vasto territorio «metropolitano» romano è prima di tutto un’estensione di Roma ed è il modo con cui Roma si è proiettata verso l’esterno, è la città che deborda oltre i confini tradizionali e storicamente costituiti della città consolidata. Questo è dovuto essenzialmente a due fattori. In primo luogo, la vastità del comune di Roma. Si tratta, come noto, del comune più esteso d’Italia, la cui superficie (pari a 1287,36 kmq) è paragonabile alla superficie della provincia di Milano. I grandi fenomeni insediativi si sviluppano e si sono storicamente sviluppati al suo interno. In secondo luogo, l’espansione insediativa e il grado di attrazione della città non hanno paragoni nei territori circostanti e determinano una fortissima preminenza e dominanza della capitale. […]

Vi è poi, come anticipato, una stretta correlazione con l’andamento spaziale del mercato immobiliare e del reddito. Il costo della casa a Roma è stato elevatissimo in passato (prima della crisi del 2008), ma è rimasto a livelli molto alti anche dopo la crisi […]

Il processo di «periferizzazione» dei territori, cui si accennava precedentemente, connesso al processo di diffusione urbana in corso, non fa quindi distinzioni sociali: si spostano all’esterno del territorio comunale di Roma tutte le categorie sociali, anche se con motivazioni diverse. Piuttosto si generano «confini interni» tra i diversi territori; sono questi a marcare le disuguaglianze sociali, piuttosto che una stretta gerarchia centro-periferica (che pure, in parte, sussiste ancora). Si determinano quindi spesso situazioni di mescolanza urbana e sociale, come quelle che caratterizzano l’area di Roma est e i comuni limitrofi, Guidonia, fonte Nuova, Tivoli (si veda il contributo di Elena Maranghi, infra, pp. 95-109). In questi contesti sembra generarsi un fenomeno di mixité sociale, ma in realtà si tratta di una giustapposizione di situazioni che non dialogano tra loro: complessi residenziali esclusivi all’interno di campi da golf, aree residenziali abusive, poli tecnologici, aree industriali, aree agricole intercluse, quartieri residenziali ordinari, attrezzature di servizio anche di livello sovralocale, la «città del gioco» (poli del gioco d’azzardo di livello metropolitano), campi rom.

Conflitti e disuguaglianze

Allo stesso tempo si generano notevoli conflitti soprattutto di carattere ambientale (d’albergo – Moini 2011). […] Le diseguaglianze territoriali determinano forti e nuove conflittualità, sia tra il centro e la periferia (ovvero tra il comune di Roma e alcuni territori contermini), sia all’interno dei territori stessi: 1) conflitti intorno ai temi ambientali (ad esempio, la localizzazione delle nuove discariche o degli inceneritori); 2) conflitti intorno all’inadeguatezza dei servizi (ad esempio, il grande problema dei pendolari, o i conflitti connessi alla chiusura degli ospedali e dei servizi sanitari delocalizzati sui territori, in forza di una politica incentrata sul taglio del welfare e sull’accentramento e la specializzazione dei poli della sanità); 3) conflitti tra residenti più storici e nuove popolazioni, ovvero intorno a questioni di identità.

Allo stesso tempo, nascono forme nuove di auto-organizzazione o di collaborazione tra istituzioni e cittadini (in alcuni casi, grazie anche alla cooperazione con le amministrazioni comunali locali; ad esempio, nella gestione degli spazi verdi o dei problemi sociali), come risposta delle popolazioni investite dallo sviluppo alle nuove situazioni che si sono create. Particolarmente rilevante il fenomeno dei Gas (Gruppi di acquisto solidale) e delle «economie a chilometro zero», che esprimono lo sforzo di ricostruire una più stretta relazione tra produttori e consumatori e tra aree urbane e territori contermini, favorendo il recupero o la riattivazione (se non addirittura il nuovo impianto) di attività produttive soprattutto nel settore primario, così caratterizzante nel passato il contesto romano.

5. Processi di urbanizzazione: una stratificazione insediativa e un policentrismo problematico.

[…] All’interno del solo comune di Roma circa un terzo del tessuto urbano residenziale è di origine abusiva e una percentuale analoga della popolazione vive in aree nate come abusive (cellamare 2013e). Si tratta di valori particolarmente eclatanti per una capitale di un paese occidentale (compreso tra i G8). […] Sono processi non più legati all’emergenza abitativa; si tratta piuttosto di abusivismo di convenienza se non di carattere speculativo, che mira a realizzare residenze di qualità al di fuori del mercato formale, creandone di fatto uno parallelo.

Altri fenomeni hanno invece carattere innovativo: – il grande sviluppo di alcune polarità, connesse anche alla politica delle «centralità» sostenuta con il nuovo Prg di Roma del 2008 […]; – Lo sviluppo di alcune «città nuove», spesso senza alcuna connessione con la città consolidata. […]; – Lo sviluppo, anche nei territori contermini, di agglomerati insediativi senza alcuna relazione coi centri storici o consolidati e connessi piuttosto alle grandi infrastrutture autostradali e ferroviarie, spesso a ridosso dei caselli autostradali o delle stazioni ferroviarie […]; – Ancora più emblematico è lo sviluppo della cosiddetta «città del Gra» (…), l’evoluzione del Grande raccordo anulare da confine tra città (consolidata) e campagna a grande boulevard urbano, asse strutturante (e attrattore) dello sviluppo insediativo (…). […], – Una riorganizzazione delle gerarchie urbane, in relazione in particolare ai servizi, nei territori contermini, con situazioni diversificate [….]; – Una rinnovata attenzione ai territori agricoli periurbani e alle aree naturali e, in particolare, ai parchi che sono progressivamente attorniati dallo sviluppo insediativo […]

6. Una mutazione antropologica, un modo diverso di abitare.

Insieme all’assetto spaziale dei territori, cambiano anche i fenomeni socio-spaziali stessi. Questo cambiamento è riscontrabile in relazione, ad esempio, ad alcuni aspetti principali:

– i comportamenti sociali causati dai nuovi assetti territoriali o i cambiamenti nell’organizzazione di vita degli abitanti: pensiamo al ruolo che il loisir e il tempo libero hanno assunto nell’organizzazione di vita degli abitanti; o ai tempi di spostamento che si è disposti a sostenere […];

– le relazioni che evolvono nei confronti della città di Roma: molte ragioni alla base degli spostamenti hanno come riferimenti luoghi e attività distribuiti sul territorio esteso romano e non collocati all’interno della città consolidata; molti poli attrattivi collocati all’esterno della città tradizionale e consolidata – e non solo del centro storico – determinano un cambiamento dell’orientamento dei flussi

– ovvero dall’interno verso l’esterno; cambia il riconoscimento dei valori e della significatività dei luoghi; si invertono i flussi – anche se limitatamente – anche da Roma verso l’esterno non solo per funzioni e attività particolari come avviene per la costa (e le relative attività turistiche e del tempo libero), ma anche per le attività ordinarie e quotidiane;

– le relazioni che gli abitanti hanno con i propri contesti di vita. Ad esempio, la residenza (come attività sociale complessa) è sempre più avulsa dal territorio (in termini spaziali e localizzativi) in cui si colloca. Molte attività (compresa la scuola) si svolgono altrove, ovvero in territori che non appartengono allo spazio di azione quotidiana. […]

FuoriRaccordo

7. Il locale come risorsa.

Nel gioco tra distanze, allontanamenti e ricerca di autonomia da parte dei territori locali, e vicinanze e inglobamenti, spesso anche soffocanti, da parte dell’area urbana centrale, si creano nei territori, oltre che conflitti, anche dinamiche di nuovo radicamento. Quest’ultimo, sebbene in molti casi di non grande portata, si affianca a un radicamento «primario», in cui le popolazioni locali residenti da lungo tempo continuano a difendere la propria identità locale. Questi processi possono avere un carattere «subalterno», ovvero di minore portata rispetto alla fondamentale dipendenza nella quotidianità da Roma, e di «seconda generazione», ovvero interessare la nuova popolazione arrivata. I nuovi abitanti possono recuperare, in alcuni casi, identità locali preesistenti e ormai superate, ma di cui rimangono gli immaginari, facendo propri comportamenti della popolazione autoctona (le sagre, una finta popolanità, le feste tradizionali e/o in costume ecc.). In altri casi, invece, il nuovo radicamento della popolazione che si sposta nei territori esterni può costituire l’esito di una scelta intenzionale e di valore per una differente qualità della vita o semplicemente l’effetto di una quotidianità, che per esempio le famiglie giovani costruiscono attraverso la scuola dei figli o i servizi locali. Tutti questi sembrano sintomi dell’attivazione (o riattivazione) di un processo di ricostruzione di relazioni con il contesto locale, pur se i processi generali hanno un carattere di prevalente estraniazione e gli abitanti vivono una molteplicità di relazioni anche extraterritoriali. Si possono quindi riconoscere nei territori locali forme di riappropriazione e di autogestione e anche un protagonismo sociale che è forse anche una risposta alla generale mancanza di governo e di progettualità.

8. L’assenza della politica.

Il dibattito sull’«area metropolitana» romana degli anni ottanta e novanta era stato in gran parte inconcludente, pervaso com’era di retoriche e privo di rapporti con i processi reali che avvenivano sui territori. La ripresa del dibattito negli ultimi anni sulla «città metropolitana» e su «Roma capitale», che sta portando a una profonda riorganizzazione – più amministrativa che istituzionale –, ha il medesimo carattere inconcludente e retorico. […]

9. Roma «fuori Raccordo».

La ricerca di cui si dà conto in questo libro si è sviluppata, come detto, a diversi livelli. Per comprendere le dinamiche reali in atto si è ritenuto opportuno e necessario «andare sul campo», sviluppare cioè attività di ricerca che interessassero direttamente i territori, attraverso sia studi indiretti che studi diretti sul campo, utilizzando un approccio interdisciplinare […] Il presente volume non avrebbe senso se non avesse l’obiettivo di sollecitare un dibattito sulla città, sull’area metropolitana e sulle sue prospettive. Un dibattito che si prefigura in maniera più esplicita nell’ultima parte del libro […].

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I deputati in missione tra periferie e campi rom. «Qui c’è il fallimento dello Stato»

A Montecitorio è stata costituita una commissione di inchiesta sulla sicurezza e il degrado delle nostre periferie. Prima di Natale le prime visite a San Basilio e Tor Sapienza, presto i deputati saranno a Milano, Napoli e Palermo. Un viaggio per capire i motivi e trovare soluzioni all’esclusione.

«A San Basilio ho visto con i miei occhi il fallimento dello Stato». Pochi giorni prima di Natale, il deputato Andrea Causin ha guidato la delegazione parlamentare in alcune delle zone più difficili della Capitale. Veneziano, esponente di Area Popolare, da pochi mesi è il presidente della commissione di inchiesta sulla sicurezza e il degrado delle periferie italiane. In meno di un anno, i venti deputati che ne fanno parte effettueranno una decina di “missioni”. Visiteranno le aree del Paese più colpite dal fenomeno dell’esclusione sociale, tra povertà e assenza di lavoro, solitudine e criminalità. Contesti urbani spesso mal progettati, dove è palpabile la distanza, non solo geografica, dal centro cittadino.

Lo scorso 20 dicembre si è deciso di partire da Roma. San Basilio e Tor Sapienza, due periferie difficili. «Abbiamo preparato questi incontri con grande umiltà – continua Causin – E quello che abbiamo trovato mi ha molto sorpreso». Tra palazzine occupate e discariche abusive, «finalmente ho capito perché tanta gente si sente distante dalla politica e dalle istituzioni». Territori complicati, spesso al centro delle cronache, dove però non mancano segnali positivi. Frutto dell’impegno di tanti residenti. A San Basilio i deputati hanno visitato le case popolari e si sono confrontati con le realtà che vivono quotidianamente il quartiere. Il parroco, le istituzioni del IV municipio, le forze dell’ordine, gli insegnanti e le associazioni impegnate sul territorio.

San Basilio e Tor Sapienza, due periferie difficili. «Abbiamo preparato questi incontri con grande umiltà – racconta il parlamentare – E quello che abbiamo trovato mi ha molto sorpreso». Tra palazzine occupate e discariche abusive, «finalmente ho capito perché tanta gente si sente distante dalla politica e dalle istituzioni»

Dal confronto sono emerse diverse criticità, tutte componenti dello stesso disagio. La mancanza di case e di lavoro, la solitudine e l’esclusione sociale. Senza dimenticare un tema tipico della realtà romana: la forte percezione di immobilità, diretta conseguenza di investimenti mancati e progetti mai ultimati. Sullo sfondo, un quartiere dove lo Stato sembra essersi fatto da parte. E dove il controllo del territorio da parte della criminalità è tangibile. «Io l’ho avvertito chiaramente» racconta Causin. Proprio qui, alcune settimane fa, una famiglia marocchina è stata allontanata nonostante avesse regolarmente ottenuto un alloggio popolare. Non è una storia di razzismo. Non solo, almeno. Dietro a quella vicenda, come ha raccontato ai deputati il parroco di San Basilio, si nasconde soprattutto un tema di illegalità. Il controllo del territorio, di una piazza di spaccio, da parte di un sistema che non può permettere la presenza dello Stato e l’attribuzione di case popolari attraverso regolari bandi e graduatorie.

Dopo San Basilio, Tor Sapienza. Altra periferia romana, altro territorio difficile. Qui, un paio di anni fa, si è consumata una rivolta popolare contro alcuni giovani profughi eritrei ospiti di una piccola struttura. Ancora una volta razzismo, ma non solo. La vicenda nascondeva anche un altro tema: la rivalità tra cooperative d’accoglienza e il business dei richiedenti asilo. Da queste parti la commissione ha visitato il campo rom di via Salviati. Per molti parlamentari è stata una sorpresa. Bambini nel fango, baracche, degrado, abbandono. «Uno scenario toccante – ricorda Causin – Mi sono reso conto delle condizioni subumane in cui vivono alcune persone, nelle nostre città».

Quando riprenderanno i lavori parlamentari, l’impegno della commissione entrerà nel vivo. I prossimi due mesi saranno dedicati allo studio e all’acquisizione di dati sulle principali situazioni di disagio: un’istantanea delle periferie italiane, con particolare attenzione alle grandi città metropolitane. In questa fase saranno ascoltati il presidente dell’Istat e il capo della Polizia, ma anche il sottosegretario che riceverà le deleghe per il piano periferie del governo e l’architetto Renzo Piano, che sta coordinando una grande opera di “rammendo” delle periferie. Accanto al lavoro teorico, si tornerà sul campo. Dopo San Basilio e Tor Sapienza, i membri della commissione andranno a Milano (probabilmente presso i quartieri Corvetto e Pioltello), Napoli e Palermo. Si cercherà di fotografare le maggiori situazioni di difficoltà, inquadrando le tante componenti del disagio. Quella geografica è solo la più superficiale: «Spesso ci si dimentica che la periferia è ovunque – racconta Milena Santerini, deputata di Democrazia Solidale – Centro democratico ed esponente della commissione di inchiesta – Il carcere di San Vittore è nel centro di Milano, eppure è una periferia. Dove ci sono esclusione ed emarginazione, anche quella è periferia».

Dopo San Basilio, Tor Sapienza. Altra periferia romana, altro territorio difficile. Qui, un paio di anni fa, si è consumata una rivolta popolare contro alcuni giovani profughi eritrei ospiti di una piccola struttura. Da queste parti la commissione ha visitato il campo rom di via Salviati. Per molti parlamentari è stata una sorpresa. Bambini nel fango, baracche, degrado, abbandono

Entro un anno, la commissione dovrà stilare un documento conclusivo. Un’analisi sul disagio delle periferie italiane attraverso l’esame di una serie di fattori: l’urbanistica, la composizione sociale, la disoccupazione. Ma anche la povertà ed esclusione sociale. Senza dimenticare la mobilità, le infrastrutture e il trasporto, tutti elementi che contribuiscono ad acuire la solitudine di molti quartieri. E ancora la diffusione di scuole, servizi, strutture religiose e sanitarie. Inevitabilmente, la presenza di stranieri e migranti. Ecco la prima grande sfida. «Troppe volte – continua Milena Santerini – in periferie dove mancano case, lavoro e trasporti si prende un campo rom o uno stabile occupato da rifugiati come la causa del degrado». La ricerca di un colpevole può allontanare dalla soluzione del problema. Scegliere un capro espiatorio rischia di sottostimare il disagio dei cittadini senza comprendere le tante cause del problema.

Ma si deve anche guardare al futuro. La commissione ha l’obiettivo di raccontare le esperienze positive trovate nelle periferie. Le persone e le attività che si occupano di ricucire le lacerazioni sociali, il variegato mondo del volontariato. Il documento conclusivo dovrà puntare l’attenzione sugli investimenti e la progettualità. Spesso il degrado è la diretta conseguenza dell’assenza di politiche abitative e della mobilità, della poca attenzione verso i giovani e il sociale. Ecco perché la commissione dovrà offrire spunti al Parlamento sul piano legislativo e della gestione dei fondi a disposizione. Difficile fare previsioni. Il calendario dei lavori dipenderà ovviamente dalla durata dell’esecutivo. Se il governo proseguirà il suo cammino, la commissione farà altrettanto. «In ogni caso il nostro impegno non si esaurirà a breve – racconta il presidente Causin – Un argomento così importante dovrà essere approfondito anche nella prossima legislatura».

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Periferie anno zero

Quando molti anni fa cominciai a studiare le grandi periferie urbane ed ebbi occasione di vivere a lungo nel nord Europa, venni inizialmente colpito dai grandi centri commerciali che un po’ fungevano da cuori pulsanti dei quartieri periferici di Copenaghen, Stoccolma, Helsinki. Avevo studiato all’università i progetti di quei quartieri, individuando spesso una stecca centrale di servizi in aree di nuova urbanizzazione. Ma andandoci e vivendoli di persona, insieme a quelle visioni di architetture omnicomprensive e anche piuttosto accattivanti, mi colpiva il silenzio dei luoghi, l’assenza di movimento, l’atmosfera priva di respiro. Di lì a poco, quello che era stato compreso come un grosso errore fisico e sociale, cominciò ad essere sostituito, o meglio implementato: insieme alle aree commerciali, prepotente fu il ritorno all’utilizzo di un piccolo commercio diffuso di quartiere, il cosiddetto “negozio di vicinato”, atto a rispondere alle esigenze di tutti i giorni ad una utenza che o per scelta, o per impossibilità, non si indirizzava ai grandi centri commerciali. Una tendenza, questa, progressivamente, benchè molto lentamente, giunta a colpire anche i territori, in primo luogo quelli americani, dove erano nati i centri commerciali. Che stanno ora ovunque manifestando criticità un po’ ovunque.

Da noi questi sono nati con forte ritardo rispetto ad altre aree geografiche, ma in pochi anni la loro presenza era letteralmente esplosa ovunque. Al solito, senza prendere atto che lì dove esistono da tempo, l’offerta di centri commerciali è stata equilibrata dal potenziamento di attenzione verso i centri storicie dal sostegno al piccolo commercio di quartiere: vale a dire, una pluralità di proposte sul libero mercato. A Bari, dove gli interventi sul territorio sono stati condizionati da visioni esclusivamente speculative e di scarsa prospettiva, è successo esattamente il contrario: la nascita e concentrazione di un notevole numero di centri commerciali in aree suburbane, si è sviluppata mentre crollava l’attenzione verso le aree centrali e le periferie crescevano disumane e totalmente prive di servizi.

A me piacerebbe che si prendesse definitivamente atto che la città è un sistema complesso ed intervenire su una sua parte non potrà mai dare esiti favorevoli di recupero, se non si interviene su tutte le sue componenti. Per meglio intenderci, pensare di recuperare un quartiere diventato ghetto, perché privo di servizi e con una utenza marginalizzata, intervenendo sui suoi aspetti fisici, difficilmente darà risultati solidi e duraturi se si fanno calare progetti dall’alto senza coinvolgere la popolazione locale, senza comprendere appieno quali siano le reali aspettative e non si riesce a far risorgere quei sentori storici, culturali, paesaggistici che certamente esistono ma sono stati schiacciati dall’ignoranza e dalla indifferenza a tali valori. Intervenire con proposte di incentivazione all’apertura di nuove attività commerciali è certamente un elemento positivo, ma forse sarebbe più opportuno prima sostenere le attività già esistenti e che magari stanno vivendo rischiosissime crisi, stimolando l’offerta e costruendo la domanda. Perché dovrei preferire il negozietto di Palese al centro commerciale? Cosa può darmi di più una tale scelta? Può essere sostenuta una fidelizzazione a tali scelte? E accanto ai negozi di vicinato, possono essere promosse iniziative per il tempo libero e liberato, per il volontariato, per la condivisione nell’uso delle aree pubbliche, per la concertazione di una programmazione che renda appetibile scegliere una offerta anziché un’altra? E agendo perché non sia un singolo a muoversi, ma l’intera categoria locale?

Di recente, pur di sostenere un bel concerto classico natalizio in una chiesa di Palese, mi sono per la prima volta impegnato in una ricerca di contributi porta a porta, presentandomi ad alcuni negozianti che ritenevo potessero rispondere positivamente. Il risultato: nessun interesse da parte di chi sta bene e non percepisce funzionale contribuire ad una iniziativa culturalmente importante; scarso interesse (ma con qualche risposta positiva) da parte di piccoli negozi alle prese con la quotidianità del mercato; infine, alcune risposte concrete e adeguate prevalentemente come rispetto e fiducia alla mia persona. Sono situazioni su cui riflettere e c’è comunque la percezione della pressochè totale assenza di prospettive. Ma davanti a proposte serie, belle, forti, c’è una parte del commercio di periferia che si rende disponibile: spazi per aprire dei varchi ci sono! Ed è su questi spazi che si deve puntare!

Il rischio, altrimenti, è che si intervenga in territori già in grave crisi socioeconomica, pensando di dar soluzione incentivando nuove attività: e poi?

Io sono fra quelli che furono duramente colpiti dall’impegno culturale in Bari vecchia nella sua primissima fase di rilancio: il forte investimento di risorse personali che affiancai al finanziamento pubblico, poco o nulla potè dopo il breve periodo, mancando totalmente la prosecuzione di un supporto che aiutasse la crescita della proposta e la consolidasse. E quelle conseguenze sono oggi tutte sulla mia vita personale e professionale.

Tutto questo avviene mentre il centro cittadino, infortissima crisi economica e identitaria, è bombardato da progetti, cantieri e previsioni di cantieri che ne modificheranno fortemente il paesaggio senza intervenire granchè sulla componente infrastrutturale (in primissimo luogo quella trasportistica)ed alcune zone semicentrali e di prima periferia saranno interessate da progetti finanziati dal Governo centrale. Troveranno certo il plauso di molti cittadini ed anche mio, se ben realizzati; ma nel frattempo, le componenti sociali saranno coinvolte perché nuove aree verdi vengano accolte come patrimonio locale, ben utilizzate, ben manutenute? Avevo proposto all’assessore Carla Tedesco la formulazione di una rete di laboratori partecipativi in seno ai municipi, come investimento di prospettiva delle risorse umane locali nel recupero dei luoghi di tutti i giorni. Non c’è stata risposta, ma forse parte di questo riusciremo ugualmente a farlo realizzando attività laboratoriali aperte al territorio in una scuola di Palese.

Nel frattempo, alcune grandi capitali europee si libereranno nel giro di pochissimi anni del traffico privato nei centri urbani, avendo massicciamente investito sul sistema trasportistico pubblico.

Tutte le esperienze nazionali e internazionali parlano dell’investimento sulla componente umana, per poter davvero recuperare le periferie,non ci sono alternative. Allora, per tornare alla questione dell’assetto commerciale di queste aree: non giungerà certoaiuto, tutt’altro! aprendo l’ennesima grande area commerciale nella zonadi Santa Caterina, peraltro già abbondantemente invasa da queste; non sarà il cosiddetto “restyling” di via Sparano, lontanissimo dalla storia e dall’identità dei luoghi, a far rivivere la strada e l’intero borgo murattiano; non saranno certo alcuni nuovi negozi da aprirsi nelle nostre dimenticate periferie a farle rinascere. Ma è tutto un ampio tavolo di concertazione a dover indagare soluzioni condivise, a poter dare risposte coinvolgendo non solo le amministrazioni ma anche e specialmente le componenti umane, le categorie produttive, le risorse locali. Non dobbiamo dimenticare che mai come nell’ultimo periodo natalizio il centro di Bari è stato invaso dalle auto, mentre il commercio lamentava una crisi mai così pesante. Ma cos’altro poteva accadere, se dopo le 20 le strade periferiche sono piste desertiche?

Tutto questo mentre si continua a dimenticare che la struttura metropolitana dovrebbe ora guardare diversamente ai quartieri, in tale ottica ex periferici: Palese, Santo Spirito, Carbonara, Loseto, Torre a mare, San Paolo, Sant’Anna!!!! Sono ora territori centrali se visti all’interno della più vasta area metropolitana. E lungimiranza e intelligenza vorrebbero che proprio su queste aree, fortemente identitarie e che non a caso reclamano la loro autonomia, si debba investire maggiormente in risorse fisiche ed umane.

Recuperiamole, allora, le diverse anime della città metropolitana e lasciamo da parte, almeno per il momento, la velleità di trasformare anche la nostra bella costa! E su questo aspetto, il seguito alla prossima puntata.

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Bando Periferie, risposta al bisogno di civismo urbano?

Un’analisi del Programma governativo come occasione di rilancio delle politiche urbane: un modello d’iniziativa pubblica, seppure ancora da comprendere nella sua capacità d’incidere positivamente sulle nostre città

Il Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia (D.P.C.M. del 25 maggio 2016 pubblicato in G.U. S.G. 127 del 01/06/2016) ha perso il principale artefice, Matteo Renzi, dimessosi dopo il risultato del referendum costituzionale, ma continua a tenere vivo il dibattito, in attesa del DPCM che renderà nota la graduatoria delle proposte.

In origine

Senza intenzione alcuna di avventurarsi in esegesi del Renzi pensiero, la gestazione del Bando Periferie è di duplice interpretazione: la prima riguarda la qualità della città post-bellica, presto scaduta in una più superficiale retorica delle periferie (a cui ha contribuito, suo malgrado, anche Renzo Piano); la seconda è direttamente legata a una visione, inequivocabile, dell’ex premier, rinvenibile fin dagli anni in cui era sindaco di Firenze. Già nel programma di mandato del 2009 Renzi scriveva: «L’urbanistica non è l’esibizione muscolare di interessi privati o l’elucubrazione mentale di tecnici in cerca di ardite fantasie. L’urbanistica è la risposta qui e oggi ai problemi dell’uomo del nostro tempo. […] dare risposta ai bisogni quotidiani di bellezza […]».

Bisogni quotidiani di bellezza e Fare presto erano dunque un mantra ben presente quando si volle accentrare, presso la Presidenza del Consiglio, la stesura e la gestione del Bando Periferie. La dichiarazione di Renzi premier del novembre 2015 (rimarcata l’anno dopo dal megafono mondiale dell’assemblea dell’ONU), «Per ogni euro investito in sicurezza, uno per la cultura: […] il terrorismo proviene anche dalle periferie abbandonate delle città», che ufficialmente lanciò il programma, è piuttosto ascrivibile alla comunicazione politica. Forse efficace e felice come immagine, ma inconsistente nel contenuto.

Vi sono altre due iniziative salienti che invece ne delineano l’approccio culturale, prima che politico: i cosiddetti Patti per lo Sviluppo che molte città hanno sottoscritto col Governo negli ultimi mesi; il progetto governativo Casa Italia che, pur ancora da decifrare, parrebbe essere sintonizzato sulla lunghezza d’onda di una vera e propria Agenda urbana.

Integrare, coordinare, mettere a sistema, allineare politiche settoriali, alimentare progettualità. Sono questi i termini che si ritrovano nei Patti per lo Sviluppo, Casa Italia e il Bando Periferie. Da qui, si comprende l’attenzione e l’interesse ricevuti da soggetti mobilitatori di cultura tra cui l’Istituto Nazionale di Urbanistica.

La visione e il contributo dell’INU

A fine aprile 2016 l’INU ha tenuto, a Cagliari, il suo XXIX Congresso. Un Congresso di svolta dove le parole d’ordine degli urbanisti italiani, per la prima volta, non hanno parlato di riforma dell’ordinamento, né anteposto la parola “piano” a tutto il resto. Si è asserito di urbanistica tra adattamenti climatici e sociali, innovazioni tecnologiche e nuove geografie istituzionali. Si è parlato di un progetto di sistema: Progetto Paese (titolo, appunto, dato al congresso). I mesi intensi di preparazione e maturazione del documento congressuale hanno coinciso col lavoro del Governo sul Bando Periferie.

Quei quattro commi nella Legge di Stabilità 2016 (Legge 28 dicembre 2015, n. 208, articolo 1, commi 974, 975, 976, 977 e 978) furono il presupposto normativo del conseguente Bando per il quale arrivarono richieste, seppur informali, per apporti e collaborazione dall’INU. Il fermento culturale pre-congressuale del Progetto Paese di quel periodo è stato utile alla causa. Un’analisi e un punto di vista aggiornati fecero sì che l’Istituto esprimesse nella mancanza/inadeguatezza di progetti e nella scarsa capacità di spesa i due problemi endemici e complementari da cui sicuramente ripartire. L’INU chiedeva un bando che non spingesse i Comuni a un tour de force per produrre strategie ed elaborazioni tecniche in un tempo troppo compresso. Ma, soprattutto, auspicava un momento educativo collettivo: per le strutture tecniche degli enti locali, nell’esercizio di “pensiero competente” al servizio dei cittadini; per le comunità, mettendole in gioco nell’innovazione e sostenibilità urbana; per gli amministratori, nel riappropriarsi di funzioni di indirizzo e di scelta, del resto contratte dai troppi anni di crisi. In definitiva, l’INU proponeva di impiegare gran parte dei 500 milioni originari previsti per una progettazione urbana integrata sostenibile, diretta a costituire un “parco progetti” maturo e valido per tutte le possibilità (ordinarie e straordinarie) di programmazione, individuando, nel contempo, un numero definito di progetti da poter attuare subito.

Quanto queste proposte dell’INU abbiano influito nella costruzione del Bando non è dato sapere. Rimane il fatto oggettivo che l’art. 5 del Bando pubblicato indica: […] Una quota del 5% delle risorse dell’investimento per ciascuna città può essere destinata alla predisposizione di piani urbanistici, piani della mobilità, studi di fattibilità e/o atti necessari per la costituzione di società pubblico/private e/o interventi in finanza di progetto, investimenti immateriali quali e-government, marketing territoriale, sviluppo di nuovi servizi, formazione (se collegati e funzionali ai progetti innovativi proposti) […].

Questo impianto ha spinto l’INU, che ha gli enti pubblici tra la propria base associativa, a scrivere nell’estate scorsa ai Comuni eligibili manifestando loro la volontà di sostegno delle candidature. A quella disponibilità hanno risposto Ancona, Catania, Città metropolitana di Milano, Ferrara, Grosseto, Latina, Messina, Modena, Nuoro, Reggio Emilia. Queste città, insieme ad altre, hanno poi partecipato al convegno #progettaitalia: gli approcci per riqualificare le periferie d‘Italia (URBANPROMO, Milano, 10 novembre 2016).

Una prima valutazione

Il termine ultimo per la conclusione dei lavori del nucleo di valutazione sulle proposte dei Comuni era fissato dal bando per il 28 novembre scorso. Prima di tale data è accaduto un fatto importante. A metà ottobre, durante l’Assemblea ANCI, il primo ministro Renzi aveva annunciato il finanziamento, seppur differito nel tempo, di tutte le proposte pervenute (120 in totale).

Il combinato disposto tra questa importante decisione e la possibilità, prevista nel bando, di una quota di risorse da poter utilizzare per la predisposizione di piani urbanistici, piani della mobilità, ecc., si avvicina abbastanza a ciò che l’Istituto aveva proposto.

Rimane da comprendere se la componente ideologica del fare presto ha penalizzato oltremodo la qualità delle proposte, il loro contenuto, la loro reale fattibilità. E se così fosse, resta da capire se ci sarà possibilità di correggere qualcosa strada facendo (nelle more delle sottoscrizioni delle convenzioni). In ogni caso, se così fosse, nonostante i buoni presupposti sopra richiamati, il Bando Periferie sarebbe una risposta mancata a un bisogno, pressante, di civismo urbano; una necessità sentita di città più belle, accoglienti, sostenibili e dense di opportunità.

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La Botta: Santoro racconta le piazze di spaccio romane di Ponte di Nona e Tor Bella Monaca

Roma come Napoli, Tor Bella Monaca come Scampia, l’inchiesta trasmessa da Rai2 mostra il livello di degrado raggiunto dalle periferie della Capitale.

Un servizio destinato a rimanere negli annali del giornalismo di inchiesta quello mandato in onda ieri sera, 15 dicembre, su Rai2, nel corso della seconda puntata della trasmissione Italia condotta da Michele Santoro. Il video, facilmente reperibile sul sito serviziopubblico.it e di cui forniamo un’anticipazione, mostra senza alcun tipo di censura, il degrado, l’abbandono e la miseria in cui versano alcune periferie romane. Luoghi come #Tor Bella Monaca, #Ponte di Nona e San Basilio, divenuti delle vere e proprie ‘nuove Scampia’, dove ci sono piazze di spaccio a cielo aperto e i pusher si lasciano intervistare mentre confezionano dosi di cocaina ed eroina, oppure ‘pippano’ indisturbati anche in mezzo alla strada.
Il contenuto dell’inchiesta

La seconda puntata di Italia si apre con le immagini che arrivano da Ponte di Nona, quartiere dormitorio costruito in spregio di qualsiasi piano regolatore fuori dal Grande Raccordo Anulare a Roma Est, vicino al solito, immenso, centro commerciale. Siringhe, sporcizia e perquisizioni dei Carabinieri. Ad un certo punto, l’inviata santoriana Francesca Fagnani, appostata con un collega nei pressi di una piazza di spaccio, viene avvistata dalle vedette (bambini, minorenni e persino madri con le carrozzine) e minacciata ripetutamente da uno spacciatore: “Te la ficco in c… la telecamera”.

Immagini quasi ‘normali’ per chi abita le periferie della Capitale, ma che sembrano tratte direttamente da ‘Gomorra’. E, infatti, a discutere in studio col conduttore c’è proprio Roberto Saviano, autore dell’omonimo best seller da cui sono stati tratti un film e una serie di grande successo. Ed è proprio Saviano a certificare che il ‘modello Scampia’ è stato fotocopiato anche a Roma, reso possibile dall’assenza totale delle istituzioni. “Dire che non c’è mafia a Roma è una follia – afferma lo scrittore napoletano – la droga nelle periferie romane arriva dai cartelli calabresi, campani e siciliani”. Chiacchiere a parte, comunque, a parlare sono le immagini e l’umanità ‘corrotta e piegata’ che abita quei luoghi.

Esemplare è la storia di Dario (condannato a 6 anni di carcere) e della madre, una famiglia di spacciatori per necessità. Uniche anche le interviste ‘volanti’ fatte ad alcuni dei molti ragazzi costretti agli arresti domiciliari, ma disposti a tutto, alla galera ma anche a morire, pur di fuggire da quell’inferno. Da Pulitzer l’intervista strappata alla madre e alla ex compagna di un ragazzo pregiudicato ucciso in strada dall’ex marito di lei, imbottito di cocaina, morto anche lui nel conflitto a fuoco. Un altro mondo rispetto a quello patinato raccontato dalle tv.
Aloha ‘pippa’ in strada a Tor Bella Monaca

Altro quartiere, ma stesse scene a Tor Bella Monaca. Qui l’inviata Dina Lauricella entra in confidenza con un certo ‘Aloha’, un personaggio di certo molto conosciuto in zona e nell’ambiente, che non si fa problemi ad aprire un ‘pezzo di coca’ e farsi una sniffata in mezzo alla strada, davanti a decine di persone di ogni età. Sempre a ‘Torbella’, non si sa come, la Lauricella viene invitata a casa di alcuni spacciatori incappucciati che, tranquillamente, raccontano come funziona il mercato della cocaina e della ‘robba’ (eroina ndr) mentre preparano con mani sapienti le dosi, i ‘pezzi’ appunto’, destinati alla vendita. “Qui si spaccia per fame, non per soldi”, dicono. E forse non hanno tutti i torti. #La Botta

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Attenzione, quell’energia può diventare distruttrice se non è ben governata

Siamo più rapidi negli spostamenti, circondati da eventi eppure sempre più disconnessi e soli. In pochi tratti Marc Augé, direttore di ricerca ed ex direttore dell’École des hautes études en sciences sociale (EHESS) e ideatore del fortunato termine “non luogo”, descrive l’essenza di quella che chiama “surmodernità”: il tempo in cui siamo immersi, il nostro tempo, scandito dal ritmo pulsante delle grandi metropoli contemporanee. (Scopri di più su: OrigamiSettimanale.it)

Marc Augé (Intervista a cura di Laura Aguzzi)

In questi spazi complessi e molteplici, al cui studio Augé ha dedicato i suoi testi più noti, le interconnessioni tra centro e periferia determinano continui spostamenti di senso, dinamiche e situazioni da non leggere come immutabili. Perché, ci spiega Augé, lo stesso concetto di periferia è “ingannevole”.

Professor Augé, ma una periferia può davvero diventare capitale culturale? Più di un centro?

Certamente, in molte città la periferia gioca un ruolo culturale molto importante. Si tratta soprattutto di lavori sperimentali, teatro d’avanguardia, iniziative legate al mondo della musica e della letteratura. Accade a Parigi, in distretti il cui solo nome sembra essere legato a una maledizione, come il 93, quello di Saint Denis. È qui che nascono molte delle innovazioni culturali che poi andranno a nutrire il “centro”.

Come spiega questo fenomeno?

Le periferie sono il posto in cui i problemi che si dibattono sul piano nazionale sono reali: la disoccupazione, le tensioni tra le diverse comunità religiose, la lontananza dalle istituzioni (anche europee). Ma proprio perché sono posti difficili, sono posti vivi. La lotta per risolvere queste difficoltà genera anche molta energia creativa. Tanto più che moltissimi creativi decidono poi di trasferirsi in quelle zone per seguirne il battito.

Che cos’è per lei la “periferia”?

Troppo spesso la si confonde con un concetto geografico: qualcosa che sta fuori dalle città. Come se le città fossero circondate da una corona di povertà. Ma la realtà è più complessa: le periferie non sono un concetto geografico ma sociale. Ci sono quartieri centralissimi a Parigi, ma anche altrove, le cui dinamiche sono periferiche, degradate. Penso ad alcune aree del 19emo arrondissement ad esempio, ma anche a Molenbeek a Bruxelles, divenuta nei mesi scorsi snodo del terrorismo internazionale: non si tratta di un quartiere estraneo alla città quanto alla società.

Molto spesso in questi quartieri risiedono molti immigrati di seconda o terza generazione, che si sentono esclusi o emarginati dai giri che contano.

Esattamente. E quella stessa energia creativa di cui parlavamo prima, quella forza che fa sì che compagnie americane vengano a reclutare giovani informatici proprio nelle zone più disagiate, può rapidamente trasformarsi in una forza distruttrice se non è ben indirizzata, ben utilizzata. Siamo in un regime di concorrenza dove ciò che non viene attratto dalle forze positive e propositive può spesso rivolgersi verso le sirene del proselitismo religioso.

Se le periferie popolate di migranti possono essere il nuovo centro della cultura, gli immigrati o i loro figli possono esserne i futuri protagonisti?

Molto spesso lo sono ma bisogna diffidare di una visione troppo ottimistica. La presenza di un teatro d’avanguardia o di un’iniziativa culturale in periferia non implica necessariamente che gli immigrati lì presenti ne siano parte integrante, vi prendano parte. Il rischio è quello di dar vita a dinamiche di coesistenza piuttosto che di coabitazione.

Quali sono allora i rischi da evitare nel ripensare le periferie?

Non bisogna sottovalutare lo sforzo richiesto: ciò che facciamo o non facciamo oggi avrà un impatto importante sulla società di domani. Purtroppo l’esempio francese in tal senso è negativo: quando negli Anni 70 abbiamo accolto le generazioni di migranti in arrivo soprattutto dal Nord Africa, si è creduto che la loro sarebbe stata una presenza solo temporanea. I bambini sono andati a scuola ma per formarli adeguatamente e dare loro pari opportunità ci sarebbe voluta una mobilitazione eccezionale. Cosa che non è accaduta. È stata una politica miope e incompleta.

E del centro, cosa ne sarà in futuro?

È difficile dirlo, proprio perché la realtà non è così dicotomica come spesso la descriviamo. Già oggi ci guardiamo continuamente intorno in cerca di un centro. Ma in realtà il centro dov’è? Non lo sappiamo più.

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Anche Barcellona riqualifica gli scali ferroviari con un parco sopraelevato

‘Jardins de la Rambla de Sants’ è un parco sopraelevato di 20mila mq che nasconde e abbellisce la linea ferroviaria di Barcellona
Si chiama ‘Jardins de la Rambla de Sants’ il parco sopraelevato di 20.000 mq che è stato inaugurato quest’anno a Barcellona. Ricorda i progetti di riqualificazione degli scali ferroviari di Parigi (Promenade plantée) e New York (High Line) ma in realtà è qualcosa di diverso perché la ‘rambla’ non prende il posto della linea ferroviaria ma la nasconde grazie a una sorta di ‘scatola’ contenente più di 160 alberi e 85mila piante organizzati in diversi gradini.

I lavori sono durati più di 10 anni e ora il progetto, realizzato dagli architetti Sergi Godia e Ana Molino è stato ultimato: una passeggiata di 760 metri, il cui ingresso è stato realizzato a Plaza de Sants, che offre una vista spettacolare sulla città e una serie di spazi pubblici da ususfruire.

Il parco sopraelevato è sorretto da un sistema strutturale di travi tamponate e vetrate, che consentono ai visitatori di vedere anche i treni che passano. In alcuni punti la struttura si erge a 12 metri sopra il livello della strada ed è qui che sono state piantumate delle piante rampicanti che hanno già iniziato a salire sulla parete in cemento.

L’obiettivo è quello di fondere la natura con la civiltà metropolitana.

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Un canale web tutto dedicato al sociale: nasce “Strana Tv”

Lanciato lo scorso 23 novembre per festeggiare i 30 anni dalla cooperativa sociale “Stranaidea” a Torino, ogni settimana il canale offrirà al pubblico un diverso punto di vista sulle attività dell’ente: dai servizi “a domicilio” all’ospitalità notturna per i senza dimora
Una tv tutta dedicata al mondo del volontariato, che conduca lo spettatore nella quotidianità di utenti, associazioni e operatori. Così, una cooperativa sociale ha deciso di festeggiare i suoi primi 30 anni di attività, traguardo non da poco in un mondo che, più di altri, deve vedersela quotidianamente con tagli, flessioni di budget e “chiusure per crisi”. Accade a Torino, e la coop si chiama “Stranaidea”, una realtà che dal 1986 opera nel capoluogo sabaudo con progetti di integrazione sociale, sostegno alla cittadinanza attiva e incremento dell’occupabilità, coprendo l’intero scibile relativo al
Agenzia giornalistica
Nasce il magazine “Riiks”, giornalismo e arte per raccontare le migrazioni
Giornalismo, la scuola fa notizia, i giovani per un’informazione consapevole
AREA ABBONATI
sociale: disabilità, infanzia e minori, adulti in difficoltà, politiche attive per il lavoro e la sanità. Il traguardo dei tre decenni di attività, a dirla tutta, Stranaidea lo ha tagliato già da qualche mese: il lancio ufficiale del sito web (www.stranaidea.it) risale al maggio scorso, ed è su quella stessa piattaforma che i soci della cooperativa hanno deciso ora di raccontarsi “in diretta”, lanciando una web tv che, settimana per settimana, aggiornerà il pubblico sulle attività messe in piedi dall’ente.

Le trasmissioni di “Strana tv” sono iniziate ufficialmente il 23 novembre scorso: da allora, e fino al maggio prossimo, ogni settimana il canale proporrà un diverso punto di vista sulle attività messe in piedi dagli 81 soci e dagli oltre cento lavoratori della cooperativa. Il taglio è quello documentaristico proprio dell’informazione in rete: ma a differenza che altrove, qui si parla esclusivamente di cooperazione, volontariato e cittadinanza attiva. L’ultimo episodio, online dallo scorso venerdì, è una panoramica sui servizi offerti dal Ser “L’Orobilogio”, un centro educativo e riabilitativo rivolto agli adolescenti over 16 in condizione di disabilità intellettiva o con disturbo della relazione e del comportamento. Il servizio di lancio, invece, si era occupato di “Stranarte”, lo spettacolo di varietà con cui ogni anno la coop porta sul palcoscenico ragazzi con la sindrome di Down o con forme di disabilità intellettiva.

“L’idea – spiegano dalla cooperativa – è mostrare ciò che accade quotidianamente in Stranaidea, dall’apertura della segreteria fino all’accoglienza dell’ultimo ospite delle Case di Ospitalità Notturna. Nei prossimi episodi, ad esempio, porteremo il pubblico nella giornata di un Easy trainer, un particolare tipo di operatore ‘a domicilio’ che utilizziamo in percorsi personalizzati di sostegno all’apprendimento. E ancora, Marco, un operatore del nostro servizio notturno, ci porterà per una notte nel mondo dei senza dimora per le strade di Torino”. Ogni episodio, oltre che sul sito web, verrà rilanciato sui canali Facebook e youtube di Stranaidea. Per informazioni su questa e altre iniziative è possibile visitare la sezione “30 anni in diretta” del sito web.

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Poveri noi, dossier di openpolis sulla povertà in Italia

Poveri noi, dossier a cura di openpolis e ActionAid sulla povertà in Italia dopo 10 anni di crisi economica.

Openpolis, nota associazione di promozione culturale per la pratica della trasparenza pubblica, ha realizzato e pubblicato, in collaborazione con ActionAid, un mini dossier sulla situazione economica degli italiani a 10 anni dall’inizio della crisi economica.
10 anni di crisi

In pochi anni la popolazione in povertà assoluta, che non è in grado di permettersi un paniere di beni considerato minimo per una vita accettabile, è più che raddoppiata passando da 2 milioni di persone nel 2005 a 4,6 milioni di persone nel 2015. L’incremento più drammatico tra 2011 e 2013: in un solo triennio i poveri assoluti sono passati dal 4,4 al 7,3% della popolazione.
Lavoro e povertà

Una delle cause principali dell’impoverimento delle famiglie è la mancanza di lavoro. Quasi il 20% delle famiglie in povertà assoluta ad esempio ha la persona che solitamente provvedeva al sostenato economico, disoccupato e in cerca di occupazione.

Ma oltre alla disoccupazione influisce molto anche il sistema di occupazione che si è venuto a creare nel periodo di crisi ad influire. Infatti molti lavori sono precari a termine, intermittenti, oppure di poche ore settimanali.
Disoccupazione e povertà giovanile

Altro drammatico aspetto che emerge dal dossier è la povertà giovanile. Se nel 2005 i più poveri erano gli anziani sopra i 65 anni, a distanza di 10 anni di crisi questo dato si è invertito; il tasso di povertà assoluta è diminuito tra gli anziani (sceso al 4,1%), mentre è cresciuto nelle fasce più giovani: di oltre 3 volte tra i giovani adulti (18-34 anni) e di quasi 3 volte tra i minorenni.
Welfare italiano non adeguato

Purtroppo il welfare italiano, la cui spesa per lo Stato è pari al 21,4% del PIL ovvero sopra alla media europea del 19,5% del PIL, non è adeguato alla situazione. Infatti, fa notare il dossier, poca della nostra spesa sociale viene destinata ai soggetti che, con la crisi, hanno subìto maggiormente l’impoverimento. In Italia la tutela dalla disoccupazione e dal rischio esclusione impiega il 6,5% della spesa in protezione sociale, contro il 15,8% della Spagna, il 12,1% della Francia, l’11,7% della Germania e il 10,9% del Regno Unito.

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