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Periferie geografiche e sociali

Occuparsi di periferie e di degrado paesaggistico ed ambientale significa occuparsi della qualità della vita. E’ uno dei traguardi dell’obiettivo 11 dell’Agenda 2030
Ci sono anche le periferie nell’Agenda 2030. L’agenda 2030 è infatti un programma d’azione che guarda alle persone e, pertanto, agli ambienti in cui queste persone vivono e sviluppano le relazioni sociali. La città è dunque fondamentale e l’obiettivo 11 “Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili” è affascinante, oltre che importante.

Vedo la necessità di attivare in città cantieri di idee e di lavoro, operando con gli abitanti di tutte le fasce di età. Delineare il nuovo futuro delle città (nel 2030 si prevedono 41 megalopoli con oltre 10 milioni di abitanti) significa incidere sempre più sul mondo e contribuire così all’obiettivo fascinoso associato a tutta Agenda 2030, cioè “Trasformare il nostro mondo”.
Una visione d’insieme

Non riesco a vedere distaccati i 17 obiettivi e i 169 traguardi, che ho letto con profonda volontà di sapere cosa i grandi del mondo hanno pensato. Mi consola sapere che se solo si riuscisse a centrare alcuni di questi obiettivi, avremmo un mondo migliore in cui far attecchire gli altri, generando un processo catalizzatore verso il futuro. Come ricordato nell’Agenda 2030, “Gli obiettivi e i traguardi stimoleranno nei prossimi 15 anni interventi in aree di importanza cruciale per l’umanità e il pianeta”.

I grandi della Terra hanno scritto “Noi immaginiamo un mondo libero dalla povertà, dalla fame, dalla malattia e dalla mancanza, dove ogni vita possa prosperare… Un mondo dove gli insediamenti umani siano sicuri, resistenti e sostenibili e dove ci sia un accesso universale ad un’energia economicamente accessibile, affidabile e sostenibile”. Un obiettivo sicuramente difficile da raggiungere, ma lavorando dal basso e assumendo come sub-obiettivi i singoli traguardi individuali possiamo farcela.
Can our cities survive?

José Luis Sert ha affascinato tanti con un libro che ho letto oltre 30 anni fa: Can our cities survive (un volume pubblicato negli Stati Uniti nel 1942 e dedicato ai temi urbanistici emersi al Congresso Internazionale per l’Architettura Moderna del 1937). Un abbiccì dei problemi urbani, con la loro analisi, le loro soluzioni. Oggi assistiamo alla riproposizione di temi fondamentali: le città dovranno sopravvivere perché in loro è il futuro dell’umanità, in quanto in esse si concentrerà la popolazione mondiale.

Ecco perché i 10 traguardi dell’obiettivo 11 individuano precisi compiti a cui non possiamo sottrarci, e puntano, per quanto ci riguarda, a recuperare il ritardo sulla spesa di risorse ”pronte” e “spendibili” e rivenienti dall’Unione Europea. Fa rabbia osservare che la quasi totalità delle risorse da spendere nel triennio 2014-2016 sono ferme, utilizzate solo in minima parte per alimentare i costi di una macchina pubblica che fa spesa e non investimenti.
Partire prima del 2030: il primo traguardo

E quindi occorre partire “prima del 2030” e dare il via ai bandi per la rigenerazione di nuove città e quartieri degradati, per costruire nuovi alloggi “adeguati, sicuri e convenienti” e garantire “servizi di base e riqualificare i quartieri poveri”, come prevede il traguardo 1 dell’obiettivo 11. E per massimizzare i risultati della spesa occorre dare spazio alla progettualità vera, quella che nasce dal basso e con la gente (come dice il sociologo Giandomenico Amendola), e da cui possono poi nascere i singoli progetti affidati a tecnici scelti per qualità e competenza, realizzati poi da imprese individuate per vera capacità e con trasparenza.

Occorre innescare quel processo virtuoso che dalla progettualità conduce al progetto e poi alla realizzazione, con una profonda bonifica della macchina pubblica e politica che consenta di risparmiare quel 50% circa di risorse che si perdono in tangenti e sprechi.
Il secondo traguardo: trasporti a misura di persona

Un traguardo ambizioso è anche il secondo, quello che punta, entro il 2030, a “garantire a tutti l’accesso a un sistema di trasporti sicuro, conveniente, accessibile e sostenibile, migliorando la sicurezza delle strade, in particolar modo potenziando i trasporti pubblici, con particolare attenzione ai bisogni di coloro che sono più vulnerabili, donne, bambini, persone con invalidità e anziani”. E l’attenzione all’uomo è evidente leggendo gli altri traguardi, perché la città è il luogo principe dello sviluppo delle relazioni sociali ed in cui si esplica la costruzione del futuro, che passa anche da un’organizzazione della città inclusiva e sostenibile, che possa anche “potenziare gli sforzi per proteggere e salvaguardare il patrimonio culturale e naturale del mondo”.
Le periferie sociali: Leave no one behind

Ritorna poi, con i successivi traguardi, un’esplicita attenzione ai poveri e alle persone più vulnerabili, bambini, anziani, diversamente abili, donne, nonché attenzione all’impatto associato alle attività umane. Infatti, se nelle città si concentrerà la maggior parte delle persone, è dalle stesse che deve nascere una differente gestione dei rifiuti, dell’acqua, dell’energia. Anche questo rientra nel motto stesso dell’Agenda 2030, che esorta a non lasciare nessuno indietro: leave no one behind.
Periferia di Lucera: un “non luogo” da rivitalizzare

Ovviamente la città è parte di un più vasto territorio con cui entrare in sintonia sviluppando le relazioni con il contesto rurale in cui la stessa si inserisce, con un diverso rapporto città-campagna, rafforzando i legami con le aree periurbane e rurali, attraverso un rafforzamento della pianificazione. Tutto questo deve poi costituire best practice per consentirne l’esportazione e l’applicazione in altri contesti e nei paesi meno sviluppati, anche fornendo assistenza tecnica e finanziaria, nel costruire edifici sostenibili e resilienti utilizzando materiali locali.
Dalle periferie del degrado ambientale alla progettazione partecipata

L’errore che occorre evitare di commettere è comunque quello di vedere gli obiettivi (ed i traguardi agli stessi associati) staccati e non integrati fra loro attraverso relazioni dirette e/o indirette. È così, guardando già ai primi obiettivi, che si massimizzano i risultati, incidendo con la rigenerazione delle città sulla “Povertà zero”, sulla “Fame zero”, come anche su “Salute e benessere” associati alle nuove città. Occuparsi infatti di periferie e di degrado paesaggistico ed ambientale significa occuparsi della qualità della vita.

In un recente articolo su Ambient&Ambienti ho infatti ricordato che la periferia è emarginazione “quando abbiamo progettato le città senza cuore ed affetto, oppure quando siamo stati politici ed abbiamo pensato alle vie dei salotti dimenticando le vie in cui c’è anche la gente semplice. O quando da giornalisti abbiamo parlato delle periferie solo in senso negativo, tralasciando di raccontare quando la gente richiede aiuto, manifesta difficoltà, chiede case, acqua, fognatura, illuminazione, giochi, contenitori per favorire la presenza di vita attiva.”
Visioni di città e progettazione partecipata

Per questo abbiamo bisogno sempre più delle “visioni” di città (per vedere oltre, dove pochi vedono, e lasciarci guidare da queste) e dobbiamo parlare di progettualità attraverso una progettazione partecipata, ottenendo adesione e ricevendo quel conforto che giustifica la voglia di continuare a costruire le città del futuro, con i servizi che servono per generare ricchezza da distribuire a chi ne ha bisogno.
Il “diritto alla città”

E di città del futuro se ne è parlato nell’ottobre 2016 a Quito, dove 193 stati hanno sottoscritto la Nuova Agenda Urbana come atto fondamentale della conferenza Habitat III, un’agenda che presenta nuove e più ampie strategie per le città al fine di incidere su queste nei prossimi vent’anni. E così, tra città compatte e trasporti pubblici sostenibili, si guarda al futuro e alla prevenzione di nuove favelas, nuove megalopoli di decine di milioni di abitanti, in cui i valori umani e l’attenzione all’altro rischiano di scomparire per sempre.

Nell’Agenda Urbana si propongono 5 punti e numerosi sotto-punti e si parla per la prima volta di “diritto alla città” (right to the city): si parla insomma di città per la gente e non per l’economia e si richiama la necessità di una visione condivisa dei principi e impegni della nuova Agenda urbana. Entusiasmante è quanto scaturisce dall’ Agenda di Quito, letta in stretta connessione con Agenda 2030: le città e gli insediamenti umani devono essere per tutti, garantendo la città per tutti, la parità dei diritti, il diritto alla casa, sistemi sociali e civili funzionali, parità di genere, una mobilità urbana accessibile per tutti, una gestione delle catastrofi e la capacità di recupero.

Insomma da Agenda 2030 si legge una vision importante che merita una traduzione operativa che dipende da noi e dalla nostra capacità di tradurre in realtà le visioni: tutto ciò è necessario e non rinviabile, al fine di prevenire delle rivoluzioni.

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DAL CALCIOSOCIALE ALL’IMPEGNO CIVICO IL PASSO È BREVE

A Corviale i ragazzi possono giocare e giocando diventare Giovani Custodi del territorio. Perché lo sport aiuta a maturare una coscienza civile
«Le scuole calcio non possono più trasmettere solo la tecnica, ma hanno il dovere di coltivare nei ragazzi qualità umane che formino una coscienza civile e sociale». Una scommessa vinta da Massimo Vallati insieme agli operatori e volontari dell’associazione CalcioSociale, che dal 2014 offre ai ragazzi del quartiere Corviale di Roma una struttura dove potersi formare alla legalità e all’impegno civico. Una casa dove loro stessi sono i custodi.

CalcioSocialePartecipare ad una scuola di calcio sociale non vuol dire solo intraprendere un percorso motorio e agonistico, ma anche incontrarsi e confrontarsi su temi come la lotta alla criminalità, la conoscenza delle mafie, il rispetto ambientale, la prevenzione da dipendenze: un percorso di educazione civica che in quartieri come quello del Corviale rappresenta un punto di rottura con i modelli proposti dalla malavita.

«Giovani Custodi è un momento di formazione che proponiamo ai bambini e ragazzi che frequentano la nostra scuola calcio», racconta Massimo, «un’ora e mezza in cui chiediamo loro di parlare, scrivere e dire la propria su certi temi. Ci rivolgiamo a ragazzi dai 12 ai 15 anni e a bambini dai 9 agli 11 e presto attiveremo un percorso anche per i bambini di 7-8 anni».
Il CalcioSociale è educazione civica

Incontri che nascono dalle stesse esigenze dei giovani del quartiere, dalla loro esperienza di vita e dagli ambienti che frequentano; in testa quelli digitali. «Nel primo incontro di Giovani Custodi abbiamo chiesto loro di mostrare dei post che avevano scritto su Facebook e di commentarli insieme ai loro amici. È stato interessante notare come alcuni ragazzi, davanti gli altri, si dissociavano da ciò che avevano pubblicato: con questa dinamica ci siamo accorti come molti di loro non si rendono conto che quando condividono o postano un contenuto, c’è sempre una conseguenza».

CalcioSocialeCalcioSociale diventa anche best practice di inclusione sociale. Dopo l’esperienza di questi anni vissuta al Corviale, l’associazione sta facendo rete insieme ad altre realtà sportive che operano in altri quartieri difficili d’Italia, proponendo il proprio modello di azione e i risultati raggiunti insieme ai ragazzi del Corviale. Inoltre, nei prossimi due anni, il percorso offerto da CalcioSociale sarà oggetto di studio di un progetto scientifico europeo che validerà la metodologia di intervento con bambini e adolescenti.

Dallo scorso 30 maggio continuano anche le dirette notturne di RadioImpegno, che dal Corviale racconta le storie, le difficoltà e le vittorie di tante associazioni e realtà che operano nel sociale a Roma. «La città che non vuole arrendersi esiste e lo dimostra il palinsesto della radio, che dallo scorso maggio è stato sempre ricco di contributi. Siamo cresciuti e continuiamo a farlo, perché vogliamo raccontare la capitale delle buone pratiche, sempre alla ricerca di amici e persone “radioimpegnate”. Abbiamo dimostrato che mettendoci insieme siamo più forti di chi ci voleva fermare».

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La birra che nasce a Corviale

La sfida di cinque ragazzi nell’estrema periferia di Roma
ternal City Brewing, il birrificio artigianale nato come beer firm senza impianto proprio, è arrivato a produrre 6000 bottiglie mensili e 700 ettolitri all’anno.
Luppoli, fermentatori e birre alla spina all’ombra del Serpentone di Corviale. Dietro la famigerata costruzione popolare che incombe torva sulla campagna compresa tra la Portuense e la Pisana, cinque giovani amici hanno realizzato un sogno: aprire un birrificio proprio. Maurizio, Giacomo, Enzo, Simone e Alessandro, dopo serate passate ai banconi di pub che hanno fatto la storia della scena brassicola romana, hanno deciso di rimboccarsi le maniche e produrre birra secondo i loro gusti.

La birra che nasce a Corviale: la sfida di cinque ragazzi nell’estrema periferia di Roma
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Nel 2013 nasce così il progetto Eternal City Brewing, una beer firm, ossia un birrificio senza un proprio impianto di produzione che si appoggia ad altri birrifici utilizzando le proprie ricette. Nei vari festival in giro per l’Italia non si sono fatti attendere apprezzamenti per le creazioni del birraio Maurizio Graziani. Due anni più tardi si raccolgono risorse e si decide di fare sul serio: viene acquistato lo stabilimento di produzione attuale in via del Ponte Pisano 84. ECB inizia a produrre con due fermentatori fino ad arrivare ai cinque attuali che permettono una produzione di 6000 bottiglie al mese e più di 700 ettolitri l’anno, divenendo così il più grande birrificio artigianale all’interno del GRA. “Il nostro obiettivo fin dall’inizio è stato sempre quello di essere riconosciuti come il birrificio di Roma, riprendendo la tradizione americana un po’ campanilistica che vuole che gli americani si riconoscano nel birrificio della loro città”, spiega Giacomo Mondini.

Un’identità che è cercata attraverso nomi come Urbe, Lupa, Tiber e Bulla, ma soprattutto grazie alle etichette, che “raccontano la storia della città”. Gran parte della produzione è costituita da birre di stile inglese e americano, ricche di luppolo che soddisfano la sete di romani e non solo. Tra queste spicca la Urbe, premiata Grande birra da Birre d’Italia 2017 di Slow Food e classificatasi terza nella categoria American e India Pale Ale nel concorso indetto da Unionbirrai. Non manca però anche qualche riferimento alla tradizione birraria belga, come la Tre Scrocchi in cui ai malti viene aggiunto miele proveniente dalla vicina Tenuta dei Massimi.
La birra che nasce a Corviale: la sfida di cinque ragazzi nell’estrema periferia di Roma
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All’interno del birrificio è presente una piccola tap room dall’ambiente informale dove sono presenti alcune spine e dove è possibile scambiare qualche chiacchiera con il mastro birraio Maurizio. Il locale di mescita è aperto dal lunedì al venerdì dalle 10 a mezzanotte per non fare concorrenza ai locali romani a cui il birrificio distribuisce i fusti e, vista la produzione “centimetri zero”, è possibile gustarsi una birra artigianale per 3 euro e mezzo. A breve aprirà anche la cucina, che punta a utilizzare malti e luppoli anche nei piatti e a recuperare prodotti di risulta, come i malti esausti per fare il pane. “Abbiamo molti progetti” ci racconta Giacomo, “Appena la cucina sarà aperta, organizzeremo cene improntate all’esaltazione del luppolo con alcuni chef. Inoltre a marzo ospiteremo per la prima volta una classe di scuola media per spiegare ai ragazzi come nasce una birra e faremo una cotta tutti insieme”.

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Rigenerazione urbana: le misure fiscali proposte dall’ANCE

Ridurre al minimo le imposte a carico delle imprese acquirenti i fabbricati usati, ed estendere la detrazione Irpef 50% per le ristrutturazioni edilizie agli interventi di demolizione e ricostruzione con incrementi volumetrici e con miglioramento dell’efficienza energetica
E’ necessario un nuovo approccio anche culturale al recupero urbano, con regole urbanistiche che rendano possibili le operazioni di riqualificazione e gli interventi di demolizione e ricostruzione.

Lo ha dichiarato il presidente dell’Ance Gabriele Buia nel corso di un’audizione che si è svolta ieri presso la Commissione monocamerale di inchiesta sulla sicurezza e il degrado delle città e delle loro periferie, istituita alla Camera dei Deputati.

LA LEVA FISCALE. Il presidente dei costruttori ha sottolineato l’esigenza di individuare misure fiscali che garantiscano la sostenibilità economica degli interventi. Al riguardo, occorre, in particolare:

– incentivare la “rottamazione dei vecchi fabbricati” e la loro sostituzione con edifici di “nuova generazione”, attraverso la riduzione al minimo delle imposte a carico delle imprese acquirenti i fabbricati “usati”;

– estendere la detrazione IRPEF del 50% per le ristrutturazioni edilizie agli interventi di demolizione e ricostruzione con incrementi volumetrici, ammessi come premialità da leggi o regolamenti edilizi locali, e che comportino un miglioramento in termini di efficienza energetica. Lo stesso dovrebbe valere per gli interventi antisismici dell’edificio (es. miglioramento di due classi sismiche definite dall’emanando Decreto del MIT).

Buia ha sottolineato la necessità di aprire un percorso normativo che consenta di intervenire sulle città in maniera rapida, con provvedimenti concreti e immediati per la definizione di politiche per la rigenerazione urbana strategiche per il Paese.

LE DIRETTRICI PER ACCELERARE IL RISANAMENTO DEL TERRITORIO. L’Associazione dei costruttori ha individuato alcune direttrici fondamentali al fine di consentire l’accelerazione delle attività di risanamento del territorio e quindi il suo recupero:

– chiarire che la riqualificazione e la rigenerazione del territorio rappresentano una priorità per l’intera collettività e sono azioni alle quali riconoscere l’interesse pubblico;

– obbligare gli enti locali ad individuare periodicamente gli ambiti di rigenerazione urbana sui quali formulare le proposte anche per sub ambiti;

– invitare gli operatori a presentare proposte di rigenerazione coerenti con gli indirizzi locali basate sull’equilibrio del piano economico finanziario;

– raccordare la pianificazione urbanistica con le altre normative di settore, prima fra tutte quella ambientale, con particolare riguardo alla disciplina delle bonifiche;

– predisporre un quadro di norme e procedure in grado di evitare le lungaggini procedurali e l’incertezza nei tempi di realizzazione delle opere;

– definire istituti e meccanismi attraverso i quali, superare l’immobilismo della proprietà ed il frazionamento della proprietà;

– creare un sistema di convenienze per tutti i soggetti coinvolti: dall’intera collettività ricadente nell’ambito ai singoli proprietari, agli operatori privati.

SISMABONUS. Il sisma-bonus fino all’85% previsto dall’ultima legge di Bilancio “è un ottimo incentivo ma occorre semplificare l’attuazione, sia in termini normativi condominiali, sia in termini di cedibilità del credito da parte dell’esecutore. Un ulteriore passo potrà essere l’individuazione dei meccanismi che rendano in qualche modo cogente gli interventi. Senza contare che intervenendo su edifici condominiali dove appunto la proprietà è frazionata i passaggi da fare si moltiplicano e non è sempre detto che poi si arrivi a deliberare di fare i lavori”.

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Contrabbandiamo cultura

Fare cultura serve a migliorare il mondo, a diffondere punti di vista diversi, a creare relazioni. Possiamo mettere in discussione le categorie imposte, ad esempio, di artista e spettatore? Ma, soprattutto, possiamo sperimentare alternative al bando? Quello che accade in queste settimane al Nuovo Cinema Palazzo, a Roma, con il progetto Contrabbando – che mette a disposizione spazi per le residenze artistiche proponendo l’esperienza come strumento di partecipazione e di produzione culturale – offre straordinarie e creative risposte a quelle domande. Se il bando è strumento di competizione, di concorrenza, dunque di esclusione, Contrabbando è strumento di partecipazione, collaborazione, condivisione. Se il bando è finalizzato a gestire gli appalti dentro il mercato, Contrabbando si pone fuori dalle logiche del profitto e del più forte. Si tratta di provare forme del governarsi da sé a ogni livello, dice Guastavo Esteva, di liberarsi del virus della subordinazione e prendere in mano le redini delle nostre vite.

Laboratorio Teatrale di Dynamis al Cinema Palazzo

di Nuovo Cinema Palazzo

Questa settimana prima restituzione artistica del “ContraBBando 2017”: Offline di Mirko Feliziani (17 e 19 Febbraio, ore 21.30), una riflessione sulla morte in termini teatrali, ricca di ironia, ai tempi della rete e dei social network.

Dopo l’esperienza della scorsa stagione con la piattaforma “Molodoj” e vista la continua applicazione – da parte delle istituzioni – del bando come strumento risolutivo unico per l’assegnazione di spazi ‘abbandonati’ (spesso già restituiti alla collettività da parte di associazioni e collettivi autogestiti), quest’anno il Nuovo Cinema Palazzo ha elaborato, da esperimento artistico a progetto di natura politica, il ContraBBando: si mettono a disposizione spazi per le residenze artistiche proponendo l’esperienza come strumento di partecipazione attiva e di produzione culturale.

Il ContraBBando si configura come uno strumento politico con il quale il Nuovo Cinema Palazzo propone una modalità di fare cultura, inserendosi, in tutte le sue fasi, nel processo di produzione artistica e permettendo ai soggetti attivi – artisti, collettivo, tecnici e pubblico – di essere parte di questo progetto e di rendere ancora più permeabile l’incontro e la condivisione. La programmazione del Nuovo Cinema Palazzo è infatti costruita sul confronto e sulla relazione, e nello specifico queste esperienze residenziali ci permettono ancor più di entrare nel tessuto, arricchendo lo spazio e consolidando quello che abbiamo già praticato con i festival e le rassegne musicali e teatrali.

Il Nuovo Cinema Palazzo è il luogo del possibile, dove viene riconosciuto il lavoro artistico, l’impegno, il desiderio e la creatività tramite la messa in condivisione di mezzi e saperi e attraverso la valorizzazione dei tempi di produzione, originale ed inedita, in grado di stimolare l’arte, uno dei presupposti della crescita culturale.

L’ambizione del ContraBBando è stata quella di sovvertire il concetto stesso di bando e la normalizzazione dell’utilizzo dello stesso nella gestione politica e amministrativa della città applicando, contrariamente, una modalità volta al superamento dei criteri di mercato e di profitto valorizzando la dimensione complessiva delle realtà che costituiscono l’essenza dell’esperienza stessa.

La possibilità data dal ContraBBando è stata di presiedere uno spazio non escludente, ma comune, permettendo di creare, attraverso la residenza artistica e la restituzione che seguirà tale periodo, uno scambio e un flusso volto a dare spazio e sostegno ai progetti. La restituzione della residenza artistica si traduce con l’apertura al pubblico del progetto, credendo che anche gli stessi fruitori debbano essere parte della mobilitazione culturale che poniamo in essere.

Le serate di restituzione saranno un’occasione per condividere il progetto con il quartiere e la città, oltre che una forma di autofinanziamento dello stesso; in tal modo si potrà parlare di fruizione dell’arte, che con forme libere ed accessibili, si caratterizza come il presupposto per lo sviluppo e la crescita della stessa.

La sottoscrizione consigliata per queste serate è la nostra quota di complicità con la quale, chi usufruisce della messa in scena, contribuisce all’intero ciclo di produzione artistico rendendo sostenibili e riproducibili i meccanismi che realizzano i progetti e le attività, traducendosi nel finanziamento della Residenza Artistica e nell’investimento del Nuovo Cinema Palazzo.

Sono pervenute ben trentasei proposte. Ciò dimostra sempre di più come sia necessario avere più spazi di autonomia dove sperimentare e praticare nuove forme di produzione culturale. Rivendicando criteri di scelta basati né sulla restituzione economica né sul giudizio, l’assemblea ha utilizzato le seguenti linee guida: il desiderio di dar luogo a progetti quanto più differenti e distinti (dal teatro di prosa alle performance di danza, dall’installazione illuminotecnica a progetti di ricerca sociale; favorendo in questo modo una contaminazione dello spazio e del collettivo con diversi linguaggi artistici); l’esigenza di accogliere residenze autonome che possiedano competenze tecniche specifiche all’interno del proprio gruppo, in accordo con il principio di scambio reciproco e la scelta d’autogestione dello spazio e delle attività che vi si svolgono; le possibilità dettate dal pragmatismo di rendere realizzabili i progetti ospitati, intrecciando richieste e necessità del proponente con le attività, i corsi, i laboratori e finanche i limiti di dotazione tecnica del Nuovo Cinema Palazzo.

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Periferie? Possono diventare la marcia in più dell’Italia

Mentre in Francia, Belgio o Germania è alalrme terrorismo, qui le dinamiche sono diverse. Le ragioni? «In Italia il rapporto periferie-centro è regolato da una sorta di flusso caotico, mentre nel centro d’Europa sono isole slegata e autonome rispetto al contorno urbano dentro cui si sviluppano fenomeni pericolosi e poco visibili. Da noi invece proprio le periferie, al netto di tutte le criticità e povertà, stanno diventando anche il luogo delle sperimentazioni più innovative che ci potrebbe dare un vantaggio competitivo decisivo». Dialogo con Mario Abis consulente del Piano città presso la Presidenza del Consiglio

Romamurales

Le periferie? «Sono molto più sexy del centro». Ne è convinto Mario Abis, presidente di Makno, docente allo Iulm di Milano e consulente del Piano città presso la Presidenza del Consiglio. Negli scorsi giorni nel capoluogo lombardo presso la Casa dell’Energia e dell’Ambiente Abis ha tenuto un incontro con alcuni giornalisti milanese sotto il titolo “La città che esclude: panorama europeo ed eccezioni italiane” all’interno di un workshop di formazione professionale (“Raccontare le periferie in città- Disagio e luoghi di inclusione). Questi i passaggi i passaggi più significativi.

Perché in Italia le periferie (finora) non sono state la culla del terrorismo?
«Per affrontare su questa domanda occorre comprendere le ragioni che hanno dato vita al terrorismo metropolitano in nazioni come la Francia, il Belgio o anche la Germania. Qual è la caratteristica più evidente di una qualsiasi delle periferie di una città del centro Europa? Senz’altro la separatezza. Si tratta di una precisa scelta prima politica e poi urbanistica che in città come Parigi o Marsiglia ha concepito la periferia come un bordo separato all’interno del quale si sono ricostruiti mondi chiusi e indipendenti. Ogni banlieue ha i suoi servizi, le sue scuole, i suoi ospedali e soprattutto non ci sono (o sono davvero pochi) mezzi pubblici che le colleghino al resto della città. È all’interno di questi microcosmi decontestualizzati, dentro questa separatezza che, per stare al caso della Francia, vivono 6,5 milioni di musulmani urbanizzati. Dentro quei fortino ovviamente qualsiasi progetto di inclusione sociale viene automaticamente marginalizzato e soffocato da una visione urbanistica così definitiva.

In città come Parigi o Marsiglia la periferia è stata concepita come un bordo separato all’interno del quale si sono ricostruiti mondi chiusi e indipendenti. Ogni banlieue ha i suoi servizi, le sue scuole, i suoi ospedali e soprattutto non ci sono (o sono davvero pochi) mezzi pubblici che le colleghino al resto della città

In Italia questo ordine monolitico e monocratico non si è mai realizzato. Da noi è difficile distinguere dove finisce il centro e inizia una periferia. Da noi per dirla con una parola non si capisce dov’è il bordo. Prendiamo Roma, da nord a sud ha ingressi alla città di una bruttezza devastante: sono territori spesso desolati, ma poco progettati e quindi “non verticali” caratterizzati da flussi e non da separatezza. Le periferie italiane in questo senso sono un unicum, hanno problemi gravi, ma diversi da quelli del Centro Europa. Il disordine che le caratterizza in un certo senso è una garanzia sociale. È un disordine protettivo, ma non isolato. Naturalmente è una generalizzazione, ma testimonia un dato comune. Un’altra caratteristica delle nostre periferie è il fatto che siano profondamente diverse una dall’altra, sono difficili da catalogare, ma sono presenti non solo ai margini dei grandi centri urbani, ma anche in città medie e piccole e perfino nei paesi di provincia. Anzi proprio le periferie dei centri più piccoli sono in un certo senso le più pericolose. Quelli in cui, penso per esempio al Veneto, si registrano fatti di sangue efferati anche a livello familiare. Le tipiche villette a schiera di quei panorami e di quelle periferie, se ci pensiamo bene condividono con le banlieue quel senso di isolamento e separatezza che invece non hanno le periferie caotiche delle grandi città italiane».
Abis e il suo gruppo di lavoro nelle prossime settimane presenteranno pubblicamente il Piano periferie. Ecco qualche anticipazione.
«I concetti chiave sono due: da una parte, ed è la conseguenza di quello che abbiamo detto fino ad ora, è il potenziamento delle infrastrutture e delle strutture in modo che il flusso centro-periferia sia intensificato; l’altro ancoraggio è invece il tema del rammendo di piccole strutture rilevanti per i territori: non dobbiamo costruire ex novo in Italia il 60% degli immobili sono vuoti, il grande sforzo sarà quello del ripensamento delle loro funzioni. In questo senso dotare le periferie di grandi parchi ben attrezzati che fungano da polmoni della città, la periferizzazione delle strutture sanitarie (pensiamo al caso di Milano con il polo dell’Humanitas a Rozzano) e il trasferimento di poli artistico/culturali (ancora Milano con la fondazione Prada) sono leve decisive. Aggiungo un dato. Milano, Londra, Seul, alcune città americane costituiscono la prova provata che per chi vuole sperimentare nel sociale e nella creatività urbana le periferie sono il contenitore migliore, il più sexy, perché offrono spazi e possibilità introvabili in altri contesti. Concludo con una postilla. In futuro la vera competizione non si farà a livello di Stati, che versano in una crisi profonda, ma di città. Di grandi città metropolitane, per meglio dire. Citta dai 10 milioni di abitanti in su, per intenderci.

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Occorre leggere il territorio, coinvolgere i cittadini

Sul degrado delle periferie il prof Stevan: “Occorre leggere il territorio, coinvolgere i cittadini”. Intervista esclusiva allo storico Preside di Architettura.
Oggi è spesso la violenza, la risposta al disagio, alla convivenza di etnie diverse, alla strisciante criminalità esistenti in alcuni luoghi decentrati che chiamiamo per facilità e per una forma di sintesi imperfetta, periferie. E le periferie ormai, nell’immaginario collettivo, sono diventate sinonimo di degrado ambientale e sociale, un male inevitabile, una realtà irreversibile: uno spazio urbano e umano, insomma, senza speranza. Si potrebbe dire: luoghi dell’ “assenza”, assenza di identità, di storia, di regole. Una parte di città in ombra, in cui spesso sono deficitari i servizi, la Bellezza, la manutenzione, il verde. Perchè? Di chi la colpa?

A queste domande risponde il prof Cesare Stevan, professore emerito di Architettura Sociale e Preside “storico” della Facoltà di Architettura e Società del Politecnico di Milano.

“Attualmente il problema delle periferie si può dire che sia un problema mal posto. Nell’era in cui è dominante il concetto di rete perde gran parte del suo tradizionale significato il rapporto tra il centro urbano e ciò che sta fuori di esso. E’ per questo motivo che, in generale, preferisco parlare di parti del territorio e della città. Il problema politico quindi non è il “dove” si situano, ma il “come” vengono gestite le varie parti di una città. Il degrado, così come una buona qualità urbana, si possono trovare dovunque, in centro come nelle cosiddette periferie. E’ opportuno superare una generalizzazione che tende sempre e comunque a parlare di “periferie”, aggiungendo d’ufficio il qualificativo “degradate”. Il degrado urbano denuncia sempre una evidente mancanza di capacità politica di gestire la cosa pubblica (il territorio, il patrimonio edilizio, i beni architettonici e ambientali) e una adeguata valorizzazione delle risorse, naturali, ma soprattutto umane di un territorio. Non facciamo d’ogni erba un fascio e analizziamo attentamente le diverse parti di una città considerando con realismo quello che sono e quello che potrebbero essere in un sistema ampio di relazioni. Limitiamo l’uso del termine periferia alle periferie storiche, frutto di esperienze lontane e bisognose di profondi rinnovamenti urbanistici, come è stato nella nostra città il caso delle grandi aree dismesse della Bovisa e della Bicocca. Riconosciamo inoltre l’impegno con cui l’urbanistica (moderna e contemporanea) da più di mezzo secolo ha proposto e sperimentato modelli organizzativi tesi a interpretare le trasformazioni culturali ed economiche che hanno via via mutato il contesto sociale delle nostre città. Così, mentre per il passato si può pensare che sia esistita una differenza sostanziale nel modello urbano tra ciò che veniva considerato il centro urbano e la gerarchia di valori (economici, di servizi e sociali) che ne conseguiva, oggi, e per il prossimo futuro, è utile attenersi a un concetto di rete in cui si può affermare che tutto può essere al tempo stesso “centro” e ” periferia ”. Un sistema a geometrie e centralità variabili. Centralità diversificate in base alle qualità che sanno esprimere e ai progetti di sviluppo che sanno definire. Milano presenta un quadro estremamente interessante di interventi di iniziativa pubblica e di privati, soprattutto per quanto riguarda l’edilizia residenziale, che va dai quartieri di edilizia economico popolare dei primi anni del ‘900 alle esperienze del villaggio dei giornalisti, a Milano San Felice e Milano 2. Abitare lontano dal centro della città non è sempre una condanna, può consentire una qualità della vita migliore, ove esista una classe politica attenta a una corretta gestione: adeguate dotazioni di servizi, collegamenti efficienti, controllo sociale e prevenzione/repressione a partire dalle piccole cose che riguardano il quotidiano di ciascuno degli abitanti. Il caso del quartiere Stadera è degenerato al punto di non ritorno in cui è oggi, perché per almeno trent’anni non si è fatto niente e sono prevalsi atteggiamenti improntati alla tolleranza di violazioni e violenze che non dovevano essere tollerate.

Ma oggi la periferia all’attenzione dei media gode di una pessima fama, la rappresentazione del degrado sociale e criminale. Quale l’origine?

“La fama negativa nasce dalla crisi della periferia storica, quella legata al modello di prima industrializzazione. Si costruivano case dormitorio per gli operai attorno alle fabbriche: nasce così con connotati negativi una “parte di città” priva di quella composizione sociale che rende culturalmente sollecitanti i rapporti tra i cittadini. Quartieri con edifici di scarsa qualità e sovraffollati. Un ambiente caratterizzato da forti tassi di inquinamento, privo di verde e di servizi. Nell’immaginario collettivo si è consolidata questa immagine delle periferie ed è estremamente difficile cancellarla. Anche quando con eccellenti interventi urbanistici si pensa di esserci riusciti, basta un nulla a richiamarla e a farla rivivere come immagine egemone: “la periferia degradata”. Oggi che le fabbriche si sono riallocate sul territorio, che abbiamo trovato una soluzione ai principali problemi creati dalle aree via via dismesse dal vecchio modello di sviluppo della città fabbrica, oggi per sconfiggere irrevocabilmente la fama negativa della periferia dobbiamo puntare su una visione politica di ampio respiro e su un patto sociale che metta al bando ogni speculazione di parte sulle condizioni delle periferie e delle parti degradate della città. Sembra predominante una volontà perversa di non gestire in positivo il quotidiano, di abbandonare, di dimenticare le condizioni di vita intollerabili di alcune parti di città, pensando che renda di più politicamente gestire il disagio o attendere l’occasione che giustifichi oggi anche interventi repressivi. La buona politica, invece, dovrebbe definire una strategia di intervento che parta da una conoscenza adeguata delle diverse situazioni ed evitando di fare di ogni erba un fascio, sappia definire tempi e priorità di un progetto di rinnovamento. Il tutto dovrebbe partire da un atteggiamento molto difficile nel nostro paese, quello che ha consentito qualche anno fa la rinascita di New York: “Tolleranza zero”. Ripristinare la legalità è l’inizio. E’ vero che le scritte sui muri, ad esempio, sono di gran lunga meno gravi di altre violenze che si attuano sulle persone o sulle cose, ma se permetti che i muri, le facciate degli edifici pubblici e delle scuole vengano imbrattate, senza alcun rispetto per gli altri e per l’architettura stessa avrai una ricaduta fortemente negativa sulla formazione e sui processi formativi degli alunni che guardano ogni mattina la loro scuola deturpata nella più totale indifferenza. Addio bellezza! “Tolleranza Zero” non è la soluzione, ma l’avvio di un processo di responsabilizzazione, che per avere successo deve partire contemporaneamente dall’alto e dal basso, coinvolgere i cittadini richiamandoli alla loro storia e sollecitando una loro identificazione con i luoghi dove vivono. I cittadini vanno sollecitati alla difesa del proprio quartiere, aiutati nell’opera di rinnovamento. Si smetta di considerare queste zone, tanto più se degradate, solo un bacino di voti.

Praticamente, nell’immediatezza, che cosa si può fare?

“E’ evidente che occorre prioritariamente ricostruire la storia di un quartiere, dare un’identità ai suoi cittadini. Non è una cosa semplice, soprattutto con un mix di abitanti spesso molto diversi, ma occorre ristabilire questa identità in cui riconoscersi e non tollerare ciò che è intollerabile. Non lasciar spazio a ricati o intimidazioni. Il ripristino della legalità è essenziale, anche con atti repressivi e apparentemente impopolari. Ma importante soprattutto è dare un futuro, definire scenari di sviluppo per il quartiere e per il miglioramento della vita dei suoi abitanti. E’ indispensabile fare un progetto che parte dal cercare i punti di forza, creare una gerarchia di interventi, identificare l’elemento di omogeneità dei cittadini, rifacendosi alla loro storia che sarà centrale nella ricostruzione della loro identità. Le risorse umane ci sono e sono le risorse da cui non si può prescindere. Si devono censire anche le risorse ambientali: rapporto tra parte edificata e verde, rete dei trasporti, restaurare eventuali strutture architettoniche degradate, per evidenziare le potenzialità della zona. La soluzione è saper leggere il territorio e avere una visione strategica del suo sviluppo, formulando in base a questa un progetto da rendere condiviso. Spesso le risorse disponibili sono di più di quelle necessarie. E’ evidente quindi che ci vuole impegno, tenacia e soprattutto la convinzione che il degrado non è ineluttabile e che anche quella parte di città che qualcuno definisce periferia può essere bella e rappresentare una nuova centralità. E ci vogliono idee, invenzioni, fantasia, impegno politico.”

Una lezione che impegna conoscenza e sensibilità, che insegna come non si possa generalizzare se si vuole avere rispetto dell’uomo, della sua identità, della sua storia.

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Bando periferie degradate 2015, entro maggio la graduatoria

Dopo mesi di silenzio ecco le novità: le risorse sono scese da 200 a 78 milioni, ammissibili 400 progetti ma finanziabili massimo 60.
Dopo mesi di lavori dietro le quinte, sta per terminare la fase di valutazione dei progetti candidati al bando periferie degradate; entro il prossimo maggio sarà pubblicata la graduatoria delle proposte ammesse che, però, potranno contare su una dotazione di 78 milioni di euro, a fronte dei 200 milioni stanziati inizialmente.

Queste le principali novità emerse nel corso dell’audizione del Segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri, Paolo Aquilanti, alla commissione parlamentare d’inchiesta sulla sicurezza e il degrado delle città.

Bando periferie degradate: le risorse scendono a 78 milioni
Il Segretario Aquilanti ha spiegato che il piano di riqualificazione delle aree urbane degradate, previsto dalla Legge di Stabilità 2015, aveva istituito inizialmente un fondo dotato di 200 milioni di euro (50 per il 2015, 75 per ciascuno degli anni 2016 e 2017) per il finanziamento dei progetti risultati in posizione utile in graduatoria.

Il bando pubblicato in Gazzetta aveva già ridotto la cifra iniziale, passando a 194.138.500 euro (44.138.500 euro per il 2015 e 75.000.000 sia per il 2016 che per il 2017).

Aquilanti, però, ha spiegato che le risorse originariamente disponibili sono state ulteriormente ridotte a 78,5 milioni di euro per interventi legislativi successivi.

Con tali risorse, secondo una stima media del contributo richiesto per ciascun progetto, potranno essere finanziati circa 40-60 dei progetti tra quelli che saranno definitivamente ammessi.

Periferie degradate: l’iter di approvazione dei progetti
Del bando periferie degradate non si avevano notizie dal termine per la presentazione delle proposte (30 novembre 2015); tuttavia il Segretario Aquilanti ha chiarito che il comitato di valutazione, insediato il 4 aprile 2016, si è riunito 28 volte fino alla seduta conclusiva del 31 gennaio 2017.

E’ stato comunicato che nelle prime quattro riunioni sono state definite le modalità operative di funzionamento, approvata la scheda di ammissibilità, discusse alcune delle criticità riscontrate, individuando le soluzioni più idonee; a partire dalla quinta riunione, il 17 maggio 2016, si è proceduto alla valutazione di ammissibilità delle proposte che si è conclusa il 31 gennaio.

Sono stati presentati 870 progetti, di cui 400 ammessi alla valutazione di merito.

Secondo quanto riferito da Aquilanti, ultimata la prima fase, il comitato avvierà la seconda e ultima fase di valutazione di merito delle proposte ammesse che presumibilmente terminerà intorno alla fine del prossimo mese di maggio, in cui sarà approvata una graduatoria di merito.

La durata dell’ultima fase non potrà essere breve, in quanto, oltre ai punteggi che potranno essere attribuiti in modo automatico sino a concorrenza di 40 punti si renderà necessario approfondire gli specifici contenuti di ciascun progetto, valutandone effetti, sostenibilità, quantità e qualità dei servizi erogati, attribuendo un punteggio sino a 60 punti.

Bando periferie degradate Vs Bando periferie
Alla richiesta di unificare il bando periferie degradate con il bando periferie da 500 milioni, il Segretario ha risposto in modo negativo vista la natura molto diversa dei due bandi per platea di partecipanti e per aree d’intervento.

Infatti, il bando periferie degradate era rivolto a tutti i Comuni con aree marginali mentre il secondo è rivolto solo alle periferie delle città metropolitane o dei comuni capoluogo di provincia.

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Sicurezza, al via a Roma gli Osservatori territoriali.

Ma nelle periferie regna il degrado
Il viaggio di Ofcs.report nei municipi abbandonati.
Sette Osservatori territoriali per la sicurezza a Roma. Il 9 gennaio scorso è stato firmato un protocollo tra Prefettura, Comune e forze dell’ordine per la durata di due anni. Da cosa deriva questo bisogno? Lo scorso ottobre nella capitale era stata dichiarata l’emergenza sicurezza: i vigili avevano ammesso di non poter stare dietro a tutte le segnalazioni di aggressioni, furti e violenze ricevute. Ma su quindici municipi, sono solo sette le zone individuate, e alcune coprono aree vastissime. Solo il centro ha il suo Osservatorio privilegiato. Le periferie si sentono abbandonate.

VIAGGIO NEL III MUNICIPIO DELLA CAPITALE: TRA DROGA, RISSE E DEGRADO
Siamo stati proprio in uno di quei municipi penalizzati, accorpati con un territorio dell’Osservatorio troppo grande per affrontare adeguatamente i bisogni del quartiere. Ecco il III Municipio, tra piazza Sempione e Mentana, con più di 200mila abitanti. Abbiamo appuntamento con il preside della scuola elementare di piazza Monte Baldo, la più frequentata dai bambini della zona. Tra gli schiamazzi degli ultimi studenti che escono di pomeriggio, il preside mostra due piani dell’istituto completamente abbandonati. Polvere, calcinacci, metalli sporgenti e una puzza di muffa dominante: “Questo spazio con il teatro doveva essere il punto di ritrovo del quartiere e invece è un pezzo di scuola di cui mi vergogno, ed è anche pericoloso quando qualche bambino passa di qua. Se non ci sono spazi condivisi, i ragazzi non sanno che fare e vedono solo il degrado come possibilità nel municipio”.

Sono le sei di pomeriggio quando usciamo. Le persone rientrano dal lavoro e alla fine di via Nomentana, nella piazza principale, la situazione sembra tranquilla tra un bar con i tavolini sulla strada e le luci di Natale ancora accese. Andiamo verso il mercato rionale, sono in molti a ricordare quando, anni fa, era il fiore all’occhiello di Montesacro. Adesso apre solo la mattina, forse, ma le porte non sono chiuse a chiave. Dentro due clochard si preparano per passare la notte sotto il tetto del mercato. Fuori, nel giardinetto, l’immondizia impedisce il passaggio. Fermiamo una signora con il bastone: “che ci fa qui da sola signorina?”. Incoraggiante.

Proseguiamo, fino a ritrovarci sotto il cavalcavia che gli abitanti del quartiere chiamano “Viadotto dei Presidenti”. Qui, nel 2015, un gruppo di cittadini aveva riconquistato un pezzo di periferia con il progetto “SottoilViadotto”, giovani architetti del gruppo finanziato da Renzo Piano, avevano dipinto e costruito una piazza da zero, coperta dal ponte. Adesso solo sacchi neri con dentro qualsiasi cosa. I pezzi di macchine e tutte le istallazioni che rendevano colorato il posto sono state distrutte, o al massimo usate come case occupate. E’ impressionante tornare solo 12 mesi dopo e vedere in lontananza un gruppo di ragazzi sui 20 anni intenti a drogarsi. Alle sette di sera, nella capitale. Suoniamo al citofono del palazzo più vicino al viadotto: “lì ci sono spesso risse”, spiegano i residenti. Qua è la periferia a essersi ripresa un pezzo buono per lo spaccio. Benvenuti in un quartiere di Roma, lontano dal centro.

PERCEZIONE DELLA SICUREZZA
Appena istituiti, gli Osservatori delle sei zone non centrali avranno già molto da lavorare. Ogni area ha le sue criticità, ma tutti i presidenti dei municipi accorpati nel protocollo degli Osservatori reclamano: “le periferie sono abbandonate”. Il III Municipio è solo un esempio, ma anche Giovanni Boccuzzi, presidente del V Municipio (Centocelle-Prenestino) ha sottolineato “Noi abbiamo 246mila abitanti, una città in pratica. Si tratta di uno strumento azzoppato, che non guarda ai veri problemi di Roma. E’ bello tenere pulito il centro storico, ma i cittadini che vivono in altre zone hanno quasi paura a uscire la sera. Non si può”.

“La percezione dei romani è di una città fragile e minacciata” si legge in una relazione della stessa sindaca Raggi. Una città dove non si vive bene, degradata e dove la giustizia non viene fatta rispettare, soprattutto in certi municipi, che sono poi grandi come una città media italiana. Nel 2015, sotto il Prefetto Gabrielli, con l’esperienza dei “Collegi” ci sono state le prove generali. Ora gli Osservatori esistono davvero. Segnalare criticità e degrado, vigilare in ore particolari se necessario, essere più vicini ai problemi di quartiere con interventi immediati: questi sono i compiti di ogni Osservatorio.

I PUNTI CALDI PER GLI OSSERVATORI
Il Viceprefetto aggiunto Giuseppe Licheri spiega che “L’Osservatorio è presieduto e coordinato da un dirigente della Prefettura, è composto anche dal direttore di ciascun municipio, dai dirigenti dei commissariati, con il compito anche di coordinare lo sviluppo tecnico–operativo delle determinazioni; dai comandanti dei Carabinieri, da un rappresentante della Guardia di Finanza; da personale di Roma Capitale e dai comandanti dei Gruppi di Polizia locale“. Anche le risorse economiche verranno messe in campo da tutte queste autorità.

Verrà data particolare attenzione a insediamenti abusivi, occupazioni di immobili, prostituzione, spaccio di stupefacenti, abuso di sostanze alcoliche e roghi tossici. Per qualcuno possono sembrare fenomeno lontani dalla realtà, ma sono all’ordine del giorno appena ci si allontana dal Colosseo. Quando si tratta di sicurezza sono tutti coinvolti, “Possono partecipare alle riunioni- continua il Viceprefetto – anche i responsabili amministrativi interessati alle tematiche. Un esempio: per interventi che riguardano i roghi tossici sono chiamati a partecipare anche rappresentanti del Gruppo Carabinieri Forestale. Anche i cittadini hanno un loro ruolo: nella fase operativa possono testimoniare o formare dei comitati appositi”.

Altre città sembrano interessate a prendere il modello degli Osservatori Territoriali per la sicurezza, ma forse prima vanno sperimentati bene i suoi risultati su Roma.

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La nuova ricetta delle periferie: tutti in chat per fermare ladri, buche e rifiuti

Si chiama “Sicurezza WhatsApp”, un quartiere in chat per dire no al degrado. Ladri, buche, cumuli di immondizia, scippi, roghi tossici. A Roma c’è Tor Sapienza, quadrante della periferia est, che da tempo sta cercando nuovi modi per combattere il degrado. “Abbiamo attivato il servizio da qualche giorno, ed è molto usato” spiega Roberto Torre del comitato di quartiere Tor Sapienza.

Lo stesso quartiere dove scoppiò la rivolta contro i migranti nel centro di accoglienza di viale Giorgio Morandi, lo stesso soffocato da anni dai roghi tossici che partono nei pressi del campo nomadi di via Salviati. E lo stesso dove è morta la ventenne cinese Yao Zhang, scippata nella stazione deserta di Tor Sapienza, travolta da un treno mentre tentava di inseguire i ladri. Ci provano ancora, dopo aver creato gruppi su Facebook, aver scritto decine di e-mail al municipio e al Comune. “Siamo abbandonati” l’eco delle parole dei residenti. Ora c’è questo numero (338.6105342) diffuso dal gruppo Fb del comitato di quartiere che invita “tutti i cittadini a memorizzare questo numero e ad inviare foto e segnalazioni sul territorio. Le segnalazioni saranno inoltrate dal Comitato a tutti gli uffici di competenza”.

Ci proveranno, ancora una volta, a sostituirsi al vuoto. Così come hanno fatto tempo fa i residenti delle Cinque Colline. Stavolta siamo a Roma sud, sulla Laurentina al confine con Pomezia. La loro battaglia contro gli incivili che lanciano sacchetti dell’immondizia a terra è stata vinta installando cartelli che avvisano: “Area sottoposta a videosorveglianza”. In attesa che qualcuno installi telecamere, sono i residenti a riprendere con gli smartphome chi abbandona immondizia. Seguono un vademecum condiviso con le forze per l’ordine. Anche loro, i residenti delle Cinque Colline, fanno ovviamente il “controllo del vicinato”.

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