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Aubervilliers, le startup delle banlieue

Uber, sviluppatori, scuole: il futuro che nasce nei ghetti.
Superate le vetrine di boutique cinesi sull’avenue Pékin, la fila si riconosce da lontano. Non è difficile orientarsi nel Fashion Center di Aubervilliers, periferia Nord di Parigi. “Tutti sanno dov’è Uber” ci avverte al telefono Badia Berrada. La giovane responsabile comunicazione del gigante americano apre le porte del centro dove si svolge un incessante pellegrinaggio. Ogni settimana 4500 giovani vengono a bussare per trovare un lavoro. La maggior parte si sposta di appena qualche chilometro, vive nelle banlieue-ghetto della regione come Yanis, 24 anni, che sogna di essere presto alla guida della sua berlina nera. “Ho tanti amici driver – spiega – voglio provare anche io”.

Nel Paese del colbertismo, delle 35 ore, delle barricate alzate l’anno scorso contro il Jobs Act del governo socialista, ci sono ragazzi pronti a lavorare fino a 60 ore a settimana senza un padrone, senza contributi e per un reddito medio non garantito di 1700 euro. Uber è diventato il più grande reclutatore della zona. Ogni quattro nuovi posti di lavoro in tutta l’Ile de France, la regione parigina, uno è creato nel settore delle auto con conducente. “Dieci anni fa i giovani delle banlieue bruciavano le automobili per protestare, oggi sono al volante, portano la cravatta e sono servizievoli con i clienti” sintetizza Berrada facendo riferimento agli scontri che avevano incendiato le periferie nel 2005. La responsabile comunicazione di Uber fornisce un profilo tipo dei 17mila driver: più della metà ha meno di 35 anni, per il 55% si tratta di un primo lavoro, un altro 40% era iscritto sulle liste di disoccupazione.

Con due milioni di clienti, la Francia è uno dei mercati europei più importanti per Uber. Ironia del destino, il fondatore Travis Kalanick ha avuto l’intuizione di creare la sua piattaforma proprio durante un soggiorno nella capitale francese, dopo aver cercato invano un taxi. Nonostante il successo, la relazione tra Francia e Uber è tutt’altro che serena. La Ville Lumière è stata teatro di scontri e violenze dei tassisti contro gli autisti del gruppo americano. Dal 2009 sono state votate tra le polemiche ben quattro riforme per mettere più paletti alla licenza Vtc (voiture de transport avec chauffeur), l’equivalente del Ncc, noleggio auto con conducente. Da qualche mese è in corso l’ennesimo tentativo di mediazione del governo, stavolta dopo la protesta dei driver contro il calo delle tariffe.
La Francia della new econony riserva molte sorprese. A Parigi c’è un record di nuove imprese nelle nuove tecnologie, sono state lanciate piattaforme di successo come Blablacar, Vente-Privée, il motore di ricerca Qwant. La capitale è uno dei principali mercati per AirBnb e tra qualche settimana aprirà nel tredicesimo arrondissement Station F, il più grande incubatore al mondo di start-up, nuovo progetto avveniristico di Xavier Niel. L’imprenditore delle telecomunicazioni, che sbarcherà presto in Italia, ci aspetta rilassato, jeans e barba lunga. L’appuntamento è Porte de Clichy, non lontano da Aubervilliers, per visitare l’École 42. L’istituto che forma sviluppatori informatici è aperto sette giorni su sette, giorno e notte. Accoglie ragazzi senza pretendere requisiti. “Chiediamo solo nome e cognome, data di nascita. Quasi metà dei nostri alunni non ha la maturità” racconta Niel, che tre anni e mezzo fa ha investito 30 milioni nel progetto, senza sovvenzioni dello Stato. Oltre la metà degli alunni viene dalle banlieue più povere. Un quarto ha precedenti penali. “Offriamo una seconda chance. La scuola si svolge come un enorme gioco, davvero accessibile a tutti”. È un modello alternativo all’Ena, la scuola dell’élite francese? “Siamo un’altra cosa, evitiamo paragoni” risponde Niel diplomaticamente. Ogni anno 70mila persone tentano di iscriversi con i test online. Meno di un terzo è poi selezionato nei locali della scuola con esame continuativo davanti al computer, oltre quindici ore al giorno per un mese di fila. Nei corridoi si vedono materassi, panni stesi, ci sono docce a disposizione.Il nome in codice di quella che assomiglia a una prova estrema di resistenza psico-fisica è “La Piscine”. Meno di mille candidati restano a galla, prescelti per frequentare gratuitamente “42”, il numero che secondo un libro culto di Douglas Adams è la soluzione a qualsiasi domanda esistenziale. Gli alunni non hanno lezioni né professori, costruiscono da soli il proprio percorso interagendo dentro al sistema informatico. Frequentano come e quanto vogliono, si danno i voti gli uni con gli altri, e alla fine del corso non ricevono neppure un attestato. Non ce n’è bisogno. “Trovano lavoro già prima di finire la scuola” racconta il patron di Free che rappresenta un’eccezione nell’élite francese: ha solo la maturità, si è fatto da solo, non viene da nessuna aristocrazia industriale. “Quel che proponiamo – aggiunge – è atipico ma funziona, corrisponde a ciò che chiedono le imprese”. Una succursale è stata appena aperta nella Silicon Valley. L’École 42 è stata visitata da François Hollande, l’ex ministro Emmanuel Macron è venuto più volte. Niel, tra gli editori del giornale Le Monde , fa attenzione a non sbilanciarsi sul leader di En Marche: “La politica non può tutto – sostiene – è giusto che, a un certo punto, la società civile prenda l’iniziativa per cambiare il Paese”.

Molti politici non sanno come approcciarsi alla rivoluzione della new economy. Solo Macron – che alcuni hanno paragonato a Uber in politica – propone di riconoscere uno statuto per i lavoratori indipendenti e non inquadrati come driver, fattorini. “Sono proposte modeste, purtroppo Macron è molto più timido da candidato che da ministro” commenta Denis Jacquet, promotore insieme ad altri imprenditori del movimento dei Pigeons per far togliere al governo l’imposta sulla plusvalenza della vendita delle start-up. “C’è uno straordinario sfasamento tra una parte del Paese reale e la politica” commenta Jacquet nel suo ufficio, un gigantesco loft boulevard Haussmann da cui si vede tutta Parigi. “La Francia ha ancora un ottimo sistema di educazione, buone infrastrutture. È un Paese che crea talenti, ma molte energie restano bloccate”. La parola “digitale”, osserva, è assente da quasi tutti i programmi. “Nessuno cerca di fare chiarezza su dove ci sta portando la new economy: né sugli aspetti più inquietanti, proponendo soluzioni, né su quelli più positivi che possono portare benefici alla società. È disperante”.

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Green economy per la città futura

green-economy-150x150Presentato il Manifesto in 7 tappe.
Organizzato dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile in preparazione degli Stati Generali della Green Economy 2017.
Un percorso programmatico in 7 punti per disegnare la città del futuro, integrando qualità ecologica, sociale ed economica, attraverso l’interlocuzione della green economy con l’architettura e con l’urbanistica, intese come chiave per il rilancio del protagonismo delle città italiane. Il Manifesto della green economy per la città futura, presentato in occasione del Meeting di Primavera, organizzato dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, e in preparazione degli Stati Generali della Green Economy 2017, vede questa interlocuzione da una parte come un arricchimento della cultura, della vision, delle scelte e dell’’impostazione della progettazione architettonica e della pianificazione urbanistica e, dall’altra come una leva formidabile per lo sviluppo di una green economy nelle città. Proprio nelle città vive, infatti, oltre il 50% della popolazione mondiale, si produce l’80% del PIL e il 70% delle emissioni di gas serra e sono anche i luoghi dove si concentrano investimenti – che le Nazioni Unite stimano in 1,3 trilioni di dollari al 2019 – e si creano opportunità di nuova occupazione attraverso politiche di green economy.

A livello europeo e internazionale sono già molte le città che hanno avviato programmi e iniziative in direzione green. Ecco alcuni esempi: Copenhagen, nel 2009, ha fissato l’obiettivo di diventare carbon neutral entro il 2025; Amburgo ha pianificato una rete ciclo-pedonale alla quale sarà riservata la circolazione nel 40% della città entro il 2035; negli Stati Uniti, nell’era Trump, 25 città riunite nel Sierra Club hanno adottato un programma per arrivare a consumare solo energia rinnovabile, puntando a raggiungere l’adesione complessiva di 100 città; il “Programme National de Rénovation Urbaine” della Francia che ha attivato la rigenerazione di 530 quartieri in tutta la Francia, con circa 4 milioni di abitanti, con un fondo economico, in partnership pubblica e privata, di oltre 40 miliardi.

In Italia invece, dopo una certa vivacità con il movimento delle Agende 21 locali nato con la Conferenza ONU del 1992, dopo il Protocollo di Kyoto del 1997 e con l’adesione al movimento del Covenant of Mayors, lanciato dalla Commissione Europea nel 2008, abbiamo avuto un periodo di stallo e di scarsa iniziativa delle città italiane che, a parte rarissime eccezioni, sembrano poco coinvolte nel fervore green che invece caratterizza molte città a livello europeo e internazionale.

Per contribuire a rilanciare il dibattito su un futuro sostenibile per le città, nel 2016, la V edizione degli Stati generali della green economy ha dedicato un gruppo di lavoro – composto da oltre 60 esperti, tra cui docenti di oltre 20 Università italiane, imprese del settore edile, enti di ricerca, associazioni di imprese, associazioni ambientaliste – alla elaborazione di un manifesto della green economy per l’architettura e l’urbanistica: “La Città Futura”.

Il Manifesto – ha dichiarato Edo Ronchi, Presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile – vuole aprire un’interlocuzione con l’architettura e con l’urbanistica, come chiave per il rilancio del protagonismo delle città italiane. Tale interlocuzione, infatti, non solo arricchisce la cultura, la vision, le scelte e l’impostazione della progettazione architettonica e della pianificazione urbanistica, ma può diventare anche un traino formidabile per lo sviluppo di una green economy nelle città.

Al Manifesto della green economy per la città futura hanno già aderito architetti di fama internazionale dai 5 continenti con le rispettive organizzazioni tra cui Richard Meier, Richard Rogers, Thomas Herzog, Ken Yeang, Albert Dubler in qualità di Presidente dell’International Union of Architects, Georgi Stoilov in qualità di Presidente dell’International Academy of Architecture, l’intera Fondazione di Architettura Australiana), autorevoli architetti italiani tra cui Paolo Desideri, Luca Zevi, Francesca Sartogo, due dei principali sindacati Italiani con l’adesione di Susanna Camusso per la CGIL e Annamaria Furlan per la CISL, associazioni nazionali del settore quali l’ANCE, Federcasa e ANIEM, le principali organizzazioni di imprese della green economy italiana componenti del Consiglio Nazionale della green economy, Enti e Istituti di ricerca e di urbanistica e architettura tra cui la Presidente dell’Istituto Nazionale di Urbanistica Silvia Viviani e il Presidente dell’ENEA Federico Testa e, nel corso della presentazione è arrivata anche l’ adesione di Enzo Bianco, sindaco di Catania che ha anche annunciato anche che si farà promotore in Anci perché tutti i sindaci delle città italiane lo sottoscrivano.

Il Manifesto è stato aperto alle adesioni proprio in occasione del Meeting di Primavera cui hanno partecipato il Ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti , il Presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile Edo Ronchi, Thomas Herzog uno dei principali architetti bioclimatici a livello internazionale, il Presidente del Consiglio Nazionale dell’ANCI Enzo Bianco, il Prof. Fabrizio Tucci della Sapienza Università di Roma, la Presidente nazionale di Legambiente Rossella Muroni, il Direttore del CRESME Lorenzo Bellicini, il Vice Presidente di ANCE Filippo Delle Piane, il Vice Presidente di ANIEM Marco Razzetti, la Presidente di Politecnica e membro della Direzione nazionale di Legacoop Produzione&Servizi Francesca Federzoni e la Presidente del Dipartimento Progetto sostenibile ed efficienza energetica dell’Ordine degli Architetti di Roma e provincia Patrizia Colletta. Il Meeting è stato realizzato in collaborazione con il DiPSE (Dipartimento Progetto Sostenibile ed Efficienza Energetica) dell’ordine degli architetti di Roma e provincia. Questa la road map contenuta nel Manifesto.

Il Manifesto della green economy per la città futura è aperto all’adesione di tutti coloro che vogliano sostenere il movimento delle città italiane verso uno sviluppo sostenibile, a partire dal 5 aprile, è possibile sottoscriverlo accedendo al sito web: www.statigenerali.org/manifesto

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Smart city: uno strumento per le Comunità Intelligenti

Lo strumento chiave per avvicinarsi a politiche e progetti che possano davvero sviluppare una smart city è quello di seguire un processo di Pianificazione Strategica.
La presentazione della pubblicazione OICE “Smart City: uno strumento per le Comunità Intelligenti”, risultato dell’attività di più un anno del gruppo di lavoro dell’Associazione avviato dall’ex consigliere OICE Giorgio Galli e poi coordinato dal consigliere OICE con delega per l’ambiente Francesco Ventura.

In apertura dei lavori – coordinati da Francesco Ventura – dopo i saluti introduttivi del Presidente Gabriele Scicolone, è intervenuta l’Assessora “Roma Semplice” del Comune di Roma, Flavia Marzano che ha illustrato l’impegno del Comune negli interventi finalizzati a semplificare le attività dei cittadini attraverso la creazione della “casa digitale del cittadino”. Quattro le linee di azione dell’Assessorato: open government, competenze digitali, servizi digitali e connettività; l’Assessorato sta anche rispondendo a un bando europeo sulla mobilità, sulla base di indicazioni giunte on line da tutti i cittadini ribadendo come partecipazione e trasparenza siano alla base di queste iniziative. L’Assessora ha anche posto in evidenza che nei giorni scorsi è stato approvato, con delibera di Giunta, il Forum Innovazione di Roma Capitale che riguarderà anche le smart city.

PIANIFICAZIONE STRATEGICA. E’ stato Riccardo Di Prete (VDP) a illustrare nel dettaglio i contenuti della pubblicazione OICE. OICE ritiene che lo strumento chiave per “avvicinarsi” a politiche e progetti che possano davvero sviluppare una smart city sia quello di seguire un processo di Pianificazione Strategica, che vede ed interpreta la città secondo una prospettiva sistemica ed integrata, con una visione “olistica” del processo di pianificazione che consente di evitare, o quantomeno minimizzare, le forti inefficienze che vengono generate da analisi disaggregate dei vari settori.

Il processo di Pianificazione strategica proposta si basa su un percorso ciclico articolato in 6 fasi, sul modello PDCA – Plan–Do–Check–Act (pianificare, attuare, verificare, agire), dove l’obiettivo è quello di prevedere, programmare e intraprendere azioni volte a migliorare in continuo il livello smartness della città.

Mario Nobile, Direttore Generale per i sistemi informativi e statistici del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, ha annunciato che è ormai in fase di definizione finale il decreto ministeriale che definirà gli standard per le smart roads di interesse nazionale e ha sottolineato come il costo degli investimenti in tecnologie legate alle infrastrutture è comunque ancora molto basso. Per Nobile: “È la mancanza di standards a rendere difficile il decollo delle smart city e in prospettiva occorrerà porre molta attenzione all’integrazione delle infrastrutture naizonali con quelle delle città”.

Andrea Gumina, Expert on Innovation, G7 Sherpa Unit, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha illustrato le linee di azione sulle smart city che si stanno portando avanti nell’ambito del G7 evidenziando l’impatto che le tecnologie possono avere sui profili sociali e sulla pianificazione delle città che, in questo ambito, sono veri e propri laboratori in cui si misurerà l’evoluzione degli stili di vita futuri. “Occorre però – ha detto Gumina – visione, strategia e, poi, scelte politiche che abbiano un orizzonte temporale non a 5, ma a 30 anni per evitare strappi in una società non ancora matura e questo necessita un’accorta Cabina di regia che coordini tutti gli interventi”.

Luigi Carrarini, Responsabile Infrastrutturazione Tecnologica ed Impianti ANAS, ha illustrato i dettagli del programma smart roads di ANAS che fino al 2020 investirà 160 milioni su 3000 km di rete (circa 1/10 del totale).

Alessandra Porro, collaboratrice di Valentino Sevino, Direttore dell’Agenzia Mobilità pianificazione Ambientale AMAT di Milano, che ha contribuito con Filippo Salucci alla stesura di un capitolo del libro, ha invece illustrato quanto fatto dall’Agenzia per la mobilità del Comune di Milano nel settore della mobilità e dei trasporti.

Andrea Pasotto, collaboratore del Prof. Carlo Maria Medaglia di Roma Servizi per la mobilità, ha presentato la Centrale della Mobilità dell’Azienda capitolina come “il cuore di un sistema integrato, avente le principali funzioni di monitoraggio, gestione e controllo del traffico urbano, gestione dei processi sanzionatori e infomobilità”; ha poi descritto i principali progetti di Roma Servizi per la mobilità: dal car sharing al servizio Chiamataxi, dalla mobilità elettrica ai servizi di mobility management, mirati ad offrire soluzioni e strumenti di mobilità sostenibile e alternativi all’auto privata.

Giorgio Martini, Autorità di Gestione del PON METRO – Agenzia Coesione Territoriale, ha esposto i contenuti del programma PON metro che destina 900 milioni per interventi dei comuni sui temi dell’agenda digitale e delle smart city con una particolare attenzione al tema della mobilità.

I lavori sono stati conclusi dall’intervento di Anna Donati, Coordinatrice Gruppo mobilità, Kyoto Club, che ha raccontato alcune interessanti esperienze vissute come assessore alla mobilità per indicare quanto sia importante l’integrazione e il coordinamento dei piani nel complesso cammino verso la smartness nelle nostre città.

Il volume è on line al link http://www.oice.it/adon.pl?act=doc&doc=516146

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Sfrattopoli: associazioni di volontariato e terzo settore colpiti da provvedimenti amministrativi criminali

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Si pensava di aver toccato il fondo con Mafia Capitale e invece leggiamo su carte e cartelle impazzite che chi persegue il bene comune e combatte ogni giorno il degrado a Roma è più criminale di chi ha lucrato per anni sul disagio. Sono le cifre a dirlo: 100 milioni di euro è il danno erariale ipotizzato dalla Conte dei Conti, nell’ambito della inchiesta erroneamente chiamata “Affittopoli”, per canoni di locazione non riscossi su immobili che il Comune ha concesso, a partire dagli anni ’80, per uso sociale, contro i 21 milioni circa quantificati per Mafia Capitale.

Dunque, secondo la valutazione della procura contabile, le associazioni che si occupano di Sclerosi Laterale Amiotrofica a Roma, sono più mafiose di chi ha lucrato sul trasporto dei disabili, associazioni come Puzzle che insegna l’italiano agli stranieri e offre spazi gratuiti di coworking a giovani professionisti sono più criminali di chi ha lucrato sui migranti, organizzazioni come AGOP Onlus che assistono bambini affetti da tumori e danno ospitalità gratuita alle famiglie, sono più mafiosi di chi ha lucrato sulle politiche abitative, realtà come ARESAM Onlus, che si occupano di salute mentale, sostenendo chi ne soffre e i loro familiari, sono più criminali di chi ha lucrato per anni sui campi Rom, chi come il Coordinamento genitori democratici Onlus, si occupa di diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, è più mafioso di chi ha guadagnato illecitamente sui minori non accompagnati.

E il Comune? Cosa intende fare degli innumerevoli sfratti indiscriminati e delle esorbitanti richieste di risarcimento, in alcuni casi si parla di milioni di euro, scagliati contro l’associazionismo romano? Cosa ne farà l’Amministrazione di Roma Capitale del Bene comune, della sussidiarietà, si prenderà la responsabilità nei confronti dei cittadini del vuoto socio-culturale che quelle decine e decine di locali lasceranno, tornando al loro stato di origine, prima della concessione d’uso, di beni pubblici in disuso ed abbandono?

Una cosa è certa, le associazioni colpite non ci stanno ad essere gettate nel calderone di Affittopoli, molte si sono organizzate e stanno conducendo da tempo una lotta contro questa grave ingiustizia. Si sono mosse ad esempio con la consegna il 9 marzo scorso alla Corte dei Conti della richiesta di deferimento del Vice Procuratore della Corte Regionale del Lazio dott. Guido Patti alla Commissione Disciplinare, il quale ha notificato finora 200 inviti a dedurre e 132 atti di citazione ad un gruppo di funzionari refrattari ai suoi “suggerimenti”, ovvero di procedere senza indugio con gli sfratti e le richieste di risarcimento alle associazioni.

Hanno fatto sentire la loro voce con sit-in, flash mob in piazza e davanti al Campidoglio, per chiedere di essere finalmente viste e perchè venisse riconosciuto il valore sociale delle attività che svolgono a beneficio delle fasce di cittadini più deboli (e spesso in collaborazione con l’amministrazione comunale). Il 5 aprile scorso un gruppo di associazioni (Aresam, CESV CILD, Corviale Domani, Coordinamento Periferie, Forum Terzo Settore Lazio, CGD Roma, CGD Nazionale, Fed.I.M, Reter, A Roma Insieme, Illuminatissimo, Ass. Amici Lazio, Fondazione Di Liegro, Ass. Vivere 2001 – Il Cantiere, Circolo Culturale Omosessuale M. Mieli) ha sottoscritto e consegnato una lettera alla Sindaca Raggi, nella quale le si chiedeva di “far finire questo scempio”, di riprendersi il ruolo di garante del benessere dei propri cittadini, di verificare ogni singolo caso e “non lasciare la vita di quelli più deboli ed emarginati in mano ai burocrati”. Il 6 aprile mentre all’interno della Corte dei Conti si teneva la prima delle udienze che vede come imputati i dirigenti di Roma Capitale per danno erariale (900 casi circa) e che ha affrontato solo le prime 20 storie (tra cui quelle di Sant’Egidio, Accademia del Cartone animato, Cgil, Capodarco, Unione inquilini, Agesci, Azione Parkinson), fuori si svolgeva un flash mob di protesta organizzato da Decide Roma, per chiedere con urgenza alla Sindaca un nuovo Regolamento partecipato sulla concessione ed uso dei beni comunali.

L’associazionismo e il volontariato romano sta percorrendo la sua Via Crucis, ma alla fine non pretenderà miracoli nè effetti speciali, solo buon senso, consapevolezza e giustizia sociale.

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SALVIAMO IL CENTRO ANTIVIOLENZA DI TOR BELLA MONACA


Facciamo in modo che questo sfratto venga bloccato e il centro continui a vivere.




Corviale in rivolta, tariffa folle

Comune, maxi aumento del canone piscina: Corviale in rivolta, tariffa folle
La denuncia della Us Acli Roma. Periferia ignorata, costi incrementati del 1.000%

Il Campidoglio aumenta il canone della piscina comunale: da 550 euro a 5500. Corviale in rivolta, addio allo sport per 600 ragazzi.

Una decisione improvvisa, comunicata solo tramite una email. Così il Comune ha deciso di applicare un sostanziale aumento della piscina gestita dall’Unione Sportiva delle ACLI di Roma, che la tariffa crescere del 1.000%. Così in una nota Us Acli Roma: “Al Corviale, uno dei quartieri più difficili e degradati della Capitale, chiuderà presto la piscina comunale gestita dall’Unione Sportiva delle ACLI di Roma lasciando senza “sport” oltre 600 ragazzi tra loro anche molti under 18 disabili. Terminerà anche l’attività sportiva dedicata agli anziani del quartiere. Infatti, per una decisione unilaterale del Campidoglio, il canone dell’impianto che l’US ACLI Roma pagava, relativo alla concessione di servizi sportivi erogati ai cittadini in nome e per conto del Comune di Roma, passa da 550 euro al mese a 5500 euro. Un aumento esorbitante vista l’importanza sociale dove l’US ACLI ha da sempre applicato le tariffe sociali proposte da Roma Capitale. Una decisione comunicata via PEC il 13 marzo 2017 senza nessun preavviso e a stagione iniziata che mette in serio dubbio il regolare svolgimento delle attività della piscina da anni simbolo dell’integrazione attraverso lo sport. Inoltre, l’aumento ha valore retroattivo al 1 gennaio 2017 – si legge nel comunicato – L’US ACLI Roma è concessionaria dal 2004 della piscina del Corviale ed ha sempre pagato in maniera regolare l’affitto alla scadenza del 5 di ogni mese. Inoltre, il contratto con Roma Capitale è scaduto dal 30 giugno 2012 e a più riprese l’US ACLI ha chiesto in forma ufficiale – con PEC e raccomandate – a Roma Capitale di potere siglare un nuovo accordo senza avere nessuna risposta. L’Unione Sportiva delle ACLI di Roma, con i suoi 25 mila soci e le 265 associazioni affiliate, è una delle più importanti realtà sportive del sistema ACLI nazionale. La prima in Italia per il numero di associazioni aderenti e la seconda per iscritti. Un terzo dei suoi associati ha meno di 15 anni. Numerose sono le attività promosse nell’ambito di sport come calcio a 11, a 8 e a 5, nuoto, pallavolo, ciclismo, atletica, arti marziali e danza. L’US ACLI Roma, inoltre, pone la massima attenzione all’utilizzo della pratica sportiva a fini sociali”.

Delusione e sorpresa anche per Luca Serangeli, presidente di US ACLI Roma: “Una vicenda incredibile che dimostra come spesso chi amministra la città sia lontano dai territori non conoscendone le dinamiche sociali ed economiche. Aumentare del 1000% l’affitto ad una realtà come la nostra significa colpire i tanti giovani del Corviale che con noi hanno intrapreso un percorso di fuga dal degrado per una vera integrazione. Farlo poi a stagione iniziata è un ulteriore colpo all’economia di tante famiglie del quartiere che confidavano sulle tariffe comunali. La nostra associazione, non solo ha sempre pagato regolarmente l’affitto, – conclude Serangeli – ma ha più volte posto il problema al Campidoglio della scadenza del contratto. Proprio il 28 gennaio scorso abbiamo fatto il nostro congresso in un’altra struttura del Corviale, il calcio sociale. Per quella occasione l’assessore Frongia, se pur invitato, non si presentò. Sembra che l’impegno dell’Amministrazione capitolina per risolvere il problema nelle periferie si limiti solo all’invio di una PEC”.

http://www.affaritaliani.it/roma/comune-maxi-aumento-del-canone-piscina-corviale-in-rivolta-tariffa-folle-469301.html




A cosa serve un Ater che produce degrado e danni sociali?

Volevo scrivere un lungo e probabilmente noiosissimo articolo sull’insopportabile degrado dei complessi immobiliari pubblici della periferia romana, in particolare di quello situato a Ponte di Nona. Una situazione vergognosa, tale, in un paese civile, da far dimettere tutta la dirigenza Ater e la dirigenza regionale in quanto responsabile di Ater. Poi, scorrendo la rassegna stampa ho letto della nuova vendita di parte del patrimonio Ater a Roma. Certamente non si vendono gli immobili di questa vergognosa periferia chi li comprerebbe? Si vendono gli immobili in cui si garantisce agli assegnatari una vita decorosa. E perché si vende? Per far fronte ai debiti. Per risanare Ater. Questa è la risposta. Ma noi siamo stufi di essere presi in giro. Non è la prima vendita fatta con questo pubblico fine. Peccato che queste vendite non siano mai servite a nulla, se non ad impoverire il patrimonio pubblico, nella sua parte migliore. I debiti si formano perché Ater non è in grado di gestire il proprio patrimonio. Morosità, occupazioni, atti di vandalismo, sottrazione fraudolenta di energia elettrica si susseguono nei vari complessi senza soluzione di continuità e senza che qualcuno tenti di arginarli. Allora faccio un’unica domanda. La faccio al presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, all’Assessore alla Casa, Fabio Refrigeri, al Commissario dell’Ater di Roma, Giovanni Tamburrino: perché non regalate questo patrimonio che le istituzioni da voi rappresentate hanno fatto affondare nel degrado anno dopo anno, senza soluzione di continuità? Perché continuare ad incrementare degrado materiale e sociale? Un analisi tra i costi di questo carrozzone in sfacelo e un regalo a chi abita questi alloggi mette sicuramente al riparo da qualsiasi iniziativa della Corte dei Conti. Con il regalo del patrimonio pubblico ci guadagna Roma che la finisce di provocare degrado, danni economici e danni sociali e ci guadagna chi ci abita perché si rimette in gioco la voglia personale di riscatto e si rafforza chi in questo patrimonio vive con onestà. Una gestione delle famiglie divenute proprietarie dà forse una speranza a chi oggi vive in un degrado vergognoso e senza futuro Le istituzioni, l’Ater potrebbero avere un soprassalto di vergogna per il modo in cui fanno vivere migliaia di famiglie? Ci piacerebbe ma non ci crediamo. Mi piacerebbe una risposta anche se penso che non ci sarà.

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Periferie: le istituzioni, i diritti, la ‘sociologia’

Una mensa per le persone più povere, una novantina, e la cooperativa sociale per l’inserimento lavorativo di gente in difficoltà, con alle spalle storie di dipendenza o di carcere. Sono alcune anime del volontariato alla Magliana, di cui ci parla Giancarlo Gamba, da una vita impegnato in parrocchia: “Se creiamo comunità, anche il senso della legalità sarà più forte”.

Una realtà molto vivace è la scuola di italiano portata avanti nell’ambito delle attività dell’associazione In Senso Inverso, nata dieci anni fa, dove c’è anche un laboratorio di teatro impegnato a creare un prodotto culturale a vantaggio dell’intero quartiere. Il fondatore è Ugo Sestieri, per oltre trent’anni insegnante di matematica nelle scuole superiori, e autore di diversi romanzi, l’ultimo “Pantalassa” (Prospettiva editrice): “Abbiamo la media di 100-120 stranieri ogni anno, da tutti i Paesi del mondo. E’ nei fatti un vero e proprio centro di accoglienza, una situazione estremamente interessante. Anche il Tribunale ci manda dei ragazzi che sono agli arresti domiciliari. Con loro questa operazione funziona molto bene. Vengono a fare lezione anche le badanti e con loro le persone anziane di cui si prendono cura”. Si può dire che da voi c’è un buon livello di integrazione? “E’ complesso il discorso. A Magliana la gente di una certa età è più accogliente. Tra i giovani è già più difficile, ma questa è una tendenza che si registra ovunque. I giovani paradossalmente hanno paura non della diversità ma dell’uguaglianza. Hanno paura di diventare uguali a loro. Il problema è che l’Italia è stupenda nella fase della prima accoglienza, siamo forse all’avanguardia. Però questa è insufficiente”.

La lampada dei desideri è una associazione che offre ai diversamente abili progetti di inclusione. Hanno messo su una web radio, una casa editrice di libri per bambini, progetti contro il bullismo e perfino una banda musicale: la… banda della Magliana.

Accanto a questa effervescenza di progetti sociali, quale è livello di sicurezza percepito qui?: “Noi possiamo uscire la sera e non succede nulla – spiega il Presidente del Comitato di quartiere – non si registrano fatti significativi di pericolosità. Il mio cruccio è che purtroppo, pur nei loro ottimi risultati, non siamo mai riusciti a mettere in collegamento le realtà del volontariato e a farle diventare volano di occupazione anche per i tanti giovani immigrati per coinvolgerli in un senso di appartenenza. Quando cerco di parlare alle istituzioni del fatto che dovremmo cercare degli sbocchi lavorativi per loro, che sono diventati i nuovi ragazzi del muretto, inattivi, e anche facile preda di malavitosi senza scrupoli, mi rispondono: questa è sociologia, che c’entriamo noi?”.

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RIGENERAZIONE DELLE PERIFERIE E SICUREZZA URBANA

Una Piattaforma al servizio di una comunità interessata a sviluppare uno spazio di discussione virtuale e a divulgare idee e pratiche connesse al tema della RIGENERAZIONE DELLE PERIFERIE E SICUREZZA URBANA

Obiettivo del laboratorio: una riflessione comune che muova dalla pluralità dei contesti sociali e dalle legittime aspirazioni e necessità dell’uomo, coinvolgendo coloro che progettano lo spazio, coloro che lo governano e coloro che lo abitano, anche attraverso forme innovative di condivisione con gli utenti; a pieno diritto la periferia si pone come una delle realtà più complesse e difficili.
Responsabili: Marella Santangelo, Maurizio Geusa

Periferie: Rigenerazione o manutenzione Urbana ?“La realtà si vede meglio dalla periferia che dal centro”Una premessa per comprendere meglioLegge di stabilità 2016[1] ha istituito il “Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia, finalizzato alla realizzazione di interventi urgenti per la rigenerazione delle aree urbane degradate attraverso la promozione di progetti di miglioramento della qualità del decoro urbano, di manutenzione, riuso e rifunzionalizzazione delle aree pubbliche e delle strutture edilizie esistenti, rivolti all’accrescimento della sicurezza territoriale e della capacità di resilienza urbana, al potenziamento delle prestazioni urbane anche con riferimento alla mobilità sostenibile, allo sviluppo di pratiche, come quelle del terzo settore e del servizio civile, per l’inclusione sociale e per la realizzazione di nuovi modelli di welfare metropolitano, anche con riferimento all’adeguamento delle infrastrutture destinate ai servizi sociali e culturali, educativi e didattici, nonché alle attività culturali ed educative promosse da soggetti pubblici e privati.” Per la predisposizione di tale Programma, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha indicato, con apposito bando, le modalità per la trasmissione dei progetti nonché ha precisato con Decreto i criteri per la valutazione dei progetti, tra i quali la tempestiva esecutività degli interventi e la capacità di attivare sinergie tra finanziamenti pubblici e privati.Sempre per l’attuazione di tale Programma, e’ stato istituito un «Fondo per l’attuazione del Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie», per il quale è stata autorizzata la spesa di 500 milioni di euro per l’anno 2016.
Il caso di Roma Capitale
Nel caso di Roma, l’intera vicenda delle scelte progettuali, per la partecipazione al bando, è stata gestita dai Dipartimenti dell’Urbanistica e delle Periferie con qualche timida richiesta ai Municipi. Ciascuno dei due Dipartimenti ha selezionato tra i progetti disponibili senza esprimere, a nostro avviso, una visione strategica complessiva, senza un coinvolgimento dei Cittadini se non altro del Terzo Settore come per altro indicato nella stessa legge istitutiva del Programma. E’ mancata la valutazione preliminare di quali fossero le aree urbane caratterizzate da situazioni di marginalità economica e sociale, degrado edilizio e carenza di servizi sui quali orientare le proposte progettuali; carenza di visione strategica che si riscontra anche nella mancata utilizzazione della quota del 5% delle risorse dell’investimento per la “predisposizione di piani urbanistici, piani della mobilità e studi di fattibilità o per la costituzione di società pubblico/private e/o interventi di finanza di progetto, investimenti immateriali, marketing territoriale e anche formazione”. A nostro vedere, tali scelte ci appaiono come tampone di basso profilo utilizzato per il completamento di manutenzioni, incurie e in assenza di una visione strategica della città. Queste scelte non sembrano imprimere azioni di rilancio e di promozione delle qualità ambientali, culturali, produttive e sociali presenti nei territori.La lettura della Città rimane periferica e come tali restano le Periferie.Si tratta, quindi, di sviluppare un percorso che traguardi l’obiettivo di una più ampia riflessione. Un percorso che produca modalità e contenuti di un “Piano di azione per le periferie”. Un “Piano di azione” da estendere con le medesime regole all’intera città tenendo conto delle specificità e delle vocazioni rilette attraverso indicatori sociali ed economici, come chiesto per altro dal bando nazionale Un “Piano di azione” da sviluppare attraverso il coinvolgimento più ampio degli stessi residenti entro la primavera del 2017. Consideriamo il “Piano di azione” non tanto un ulteriore sovrastruttura normativa, quanto piuttosto una nuova modalità di azione della pubblica amministrazione che rimette i cittadini attivi al centro delle trasformazioni e individua azioni e progetti .La sintesi che si può trarre, da questo approccio urbanistico-economico, è che non sono sufficienti le sole regole urbanistiche per raggiungere una qualità urbana diffusa e migliorare le condizioni socio economiche degli abitanti. Infatti, se la crescita della città dettata dalle regole urbanistiche sull’uso del suolo ha generato quartieri senza qualità come continuare a pensare che sempre attraverso regole urbanistiche si riesca a produrre qualità?L’esito concreto di questi Programmi complessi e della grande attenzione da parte dell’urbanistica alla periferia mostra oggi il suo limite. Il limite, come detto, è rappresentato proprio da un approccio ancora monodisciplinare. I semplici meccanismi del mercato governato dalle regole urbanistiche sull’uso del suolo non riescono a fornire risposte in termini di miglioramento delle condizioni di vita delle periferie. Un limite che non ha tenuto conto di quanto i fenomeni di marginalità della periferia investono molteplici discipline e secondo molteplici profili andavano affrontati.Da ciò la necessità di un approccio integrato e a carattere interdisciplinare che investa diverse specializzazioni. Dove gli abitanti con i loro bisogni quotidiani sono rimessi al centro dell’interesse chiudendo così la fase della “sedazione” dei conflitti che di volta in volta emergono. Portare dentro all’approccio interdisciplinare il committente-cittadino è fondamentale perché cambia anche la scala economica del progetto. Agire in condivisione, condividere spazi e azioni di trasformazione non sono solo idee ma anche ormai pratiche dell’architettura e dell’urbanistica con riscontri a livello internazionale come ha dimostrato la Biennale Internazionale di Architettura di Venezia ancora in corso.I quartieri realizzati a Roma negli anni settanta come Corviale, Tor Bella Monaca, Laurentino, Vigne Nuove e molti dei Piani di Zona per Edilizia Residenziale Pubblica, rappresentano casi esemplari di impianti urbani modernisti in cui la forma degli spazi pubblici rimane residuale rispetto alla prevalente specializzazione delle singole funzioni. Infatti, le residenze, i servizi, il verde, le strade e i parcheggi si aggregano tra di loro senza realizzare luoghi in cui gli abitanti possano identificarsi e riconoscere come propri. In questo contesto morfologico si aggiunge la concentrazione di rilevanti quote di patrimonio residenziale pubblico destinata a soddisfare la domanda abitativa sociale non tenendo in conto le dinamiche sociali di chi ci andrà a vivere, per altro a causa del basso turn over si registra in questi quartieri una accentuata concentrazione di anziani. In questo modo si genera una separazione per categorie sociali che si estende a caratterizzare l’intero quartiere, fino a generare una classificazione mentale degli abitanti.I primi due casi presi in esame dal coordinamento e da sottoporre ad una discussione pubblica sono quello di Corviale e quello di Tor Bella Monaca da affrontare. In quanto questi sono i due più grandi complessi di edilizia residenziale pubblica a Roma. Si caratterizzano per il rilevante numero di abitanti. Corviale con 6.500 abitanti riverbera i suoi effetti sui 50.000 residenti nel quadrante. Tor Bella Monaca con 24.000 abitanti distribuiti su circa 200 ha. Un numero di abitanti che potrebbe far assumere a questi quartieri la dignità di centri urbani autonomi. In questi contesti la significativa dimensione del patrimonio pubblico, alloggi, aree e attrezzature, presente nei due quartieri diventa il primo elemento di criticità.A questa significativa dimensione del patrimonio pubblico le Amministrazioni pubbliche non sono state in grado di assicurare adeguati standard di gestione, manutenzione e sicurezza. In altre parole si è prodotta una distanza culturale fra la Regione e i centri amministrativi di ATER e di Roma Capitale che ad oggi non colgono le specifiche esigenze e le peculiari potenzialità dei due quartieri. La carenza di manutenzione, il degrado delle parti comuni degli edifici pubblici e il “lasciar fare” delle gestioni sia comunali che regionali rappresentano l’aspetto esteriore di una più seria e grave carenza di fruizione degli spazi urbani. La mancanza di luoghi identitari finisce per connotare l’intero quartiere. Le amministrazioni hanno preferito “non vedere” diventando esse stesse parte del problema.A fronte e per reazione di questa distanza culturale con i centri amministrativi, si è sviluppata una rete di associazioni e presenze attive sul territorio che oggi rappresenta, oltre che una generica risorsa, il primo attore del processo rigenerazione urbana.Dunque, è necessario ripartire dalle esperienze di azione maturate nei territorio e cogliere i caratteri propositivi di una vera e propria vertenza territoriale che si manifesta con percorsi e azioni definite dalla quale creare una concreta cooperazione per sostenere le spinte innovative dando sponda necessaria ed indispensabile alle sollecitazioni.Gli interventi di rigenerazione urbana richiedono il coordinamento di numerose competenze tecniche, amministrative e di coesione sociale. In primis, il ripristino di sicurezza e di legalità parte dal rispetto delle regole,dove le Istituzioni e la società civile si riappropriano del territorio. Il coordinamento dovrà farsi carico di allineare i diversi soggetti pubblici coinvolti nella gestione del patrimonio, nella gestione dei cantieri, in modo da districare tutti quei passaggi amministrativi che hanno reso, fino ad oggi, faticosa ed inefficace l’azione di recupero per il perseguimento degli obiettivi previsti dalla rigenerazione urbana.Il coordinamento deve accompagnare il riconoscimento delle azioni, la pianificazione e l’attuazione delle attività sociali, culturali, produttive e di recupero ambientale che sono state individuate come fattibili nelle fase di analisi e programmazione approvata con il progetto di partecipazione.Forti di questa esperienza la proposta che si avanza è quella di concentrare in un’unica figura supportata da un coordinamento delle Istituzioni e dei diversi soggetti interessati tutte le competenze attinenti all’area urbana di Corviale e di Tor Bella Monaca tale che siano definite funzioni e ruoli decisionali. Intenzione che era stata esplicitata dalla stessa Regione Lazio nel progetto “Rigenerare Corviale” a cui però non è stato dato seguito. Resta fermo che a queste scelte ratificate deve corrispondere in primo luogo un atto ufficiale assunto nelle sedi istituzionali proprie, programmato e scadenzato fino alla completa realizzazione.Al termine del percorso seminariale intendiamo presentare un atto amministrativo in cui, preso atto delle esperienze maturate, nel constatare quanto l’intreccio delle competenze finisce per paralizzare l’amministrazione, si propone l’individuazione di un soggetto unico per ciascun ambito territoriale con forti poteri di coordinamento e sostitutivi in caso di inerzia.Quindi, è necessaria una modifica del modello organizzativo da ratificare con uno specifico provvedimento deliberativo. Tale provvedimento deliberativo dovrà essere focalizzato sui compiti attribuiti al coordinamento e sul suo ruolo gerarchico nei confronti delle competenze diffuse. Infatti i continui richiami a ruoli e funzioni ricoperti da parte dei soggetti coinvolti e senza comunicazione tra di loro, fanno perdere di vista la possibilità di azione comune verso l’obiettivo della rigenerazione urbana.
Sicurezza urbana: lo spazio della pena e la relazione con la cittàIl riconoscimento del tema dello spazio del carcere, non solo in termini quantitativi, ma ancor più qualitativi, è divenuto centrale; è legittimo affermare che dove non c’è attenzione agli spazi della pena in generale non c’è neppure attenzione alla dignità del detenuto, alla sua rieducazione e al suo reinserimento sociale.Il tema della qualità dell’istituzione detentiva e del percorso di recupero di coloro che lo abitano è strettamente collegato a quello della sicurezza dei cittadini (Horizon 2020), trasformare la pena in un percorso di riabilitazione e reinserimento nella società significa, come dimostrano i dati e le statistiche, maggiore sicurezza e abbassamento della recidiva. Il percorso può avvenire se e solo se è legato alla volontà comune al mondo penale di affrancarsi da quello penitenziario come unica soluzione al concepimento e all’esecuzione della pena; ecco che il sistema dei luoghi in cui ciò avviene è fondante, la modificazione degli spazi, interni ed esterni, e una loro diversa configurazione e concezione rappresentano passaggi assolutamente necessari. In materia di sicurezza la UE punta, nel rispetto della privacy dei cittadini e sostenendo i diritti fondamentali, allo sviluppo di nuove tecnologie per combattere la violenza e per innescare processi alternativi alla detenzione con alti margini di garanzia.Uno dei principali obiettivi è la reinterpretazione progettuale del carcere come attrezzatura centrale della città e della società in relazione alla dimensione dell’abitare, al vivere collettivo e alla costruzione della forma urbana, questo passa per la riscrittura dei criteri centrali su cui basare gli interventi di progetto da realizzare. Ripensare i luoghi urbani del disagio e le attrezzature civili, il carcere, in relazione ai criteri di benessere sociale e ambientale, quegli stessi che animano la programmazione della ricerca europea e che puntano a creare sinergia tra scienza e società, significa ripartire dalle condizioni di vita dei ristretti.

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Quando la rigenerazione urbana ha anche valenza sociale

I progetti di La Spezia, Cosenza, Roma e Firenze presentati a Urbanpromo
Interpretare la pratica della rigenerazione urbana attraverso connotati a forte valenza sociale. È questo il filo conduttore di quattro tra i progetti che hanno partecipato all’ultima edizione di Urbanpromo, la manifestazione nazionale di riferimento per la rigenerazione urbana.

Abitare Toscana
Uno dei progetti di social housing è quello di Abitare Toscana Srl: un complesso residenziale inserito in un programma più vasto per oltre 400 alloggi in un’area periferica, a nord della via Pistoiese a Firenze. L’area è caratterizzata dalla commistione di aree industriali, edilizia residenziale privata e di preesistenze storiche di pregio. Il progetto propone un modello insediativo ad altezza contenuta ed elevata densità insediativi, con un impatto ambientale rispettoso del tessuto residenziale più prossimo, ma con caratteristiche innovative per quanto riguarda tipologie abitative e caratteristiche funzionali dell’insediamento.

Gli edifici destinati alla locazione comprendono 90 appartamenti di taglio piccolo destinati a singles e a giovani coppie, e sono organizzati attorno ad una corte edilizia con fruizione esclusivamente pedonale. Gli alloggi sono disimpegnati da ballatoi aperti sulla corte interna, che si dilata al piano terreno nei pilotis degli edifici, oggetto del progetto di comunità “In Sala”. Gli alloggi sono destinati alla locazione per famiglie disagiate a reddito basso, e propongono un canone medio di locazione di 400 Euro/mese, pari a uno sconto di circa il 30% sui canoni convenzionali L.431/1998.

Nova Casa Cosenza
Un altro progetto che ha forte valenza sociale è quello della Cooperativa Nova Casa Cosenza, che nella città calabrese propone una struttura per divorziati abbandonati dalla famiglia, lavoratori percettori di ammortizzatori sociali o in mobilità lavorativa, ragazze madri. La definizione del disegno del comparto è stata determinata dall’esigenza di dare un assetto che favorisse la realizzazione di spazi pubblici in modo da permettere un’articolazione dell’intera area funzionale ad una qualità dell’abitare conforme alle esigenze di un moderno vivere civile.

Nel disegno urbano proposto si prevede un edificio con destinazione d’uso plurima che in termini di funzionalità ha così definito gli spazi:
– parcheggi privati al piano interrato;
– piano terra interamente destinato ad attività per servizi connessi alle nuove residenze: spazio per la ristorazione, lavanderia, portineria con servizio notturno, spazio sociale, segreteria ecc.;
– gli altri sei piani per residenze di edilizia sociale con complessivi 48 alloggi di cui 30 in locazione permanente per particolari per categorie disagiate come uomini divorziati o ragazze madri.

L’ipotesi progettuale considera i luoghi dell’abitare, ed i servizi di cui necessita chi vi sarà ospitato, come un sistema unico ed integrato: il prodotto edilizio facilita l’aggregazione della domanda di servizi e la corretta interazione con l’offerta; il sistema dei servizi valorizza l’esercizio abitativo, innalzandone il livello di soddisfazione. Tutti i servizi previsti sono pensati per rispondere ad evidenti criticità sistemiche ma anche a tutta una serie di bisogni espliciti ed impliciti. Si è pensato cioè ad un centro residenziale nel quale concentrare e rendere fruibili i servizi per il benessere e la qualità della vita dei propri ospiti.

SB_HOUSE
Spazio nella gallery di Urbanpromo anche ai progetti di rigenerazione con forte carica innovativa. Tra questi SB_HOUSE, un programma operativo per residenze sperimentali dalle società LOIRA s.r.l. e ADB EDILIZIA. Progetto di ADLM architetti. Il programma prevede la ricucitura urbana di lotti rimasti inedificati nel quartiere di San Basilio, rappresentativo della periferia storica di Roma. Il quartiere nel tempo è stato interessato dal dopoguerra ad oggi da interventi di edilizia pubblica che ne hanno caratterizzato l’identità urbana e sociale, dall’intervento dell’arch. Mario Fiorentino ai successivi degli anni 60 e 70 che ne hanno completato l’assetto. Dagli anni 90, il quartiere è stato oggetto del Programma di Recupero Urbano denominato “PRU San Basilio”.

Il programma operativo verrà realizzato da operatori privati, all’interno dei comparti edificatori Z1 e Z2: nel comparto Z_1 sono previsti 3 corpi di fabbrica destinati ad ospitare 75 alloggi,. Contestualmente, sarà realizzato dagli stessi operatori nel comparto Z_2, un edificio di 840 mq (SUL) costituito da 18 unità abitative che entreranno nella disponibilità dell’Agenzia Territoriale per l’Edilizia Residenziale di Roma (ATER). L’edificato, oltre ad essere fattore dinamico per la ricucitura territoriale del quartiere nelle parti incompiute, caratterizza la costruzione con la forte innovazione tecnologica per il risparmio energetico con l’utilizzo di materiali costruttivi eco-sostenibili e innovativi, che coniugano l’innovazione abitativa con il recupero tipologico della morfologia abitativa dell’unità di vicinato romana.

AUT AUT – Autonomia Autismo
Il progetto “AUT AUT – Autonomia Autismo” promosso da Fondazione Carispezia nasce ad esempio per favorire l’inclusione sociale di persone affette da autismo residenti nella provincia della Spezia nell’ambito dei servizi turistici, che potranno essere estesi a ospiti con disabilità provenienti da tutta Italia e alle loro famiglie. Prevede la realizzazione – in collaborazione con le associazioni A.G.A.P.O. e Fondazione Domani per l’Autismo – di due strutture gestite in gran parte da persone autistiche, affiancate da operatori specializzati e volontari.

La locanda “Vivere la Vita”, in fase di realizzazione su terreni acquisiti da dismissioni Arpa – Liguria, sarà composta da strutture e spazi verdi destinati ad attività produttive, commerciali, ricettive e gestionali. L’intervento riqualifica l’area periferica di via Fontevivo alla Spezia, integrandosi con altri progetti e strutture adiacenti, tra cui il Polo Riabilitativo del Levante Ligure realizzato anch’esso dalla Fondazione.

Il complesso è formato da tre volumi disposti su tre piani affacciati su giardini pensili attrezzati e tra loro collegati dal corpo vetrato scale-ascensore. Le diverse funzioni degli spazi trovano riscontro nella diversificazione architettonica e dei materiali utilizzati (legno, intonaco e cemento colorato), mentre la separazione strutturale dei volumi garantisce, con particolari accorgimenti, un’adeguata risposta sismica del complesso, nel quale sono impiegate tecnologie idonee a coprire il 50% delle necessità energetiche. Negli spazi di “Vivere la Vita” sono previsti: un ristorante; un albergo con 10 camere vista mare; un’area dedicata ai laboratori per la produzione e la vendita di pasta fresca e secca; spazi residenziali riservati a ospitare, in cinque camere con annesse aree comuni, giovani adulti autistici e i loro familiari.

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