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IL CINEMA AMERICA STA PER ESSERE DEMOLITO

america

IL 17 FEBBRAIO DURANTE UN’ASSEMBLEA PUBBLICA ALL’INTERNO DEL CINEMA AMERICA PRESENTEREMO IL NOSTRO PROGETTO DI RECUPERO E RESTAURO. Il Cinema America è minacciato dalle ruspe della proprietà, la Progetto Uno s.r.l., che vuole distruggere questo edificio per farne un palazzo con 20 monolocali di lusso, con due piani di parcheggi sotterranei ed una galleria d’arte privata, che dovrebbe sostituire l’attività sociale e culturale che il Cinema America ha svolto sino ad ora. Come è ben facile intuire, si tratta di una vera e propria speculazione edilizia nel cuore di Trastevere: né un piano di edilizia sociale, né di valorizzazione culturale.

Progettato da Angelo Di Castro negli anni ‘50, il Cinema America, oltre a rappresentare una delle poche sale di quartiere ancora attive, testimonia la storia e la cultura della nostra città. Dove negli anni cinquanta e sessanta si assiste ad un vero e proprio boom: Cinecittà diventa la seconda capitale mondiale del Cinema, preceduta solo da Hollywood. A Roma si contano ormai più di 250 sale che, grazie ad un’altissima qualità, liberano al loro interno proprie individualità spaziali. Questa nuova tipologia edilizia del XX sec viene caratterizzata da pochi ma significativi elementi progettuali: la pensilina, l’insegna luminosa, il tetto apribile, l’uso del calcestruzzo e la combinazione fra arte-architettura. Elementi tutti che vengono esibiti e potenziati nella grande sala del Cinema America, ormai quasi un’eccezione.

A rileggere il D.M Interno 19 Agosto 1996, n 261 (regola di prevenzione incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio dei locali di intrattenimento e di pubblico spettacolo) il Cinema America è anche a norma sui suoi punti più significativi, come i materiali usati all’interno, la distribuzione della sala e delle vie di uscita, la cabina di proiezione, le visuali verso lo schermo…ecc. Insomma, è predestinato ad essere Cinema.

Ma non è solo un edificio dall’alto valore artistico: per noi rappresenta un vero e proprio spazio di discontinuità urbana. In un rione in cui la gentrificazione e la messa a rendita del territorio conquistano ogni via ed ogni vicolo, l’America, controcorrente, propone l’accesso alla cultura ad un numero enorme di persone e mette a disposizione uno spazio di socialità svincolata dalle logiche di profitto.
Durante l’assemblea pubblica presenteremo il progetto della proprietà, attualmente in approvazione agli uffici dell’assessorato all’urbanistica. Ma, soprattutto, presenteremo il nostro progetto di restauro partecipato dell’edificio. Per noi il futuro di questo cinema è uno solo: gestione partecipata della programmazione cinematografica, cinema indipendente, presentazioni e dibattiti di film in collaborazione con registi ed attori, possibilità di fruire dello spazio anche nelle ore diurne trasformandolo da cinema ad aula studio, spazio espositivo per mostre, sala convegni pubblica, biblioteca e teatro, uno spazio in divenire che si modifica con le esigenze del territorio. Perché siamo convinti, e lo abbiamo dimostrato in questo anno di iniziative, che il Cinema America non è solo un cinema ma tanto altro. Per noi il tetto di questa sala cinematografica ha una storia e deve tornare ad aprirsi d’estate senza essere demolito.
Stiamo portando avanti un progetto di autofinanziamento popolare: l’8 marzo si concluderà con un’assemblea durante la quale i sottoscrittori decideranno come investire i fondi raccolti nel restauro e nella valorizzazione dell’edificio.

Il progetto di restauro ha visto anche le adesioni di personalità del mondo della cultura, dello spettacolo e dell’architettura che hanno preso parte a iniziative dell’occupazione del Cinema America: Paolo Sorrentino, Nanni Moretti, Toni Servillo, Carlo Verdone, Gianfranco Rosi, Nicolò Bassetti, Rocco Papaleo, Elio Germano, Libero de Rienzo, Daniele Luchetti, Elena Cotta, Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre, Daniele Vicari, Luca Vendruscolo, Francesco Pannofino, Stefano Benni, Marco Delogu, Ivano de Matteo, Andrea Sartoretti, Valerio Mastandrea, Claudia Pandolfi, Angelo Orlando, Ninetto Davoli, Roberta Fiorentini, Antonio Catania, Francesco Montanari, Gianni Zanasi, Giuseppe Piccioni, ing. Paolo Berdini Prof.ssa Alessandra Muntoni , Prof.ssa Maria Rita. Intrieri, Prof. Giorgio Muratore, Ing. Livio De Santoli, Prof. Silvano Curcio & 120 studenti “ghostbusters” diwww.fantasmiurbani.net Facoltà di Architettura Sapienza Università di Roma, Prof.ssa Simona Salvo e Prof. Andrea Bruschi e molti altri.
Restaurare il Cinema Ameria non è una speranza ma un progetto concreto: vi invitiamo tutti a venire qui per ascoltare la nostra proposta, formulata grazie all’architetto Cristina Mampaso: sullo schermo del cinema proietteremo le tavole del progetto di restauro e discuteremo insieme delle reali possibilità di sviluppo di questa proposta.

LUNEDI 17 FEBBRAIO ORE 18.00
ASSEMBLEA PUBBLICA AL CINEMA AMERICA OCCUPATO

Residenti di Trastevere – Comitato Cinema America – Cinema America Occupato

Per adesioni inviare un’email ad americaoccupato@gmail.com

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A seguire, alle ore 21, verrà proiettato:

“NUOVO CINEMA PARADISO” di Giuseppe Tornatore.

Le uniche poltrone a cui teniamo sono quelle di questo cinema.




I segreti di Osage County

i-segreti-di-Osage-County-trailer-italiano-per-la-dark-comedy-con-Meryl-Streep-e-Julia-Roberts-4 (1)Un film di  John Wells. Con Meryl StreepJulia RobertsEwan McGregorChris CooperAbigail Breslin. USA 2013.

Lo scrittore Beverly Weston (Sam Shepard) , alcolizzato e depresso , scompare da casa e la moglie Violet (Streep), drogata di pillole calmanti – anche, ma non solo, per via di un cancro alla bocca – chiama in soccorso tutta la famiglia ; arrivano la sorella Mattie Fae (Margot Martindale) con il marito Charlie (Cooper) la figlia Barbara (Roberts),insegnante  , con il marito Bill (McGregor) e la figlia quattordicenne Jean (Breslin).Delle altre due figlie , Ivy (Julianne Nicholson) , zitella apparentemente senza velleità , vive con lei e la accudisce astiosamente e Karen (Juliette Lewis) è una sbandata ed è in giro con l’ennesimo improbabile fidanzato. Beverly viene trovato annegato – probabilmente suicida – e, ai suoi funerali arriva anche Karen su una rombante Ferrari guidata da Steve (Dermont Malroney), il suo nuovo uomo, un trafficante di Miami. Il pranzo successivo al funerale fa emergere tutti i veleni della famiglia: Violet  tira fuori tutto la sua aspra volontà di controllo sulla vita delle figlie : la disgusta la vita sbandata di Karen e maltratta Steve, schernisce Ivy per la mancanza di uomini e dichiara brutalmente di essere  a conoscenza della crisi matrimoniale tra Barbara e Bill (quest’ultimo si è messo con una ragazza molto più giovane di lui). Alla compagnia si è unito Little Charles (Benedict Cumberbarch) , il figlio nevrotico di Mattie Fae, che la madre disprezza e che si è segretamente messo con Ivy. La notte la tuttofare indiana Joanna (Misty Upham) aggredisce con una pala Steve che tenta di abusare di Jean  dopo averle fatto fumare uno spinello e Karen , contro ogni evidenza, lo difende e va via con lui. La mattina successiva Ivy e Charles hanno deciso di scappare ma Barbara, in un confronto drammatico con Mattie Fae, viene a sapere che il ragazzo non è loro cugino ma loro fratello e cerca di fermare la sorella. Rimasta sola, Violet si rifugia per disperazione tra le braccia di Joanna , che aveva sempre trattato con disprezzo.

Wells è prevalentemente un produttore televisivo e si vede : il film non ha picchi di intensità visiva ma l’operazione nel suo complesso può dirsi riuscita : un ottimo cast candidato a vari premi Oscar ed un testo di grande successo teatrale (  con forti echi, sembrerebbe, delle “Tre sorelle” di Cechov)   scritto dall’autore  di punta di questi anni, Tracy Letts .Il cinema americano è un po’ così : dopo aver saccheggiato i drammi, in ordine di tempo, di Tennessee Williams, Sam Shepard (qui attore) e David Mamet , ora è il turno di Letts : Friedkin lo ha usato per i sui due ultimi film (“Bug” e “Killer Joe”) ma ne ha rielaborato lo scritto col proprio inconfondibile stile, mentre l’impersonale Wells lo mette in scena con acritica correttezza. Gli attori sono tutti mostruosamente bravi   ma sul testo non è stato sufficientemente   adattato al linguaggio del cinema per cui viene spontanea la domanda : ma che ci fa Cechov in Oklahoma?




Scultura abusiva al Circo Massimo Aprite gli occhi sulla città-museo

operaProvocazione fallita, nessuno l’ha notata ma il Comune ora tenga gli occhi aperti. Sarebbe occupazione di suolo pubblico
Sarebbe occupazione di suolo pubblico, secondo i regolamenti dell’amministrazione comunale. Oppure spesa proletaria, secondo una memoria del Sessantotto quando molti giovani praticavano l’appropriazione indebita di oggetti di consumo nei grandi magazzini. In questo caso, Francesco Visalli, si è appropriato indebitamente di un bene di consumo turistico, lo spazio del Circo Massimo con vista sul Palatino. Sul piano del costume, dobbiamo constatare una certa distrazione o mancanza di controllo del territorio.

Per circa tre mesi, esattamente dalla notte del 24 novembre, una installazione di cosiddetta arte contemporanea ha convissuto con un importante sito archeologico e anche con il monumento a Giuseppe Mazzini. Una coabitazione con due miti: uno della storia romana, un altro del Risorgimento italiano. Sul piano artistico e culturale, Inside Mondrian, questo il titolo che Visalli ha dato al suo lavoro, sembra appartenere piuttosto al clima del Situazionismo che teorizzava incursioni e corti circuiti con il quotidiano, fuori dagli spazi deputati (musei o gallerie).
Al di là dell’impertinenza dell’operazione, constato che il nostro operatore culturale ha realizzato un’opera di modernariato linguistico costringendo Mondrian a vivere all’aperto tra le intemperie della stagione invernale e lo smog del traffico. Ma il Situazionismo operava su una strategia di confronto eclatante, capace di suscitare reazioni e riflessioni. Perché nel nostro caso questo non è avvenuto? Nessuno tra cittadini e turisti ha reagito o si è posto il problema se l’installazione costituisse un’opera di arte pubblica autorizzata dal Comune. La risposta, sul piano culturale, è semplice. Prevalgono la silenziosa occupazione di suolo pubblico e l’appropriazione indebita di un bene collettivo (il paesaggio urbano e archeologico) in quanto l’opera non ha la forza di stabilire un confronto e si adatta, con buona educazione geometrica, a coabitare in silenzio con la mitezza di un clochard. Comunque, non drammatizziamo con una severità postuma. Piuttosto, vigiliamo con più attenzione su una città che è un museo a cielo aperto.
di ACHILLE BONITO OLIVA
(testo raccolto da Carlo Alberto Bucci)
link all’articolo




PORTRAITS GÉNÉTIQUES

FilleMerePascaleGhislainelink al sito




FILM DELLA SETTIMANA: The Counselor, Nebraska, The Wolf of Wall Street, Tutta colpa di Freud. Recensioni, link e VD

The Consuelor - Il procuratore

The Counselor – Il procuratore

Un film di Ridley Scott con Michael FassbenderPenelope CruzCameron DiazJavier BardemBrad Pitt

A Juarez, un avvocato di buon successo( Fassbender) è perdutamente innamorato della bella Laure (Cruz) e va in Olanda dal miglior mercante di preziosi (Bruno Ganz) a comprarle uno splendido diamante per l’anello di fidanzamento; per quanto agiato, non può permettersi una vita così dispendiosa chiede così al suo amico e cliente Reiner (Bardem) , un proprietario di locali alla moda ammanicato con il cartello della droga – anche grazie alla sua donna, la sconvolgente Malkina (Diaz) – di farlo entrare, per una volta , nel giro della droga ; Reiner lo introduce a Westray(Pitt), un middleman indipendente del cartello che , dopo averlo sconsigliato, accetta di fargli finanziare una grossa  spedizione dalla quale l’avvocato ricaverà un fiume di denaro . L’avvocato, intanto, viene convocato in carcere da una sua cliente d’ufficio, Ruth (Rosie Perez), che gli chiede di pagare la cauzione per il figlio (Richard Cabral) che è stato arrestato per eccesso di velocità con la moto; il ragazzo esce ma  il carico di droga scompare e il suo corpo decapitato lo collega al trafugamento della partita ; il cartello pensa così che l’avvocato sia implicato nel furto . Reiner viene ucciso e l’avvocato riesce a scappare ma  Laura  viene rapita e lui tenta di salvarla  parlando con un losco avvocato messicano (Fernando Gayo) ma il Boss (Ruben Blades) gli comunica per telefono che Laura è morta.

“The counselor” non è certo il miglior  film di Ridley Scott : statico, verboso , pieno di personaggi – marionetta, non riesce a decollare. Uno dei suoi demeriti è proprio la sceneggiatura del celebrato (dopo “Non è un pase per vecchi”) Cormac McCarthy  che disegna personaggi apodittici e senza spessore umano (in fondo era così anche il romanzo del film dei Coen ma loro lo hanno adattato alla propria travolgente ed affettuosa ironia). A parte la ridicola tendenza a far fare digressioni filosofiche anche ai più efferati killer, il film nel suo impianto di base ( uomo un po’ stupido  si rovina per amore) perde nel confronto con due grandi precedenti : “La fiamma del peccato” (B. Wilder, 1944) e “Brivido caldo” (L. Kasdan, 1981).

Dopo il deludente “Prometheus”, di nuovo Scott mette insieme un film senza la forza che era il suo più significativo segno autoriale ( sembrerebbe che il suicidio del fratello Tony lo abbia segnato anche creativamente).

Nebraska

Un film di Alexander Payne. Con Bruce DernWill ForteJune SquibbBob OdenkirkStacy Keach

Il vecchio Woody (Dern) viene più volte fermato dalla polizia locale del paese del Montana nel quale abita mentre si avvia a piedi a Lincoln nel Nebraska. Lui ha ricevuto una delle tante lettere pubblicitarie , un po’ truffaldine, che comunicano la una grossa vincita (in questo caso, 1.000.000 di dollari) per poi vendere qualcosa (qui sono abbonamenti a riviste). Invano il figlio David (Forte) e la moglie ,Kate (Squibb), cercano di farlo ragionare. Alla fine David decide prendersi qualche giorno di vacanza e di accompagnare il padre a Lincoln. Nel viaggio Woody, che è semi-alcolizzato, fa una brutta caduta e si ferisce alla testa . I due finiscono nella città natale del vecchio a casa del fratello di lui Ray (Rance Howard) che vive con la moglie Martha (Marie Louise Wilson) ed i figli Bart (Tim Driscoll) e Cole (David Ratray), due scioperati subumani. Woody non regge alla tentazione di vantarsi con il vecchio amico e rivale Ed (Keach) della vincita , scatenandone la avidità . Il giornale locale si prepara a farne un eroe e David va a spiegare alla anziana direttrice della testata Peg (Angela McEwan) la situazione ; sarà proprio l’incontro con la donna che rivelerà a David le sfaccettature di dolore e generosità del padre, che a lui ed al fratello Ross (Odenkirk) era apparso come un egoista. Woody potrà, alla fine, farsi vedere dai vecchi compaesani con un furgoncino nuovo – che il figlio gli ha comprato , fingendo che sia un premio di consolazione della lotteria e David avrà ritrovato il padre.

Payne ha molto al centro della sua narrazione il viaggio  come ritrovamento di sé (“A proposito di Schmidt”, “Sideways”) e in questo film , anche grazie allo splendido bianco e nero di Phedon Papamichael, il rapporto tra la solitudine – ma anche la rabbiosa vitalità – dei personaggi e la decadente mestizia dei piccoli agglomerati urbani è resa con grande efficacia. Per non dire del cast : sono tutti perfetti   ; Dern (attore mito del cinema indipendente degli anni ’70) ha vinto a Cannes ma anche la meno nota June Squibb dà alla sarcastica  grevità di Kate un’ umanità toccante ed indimenticabile; parteggiamo per lei agli Oscar.

The Wolf of Wall Street 

Un film di Martin Scorsese. Con Leonardo DiCaprioJonah HillMargot RobbieMatthew McConaugheyKyle Chandler.  USA 2013

Jordan Belfort (DiCaprio) ,ragazzo di  pieno di ambizioni, nel 1987 a New York  trova lavoro in una grossa società di brockeraggio finanziario . in attesa di ottenere la licenza di brocker si accontenta di fare il galoppino ma il maggior azionista della società, Mark Hanna(McConaughey), – che ha intuito in lui un vero talento – lo invita a pranzo e gli spiega i rudimenti spietati e adrenalinici di quel lavoro. Proprio il giorno nel quale ha ottenuto la licenza è però il famoso Lunedì Nero e i suoi sogni sembrano infrangersi ma la moglie Teresa (Cristin Miloti) lo invita a non arrendersi. Entra,così, in una finanziaria sfigatissima che vende titoli improbabili ad ingenui piccoli risparmiatori. Jordan , in breve tempo, fa impennare gli affari della società ,guadagnando un bel pò di soldi di commissioni. Dopo un poco, arruola il suo nuovo amico Donnie (Hill) – un piccolo assicuratore che gli si mette a fianco, abbagliato dalla  sua ostentata  ricchezza  – e un manipolo di amici spacciatori occasionali e apre una sua società, alla quale dà il roboante nome di Stratton Oakmont . Seguendo i consigli di Hanna, i nostri eroi vendono di tutto a tutti , strafacendosi di cocaina ed altre droghe per reggere il ritmo e di sesso orgiastico (ma anche solitario) per rilassarsi.

La Stratton passa dalla vendita di azioni legate a società farlocche all’empireo delle costose Blue Chips . Ovviamente, la maggior parte dei guadagni è assolutamente illegale e poco può fare Max (Rob Reiner) , il padre di Jordan , contabile, assunto per mettere  ordine nel caos amministrativo della società. Jordan incontra la top model Naomi (Robbie) , se ne innamora , lascia Teresa e la sposa. Intanto l’F.B.I. gli mette alle costole l’agente Patrick Denham (Chandler) e Jordan apre un conto in Svizzera nella banca diretta da Jean-Jaque Saurel (Jean Dujardin) ,intestandolo alla zia inglese di Naomi, Emma (Joanna Lumley) . I soldi vengono spediti attraverso il suo corriere (e pusher) di fiducia , Brad (Jon Bernthal) ma Donnie ,  strafatto, lo fa beccare con l’ultimo carico. Zia Emma muore , Saurel si fa beccare in America e Jordan rischia una condanna a  vent’anni. Per salvarsi denuncia i suoi complici e dopo una lieve condanna in un carcere di tutto riposo, il nostro eroe si ricicla come guru  delle  tecniche di vendita.

Scorsese e DiCaprio hanno avuto per  anni i diritti dell’autobiografia di Belfort ma il puritanesimo americano ha loro consentito di girarlo solo un anno fa . Ne hanno affidato la scrittura all’autore de “I Soprano” e di “Broadwalk Empire”, Terence Winter ( non a caso due grandi gangster story) e ne hanno tratto  questo grande affresco sulla corruttela finanziaria degli anni ottanta, epico e miserabile ad un tempo , con un cast eccelso , a partire da DiCaprio stesso ( ma quando recita con Jonah Hill o con Matthew McConaughey entrambi gli rubano grandiosamente la scena). Epico, dicevo, perché il Belfort del fim richiama la  grandezza  , la brutalità, gli eccessi  degli eroi omerici ,  prigionieri del volere di dèi capricciosi così come i protagonisti del film sono guidati alla catastrofe da droghe sempre più padrone del loro volere.

Tutta Colpa di Freud

Un film di Paolo Genovese. Con Marco GialliniAnna FogliettaVittoria PucciniVinicio MarchioniLaura Adriani. Italia 2014

Genovese è ormai un autore consolidatissimo della commedia italiana sofisticata (“Immaturi” 1 e 2, “Una famiglia perfetta”) e questo film ne è un’ulteriore conferma : ben scritto ,ben diretto , ben interpretato, con location sempre appropriate e le battute giuste a sciogliere ogni sequenza è una prova in più che il  nostro cinema sa trovare la  strada per ritrovare un pubblico che, talora , sembra perduto. Non è un caso   che attori noti – che non disdegnano di apparire in un’operazione di prevedibile successo – diano volto a piccoli camei: oltre a Maurizio Mattioli nel ruolo del portiere, ci sono Dario Bandiera, Lucia Ocone, Francesco Apolloni e Michela Andreozzi. Al soggetto ha partecipato anche Pieraccioni (con il quale Genovese aveva scritto il recente “Un fantastico viavai”).Francesco (Giallini) è uno psicanalista ed ha cresciuto da solo (la moglie era partita anni prima per l’Africa quale medico volontario) tre figlie, due intorno ai 30 anni – Sara (Foglietta) e Marta (Puccini)  -e la terza, Emma (Adriani) diciottenne. Le ragazze passano , tutte e tre, un difficile momento sentimentale: Sara, che viveva in America, è omosessuale ma dopo l’ennesima delusione d’amore torna a casa e decide di provare con l’eterosessualità ; Marta è libraria snob e si innamora di uomini improbabili : l’ultimo è uno scrittore (Antonio Manzini) del quale aveva frainteso le attenzioni; Emma , infine, presenta al padre il suo fidanzato Alessandro (Alessandro Gassman),cinquantenne e sposato. Francesco , dopo aver cercato di dissuadere Sara dai suoi propositi, l’aiuta come può a capire gli uomini, cerca di consolare la povera Marta e, soprattutto, impone ad Alessandro una terapia, apparentemente per facilitargli la separazione in realtà per cercare di farlo tornare dalla moglie Claudia (Claudia Gerini) – non sa che lei è proprio la donna che incontra al bar e della quale si è innamorato. Marta si innamora di Fabio (Marchioni), un cleptomane sordomuto che ruba libretti d’opera nella sua libreria e comincia con lui una relazione complicata dalla allarmata sensibilità dell’uomo. Sara , dopo vari appuntamenti deludenti  – un geometra tirchio (Giammarco Tognazzi), un poeta tronfio (Paolo Calabresi) e un bravo ragazzo (Edoardo Leo) che lei, ubriaca, fa scappare raccontando , con varie confusioni sessuali, le sue delusioni amorose – incontra Marco (Daniele Liotti) e , per la prima volta, ci fa l’amore . Quando tutto sembra perduto- Fabio rompe con Marta, temendo che lei lo tratti con pietà, Sara ha una  forte pulsione per la cugina (Giulia Bevilacqua) di Marco , resiste  ma  il mattino successivo viene a sapere che i due cugini sono andati a letto insieme ed Emma scopre il doppio gioco del padre – la saggezza e l’amore paterno di Francesco rimettono a posto ogni cosa.

 

 

 




Agra-Press: Scaramuzzi (Georgofili) chiede di non fermare la ricerca scientifica sugli OGM

Ritengo doveroso e opportuno dare notizia delle chiare dichiarazioni relative agli OGM del Prof. Scramuzzi, diffuse il 21 gennaio u.s. dall’Agenzia Agra-Press.Luigi Rossi, Presidente FidafSCARAMUZZI (GEORGOFILI) CHIEDE DI NON FERMARE LA RICERCA SCIENTIFICA SUGLI OGM549 – 21:01:14/12:45 – firenze, (Agra-Press) – il presidente dell’accademia dei Georgofili Franco Scaramuzzi, a conclusione della cerimonia per la celebrazione dei cento anni dell’istituto superiore agrario e forestale di firenze, ha svolto “una relazione in cui ha auspicato che la piaga dolente dei veti imposti alla ricerca scientifica italiana per lo studio degli OGM e per il loro uso venga al piu’ presto cauterizzata, per arrestare i gravi danni materiali e morali che sta continuando a provocare”, rende noto un comunicato dei Georgofili. “Sara’ poi doveroso individuare i responsabili di tanto panico ingiustificato e degli interventi normativi conseguenti, accertare i danni provocati ed ottenere i debiti risarcimenti”, ha detto Scaramuzzi osservando che “l’inesorabile giudizio della storia coinvolgerebbe anche chi oggi si rendesse responsabile di un prolungamento della situazione attuale e dei conseguenti ulteriori danni che continuerebbero a prodursi”. Il presidente dei georgofili – segnala il comunicato – torna sull’argomento in un articolo  intitolato OGM, una ferita incomprensibile”, pubblicato su QN (Quotidiano Nazionale) di oggi. “la correttezza metodologica, il valore delle nuove conoscenze e l’eventuale pericolosità delle innovazioni – scrive Scaramuzzi – possono essere giudicate da scienziati competenti, che a questo scopo seguono principi e regole rigorose”. “qualsiasi diverso interesse non deve indurre a manipolare questi giudizi in sedi prive delle indispensabili conoscenze, per farli poi arrivare distorti all’opinione pubblica e nelle piazze”, sostiene il presidente dell’accademia che aggiunge: “siamo quindi chiamati a difendere la libertà, l’autonomia e l’universalità della ricerca scientifica e chiediamo che la deleteria vicenda italiana degli OGM si chiuda”. (cl.co)fonte: www.fidaf.it



La società scientifica contesta il movimento anti OGM

rubr_pascale (1)Vari siti web stanno rilanciando la notizia che da una indagine dell’Unione Europea 8 cittadini su 10 dicono che il bio deve essere OGM-free: guardate i titoli disponibili in rete.

http://www.newsfood.com/q/162cd32d/ue-80-vuole-alimenti-ogm-free/

http://www.ansa.it/terraegusto/notizie/rubriche/europa/2013/09/19/Ue-piu-8-cittadini-10-Bio-deve-essere-Ogm-free-_9325393.html

Da questi titoli sembra che hanno intervistato tutti gli Europei e che 8 su 10 difendono il Bio e dicono no agli OGM.

Questo è il modo in cui i media costruiscono le false verità. Qui sotto trovate il link all’indagine Europea

http://ec.europa.eu/agriculture/consultations/organic/2013_en.htm

e si scopre cosi’ che rispondevano solo quelli interessati (ossia non un campione rappresentativo, ad esempio quelli che vendono biologico si sono iscritti subito per dare la loro opinione?) ed inoltre solo quelli interessati al biologico.

Ma mi domando se l’80% degli interessati al biologico dice che dovrebbe essere OGM-free, allora vuol dire che addirittura il 20% di quelli del biologico accettano che ci siano OGM nel biologico, ossia non è il 100% come da disciplinare.

Inoltre visto che sono circa il 5% dei consumatori europei che mangiano biologico, secondo la loro logica per cui il 20% di “oppositori” vanno soppressi, anche loro stessi andrebbero soppressi (secondo la loro logica autoritaria) dal momento che il 95% degli Europei non mangia biologico.

Tra poco sentirete come i soliti italioti useranno questi titoli per rilanciare l’idea che l’80% degli Europei vuole essere OGM-free ed i giornalisti che leggono i titoli e non le fonti originali si convinceranno di un trucco facile da smascherare.

fonte:  www.salmone.org/indagine-europea-bio-e-ogm/

 




L’arte ci salverà

arteL’arte è un settore purtroppo sottovalutato nel nostro Paese, mentre invece potrebbe rappresentare un volano importante capace di rilanciare investimenti, occupazione e sviluppo. Basterebbero infatti anche solo pochi accorgimenti in questo ambito per ottenere un effetto domino rilevante.
L’azione pubblica a sostegno dell’arte

Appena qualche anno fa si parlava di “Stato culturale”; più recentemente circola la definizione “cultura bene comune”, come se le parole potessero diventare vere soltanto pronunciandole. I tempi sono corruschi, gli esiti della crisi imprevedibili, ma possiamo star certi che niente sarà più come prima: che l’azione pubblica possa ancora essere ecumenica, orientata al mantenimento dello status quo, preoccupata dal bisogno di sopravvivenza del sistema culturale, e soprattutto basata esclusivamente su sussidi finanziari, appare soltanto nostalgia per un ordine delle cose sul viale del tramonto.

In un paradigma economico e sociale che si trasforma radicalmente il ruolo del settore pubblico passa con decisione dal mecenatismo acritico alla regia strategica, con l’obiettivo ultimo di indirizzare le risorse culturali verso la crescita dell’economia e della qualità della vita, innervandosi nei processi creativi, produttivi, di relazione e di scambio dell’intero sistema territoriale. Tanto l’approccio quanto i meccanismi e gli strumenti dell’azione pubblica devono dunque mutare direzione e articolarsi costruendo un palinsesto fertile ed efficace per l’espansione e il consolidamento dei mercati dell’arte e della cultura.

La cultura nei suoi molteplici profili (pubblico, privato e non profit) rappresenta il sistema più fertile ai fini di una crescita fondata sulla progettualità, sull’investimento e sul capitale umano. L’azione pubblica, in questo quadro strategico, deve fondarsi sulla regolamentazione, sulla politica fiscale e tributaria, sull’incentivazione della responsabilità imprenditoriale. Uno dei primi passi strategici da compiere è una vera e sistematica defiscalizzazione della cultura in tutti gli anelli della catena del valore (creazione, produzione, scambio, diffusione).

Quanto vale l’arte?

L’arte è certamente un bene destinato al consumo condiviso e pertanto alla moltiplicazione progressiva del valore: attiva una reazione molteplice che connette i profili estetici con quelli storici e formativi, ma riguarda anche aspetti tecnici, tecnologici, relazionali e critici, per approdare alla qualità della vita urbana. In questo senso l’arte è uno specchio eloquente della sensibilità culturale e della responsabilità sociale. Non è sicuramente evanescente, ma sarebbe altrettanto dissennato considerarla un bene ordinario come un oggetto manifatturiero qualsiasi, utile forse ma privo di significato, soprattutto gravato da un’imposta sul valore aggiunto con aliquota ordinaria al 22%.

Si tratta di un insieme piuttosto ampio e certamente rilevante. Il Rapporto Eurostat 2009 stima la dimensione delle cultural activities e cultural occupations in oltre 3,6 milioni di addetti, ossia l’1,7% dell’occupazione totale. Più che la dimensione conta la qualità di queste professioni, cioè la loro capacità di innervare i processi economici con visioni strategiche, orientamenti innovativi, inclinazione alle sinergie, tutti ingredienti senza i quali uno sviluppo concreto e sostenibile dell’economia non è prospettabile.

Il caso italiano, non sorprendentemente, mostra alcuni punti di fragilità che collocano il Paese in coda agli Stati dell’UE27. La vulgata include convenzionalmente nel settore culturale il patrimonio artistico, architettonico e archeologico del passato, mostra una certa riluttanza a considerare culturali gli spettacoli, e resiste in modo variegato ma spesso acceso all’idea che l’arte contemporanea possa godere di piena cittadinanza nel sistema culturale. L’effetto di questa sorta di ossessione conservativa si vede nelle dimensioni contenute – e certamente inferiori al potenziale – dell’occupazione culturale, appena l’1,1% della forza lavoro attiva, contro il 2,3% dei Paesi nordici e il 2% di Germania e Gran Bretagna. Peggio di noi solo Slovacchia, Portogallo e Romania. Tra i paradossi dolorosi che ne scaturiscono c’è l’inefficacia dell’investimento in capitale umano: l’Italia vanta la più elevata percentuale di studenti delle discipline umanistiche, ma soffre al tempo stesso il mercato del lavoro più rigido e bizantino; il brain drain si manifesta tanto sul territorio quanto tra i settori produttivi.

Ostacoli tributari: un’IVA troppo alta

Nella complessa e talvolta contraddittoria disciplina tributaria italiana c’è un dato cui è utile far riferimento: l’imposta sul valore aggiunto prevede tre possibili aliquote: quella ordinaria del 22% e due aliquote relative a specifiche categorie di beni e servizi, pari al 10% e al 4%. L’editoria in tutte le sue fasi (industria editoriale, stampa quotidiana e periodica, composizione, duplicazione, lega-toria, etc.) si avvale dell’aliquota minima (4%) con lo scopo di agevolarne le dinamiche economiche, di facilitarne la diffusione, di incentivarne il consumo grazie al contenimento dei prezzi finali. La solidità dell’industria ne garantisce la stabilità dell’occupazione, e ne apre ulteriori canali d’accesso.

Ora, il sistema dell’arte contemporanea mostra in Italia alcuni elementi di fragilità dovuti a forti vincoli istituzionali e fiscali e alla pervasività della crisi che si concretano in un valore medio degli scambi inferiore a quanto registrato in altri Paesi. Tuttavia i collezionisti italiani occupano la quarta posizione mondiale – dopo Stati Uniti, Gran Bretagna e Cina – per la spesa destinata al contemporaneo. Si tratta di uno snodo che potrebbe rivelare notevoli ricadute strategiche, rafforzando e consolidando il collezionismo pubblico e privato (tanto individuale quanto societario) e rendendo l’Italia un credibile hub di scambio internazionale per l’arte contemporanea. In questo quadro la riduzione dell’imposta sul valore aggiunto è un passo ineludibile.

Gli esiti di una misura che riduca in misura rilevante l’IVA sugli scambi d’arte vanno valutati tenendo conto che a fronte di una riduzione fisiologica del gettito rebus sic stantibus, si registrerebbe in tempi ragionevolmente brevi un aumento del gettito stesso a causa dell’emersione di transazioni tuttora occulte e illegali, dell’espansione degli scambi incoraggiata da un’aliquota inferiore del 18% rispetto a quella attuale, dell’attrazione di nuovi collezionisti attualmente posizionati sui mercati esteri. Se ne gioverebbe l’intero mercato dell’arte contemporanea, con una crescita progressiva di imprese, organizzazioni e professioni direttamente e indirettamente connesse.

Un ulteriore punto fragile di grande rilevanza risiede nella differenza tra i regimi IVA in Paesi diversi. In particolare collezionisti, imprese o istituzioni che acquistano un’opera d’arte in un Paese con l’imposta sul valore aggiunto ad aliquota bassa possono importare in Italia quanto acquistato con un aggravio minimo (una circolare dell’Agenzia delle Entrate del 2010 fissa al 10% l’IVA complessiva) o addirittura senza alcun aggravio, il che costituisce un forte incentivo verso l’acquisto all’estero, drenando la capacità del nostro Paese di agire come hub dell’arte contemporanea a fronte della frequenza, dell’intensità e del valore delle transazioni realizzate dai nostri acquirenti individuali, imprenditoriali e istituzionali.

Non si trascuri, infine, il vantaggio sistemico che potrebbe derivare da una riduzione dell’imposta sul valore aggiunto sull’arte contemporanea: il rafforzamento del sistema genererebbe una cascata di effetti che si propagherebbero sull’intero tessuto sociale e urbano, cominciando a segnalare l’arte contemporanea come uno dei driver di fondo dello stile di vita italiano, con ripercussioni positive su una varietà di comparti produttivi (si pensi, ad esempio, al turismo internazionale, alla ricerca e alla formazione, ai distretti dell’artigianato di qualità) e sulle risorse umane che ne declinano le dinamiche e la crescita.
di Stefano Monti e Michele Trimarchi
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