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Le città volanti, le funivie alla conquista dei centri urbani

funiviaMolto più economiche, ecologiche, veloci e perfino belle le cabinovie stanno diventando sempre più un’alternativa a metro e tram. Dopo Londra, Rio e Medellin, nuovi progetti sono pronti per decollare in mezzo mondo, da Lagos ad Ankara, da Amburgo a La Mecca
È nei dettagli che si nasconde il diavolo. Così, tra un futuro visionario e uno molto più banale, la differenza può farla un semplice filo. Intere generazioni di autori di fantascienza hanno immaginato città avveniristiche dove il traffico è sparito, sostituito da un viavai di navicelle che si muovono libere nell’aria. Effettivamente è ciò che sembrano riservarci gli anni a venire, ma il merito non sarà di qualche rivoluzionario sistema di trasporto capace di vincere la gravità. A trasferire buona parte degli spostamenti a qualche decina di metri da terra sarà piuttosto una tecnologia vecchia di oltre un secolo: la funivia. Più ecologica, più economica, più semplice da gestire e spesso decisamente più bella, la funivia sta emigrando dalle cime delle montagne per conquistare sempre più spazi in città, dimostrando di essere anche nelle zone di pianura una validissima alternativa a bus, tram e metropolitane.

LE IMMAGINI

“Le cabinovie e i sistemi di transito a cavo sono al momento una delle tecnologie più dinamiche e a più rapida diffusione al mondo”, spiega Steven Dale, urbanista canadese a capo del Creative Urban Projects. “Mano a mano che un numero crescente di città fa a gara per realizzare reti di trasporti sempre più complesse, aumenta il ricorso alle funivie per risolvere i loro problemi”, sottolinea.

“È una tendenza generale, ma a trascinare il boom è soprattutto l’America Latina”, conferma Carlo Iacovini, manager di Clickutility e curatore di un recente convegno dedicato al tema dalla fiera Citytech. “L’economicità delle linee – osserva – consente l’accessibilità per quelle aree localizzate in collina e poco raggiungibili con servizi di terra. Spesso si tratta di periferie degradate ad altissima densità abitativa che si possono raggiungere solo sorvolandole. Medellin Metrocable in Colombia è in servizio dal 2006; ha reso accessibile il quartiere Aburra Valley trasportando seimila passeggeri all’ora e risollevandolo da una situazione di degrado e isolamento. Rio de Janeiro ha inaugurato la prima Teleferica Do Aleman nel 2011 con 3,5 km di lunghezza e sei stazioni che collegano alcuni quartieri residenziali con il centro, con una capacità di tremila persone all’ora. Il successo è stato tale che si è replicato con una seconda linea aperta in queste settimane che unisce il quartiere di Morro da Providencia (la più antica favelas di Rio) con il centro in pochi minuti”.

I numeri dei collegamenti via cavo sono sorprendenti. Ogni chilometro costa tra i tre e i quattro milioni di euro contro i cento di una linea metropolitana, ma può garantire lo spostamento anche di tre o quattro mila persone all’ora, con punte fino a ottomila. “Ancora più interessanti sono i costi di gestione, davvero bassissimi visto che queste linee hanno bisogno di poco personale di controllo e solo alle stazioni del capolinea “, sottolinea Maurizio Todisco, manager della Leitner, azienda altoatesina leader del settore. Molto più silenziose e meno inquinanti grazie ai motori elettrici, le funivie hanno anche tempi di realizzazione decisamente più rapidi visto che, se il percorso non prevede ostacoli particolari, un classico tracciato cittadino da 5-6 km richiede meno di un anno per la sua realizzazione mentre tram e metropolitane possono avere bisogno di oltre un decennio. Così, a fronte di questi vantaggi, la lista delle città che hanno già scelto o che si accingono a scegliere la mobilità via cavo si allunga di mese in mese.

“Nel giro di pochi anni la parte del nostro fatturato derivante da cabinovie urbane è passato dal dieci al venti per cento del totale e siamo convinti che il business del futuro ormai sia sempre più questo”, sottolinea ancora Todisco. La Paz, Tolosa, Groningen, Lagos, Amburgo, La Mecca sono solo alcuni dei nomi di un elenco di progetti che tocca ormai i cinque continenti, ma il caso più clamoroso è forse quello di Ankara dove è in via di realizzazione un vero e proprio reticolo di linee aeree che anche nella mappa ricorda a tutti gli effetti la tipica ragnatela di un efficiente sistema di metropolitane. E chi non passa alle funivie per risolvere i problemi di traffico lo fa per richiamare turisti, come Londra, dove la linea che sorvola il Tamigi inaugurata in occasioni delle Olimpiadi del 2012 è diventata una delle principali attrazioni.

Sostanzialmente assente da questo grande fermento l’Italia, malgrado abbia in casa un’azienda come la Leitner che insieme agli austriaci della Doppelmayr si spartisce il mercato mondiale del settore. Da noi, da Segrate a Genova, dal Ponte sullo Stretto all’Eur di Roma, siamo fermi a qualche progetto a corto di soldi o in attesa di passare dalle tante forche caudine burocratiche. Eppure non mancano le idee d’avanguardia. L’architetto Stefano Panunzi, docente di Ingegneria edile all’Università del Molise, sponsorizza da anni la proposta di una “circolare volante ” che unisca i vecchi forti dismessi che fanno da corona al centro di Roma, ma davanti allo stop della sovrintendenza collabora ora alla battaglia per la realizzazione di una cabinovia che unisca una zona periferica (Casalotti) al capolinea di una linea della metro (Battistini). “Ma non bisogna farne una questione ideologica, le funivie non sono una panacea, occorre promuoverle partendo dal basso, sulla spinta dei cittadini e dei comitati di quartiere finalmente consapevoli che esistono delle valide alternative, economiche ed ecologiche, per riqualificare i loro quartieri”.

Anche quest’ultimo progetto per il momento è solo un sogno, ma come spesso accade, nel paese dove il normale è quasi sempre impossibile, a volte succede qualcosa di eccezionale. È il caso di Perugia, dove dal 2008 è in funzione il primo esemplare al mondo di “minimetro”, una teleferica composta da 25 vagoni privi di conducente che adagiati su un binario vengono tirati da un cavo lungo un percorso di 4 km articolato in sette fermate, compresi i capolinea.
di VALERIO GUALERZI
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Città a prova di inondazione, l’esempio di Rotterdam

rotterdamQuartieri galleggianti, tetti verdi, impianti di recupero di acqua piovana. Come la lotta al cambiamento climatico è diventata motore di sviluppo
Mentre l’Italia affronta l’ennesimo disastro dettato anche dall’incapacità di agire preventivamente, c’è chi mette in atto strategie per fronteggiare gli ormai noti cambiamenti climatici. Ci riferiamo a Rotterdam che, da qualche tempo a questa parte, sta subendo un cambio d’immagine per far posto a piazze “acquatiche”, pareti verdi e interi quartieri galleggianti.
UNA CITTA’-SPUGNA. “Stiamo cercando di pianificare per il futuro- spiega Alexandra van Huffelen, vice sindaco della città olandese nonché responsabile delle politiche sostenibili. “Gli olandesi hanno vissuto sotto il livello del mare per secoli e si sono forgiati di dighe e barriere. Ma le precipitazioni sono diventate sempre più violente ed imprevedibili e stiamo quindi cercando di preparare la città, trasformandola in una sorta di spugna.”
MPIANTI DI STOCCAGGIO E AREE VERDI. Letteralmente circondata dai fiumi, la città ha maturato la consapevolezza del fatto che le inondazioni non possano essere contrastate semplicemente cercando di contenere l’acqua piovana ma trasformando ogni superficie in una specie di deposito acquitrinoso. Strade, piazze, marciapiedi sono stati progettati in modo da contenere al loro interno l’acqua. Sono stati poi realizzati molti impianti di stoccaggio e recupero dell’acqua piovana, e diverse aree verdi, comprese facciate e coperture green sulle abitazioni, che hanno proprietà assorbenti.
QUARTIERI GALLEGGIANTI. Altro elemento interessante di questo processo di riprogettazione urbana è la realizzazione (ancora work in progress) di interi quartieri galleggianti, che dovrebbero essere terminati nell’arco dei prossimi tre anni. Compreso un padiglione galleggiante situazione nella zona portuale, adibito a centro conferenze.
UNA PRESA DI COSCIENZA COLLETTIVA. I primi passi verso questo cambiamento hanno previsto lo spostamento degli impianti elettrici dalle cantine ai piani alti degli edifici e la sostituzione delle pavimentazioni in legno con superfici water proof. Poi, un regime incentivante per l’installazione di tetti verdi (dal 2008 ne sono stati montati 140.00 mq e ci si aspetta che si arrivi a quota 200.000 entro il 2014), e riduzioni fiscali (sulla tassa di depurazione) per coloro che mettono in atto comportamenti socialmente utili, come la raccolta dell’acqua piovana. Perché, come spiegano le istituzioni, in una città come Rotterdam bisogna imparare a convivere con il rischio inondativo e questa presa di coscienza deve partire dai cittadini stessi.
INVESTIRE IN RICERCA PUO’ TRASFORMARSI IN BUSINESS. La chiave di volta di questo ripensamento della progettazione urbana risiede nel vedere l’implementazione di soluzioni innovative come un vantaggio. E non solo nel senso che “costa meno prevenire che curare” ma anche in una prospettiva di business. I ricercatori e i progettisti olandesi hanno raggiunto un tale livello di esperienza che le loro soluzioni progettuali di adattamento ai cambiamenti climatici, e sopratutto ai rischi di inondazioni, iniziano ad essere richieste anche all’estero. Dopo la consulenza chiesta da parte della città di New Orleans ci sono trattative in corso- riferisce Piet Dircke, ad di Arcadis, una delle aziende più note in gestione dell’acqua- con diverse città dell’Africa del Sud est Asiatico e dell’America Latina.
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Video > Presentazione Forum Corviale 2013

Maurizio Veloccia, presidente del municipio XI

Maurizio Veloccia, presidente del municipio XI




Piano Nazionale di Rigenerazione Urbana‏

rigenerazioneIl tema della rigenerazione urbana sostenibile, a causa dell’esaurimento delle risorse energetiche e delle pessime
condizione del patrimonio edilizio costruito nel dopoguerra è, per gli architetti italiani, la questione
prioritaria nelle politiche di sviluppo dei prossimi anni.
Questione da intendersi non solo come materia rilevante nella pratica urbanistica, ma come una politica per
uno sviluppo sostenibile delle città, limitando la dispersione urbana e riducendo gli impatti ambientali insiti
nell’ambiente costruito: frenare il consumo di nuovo territorio, attraverso la densificazione di alcuni ambiti
solo a fronte della liberalizzazione di altre aree urbanizzate, da tramutare in servizi e luoghi di aggregazione.
In città sempre più disgregate a causa dell’incontrollata crescita degli ultimi decenni, la riqualificazione delle
periferie deve essere il punto di partenza per poter dare una svolta ad una situazione precaria sia a livello edilizio
che ambientale. L’assenza di spazi pubblici di qualità e il consumo del suolo arrivato al livello di guardia,
il costo energetico non più in grado di sopportare sprechi e lo smaltimento dei rifiuti e dei materiali non riciclabili,
hanno determinato consapevolezza da parte dei cittadini con richiesta di interventi e di soluzioni.
Piano_Nazionale_per_la_Rigenerazione_Urbana_Sostenibile




Orti urbani: 10 consigli per ridurre l’inquinamento e le contaminazioni

ortiColtivare un orto in città è davvero sicuro? Chi vive in una metropoli potrebbe essere più preoccupato di altri riguardo all’inquinamento dei terreni. Esistono, per fortuna, delle soluzioni per rimediare e prevenire la contaminazione dei suoli.
Lavare bene frutta e verdura – come faremmo per quanto acquistato al supermercato – resta una buona abitudine. Se il problema di inquinamento dovesse risultare grave, esiste una soluzione molto semplice: acquistare ortaggi bio e coltivati in modo naturale presso aziende agricole di campagna. Ecco alcuni consigli per limitare l’inquinamento negli orti urbani.
Leggi anche: Orti urbani: il pericolo dei metalli pesanti
1) Coltivare in vaso
I pericoli di inquinamento del terreno vengono contenuti dalla scelta di coltivare in vaso. Grazie a questo tipo di coltivazione, infatti, si parte da zero rispetto alla scelta del terriccio su cui cresceranno le piante. Ecco che allora si opterà per un terriccio di qualità, certificato come biologico e non ottenuto da scarti e rifiuti potenzialmente inquinanti. Così si otterrà una garanzia ulteriore. I più fortunati potranno arricchire i vasi con del terriccio di sottobosco raccolto in aree naturali lontane dal traffico.
2) Test del terreno
Se siete intenzionati a dare inizio ad un orto vero e proprio, e magari progettate di realizzare un orto sociale o un orto condiviso in una grande città, rivolgetevi ad un esperto che potrà effettuare i test necessari a verificare la presenza di metalli pesanti o di agenti inquinanti nel terreno. Potrete decidere di rivolgervi ad un’altra area, più pulita, oppure di ricorrere a terreno da riporto, che risulti sicuro.
3) Bonifica
Una delle tecniche di bonifica più interessanti prevede l’impiego della canapa, o di altre specie vegetali adatte, e prende il nome di phytoremediation. Si tratta di coltivare su terreni inquinati contaminati piante che risultino in grado di assorbire gli agenti nocivi e di ripristinare la salubrità del terreno. I tempi di realizzazione sono più lunghi rispetto ad una normale bonifica, ma il risultato è maggiormente sostenibile.
4) Container gardening
Si tratta di una soluzione adatta a chi possiede uno spazio piuttosto ampio, senza avere la possibilità di rinnovare il terreno che si trova alla base, che potrebbe risultare inquinato. Ecco allora il suggerimento di utilizzare dei cassoni da appoggiare alla superficie dell’orto e da colmare con del terriccio di alta qualità e del compost domestico, in modo da evitare il contatto delle piante con suoli a rischio di inquinamento. Si tratta di un metodo raccomandato dal Dipartimento di Scienza dei Suoli della North Carolina State University all’interno del documento “Minimizing Risks of Soil Contaminants in Urban Gardens”.
5) Compost casalingo
Una parte dell’inquinamento che rischia di interessare gli orti urbani deriva anche dall’impiego di fertilizzanti chimici. Come possiamo pensare di gustare ortaggi sani se scegliamo di irrorarli con sostanze di sintesi non meglio identificate e potenzialmente tossiche per la salute? Ecco allora che, per arricchire il nostro terreno e permettere alle piante di crescere in modo più rigoglioso, possiamo pensare di ricorrere al compostaggio domestico, in cassoni esterni o in una compostiera da balcone. Così grazie alle parti di scarto di frutta e verdura nasceranno nuovi alimenti davvero sani. Il compost arricchisce il terreno e allo stesso tempo limita i rischi correlati alla presenza di eventuali contaminanti.
6) Pesticidi e insetticidi
Un ulteriore fattore di inquinamento per gli orti urbani è rappresentato dal ricorso a pesticidi e insetticidi. Non tutti gli orticultori urbani, infatti, scelgono metodi di coltivazione biologici e naturali, pur avendo optato per l’autoproduzione. Il consiglio è di dimenticare i numerosi prodotti che troviamo in vendita e di affidarci a rimedi naturali, a partire dalle consociazioni tra ortaggi, fino ai macerati a base di aglio, cipolle o ortica per prevenire e curare le malattie delle piante.
7) Lavaggio degli ortaggi
Il buon senso suggerisce di lavare accuratamente tutti gli ortaggi, sia quelli da noi acquistati che quelli che coltiviamo nel nostro orto. Se si tratta di un orto di città, gli esperti dell’Università della California suggeriscono di rimuovere le foglie e le parti più esterne degli ortaggi prima del lavaggio, con particolare riferimento alla buccia. Per una maggiore sicurezza, gli esperti raccomandano di effettuare dei test di valutazione dell’inquinamento sui prodotti del proprio orto.
8) Igiene personale e degli attrezzi
Se non siete certi della composizione del terreno del vostro orto e dell’eventuale presenza di contaminanti, ricordate di indossare dei guanti durante la semina, la raccolta e il trapianto. Lavate sempre molto bene le mani dopo aver lavorato nell’orto e cambiatevi le scarpe prima di entrare in casa. Come suggeriscono gli esperti californiani, è bene evitare che i bambini ingeriscano accidentalmente della terra raccolta nell’orto. Inoltre, è molto importante mantenere puliti gli attrezzi e rimuovere la ruggine.
9) Coltivazione
Nella scelta degli ortaggi da piantare, ponete attenzione alle tipologie e alle zone più a rischio dell’orto, ad esempio, se una parte di esso risulta più esposto al traffico. Le varietà che rimangono maggiormente a contatto con la terra sono gli ortaggi da radice e i tuberi, come le carote, le patate, i ravanelli, l’aglio e le cipolle. Un minor contatto è previsto per le piante che possono crescere in altezza, come pomodori, zucchine e altri rampicanti, che risulteranno meno esposte alle contaminazione. A parere degli esperti, il livello intermedio di rischio riguarda lattughe, insalate, cavoli e broccoli.
10) Protezione
Ricordate di proteggere il più possibile il vostro orto di città. Per gli orti veri e propri, è molto utile creare delle barriere naturali verso l’esterno, che possono essere costituite da siepi, cespugli e recinzioni, che limiteranno l’esposizione diretta ai gas inquinanti emessi dal traffico. Per quanto riguarda l’orto sul balcone, scegliete uno spazio che non si affacci direttamente sulla strada, proteggete le piante con retine e tessuto non tessuto e create un angolo dedicato ad esse, magari protetto verso l’esterno da un paravento o da una piccola serra.

Di Marta Albè
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Si fa presto a dire green job. Da MCE la guida alle vere professioni verdi

green economyCome orientarsi nell’ambito della green e white economy, settori che creeranno oltre 1.300.000 posti di lavoro in Europa entro il 2020
L’Italia è uno dei paesi leader su scala mondiale per quanto riguarda la progettazione, sviluppo e distribuzione di tecnologie e prodotti relativi all’efficienza energetica. E’ uno dei settori che rappresentano il fiore all’occhiello dell’eccellenza italiana agli occhi del mondo.
Un settore così dinamico porta con sé la creazione di nuovi posti di lavoro. Non è però così facile sapersi districare nella burocrazia che legifera in materia di aggiornamento professionale, patentini per ingegneri, certificatori, impiantisti e altre figure chiave che operano in questo settore. Il risultato è che il più delle volte un neolaureato interessato a intraprendere una delle sopracitate carriere si trova disorientato.
Per questo motivo Mostra Convegno Expocomfort, la più importante manifestazione biennale nell’impiantistica civile e industriale, nella climatizzazione e nelle energie rinnovabili, ha elaborato una guida contenente i consigli per sapersi orientare nel labirinto della normativa italiana e iniziare a intraprendere una fruttuosa e stimolante carriera nella white e green economy.
La «Green Economy» creerà fra oggi e il 2020 oltre 250.000 posti di lavoro in Europa, a cui sono da aggiungere altri 1.061.000 posti che saranno creati dalla White Economy, cioè nel settore dell’efficienza energetica.
Le figure professionali della green economy
Le professioni «green» si identificano in circa 54 figure professionali differenti. Secondo lo United Nations Environmental Programme (UNEP) si definiscono green jobs molteplici lavori diversi nel settore agricolo, manifatturiero, della ricerca e sviluppo, amministrativo e delle attività di servizio che contribuiscono sostanzialmente a preservare e rafforzare la qualità dell’ambiente, a proteggere l’ecosistema e la biodiversità, a ridurre i consumi di energia, materiali e materie prime come l’acqua a minimizzare e a ridurre i processi di inquinamento dell’ambiente.
Ciò porta allo sviluppo della green e white economy influenzando l’occupazione in due modi: la creazione di nuove professionalità come l’Esperto di Gestione dell’Energia, l’Energy Auditor e il Certificatore Energetico; la trasformazione e l’adattamento di figure professionali esistenti che richiedono nuove qualifiche, come il Frigorista e l’Installatore.
La guida sottolinea che la grande maggioranza delle occupazioni create dallo sviluppo delle fonti rinnovabili sono in realtà lavori tradizionali (commessi, meccanici, camionisti). Ci sono perciò professioni che non richiedono l’acquisizione di nuove competenze per lavorare in un’azienda green.
Altre figure invece provengono da altri settori in crisi e godono di una condizione di rivitalizzazione grazie all’acquisizione di nuove competenze.
Infine, ci sono coloro che lavorano a diretto contatto con le nuove tecnologie verdi e che per questo hanno anche bisogno di qualifiche, corsi di formazione e di aggiornamento.
I processi in cui sono coinvolte le professioni green e white
Le aziende green si occupano solitamente di un unico processo. L’insieme di questi processi crea un unicum che va a formare una intera filiera di settore. Ogni processo, indispensabile per la vitalità e mantenimento dell’intera filiera, necessita di figure professionali differenti: Ricerca e Sviluppo; Manifattura; Project development; Procedure per le autorizzazioni; Finanziamenti; Installazione; Operatività e mantenimento; Regolazioni; Commercio e certificati green.
L’aggiornamento
Un settore così innovativo richiede un continuo aggiornamento delle figure professionali coinvolte. L’offerta formativa conta di innumerevoli corsi. A fine 2009 si contavano già 2033 percorsi diversi, fra i quali diventa difficile orientarsi. Fra questi 1129 erano corsi di formazione, 696 corsi universitari, 208 percorsi post-laurea.
Le professioni del futuro
Fra le professioni che richiedono un alto grado di specializzazione green e necessarie certificazioni e qualifiche, la guida di MCE annovera le seguenti figure.
Manager del Governo del Territorio: opera in connessione con la pianificazione del territorio e delle infrastrutture, con la pianificazione urbanistica, con la promozione dello sviluppo economico. Coordina la promozione all’uso delle diverse risorse. Formazione: Laurea di 2° livello in Ingegneria dell’Ambiente e del Territorio, Master di 2 anni in temi di gestione delle risorse, dell’ambiente, del rischio, della sostenibilità.
Manager esperto nella Programmazione energetico-ambientale-territoriale: programma, gestisce e coordina gli interventi relativi alla produzione e all’utilizzo di energie rinnovabili nel territorio. Formazione: Laurea 2° livello in Ingegneria Meccanica, dell’ambiente e del territorio; Master di 2 anni in temi di gestione dell’energia, delle risorse, della sostenibilità.
Esperto di Progettazione di Sistemi di Energie Rinnovabili: gestisce e coordina la progettazione di diversi sistemi di energia rinnovabile, intervenendo sulla distribuzione delle energie in un determinato territorio e sulla loro composizione/combinazione. Formazione: Laurea di 2° livello in Ingegneria Meccanica. Master in Fonti Rinnovabili.

Le-Professioni-Green




Regolazione regionale della generazione elettrica da fonti rinnovabili

fonti rinnovabiliIl GSE pubblica il rapporto “Regolazione regionale della generazione elettrica da fonti rinnovabili” come da D.Lgs. 28/2011 (art.14).
E’ presentato, in chiave comparativa, il quadro aggiornato al 30 giugno 2013 degli interventi compiuti dalle Regioni per attuare, modificare o integrare le norme nazionali in materia di autorizzazioni per gli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.
Il rapporto considera i regimi autorizzativi specifici, le procedure di valutazione ambientale connesse, i procedimenti amministrativi per la concessione di acque superficiali e di risorse geotermiche; un complesso di funzioni amministrative quasi tutte conferite alle Regioni e, in molti casi, da queste delegate alle Province.
E’ esaminato, inoltre, l’esercizio della facoltà attribuita alle Regioni di individuare aree non idonee alla installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili.
Il rapporto sarà periodicamente aggiornato. Nella sezione del sito “Autorizzazioni” sono disponibili le informazioni sui regimi autorizzativi vigenti a livello regionale, nella sezione “Cerca la normativa” è, invece, accessibile la normativa regionale e nazionale.
Regolazione regionale Fonti rinnovabili




I sotterranei di Corviale

Insieme al Prof. Stefano Pannunzi e ai tecnici dell’Ater Fabio Fortunati e Roberto Fantastichini abbiamo visitato i sotterranei di Corviale dove passano le tubazioni dell’acqua, del gas, e del riscaldamanto e dove ci sono in funzione le più grandi caldaie d’Europa che sviluppano 20 milioni di calorie

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