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Open Data ed energia: come monitorare i consumi energetici del territorio

open_dataLa più grande sfida di una Smart City è creare un ambiente sostenibile, per esempio ottenendo la riduzione dei consumi di energia; proprio per questo l’Unione Europea ha promosso il Patto dei Sindaci per il risparmio energetico – PAES, attraverso cui dovrà essere fatta una pianificazione dei consumi energetici sul territorio, incentivando la produzione di energia attraverso fonti rinnovabili.

Presupposto della pianificazione di qualsiasi azione è conoscere la situazione di partenza, cioè i dati dei consumi del territorio (utenze domestiche e produttive); così come per monitorare l’efficacia delle azioni previste nel piano e’ necessario verificare le variazioni dei medesimi dati, in modo da misurarne gli scostamenti e vedere se le azioni previste hanno avuto risultati positivi o meno.

Proprio per questo è essenziale partire dai dati del consumo energetico del territorio, tanto che è stato coniato lo slogan “Raw data energy now”: ma come può fare un Comune ad entrare in possesso di questi dati? Si possono ottenere dai gestori che si occupano di energia? E soprattutto, come contattare i gestori, ora che il mercato non è più in condizione di monopolio e siamo in regime di libera concorrenza?

In realtà, i dati dei consumi delle utenze di energia elettrica e gas sono già da tempo in possesso degli Enti Locali: infatti, a partire dalla Legge Finanziaria del 2005 (art. 1 commi 332, 333 e 334 della legge n. 311 del 31 dicembre 2004), l’Agenzia delle Entrate mette a disposizione dei Comuni questi dati attraverso il SIATEL, al fine di effettuare verifiche tributarie.

I dati dei consumi sono annuali e sono riferiti ai soggetti residenti in un dato immobile, identificato con i dati catastali; purtroppo questi dati hanno un formato poco leggibile, e quindi siamo partiti con l’idea di inserirli nel Sistema Informativo Territoriale, con l’obiettivo di visualizzarli sulla mappa del territorio, utilizzando i dati degli immobili e dei residenti come chiavi di ricerca.

Proprio a questo punto ci siamo resi conto che se questi dati vengono opportunamente elaborati con un algoritmo che compara i consumi totali di un edificio con la superficie dell’immobile, si può arrivare alla classificazione energetica delle abitazioni del territorio…. Ed ecco, il gioco è fatto! Dal mash up di 3 diverse banche dati (catasto immobili, anagrafe, consumi energetici) si crea un possibile sistema di monitoraggio dei consumi energetici del territorio.

Ultimo passo, ma non il meno importante, è rendere a disposizione i dati in formato Open: per cui abbiamo scelto il .kml, perché immediatamente visibile e rappresentabile con Google Earth, e il file è a disposizione di tutti sul portale Open Data della Regione Emilia-Romagna.
I dati così pubblicati non hanno alcun riferimento personale, perchè sono comunque riferiti all’immobile nel suo complesso, che vengono visualizzati con il colore corrispondente al livello di classificazione energetica attribuito.

I dati ovviamente andrebbero resi più precisi, mappando anche gli immobili che contengono impianti che producono energia da fonti rinnovabili: in questo caso chi possiede le informazioni è GSE, società pubblica che autorizza gli impianti di produzione di energia.

E inoltre occorre tenere presente che un immobile può avere un basso consumo energetico perché disabitato, e in questo caso è sufficiente verificare se ci siano soggetti residenti; ma tutto ciò rappresenta un ottimo punto di partenza per la rappresentazione della situazione del territorio, soprattutto per iniziare a condividere a vari livelli cosa vuol dire classificazione energetica, e come si rapporta rispetto ai consumi annui, su come si può risparmiare e che incidenza può avere questo risparmio sull’ambiente; in una parola, è utile per creare cultura e condivisione di un modello virtuoso.

Nel documento pubblicato a questo link sono riportati in modo più esaustivo i riferimenti normativi, alcuni accenni alla privacy, le modalità di accesso ai dati, i requisiti di sistema, l’unione delle banche dati, pubblicazione del file in formato aperto, possibili utilizzi dei dati.

A questo punto, l’esperimento può essere replicato su tante realtà, piccole e grandi: perchè non creare una mappa nazionale dei consumi energetici?

L’ambiente sostenibile e il risparmio sono un vantaggio per tutti, vediamo se riusciamo ad ottenere dei miglioramenti usando i dati che abbiamo! Una grande sfida per tutti.
Il Patto dei Sindaci
portale open data regione Emilia Romagna
riferimenti normativi




Il vademecum per le smart cities

smart-cityPer dare sostegno e supporto alle amministrazioni che vogliono intraprendere la strada dell’innovazione e del cambiamento, lo Smart Cities Council, in collaborazione con la business school ESADE di Barcellona, ha elaborato delle linee guida da seguire per trasformare qualsiasi città in una smarrì city.

Il vademecum, che prende il nome di “Smart Cities Readiness Guide”, contiene oltre 50 casi studio di città intelligenti che affrontano alcune delle problematiche più comuni legate al passaggio da “normale” città a smart city.

CONTENUTI. Nello specifico, le linee guida contengono informazioni su: energia, telecomunicazioni, trasporti, acqua e acque reflue, rifiuti, servizi sanitari e sociali, sicurezza ed aspetti economici. Tra le città studio troviamo invece Malta, Londra, Indiana City, Sino-Singapore Tianjin Eco-City, PlanIT (Portogallo e Barcellona e moltissimi altri.
guida per le smart city
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Premio Fabrizio de Andrè: XII EDIZIONE

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 Al via la XII edizione del Premio Fabrizio de Andrè: poesia, musica e parole si intrecciano per la sempre unica rassegna “Parlare Musica” , un premio per i giovani talenti italiani che si sfidano nelle loro arti. Il premio aspira a ricercare originalità e buon gusto in un settore, per fortuna, non ancora del tutto contaminato dal commerciale, in cui gli artisti in gara possano esprimersi liberamente e senza legami ideologici.
Il fine. Dare visibilità e far entrare a contatto del mondo musicale giovani artisti che, con passione, amore e coraggio affrontano il grande palco e si mettono in gioco.
Organizzato nell’auditorium SGM di Via Portuense, uno spazio dotato di una discreta acustica ma di ottima accoglienza, è diretto dal giornalista Massimo Cotto e da Luisa Melis. Sul palco interviene anche Andrea Rivera.
Ma c’è dell’altro: nella sala attigua all’auditorium Miki Inverno, fedele collezionista, ha realizzato ed espone una mostra antologica sulla produzione di Fabrizio de Andrè.

 

A spolverare le vecchie edizioni, ci hanno pensato Peppe Barra, ospite della prima serata, che ha ricevuto il riconoscimento per la migliore reinterpretazione dell’opera di De Andrè e Alessandra Parisi, vincitrice della scorsa, con Creuza de ma, in chiave del tutto personale.

Ad aprire le “orchestre” Dori Ghezzi e Maurizio Veloccia, presidente del Municipio Roma XI, orgoglioso del premio, che ha promesso che le prossime edizioni saranno previste in piazza, l’omonima, nel quartiere Magliana, in estate.

 

Seconda serata, la finale. “La ballata dell’amore perduto” è l’intro del premio per il pubblico, che, in un commuovente silenzio, ascolta. Poi, sempre sul palco, Massimo Cotto che annuncia le ultime 8 canzoni finaliste. Apprezzabili tutti i brani, che con versatilità affrontano temi complessi ed articolati, attuali, raccontano storie di oggi e della difficoltà storica con cui conviviamo, dai moti dell’animo alle gioie collettive del fare quotidiano. Ci credono perché ci sperano.

Notevoli anche le poesie, lette da Andrea Rivera e da Paola d’Agnese. Il Vincitore “novello poeta” è Alessandro Colpani con “Gli scuri”, sezione poesia: una travolgente storia di un ragazzo ubriaco e delle sue visioni notturne, in una piazza di Bologna.

Alessandro Colpani  legge la sua poesia, vincitrice

Alessandro Colpani legge la sua poesia, vincitrice

 

 

Ospiti d’onore: Emanuele Belloni con Ascolese, Falzone e Pietropaoli e Santadrea e la Camerata Veneziana che hanno omaggiato De Andrè con i loro brani.

Vincitore della sezione musica, come migliore interprete Alessio Bondì con “In funnu ‘u mare”, in dialetto in un misto tra folk e la ballata.

Alessio Bondì

Alessio Bondì

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Maldestro, con “un Operaio” vincitore della XII edizione del premio Fabrizio de Andrè

 

Consegnata la targa da Dori Ghezzi ad Eugenio Finardi, con il quale ha vissuto una lunga fase della sua vita. Un premio alla carriera, quello per l’artista milanese, “per un uomo sempre alla ricerca di un nuovo umanesimo”.
Chiude proprio Eugenio Finardi la rassegna con “Verranno a chiederti del nostro amore” ed altri due brani scritti insieme al suo chitarrista.                                                               

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da sinistra: Massimo Cotto, presentatore del premio, Dori Ghezzi, ed Eugenio Finard 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una serata calda, piena e partecipata, ricca di interventi tra le risate con Andrea Rivera e i suoi monologhi, dai premi di Repubblica.it (sul sito era possibile votare,tramite sondaggi, per la sezione musica), al premio per la poesia.
Un’iniziativa frizzante e malinconica, sentita, in cui il “piccolo” territorio del Municipio XI abbraccia tante altre realtà, tante città e tanti giovani. E cresce con loro.

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Artisti in gara _ 6/12/2013
Alice Clarini, Sabba e gli Incensurabili , Alessio Bondì, Angelica Lubian, Francesco Spaggiari,Secondo Appartamento.
7/12/2013
Cassandra Raffaele,Pietro Verna, Giacomo Lariccia,Fitz Sang,Marco Greco,Maldestro, Una,Riky Anelli.

foto ed articolo: Elisa Longo




In evidenza > Collaborare per il bene comune: reportage conferenza

 

Tavola Rotonda "Collaborare per il bene Comune"

Tavola Rotonda “Collaborare per il bene Comune”

Onlus, imprese, pubbliche amministrazioni: questi i protagonisti della la conferenza tenutasi oggi alla Camera di Commercio di Roma. “Collaborare per il bene comune” non è un vuoto simulacro, uno slogan populistico e oggi testimonia il lavoro quotidiano di migliaia di operatori che producono capitali e desiderano mettersi in rete. La sala del Tempio di Adriano (foto) ha accolto stamattina una Tavola Rotonda con numerosi operatori profit, non profit e Pubblica Amministrazione,  relatori e partecipanti tutti concentrati sul futuro del terzo settore, delle imprese e delle istituzioni capaci produrre valore.

 L’osservatorio non profit della Camera di commercio di Roma ha così proposto di offrire spazio e un coordinamento per tutte quelle realtà che già hanno operato e operano sul territorio, esperienze significative per le politiche pubbliche di sviluppo. Presentate due importanti pubblicazioni:

Quest’ultimo è un libretto ideologico e operativo per un buon governo del territorio. Una ricerca di senso e di nuovi stili di vita.

Scopo dell’incontro è l’idea, tutt’altro che astratta e utopica, che P.A., profit e non profit, collaborando, possano dar luogo a percorsi innovativi di sviluppo locale,  rinascita sociale, emersione del lavoro nero o sottopagato e rilancio della mobilità come diritto e opportunità. Costruire regole condivise per l’uso dei beni comuni che attengono alle comunità locali e, dunque, direttamente ai cittadini. Prima dello Stato e del mercato c’è la società civile che si autorganizza liberamente per svolgere funzioni di interesse generale, gestendo i beni comuni e garantendo i diritti collettivi. La pubblica amministrazione deve solo favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini e delle comunità locali, sulla base del principio di sussidiarietà. Gestendo direttamente e in modo sostenibile i beni comuni, i cittadini potranno accrescere il senso di responsabilità e i valori di reciprocità, mutuo aiuto e fraternità civile, che sono gli ingredienti indispensabili per uscire dalla crisi.

presentazione associazioni nella Sala del Tempio di Adriano

presentazione associazioni nella Sala del Tempio di Adriano

Elementi chiave del dibattito e fondanti del patto che emerge al convegno sono:

1) rilanciare l’economia sociale e il ruolo sul territorio da parte di imprese ed organismi di terzo settore

2) valorizzare il ruolo primario delle PA come motori di riequilibrio sociale, ambientale, occupazionale

3) un sistema di informazione che i giornali autogestiti e partecipati possono promuovere se si organizzano in sistemi editoriali connessi tra loro. In rete possiamo oggi raggiungere facilmente tanti lettori che possono diventare scrittori del loro giornale e mettersi in competizione con una stampa egemone degli editori dominanti che emargina le periferie.

Il coordinamento,  afferma  Pino Galeota, lotta per “un distretto tecnologico dell’arte, della cultura, dell’ambiente e dello sport a Corviale: non è un progetto troppo ambizioso”. “Ambizioso? È un progetto portato dal basso, per arrivare in alto, certo è meglio cadere dall’alto… Bisogna metterci la faccia, cercare le persone disponibili per il dialogo, ‘chiedere tu chi sei? Ne vuoi far parte?’. Corviale è già un modello per tutte le periferie”.

I desk dei partecipanti in sala

I desk dei partecipanti in sala

Corviale Domani  e altre 6 imprese hanno offerto la loro esperienza  in un dibattito che apre la strada a un percorso di consapevolezza e scelte di vera collaborazione. Le associazioni sono: Banco Editoriale (ACLI) con l’obiettivo di sviluppare sei biblioteche in sei carceri italiani; Sociale.it (Coinsorzio sociale COIN)che punta a creare una partecipazione cittadina su un portale online di servizi; Binario 95 (Europeconsulting)  un centro polivalente diurno e notturno per persone senza dimora, con i rappresentati Alessandro Radicchi, e Gianni Petiti;  Il Forum del Terzo settore Lazio, che, con una rete di oltre 350 mila soci e lavoratori unisce Cooperazione Sociale, Volontariato, associazionismo altraeconomia e finanza etica; Fattoria Sociale della Mistica (Agricoltura Capodarco) che comprende 30 ettari coltivati biologicamente, in un esperimento di agricoltura sociale; Programma Retis (Fondazione Roma solidale), in collaborazione e per volontà di Roma Capitale, un progetto volto alla valorizzazione degli attori, degli strumenti e delle esperienze finalizzate allo sviluppo di percorsi di autonomia delle “persone svantaggiate”.

 

Foto e Articolo:  Elisa Longo

Ringraziamenti: Silvana Forte (CCIAA Roma responsabile P.O. Gestione Osservatori), Flavia Trupia (relazioni pubbliche)




Corviale partecipa a un’importante iniziativa della Camera di Commercio

non profitIl progetto Corviale 2020 per nuove forme dell’abitare in un modello di sviluppo sostenibile ed inclusivo partecipa il 3 Dicembre all’iniziativa “Collaborare per il Bene Comune” della Camera di Commercio di Roma al Tempio di Adriano alle ore 10.
La Camera di Commercio con l’Osservatorio Non profit intende valorizzare le attività a favore della collettività e dello sviluppo frutto della collaborazione tra Profit, Non profit e Pubblica Amministrazione.
Noi di Corviale Domani porteremo il nostro modello di sviluppo territoriale che partendo dalle vocazioni proprie del Quadrante punta ad una rigenerazione complessiva che coniughi lavoro e qualità della vita.
Il nostro è un modello misurabile e replicabile di rinascita delle periferie che unisce forze vitali della società, istituzioni ed associazioni
programma
Collaborare per il bene comune




Consumo netto di suolo zero

suolo«Entro il 2020 le politiche comunitarie dovranno tenere conto dei loro impatti diretti e indiretti sull’uso del territorio, a scala europea e globale, e il trend del consumo di suolo dovrà essere sulla strada per raggiungere l’obiettivo del consumo netto di suolo zero nel 2050». Ma cominciare domani è già troppo tardi
La necessità di limitare il consumo di suolo e in particolare di suolo agricolo (8 metri quadrati al secondo, secondo i dati di ISPRA) è ormai entrata a tutti gli effetti nell’agenda politica nazionale. Dopo il DDL Catania, presentato dall’omonimo Ministro del governo Monti e arrivato fino all’approvazione della Conferenza Stato-Regioni, nell’attuale legislatura sono stati depositati tre disegni di legge di iniziativa parlamentare che hanno come obiettivo dichiarato la limitazione del consumo di suolo, a cui va aggiunto un ulteriore disegno di legge promosso direttamente dal governo Letta.
Questi disegni di legge hanno suscitato un acceso dibattito sui principali quotidiani trovando critici e sostenitori. Senza entrare nel merito del dibattito, un dato abbastanza sorprendente è che nessuna delle quattro proposte pare prendere le mosse dagli indirizzi e dai principi espressi in tema di consumo di suolo a livello comunitario. Nella comunicazione della Commissione Europea “Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse” [COM(2011) 571] uno specifico capitolo viene dedicato a terra (Land) e suoli (Soils). Per queste risorse, considerate a un tempo strategiche e vitali, viene fissato un obiettivo molto ambizioso e insieme di vasta portata per quanto comporta a livello urbanistico e territoriale: entro il 2020 le politiche comunitarie dovranno tenere conto dei loro impatti diretti e indiretti sull’uso del territorio, a scala europea e globale, e il trend del consumo di suolo dovrà essere sulla strada per raggiungere l’obiettivo del consumo netto di suolo zero nel 2050.
Purtroppo nella versione italiana della Comunicazione questo fondamentale principio del consumo netto di suolo zero (no net land take) non viene adeguatamente riportato e forse ciò può spiegare il suo mancato richiamo nei disegni di legge citati. Manca infatti nella traduzione italiana la parola chiave “netto”, un aggettivo solo all’apparenza accessorio che è stato invece volutamente inserito per le profonde implicazioni che sottende.
Consumo netto di suolo zero non significa infatti congelare l’infrastruttura urbana impedendo in assoluto di occupare nuovo territorio. Al contrario esso consente l’occupazione di spazi liberi purché questo avvenga a saldo zero, de-sigillando o ripristinando ad usi agricoli o seminaturali aree di pari superficie in precedenza urbanizzate e impermeabilizzate. E’ questa una specificazione fondamentale che introduce anche nella pianificazione urbanistica e territoriale il principio del riciclo e dell’economia circolare, già espresso nella strategia Europa 2020, con l’obiettivo finale di disaccoppiare lo sviluppo urbano dal consumo della risorsa suolo.
Con l’introduzione del termine “netto”, l’obiettivo del consumo di suolo zero da vincolo di fatto impraticabile si trasforma in motore di una nuova stagione di trasformazione urbana, fondata sulla riqualificazione dell’esistente e sul ridisegno del territorio urbanizzato, che non deve essere più considerato come un dato acquisito e irreversibile, ma come un corpo suscettibile di essere ridisegnato e ricucito secondo nuove e più funzionali orditure in grado anche di recuperare i guasti di uno sviluppo passato, di carattere spesso incontrollato e disperso, rivelatosi alla fine inefficiente ed anti-economico.
La sfida qui, più che fissare degli obiettivi quantitativi di consumo di suolo o enunciare principi generali di riuso che vengono poi sistematicamente disattesi, è quella di trovare gli strumenti e i meccanismi regolativi che consentano di avviare questo processo di rigenerazione urbana a consumo netto zero garantendo l’indispensabile sostenibilità economica degli interventi edilizi e infrastrutturali, sia per gli operatori immobiliari privati che per i soggetti pubblici.

E’ in quest’ottica, e come strumento di accompagnamento all’obiettivo fissato dalla Comunicazione sull’uso efficiente delle risorse, che la Commissione Europea ha successivamente pubblicato le Linee guida sulle migliori pratiche per limitare, mitigare e compensare l’impermeabilizzazione del suolo [SWD (2012) 101].
Il documento si rivolge agli Stati membri, agli enti locali, agli operatori del settore e in generale ai cittadini e ha come fine quello di fornire informazioni sul livello di impermeabilizzazione del suolo nell’Unione Europea, sulle cause e gli impatti, nonché sugli esempi di buone pratiche per contrastarlo. L’impermeabilizzazione del suolo è uno degli effetti del “consumo di suolo”, ma non coincide con quanto usualmente si intende con questa espressione, che riguarda piuttosto l’occupazione di aree agricole o semi-naturali per usi urbani (land take). In media circa la metà delle superfici urbanizzate risultano effettivamente impermeabilizzate con totale perdita delle funzioni del suolo. Anche in questo caso l’ordine delle parole del titolo non è casuale o secondario, ma stabilisce una precisa gerarchia di priorità in vista del raggiungimento dell’obiettivo più generale di fermare l’incremento di superfici impermeabilizzate e quindi il consumo effettivo di suolo.
Limitare l’impermeabilizzazione resta il principio di fondo che deve avere sempre la priorità su mitigare e compensare gli impatti, in quanto la perdita di suolo è di fatto irreversibile . Ai fini della limitazione è importante fissare obiettivi quantitativi che devono però essere accompagnati da adeguate misure di monitoraggio e controllo. La mitigazione interviene quando si occupano nuove aree per ridurre in situ le conseguenze negative dell’impermeabilizzazione del suolo, ad esempio utilizzando materiali di copertura permeabili che garantiscano l’invarianza idraulica. La compensazione dovrebbe essere utilizzata solo quando non è possibile limitare e mitigare e si traduce in interventi in aree diverse da quelle occupate per “compensare” su scala territoriale la perdita di funzioni dei suoli impermeabilizzati. Esempi di compensazione sono: il riutilizzo del suolo rimosso per ripristini in altri luoghi, la bonifica di siti contaminati, la rimozione o sostituzione di coperture impermeabili (manti stradali, edifici) con ripristino a verde (de-sealing), l’imposizione di un extra onere da utilizzare per interventi di tutela e risanamento dei suoli. In Europa, in particolare in Olanda e Germania, la compensazione è già oggi obbligatoria sia per gli interventi infrastrutturali che per le nuove lottizzazioni.
Sebbene la compensazione venga ultima come ordine di priorità nella gerarchia delle linee guida, essa agisce da rinforzo per limitare il consumo di suolo e può diventare la chiave per attuare la politica del consumo netto di suolo zero, soprattutto se intesa come ripristino di aree precedentemente occupate. E’ quello che succede in città come Dresda o Stoccarda dove sono stati introdotti regolamenti urbanistici che vincolano la costruzione sul terreno libero al recupero e ripristino, da parte del soggetto attuatore, di altri spazi già impermeabilizzati presenti all’interno del Comune.
Si tratta di fatto di una sorta di perequazione che attribuisce crediti di impermeabilizzazione a spazi costruiti relitti o inutilizzati (edifici e strutture con relative pertinenze in disuso quali parcheggi, aree cortilizie, piazzali) che una volta acquisiti attraverso il ripristino preventivo possono essere sfruttati per nuova occupazione di suolo in altre aree individuate dalla pianificazione comunale. E’ un modo questo di attivare un motore di riciclo delle aree urbane che consente di ridisegnare le città a parità di occupazione di suolo.
La priorità nelle politiche di contenimento del consumo di suolo rimane comunque quella di favorire la rigenerazione e riqualificazione del tessuto urbano esistente intervenendo sulle aree dismesse e sul patrimonio edilizio. Questo si interseca con un altro pilastro della strategia di Europa 2020 che è quello della de-carbonizzazione dell’economia e della transizione energetica. Un terzo dei consumi energetici, a livello nazionale come comunitario, proviene dal settore domestico e abitativo. La stragrande maggioranza degli immobili sono stati costruiti prima degli anni `90 e presentano pessime prestazioni energetiche (in molti casi consumi superiori di 10 volte alla classe A), bassa qualitá abitativa, inadeguati accorgimenti antisismici. Se si vogliono raggiungere gli obiettivi comunitari di riduzione delle emissioni e del consumo di combustibili fossili è soprattutto lì che bisogna intervenire
La “grande opera” del futuro deve quindi essere la riqualificazione edilizia promuovendo il riciclo delle aree e dei materiali di costruzione, nonché l`uso di tecniche di bio-edilizia che valorizzino le filiere produttive locali. Per fare questo bisogna approntare adeguate politiche regolative, fiscali e di facilitazione al credito con l`obiettivo di rendere più conveniente il recupero dell`esistente piuttosto che la costruzione del nuovo e orientare di conseguenza il mercato immobiliare. Tra queste azioni, oltre al vincolo del consumo netto di suolo zero, si annoverano:
defiscalizzazioni per interventi di ristrutturazione, di adeguamento sismico e di miglioramento energetico sulla base del modello già sperimentato con successo del 55 e ora 65%;
esenzione dal pagamento degli oneri di urbanizzazione, riduzione di altri oneri (occupazione di suolo pubblico, permessi, conversioni di uso), possibilità di incentivi volumetrici per interventi di riqualificazione, recupero, ristrutturazione che comportano un significativo abbattimento dei consumi energetici e delle emissioni;
forme agevolate di finanziamento e di ulteriore esenzione fiscali per condomini che deliberano di investire nella riqualificazione dell`immobile;
promozione e facilitazione d interventi sullo schema ESCO (Energy Service Company) con rafforzamento dello strumento incentivante dei certificati bianchi e del conto termico;
riforma della fiscalità comunale con disaccoppiamento delle entrate dal consumo di territorio e divieto di utilizzo degli oneri di urbanizzazione per la spesa corrente;
Ecco quindi che l’obiettivo comunitario del consumo netto di suolo zero va inteso non solo come un vincolo di una politica ambientale tesa a tutelare una risorsa strategica e vitale come il suolo, ma anche come stimolo e propulsore per avviare il grande cantiere della riqualificazione e del riassetto urbano in grado di rilanciare il settore delle costruzioni e di rendere al contempo più sostenibili e vivibili le nostre città. E’ solo su queste basi che si può uscire dalla crisi e costruire un reale e duraturo sviluppo coniugando le esigenze di sostenibilità e di tutela ambientale con quelle altrettanto stringenti di garantire lavoro e reddito di impresa.

postilla
Mi domando quale sarebbe il risultato di questa compensazione in Italia, dove l’unica legge rispettata dai forti è l’elusione della legge, deve la rendita e i “diritti edificatori”imperano, e dove la pubblica amministrazione è sempre meno motivata, autorevole, competente e attrezzata.
di NICOLA DALL’OLIO
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La bottiglia con la candeggina che illumina gratis trionfa nelle periferie di tutto il mondo

bottigliaAlfredo Moser è un meccanico brasiliano che ha avuto un’idea brillante nel 2002, dopo aver subito uno dei frequenti black-out che interessano Uberaba, la città dove vive nel sud del Brasile.

Stanco di guasti elettrici, Moser ha iniziato a giocare con l’idea della rifrazione della luce solare in acqua e in poco tempo ha inventato la “lampadina dei poveri”. “Wit” è semplice e disponibile a chiunque: una bottiglia di plastica riempita d’acqua da due litri a cui si aggiunge un po’di candeggina per preservarla dalle alghe. Il flacone è stato posto in un foro nel tetto e dotato di resina poliestere.

Il risultato? Illuminazione libera e organica durante il giorno, particolarmente utile per gli edifici e baracche che a malapena hanno finestre.

A seconda dell’intensità del sole, la potenza di queste lampade artigianali si aggira tra i tra 40 e i 60 watt. “E ‘una luce divina. Dio creò il sole e la sua luce è quindi per tutti “, ha riferito Moser alla BBC . “Non costa un centesimo ed è impossibile che si fulmini.”

Anche se l’inventore ha ricevuto piccole ricompense per le installazioni di Wit nelle case e in aziende locali, la sua idea non lo ha reso ricco.
Un grande senso di orgoglio: «Conosco un uomo che ha inserito le bottiglie e in un mese aveva risparmiato abbastanza per comprare beni di prima necessità per il loro bambino appena nato”, dice soddisfatto.
Un’idea che si è diffusa in tutto il mondo.

Ma la lampadina geniale non si è fermata a Uberaba. Negli ultimi due anni l’invenzione ha subito una grande espansione in tutto il mondo.

Ad esempio, la Fondazione MyShelter (mio rifugio) nelle Filippine ha accolto con entusiasmo l’idea. MyShelter è specializzata in costruzioni alternative utilizzando materiali come il bambù, pneumatici o su carta.

In Cina, dove il 25% della popolazione vive sotto la soglia di povertà e l’elettricità è particolarmente costosa, ci sono 140.000 famiglie che hanno fatto ricorso a questo sistema di illuminazione.

Il direttore esecutivo del MyShelter, Illac Angelo Diaz spiega che bottiglie-lampadine sono diffuse ad almeno quindici paesi, tra cui India, Bangladesh, Fiji e Tanzania.

“Non ho mai immaginato che la mia invenzione avrebbe avuto un tale impatto”, afferma Moser. “Solo a pensarci mi viene la pelle d’oca.”
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La bonifica, sessione plenaria del forum Corviale (22 novembre 2013)

Alfonso Pascale scrittore romano

Alfonso Pascale scrittore romano

Il Progetto Corviale 2020 si fonda sull’idea che la coesione sociale è una premessa, non l’esito dello sviluppo.

A Roma – ma anche in altre parti del Paese – questa idea si può considerare come una tradizione innovativa. Oggi la stiamo riscoprendo, ma è antica almeno quanto Roma Capitale d’Italia.

Se andiamo a vedere i progetti di bonifica integrale elaborati nei primi decenni del secolo scorso nell’Agro romano e poi, successivamente, quelli riguardanti la riforma agraria del secondo dopoguerra – che hanno interessato anche una porzione importante del Comune di Roma – notiamo che alla base dello sviluppo della nostra città, per un lungo periodo, c’è stata una visione sistemica del territorio. Una visione in cui  i legami comunitari, le relazioni umane, le forme dell’abitare, l’istruzione, la cultura, l’arte, i servizi socio-sanitari precedono e condizionano le iniziative per la crescita economica.

E’ una tipicità della cultura tecnica, economica e sociale della prima metà del Novecento quando si produssero significativi esperimenti di bonifica integrale con interventi idraulici, civili, urbanistici, socio-educativi e igienico-sanitari di grande spessore. Un filone utopico che è stato colpevolmente rimosso dalla memoria storica.

I guai seri per la nostra città sono iniziati quando si è abbandonata la visione sistemica dello sviluppo territoriale e si è imposta quella urbanocentrica, caratterizzata dalla separazione e frammentazione delle funzioni urbane e dalla riduzione delle aree agricole, di fatto, ad un ruolo di mera riserva in attesa di essere edificate.

E così da una visione integrata del paesaggio agrario – nel senso che ad esso dava Emilio Sereni come “forma impressa dall’uomo, nel corso e ai fini delle sue attività produttive agricole, al paesaggio naturale” – si è passati ad una visione meramente naturalistica del paesaggio. E tale cambio di ottica ha prodotto una sorta di “divisione del lavoro”  (un perenne e infruttuoso armistizio!) tra chi pianifica e realizza i quartieri e i servizi a questi connessi e chi gestisce le aree agricole sempre più residuali, a partire dalle aree protette.

Più che all’idea di rigenerazione – che richiama la falsa mitizzazione nostalgica dei bei tempi di una volta – dovremmo rifarci all’idea di bonifica integrale come processo perenne di trasformazione territoriale – abbandonando ovviamente ogni risvolto dirigistico e utopico del passato – da declinare, mediante l’utilizzo diffuso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, come bonifica della crosta urbana.

Europa 2020 è una grande opportunità per impostare con siffatta visione la crescita dei territori della nostra città. Una grande opportunità se il Comune di Roma e la Regione Lazio sapranno coglierla scegliendo di adottare l’approccio integrato nell’utilizzo dei Fondi europei.

Sei anni fa, quando si negoziò con Bruxelles la Programmazione 2007-2013, l’Amministrazione capitolina si disinteressò di questi aspetti e non pose al centro della propria iniziativa il ruolo che avrebbe potuto svolgere l’agricoltura urbana al servizio della città e l’esigenza di una strumentazione specifica plurifondo.

Subimmo così l’esclusione dagli incentivi destinati dalla politica di sviluppo rurale alle attività multifunzionali e di diversificazione che avrebbero offerto una qualche prospettiva alle aziende agricole della Campagna romana e, al contempo, una risposta concreta alle nuove sensibilità per lo sviluppo sostenibile manifestate in modo crescente dall’insieme dei cittadini.

Questa volta, è augurabile che Roma non perda di nuovo il treno.

Spetta alla Regione Lazio decidere se estendere l’approccio Leader, finora utilizzato solo nelle aree rurali, anche alle città e se i Partenariati pubblico-privati che nasceranno potranno utilizzare contestualmente i diversi Fondi comunitari. Il Comune di Roma farebbe bene a sollecitare la Regione a compiere questa scelta se vuole creare nei territori cittadini delle vere e proprie comunità.

E’ ormai sempre più palese che le trasformazioni territoriali non si possono più né programmare né pianificare con gli strumenti che abbiamo utilizzato finora. Si possono solo accompagnare con percorsi partecipativi condivisi, da progettare “ad alta risoluzione”. Ma questa modalità richiede una rigenerazione – qui è proprio il caso di usare questo termine! – della funzione pubblica che deve acquisire la cultura partecipativa e quella della sussidiarietà e la capacità di riconoscere alla società civile la funzione di autorganizzarsi sulla base di valori comunitari per gestire i beni collettivi.

In sostanza, ci vogliono nuovi occhi perché gli spazi aperti, quelli edificati, le attività non vanno più visti come entità rigide, separate e monofunzionali, ma vanno scomposti e ricostruiti in modo polivalente. I singoli soggetti e i gruppi che li compongono non vanno più separati per categorie e ingabbiati in determinati interessi specifici. Si tratta, invece, di cogliere la molteplicità e, al contempo, l’unitarietà dei bisogni degli individui, ricomponendone i frammenti.

Oggi l’agricoltura non è più soltanto un settore produttivo – come lo abbiamo immaginato quando eravamo pervasi di cultura fordista – ma è anche un’attività che fornisce alla città servizi sociali, culturali, ricreativi e ambientali e che ha pertanto bisogno di spazi edificabili.

Oggi il Welfare in trasformazione non è soltanto il vecchio Stato sociale redistributivo ma è anche un Welfare produttivo.  Altro che fine del sociale! Siamo ad un suo rilancio ma su nuove basi: un Welfare che dismette le forme assistenzialistiche del passato per produrre esso stesso – in forme imprenditoriali – ricchezza, occupazione, benessere collettivo.

Dobbiamo, dunque, progettare gli spazi e le attività come insediamento nell’antispazio delle reti informatiche, come nodi delle reti, polivalenti, interscambiabili. Senza rigidità e separatezze. Dobbiamo costruirli come sensori, quasi interfacce di computer.

Per costruire le interconnessioni bisogna praticare senso di comunità e fraternità civile e avere sotto gli occhi le mappe del territorio. Più un territorio autorappresenta le sue funzioni sotto forma di mappatura in continuo divenire, più il suo destino evolve in un processo di ri-appropriazione collettiva dell’identità. Un’identità perennemente mutevole perché aperta al diverso.

Il Progetto Corviale 2020 non ha più nulla di utopico perché la sua realizzazione avviene nella concretezza quotidiana della pratica relazionale generativa di fiducia e dell’utilizzo diffuso delle tecnologie di nuova generazione. E’ questo il significato dello slogan “Il territorio è la sua mappa”. E qui si colloca anche un’evoluzione della logica distrettuale, che diventa capacità di una comunità in movimento di autodefinirsi, modificando continuamente – con l’innovazione sociale – la mappa delle sue funzioni.