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Salvo

Un film di Fabio Grassadonia, Antonio Piazza. Con Saleh Bakri, Sara Serraiocco, Luigi Lo Cascio, Giuditta Perriera, Mario Pupella.

Salvo (Bakri) fa vari servizi al boss (Pupella) di in piccolo centro siciliano ; un giorno viene spedito a casa di un rivale, il quale vive con la sorella cieca Rita (Serraiocco) , per ucciderlo; Rita sente una presenza minacciosa e grida per salvare il fratello ma Salvo ha la meglio e, quando si precipita sulla ragazza , lei , forse a causa dello stress, riacquista la vista (inizialmente vede solo una luce che le ferisce gli occhi e dei vaghi contorni ) ; Salvo la stordisce e la porta in un’officina abbandonata; torna poi a casa di Mimma Puleo (Perreira) e del di lei figlio Enzo (Lo Cascio) , dove vive in semi-reclusione . I due lo temono ma mentre Mimma lo detesta e lo spia, Enzo è , forse inconsapevolmente, innamorato di lui . Al boss , che , a sua volta, vive in un rifugio sotterraneo, dice di aver ucciso Rita ma invece la va a trovare ,le porta del cibo e cerca di rabbonirne la rabbiosa paura. Quando tra i due si accende un barlume di comunicazione, arriva il boss con i suoi che intima a Salvo di ammazzare Rita. Lui rifiuta .

Il film, primo lungometraggio dei due sceneggiatori palermitani Grassadonia e Piazza, ha vinto quest’anno a Cannes il premio della Semaine de la Critique ed è stato accolto come un piccolo capolavoro ( nel 2010, peraltro, i due avevano già vinto a Cannes con il cortometraggio “Rita” , che è ,in nuce, la stessa storia con due bambini come protagonisti). In realtà, il film ha innegabili pregi- tra gli altri, la fotografia di Daniele Ciprì e le scenografie di Marco Dentici – ma anche qualche compiacimento di troppo . I due protagonisti sono efficaci ma la Serraiocco, che non è un’attrice ( dopo “Salvo” ha deciso di iscriversi alla Scuola di Cinema) ed il palestinese Bakri non ce la fanno sempre a reggere un racconto tutto sviluppato in sguardi , urla e silenzi . I francesi hanno apprezzato il progetto e sono entrati con una forte coproduzione , probabilmente considerando “Salvo” un buon erede del loro noir : i due registi non sono ( almeno non ancora ) Melville ma il paragone è indubbiamente lusinghiero.




Nymphomaniac – Volume 2

di Lars von Trier. Con Charlotte GainsbourgStellan SkarsgårdStacy MartinWillem DafoeMia Goth. Danimarca 2014.

Continuano le confessioni di Joe (Gaisbourg) a Seligman (Skarsgard), che – lo ricordiamo – la aveva trovata pesta ed insanguinata nel proprio cortile e che, ora, le rivela di essere vergine: il matrimonio con Jerome (Shia LaBoeuf) procede con grandi prestazioni sessuali ma nessun orgasmo da parte della giovane Joe (Martin, poi Gainsbourg)) che continua, con l’assenso forzato di Jerome a frequentare altri partner; in particolare, l’incontro con due neri in un alberghetto va maluccio (i due, dotatissimi, smettono subito di fare sesso perché litigano su chi la deve penetrare davanti e chi dietro) ma le fa capire di aver bisogno di nuove sensazioni. Intanto è nato, inatteso, un bambino ma Joe, pur amandolo, lo sente estraneo e quasi ostile. La ragazza va da K (Jamie Bell), una specie di professionista del sado-masochismo e inizia una serie di sedute notturne nelle quali si fa frustare, provando dopo molto tempo di nuovo l’eccitazione. La sera di Natale Joe lascia Jerome ed il figlio e va da K che la frusterà a sangue con un gatto a nove code. Jerome se ne va per sempre portando via il bambino. Lei, pena il licenziamento dal lavoro, è costretta a frequentare una terapia di gruppo per guarire dalla propria sessuo-dipendenza ma dopo poco se ne va insultando la psicologa (Caroline Goodall) e reclamando il diritto alla propria sessualità, ancorchè malata. Decide di vivere completamente ai margini della società e si mette al servizio di L (Dafoe), un malavitoso che le affianca due picchiatori per recuperare crediti insoluti. Joe usa la propria esperienza per tirar fuori dai debitori le perversioni nascoste e, sulla base di queste, ricattarli; tutti pagano anche un gentiluomo (Jean-Marc Barr), che sembrava inattaccabile ma che nascondeva – anche a se stesso- tendenze pedofile. L invita Joe a crescersi una ragazza che un giorno la sostituirà e lei prende con sé P (Mia Goth), figlia di un rapinatore in carcere e la cui madre è morta per overdose. La zona intima di Joe è, a causa dei continui contatti, definitivamente dolorante e lei soffre, a causa della forzata astinenza, di crisi violente. Con P scopre l’amore saffico e comincia a portarla con sé nelle irruzioni. Un giorno si accorge che uno dei debitori è Jerome e prega P di andare da sola e di non fargli del male. Poco dopo scoprirà che P e il suo ex-marito sono diventati amanti e così sapremo come mai Seligman la ha trovata semi-svenuta nel cortile.

Ricordiamo che questo non è il secondo capitolo , rispetto al Volume 1 ma semplicemente la seconda parte di un film di una durata eccessiva per la normale distribuzione. L’impressione complessiva rimane quella di un grande film – il migliore della cosiddetta   Trilogia della depressione (Antichrist, Melancholia e questo). Negli anni ’50, il critico francese André Bazin – il teorico della nouvelle vague – distingueva tra cinema sadico (quello che indugiava sulle pratiche sado-maso) e cinema sadiano, nel senso dell’uso della violenza come veicolo di un discorso profondamente trasgressivo; Bazin citava quale esempio il cinema di Bunuel ( l’occhio tagliato di Un chien andalou ). Credo che per Nymphomaniac si possa fare lo stesso discorso : il film è – anche esplicitamente nelle digressioni di Selgman – un profondo discorso sulla sessualità ed il dolore che von Trier ha iniziato con lo splendido Le onde del destino e che lo ha sempre accompagnato. Qui c’è, in più, una matura consapevolezza psicoanalitica accompagnata dalla percezione che il dolore sia una eterna, ineludibile condanna.




La sedia della felicità

di Carlo Mazzacurati. Con Valerio MastandreaIsabella RagoneseGiuseppe BattistonKatia RicciarelliRaul Cremona  Italia 2013

Iesolo. Dino (Mastandrea), fa il tatuatore e se la passa maluccio: un cliente (Daniele Craco) al quale ha tatuato una balena lo paga con un grosso pesce , che lui cerca di rifilare all’ex-moglie (Lucia Mascino) con la quale ha un forte arretrato nel versamento degli alimenti. Bruna (Ragonese) gestisce un centro estetico e ne perde costantemente gli arredi, sequestrati da Volpato (Natalino Balasso) che glieli ha affittati e che lei non riesce a saldare. Bruna ha una cliente in carcere ,Norma Pecche (Ricciarelli), madre di un famoso rapinatore; Norma le muore tra le braccia e le confida di aver nascosto un ricco bottino in una delle otto sedie del suo salotto. Giunta alla villa di Norma, Bruna, che, braccata da un cinghiale, ha chiamato in soccorso Dino, scopre che le sedie sono state sequestrate. Dino ottiene, corteggiando la magistrato Pamela (Roberta Da Soller), gli indirizzi dei compratori. Partono così le ricerche, che coinvolgono, Infruttuosamente, il mago Kasimir (Cremona),due gemelli (Antonio Albanese), un bambino cinese, un pescivendolo afasico (Roberto Citran) e sua sorella (Maria Paiato); proprio da questi ultimi trovano padre Weiner (Battiston), il confessore di Norma, anche lui alla ricerca del tesoro; con il prete vanno da una veggente, Armida (Milena Vukotich) che li spedisce da un fioraio e indiano (Marco Marzocca) ma anche la sua sedia è vuota. Dino ha esaurito gli indirizzi, Armida muore e, quando non sembrano esserci più speranze, una televendita d’arte, gestita da due cialtroni (Silvio Orlando e Fabrizio Bentivoglio), li fa arrivare ad un pittore naif (Mirko Artuso) e a suo fratello (Roberto Abbiati), che nella loro eremitica malga tengono l’ultima sedia.

Dal racconto russo “Le 12 sedie” di Il’ja Arnol’dovic Il’f e Evgenji Petrovic Petrov sono stati tratti numerosi film – tra questi Una su 13 (1969) di Nicolas Gessener e Luciano Lucignani con Vittorio Gassman, Orson Welles e Sharon Tate (l’’ultimo girato dalla moglie di Polanski prima di essere uccisa) e Il mistero delle 12 sedie (1970) di e con Mel Brooks (il più fedele al testo originario e nel quale Dom DeLuise aveva il ruolo del prete). Mazzacurati lo ha usato come pretesto per raccontare, con la poetica ironia che gli è propria, il piccolo mondo di provincia che è l’habitat dei suoi lavori migliori. E’ scomparso da poco e ci mancheranno i suoi ritratti in punta di penna e la sua dolce abilità nel fare del set una casa di amici che lavorano lietamente insieme e qui molti di loro hanno accettato piccole, amichevoli partecipazioni per essergli, una volta di più, accanto.




X-Men: Giorni di un futuro passato

di Bryan Singer. Con Hugh JackmanJames McAvoyMichael FassbenderJennifer LawrenceHalle Berry USA 2014.

In un futuro prossimo, il professor Charles Xavier (Patrick Stewart) e Erik Lehnsherr/Magneto(Ian McKellen), tornati alleati, sono, insieme a pochi X- Men superstiti assediati dalle Sentinelle, giganteschi robot, creati dal prof. Task (Peter Dinklage) per distruggerli. Le Sentinelle sono pressoché invincibili perché hanno catturato il DNA di Raven/Mistica (Lawrence) quando lei ha ucciso Task. Logan/Wolverine (Jackman) viene spedito nel passato per fermare Mistica e al suo arrivo trova Charles (McAvoy), che a seguito del conflitto a Cuba (vedi X-Men – L’inizio) è malridotto, senza poteri e dipendente dagli antidolorifici, con lui c’è solo Hank/Bestia (Nicholas Hoult) mentre Magneto (Fassbender) è rinchiuso in un inaccessibile sotterraneo del Pentagono con l’accusa di aver ucciso Kennedy (in realtà lui aveva solo tentato di deviare il proiettile). Con l’aiuto di Quicksilver (Evan Peters) i tre riescono a liberare Magneto, che però non condivide i loro piani (è convinto che il razzismo degli umani vada combattuto strenuamente). Intanto Nixon (Mark Camacho) dà a Stark l’incarico di costruire le Sentinelle. Il giorno della presentazione delle nuove armi Xavier, Logan e Hank sono tra il pubblico per fermare Raven, che si è mimetizzata nel capo della sicurezza presidenziale; Xavier, con i suoi poteri, si fa tele -trasportare in uno Stadio e arriva anche lui alla Casa Bianca. Lotta finale e sconfitta delle Sentinelle. Questo (se si considerano anche i due Wolverine) è il settimo episodio delle serie X-Men ma è un doppio sequel: sia di X-Men – Conflitto finale, per la parte futuribile che, per il flash-back centrale, di X-Men- L’inizio. Rispetto a Conflitto finale ci sono molte licenze narrative (lì Xavier moriva e Magneto perdeva i poteri) ma è probabile che Singer , che in quell’episodio era stato sostituito da Brett Ratner, abbia voluto riprendere le fila di un proprio discorso mantenendo se mai la coerenza con L’inizio, che era stato diretto da Matthew Vaughn ma da lui prodotto e coordinato nella scrittura. Comunque Bryan Singer è tornato alla guida della macchina e la sua inconfondibile mano di creatore di perfetti labirinti narrativi (lo sappiamo dal tempo de I soliti sospetti) ci ha ridato il fascino dei super-mutanti Marvel senza inutili dispersioni moraleggianti. Unico neo: il povero Nixon sembra uno dei Muppets. Tra gli X-Men ci sono anche Omar Sy (Quasi amici) ed Ellen Page (Juno ma anche X-Men- Conflitto finale).




Saving Mr. Banks

di John Lee Hancock. Con Tom HanksEmma ThompsonColin FarrellPaul GiamattiJason Schwartzman USA 2013

Pamela Travers (Thompson) – siamo nel 1961 a Londra – è da vent’anni assediata da Walt Disney (Hanks) che vuole i diritti del suo libro, “Mary Poppins”, per farne un film. Ora però è rimasta senza soldi ed è costretta a volare a Los Angeles per incontrare Disney. “Mary Poppins” per lei non è solo un libro per bambini , dentro il racconto ci sono gli echi profondi della sua dolorosa infanzia: la piccola Ginty Goff (Annie Rose Bukley) – è il vero nome della scrittrice- vive in Australia con due fratellini , la mamma Margareth (Ruth Wilson) ed il padre Travers (Farrell), un poeta mancato che annega nell’alcool i suoi fallimenti come bancario – lo stesso lavoro di papà Banks , il datore di lavoro della magica tata Mary Poppins ; i continui fallimenti, l’alcolismo e la malferma salute del marito spingono Margareth, costantemente depressa, a tentare il suicidio; ma , nel momento più cupo della famiglia Goof, ecco arrivare , con tano di valigione e ombrello con testa di pappagallo, la zia Ellie (Rachel Griffiths) a mettere un po’ a posto le cose; fallirà però nel miracolo di non far morire papà Travers. La scrittrice è perciò durissima con lo sceneggiatore Don Da Gradi (Bradley Whitford e con gli autori delle canzoni, Richard (Schartzman) e Robert (B.J. Nonak) Sherman e con lo stesso Disney : vuole evitare che un racconto così impastato dei propri dolori divenga una melensa fiaba Disney . Quando scopre che è prevista una sequenza a cartoni animati (con addirittura dei pinguini danzanti!) lascia tutto e torna a Londra. Lì la raggiunge Disney che, raccontandole della propria durissima infanzia con un padre padrone, la convince a lasciare – come ha fatto lui con le sue opere – che il suo personaggio esca da lei per parlare a tutti i bambini.

“Saving mr. Banks” è un tipico prodotto disneyano, non tanto perché racconta una storia della Disney ma per lo spirito che lo pervade: piccole persone con tanti problemi riescono a trovare impensabili soluzioni con un po’ di buna volontà e di ottimismo nonostante tutto. E’ la grande filosofia dell’ “american way of life”, forse un po’ grossolana ideologicamente ma perfetta per comporre deliziose opere cinematografiche come questa. Se poi ai grandi Hanks e Thompson si aggiunge un imperdibile Paul Giamatti – nel ruolo di Ralph, l’autista a cui la Travers, dopo averlo bistrattato, si apre con confidenza – va detto che il film vale proprio il biglietto.




Gigolò per caso – Fading gigolo

di John Turturro. Con John TurturroWoody AllenSharon StoneSofía VergaraVanessa Paradis USA 2013

Murray (Allen) vende libri rari e il suo amico Fioravante (Turturro), di tanto in tanto, lavora con lui; gli affari vanno male e Murray è costretto a chiudere ma la sua dermatologa, la signora Parker (Stone) gli ha chiesto se può presentarle un gigolò e lui convince Fioravante – non bello, non giovane ma esperto e gentile- a farsi avanti. L’incontro, dopo qualche timidezza iniziale, va bene e i due amici decidono di mettersi in affari, con i nomi d’arte di Virgil (Fioravante) e Don Bongo (Murray). Tutto procede e molte facoltose signore si avvalgono dei servizi del disponibile Virgil, tra questa la focosa Selima (Vergara), amica della Parker. Un giorno Murray porta da Fioravante Avigal (Paradis), giovane vedova di un rabbino della comunità ortodossa; lui si limita a praticarle un massaggio rilassante e a farla ballare e così farà in una serie di incontri successivi. Un giorno però Murray viene sequestrato da Dovi (Liev Schreiber )- un poliziotto innamorato di Avigal – e   sottoposto ad un vero e proprio processo dalla severa comunità, mentre Fioravante , impegnato in un menage a trois con la Parker e Selima, fa cilecca e capisce di essere innamorato della vedova. Murray, difeso dell’ avvocato Sol (Bob Balaban), viene assolto e spiega a Dovi che Avigal ha bisogno delle attenzioni che Fioravante aveva saputo darle; il poliziotto si dichiara e lei saluta per sempre, con gratitudine, Fioravante. Quest’ultimo ha deciso di partire ma, proprio quando i due amici si stanno salutando, l’avvenente Loan (Loan Chabanol)… Turturro è al suo quinto film da regista (sesto, se si considera l’incompiuto Prove per una tragedia siciliana) e si conferma autore sensibile ma non sempre capace di dare una composizione unitaria alle proprie opere. Disperso in troppi rivoli , con un cast –paradossalmente- troppo ricco , Gigolò per caso si salva per la solida confezione (merito anche dei nostri Marco Pontecorvo alla direzione della fotografia e Simona Paggi al montaggio) e, soprattutto, per la presenza di Woody Allen in un ruolo non originalissimo ma appoggiato sul suo tradizionale, e sempre divertente, cinismo ebraico. Interessante la colonna sonora, dove troviamo anche vecchie canzoni popolari italiane (echi, probabilmente, del suo precedente Passione) quali Il torrente, nella versione francese di Dalidà e Tu sì ‘na cosa grande, cantata da M’Barka Ben Taleb, conosciuta da Turturro sul set di Passione e da allora sua compagna.




The monuments men

di George Clooney. Con George ClooneyMatt DamonBill MurrayJohn GoodmanJean Dujardin.  USA, Germania 2014.

Lo storico d’arte, Frank Stokes(Clooney), viene incaricato di formare una compagnia speciale di esperti d’arte; recluta così gli americani James Granger (Damon), curatore del Met, Walter Garfield (Goodman),scultore, Richard Campbell( Murray), architetto e Preston Savitz(Bob Balaban), mercante d’arte e due esperti europei :l’inglese Donald Jeffries (Hugh Bonneville) ed il francese Jean Claude Clermont (Dujardin),       . Giunti in Europa i Monumnets Men – così fu chiamato il reparto, al quale si unisce,quale interprete, il soldato ebreo tedesco Sam Epstein(Dimitri Leonidas) – cercano di indicare alle truppe alleate i bersagli da evitare per non distruggere tesori d’arte ma questa parte della missione si rivela pressochèimpossibile ( la guerra ha le sue brutali esigenze)e si danno da fare per recuperare l’enorme quantità di opere che i tedeschi stanno trafugando, in Francia ed in Belgio, per portarle in Germania , dove è in allestimento un grandioso Museo Hitler. Nel frattempo a Parigi, le SS, agli ordini di Goering (UdoKroschwald)stanno raccogliendo , sotto lo sguardo inorridito di Claire Simone (CateBlanchett ), funzionaria delle Belle Arti francesi , migliaia di quadri e sculture e , poco prima della disfatta, le caricano su di un treno diretto in Germania. Alla liberazione della Francia, Claire viene ingiustamente imprigionata come collaborazionista e James , che è entrato in contatto con lei la fa scarcerare e cerca di avere notizie delle opere trafugate. Lei, all’inizio, teme che anche gli americani vogliano portarsi via i monumenti trafugati, poi , anche perché si è un po’ innamorata del bell’americano , gli consegna un quaderno con tutte le notizie utili ad identificare quadri e sculture. In una chiesa a Bruges Donald                  muore, eroicamente, nel tentativo di salvare una Madonna con Bambino di Michelangelo                   e , di li a poco, anche Jean Claude cade vittima di un’imboscata tedesca. Gli altri , riunitisi in Germania, riusciranno a recuperare in una miniera di sale, insieme a tanti altri capolavori, linestimabile Polittico di Ghent e la scultura di Michelangelo , salvandole anche dai russi, ai quali quella zona della Germania era stata assegnata e che avevano intenzione di portare in patria le opere recuperate.

Clooney non è un regista di particolare spessore (anche se “Goodmorning e goodluck” era un film di buona resa) ma qui, verrebbe da dire, non ci prova neanche : mette insieme un notevolissimo cast , prevalentemente di amici, prende un libro di successo che racconta , romanzandola , una storia assai interessante ma non sceglie un perno centrale del racconto, anzi, lo spezzetta in tanti aneddoti slegati tra di loro. Niente a che vedere, insomma, non solo con “Il treno” del grandissimo Frankenheimer , che raccontava la stessa storia vista dalla parte dei francesi ma neanche con “Il tesoro del Prado” , un bel documentario spagnolo sul tentativo da parte del governo spagnolo , negli anni della guerra civile, di sottrarre le opere d’arte racchiuse nel museo ai franchisti.




Maldamore

di Angelo Longoni. Con Ambra AngioliniLuisa RanieriAlessio BoniLuca Zingaretti, Eugenio Franceschini. Italia 2014

Veronica (Angiolini) è sposata con Marco (Zingaretti), il fratello di lei ,il musicista Paolo (Boni), è sposato con Sandra (Ranieri); una sera sono tutti e quattro insieme per festeggiare il compleanno della figlia seienne di Veronica e Marco. I due maschi si appartano e si confidano di essere stati entrambi infedeli : Paolo ha avuto una storia in un viaggio di lavoro, mentre Marco, adultero compulsivo, ha un’amante giovanissima, Beba (Miriam Dalmazio); i due non si sono accorti che il walkie-talkie della bambina è acceso e le due mogli sentono tutto e scoppia la tragedia: Veronica caccia Marco e Sandra, dopo aver confessato a Paolo di essergli stata anche lei infedele, se ne va di casa. Paolo re-incontra per lavoro Sabrina (Eleonora Ivone) , la fidanzata precedente che lui aveva lasciato per Sandra e che ancora ce l’ha con lui. Veronica, intanto, viene pressantemente corteggiata da Luigi (Franceschini), vicino di casa ventenne mentre a Sandra confessa il suo amore il collega Antonio (Ettore Bassi), igienista compulsivo. Marco incontra in un bar Lidia (Claudia Gerini), che lo porta a casa sua per fare l’amore ma, ubriaca, lo ammanetta e poi si addormenta, Beba, chiamata in soccorso, lo libera ma lo lascia per sempre. Le due coppie, dopo qualche giro di sesso in letti estranei, tornano insieme forse più consapevoli. Longoni è regista di buon mestiere e quando può mettere mano ad un progetto solido (vedi il “Caravaggio” televisivo) tira fuori un buon prodotto. Stavolta, però, siamo alle viste di una tipica simil-pochade, di quelle che riempiono i cartelloni dei nostri teatri minori. Niente da dire, ovviamente sulla pochade, sia nell’accezione tradizionalmente teatrale, che nella versione (casareccia ma professionale) del De Sica (con Boldi o con Ghini) delle commedie natalizie: il meccanismo ad orologeria (entra il marito, esce l’amante – si apre l’armadio, si chiude la porta) è , quando oliato alla perfezione, sempre godibile. “Maldamore” è solo una commediola con pochissimi spunti comici e con un cast inadeguato al genere (la più in parte, per dire, è Ambra!). Produce e fa un cameo la Cucinotta.