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Big Wedding (The Big Wedding)

 di Justin Zackham. Con Robert De NiroKatherine HeiglDiane KeatonAmanda SeyfriedTopher Grace USA 2013

Don Griffin (De Niro) è uno scultore di successo ed è stato a lungo sposato con Ellie (Keaton); ora vive con Bebe (Susan Sarandon), che ha cresciuto i tre figli di Don ed Ellie: Lyla (Heigl), avvocato reduce da una delusione d’amore – il suo ex, Andrew (Kyle Bonnheimer), la aveva costretta a stressanti cure contro la sterilità -,Jared (Grace), medico trentenne ancora vergine (aspetta il vero amore) e Alejandro. Quest’ultimo era stato adottato da una madre colombiana, Madonna (Patricia Rae), dai Griffin già in crisi coniugale. Alejandro sta per sposarsi con Missy O’Connor (Seyfried) e per l’occasione la famiglia, compresa Ellie, si riunisce. I Griffin non sono affatto religiosi ma gli O’Connor, Barry (David Rasche) e Muffin (Christine Ebersole), ancorchè bancarottieri e sessualmente ambigui, sì e i due ragazzi debbono incontrare padre Mohagan (Williams) per un ridicolo colloquio prematrimoniale. Alejandro comunica ai suoi che Madonna e la figlia Nuria (Anna Ayora) verranno per il matrimonio e chiede a Don e ad Ellie di fingere di stare ancora insieme per non urtare i sentimenti tradizionalisti della madre naturale. Bebe ci rimane male ma, per amore di Alejandro, se ne va (salvo riapparire nelle vesti di dispettosa maitre nelle riunioni di famiglia). Lyla rivela al padre di essere incinta ma di non aver fatto in tempo a dirlo ad Andrew e Jared scopre che Nuria, a differenza della madre è tutt’altro che frenata nei costumi – fa il bagno nuda nel lago adiacente alla proprietà, gli propone di far l’amore e, durante una noiosa cena con le famiglie, lo masturba sotto il tavolo. La notte Ellie (che, nel frattempo, aveva convinto Nuria a dosarsi meglio nel rapporto con Jared) è costretta, per mantenere la finzione, ad andare a dormire con Don e i due finiscono con il fare rumorosamente l’amore. Bebe lo viene a sapere e si vendica rivelando che, anni prima, Ellie era andata a letto con Barry; Andrew, avvertito da Don, si presenta alla cerimonia e Lyla prima si arrabbia con il padre ma poi ricuce con l’ex; Jared perde finalmente la verginità con Nuria; Madonna si rivela ben più aperta e sensata di quanto Alejandro pensasse e padre Mohagan unirà in matrimonio due coppie : Alejandro con Missy e Don con Bebe.

Dai tempi di Scandalo an Filadefia (1940) e de Il padre della sposa (1950), non si contano le commedie USA incentrate su di una cerimonia nuziale che è particolarmente esemplare della ritualità familiare americana. In realtà, questo film è un remake del francese Mon frère se marie di Jaen-Stephane Bron (2006), con Jean-Luc Bideau e Aurore Clement nei ruoli dei genitori, ma il soggetto originale è stato assai rimaneggiato (la madre naturale, ad esempio, nel film francese era vietnamita e non c’erano risvolti religiosi nel racconto) ed è venuta fuori una sorta di sit-com accorciata non propriamente originale e che tenta di ovviare alla banalità con un cast di grande peso, nel quale tutti fanno il proprio dovere, senza particolari guizzi interpretativi (ad eccezione della Heigl che, anche quando doppia la scoiattolina di Nut job, ci mette lo stesso pathos che darebbe ad un ruolo da Oscar).




Quel che sapeva Maisie (What Maisie Knew)

di Scott McGeheeDavid Siegel. Con Julianne MooreAlexander SkarsgårdOnata AprileJoanna VanderhamSteve Coogan USA 2013

Susanna (Moore) è una rockstar in declino e il suo matrimonio con Beale (Coogan), un uomo d’affari in crisi, è a pezzi, la loro figlioletta Maisie (Aprile) assiste a continui litigi; anche la separazione ed il successivo divorzio sono puntellati da scontri, nei quali spesso la bambina viene usata come pretesto. ll tribunale decide per l’affido congiunto e così Maisie viene sballottata dalla casa della madre al nuovo appartamento del padre, che nel frattempo ha sposato la giovanissima Margo (Vanderham), ex baby sitter della bambina. Anche Susanna, forse per ripicca, sposa un ragazzo molto giovane, il barman Lincoln (Skarsgard). Tanto i genitori sono assenti e distratti, quanto Margo e Lincoln sono affettuosi ad attenti con la piccola, che si lega sempre più a loro due. Blaise parte per l’Inghilterra e, dopo aver illuso per un istante Maisie che la avrebbe portata con sé, se ne va salutandola frettolosamente; la madre – che aveva tentato di sostituire Margo con mrs. Wix (Paddy Croft), una tata vecchia e stanca – parte per una tournèe che dovrebbe rilanciarla e la lascia al bar nel quale lavora Lincoln; lui, però, non c’è e la piccola si ritrova in casa di una cameriera del locale. Margo la va a prendere e la porta in una casetta sul mare e di lì a poco arriva anche Lincoln; Maisie vive un breve periodo di serenità e quando Susanna arriva con il camper della tournèe per portarla con sé, lei si rifiuta e decide di restare con Lincoln e Margo, che intanto si sono messi insieme.

McGehee e Siegel sono al loro quarto film e confermano la vocazione di attenti narratori di crisi familiari (basta pensare a Parole d’amore, con Richard Gere nel ruolo di padre rigido e richiedente).In questo film si sono basti sul romanzo di Henry James, rielaborandolo parecchio: hanno trasferito l’azione da fine ‘800 ai nostri giorni, hanno tolto parecchie asprezze dai caratteri dei due genitori ed hanno fatto concludere la storia con Maisie ancora seienne (mentre nel romanzo una Maisie adolescente sceglie di andare a vivere con mrs. Winx che nel film ha un ruolo secondario e caricaturale ma nel racconto è l’unica a dare amore alla ragazzina). La trasposizione non è del tutto riuscita. Là dove James dà veste letteraria alla sete di affetto della piccola protagonista, il film cade proprio nella credibilità psicologica dei personaggi: al di là della indiscussa bravura degli interpreti, gli adulti sono tutti un po’ tagliati con l’accetta e, per quanto riguarda Maisie, ci si limita a mostrarcela un po’ speranzosa, un po’ serena e un po’ delusa, senza che si colgano le ferite che, inevitabilmente, una situazione come quella narrata provocherebbe in ogni bambino.




Jersey Boys

di Clint Eastwood. Con John Lloyd YoungErich BergenMichael LomendaVincent PiazzaChristopher Walken USA 2014.

Frank Valli (Loyd Young), nel 1951 era un ragazzo di Belleville nel New Jersey e, con grande preoccupazione dei genitori (Kathrine Narducci e Lou Volpe), si era legato a Tommy De Vito (Piazza) con il quale alternava il proprio lavoro di apprendista barbiere a piccole azioni illegali, in collegamento con il boss locale Angelo “Gyp” De Carlo (Walken),e ad esibizioni musicali in localini; una notte i due ragazzi, insieme al fratello di Tommy, Nick (Johnny Cannizzaro), rubano maldestramente una cassaforte e, una volta beccati, i due fratelli scagionano Frank. Gyp lo aveva, peraltro, preso sotto la propria protezione per la sua splendida voce. Frank, Tommy e Nick Massi (Lomenda), formano un complesso e cominciano a girare i locali della provincia con alterna fortuna. Un giorno il loro amico Joey (Joseph Russo), il futuro Joe Pesci, presenta loro Bob Gaudio (Bergen), un giovane compositore pieno di talento, nasce così il quartetto che di lì a poco sceglierà il nome Four Sesons. Il complesso trova un editore in Bob Crewe (Mike Doyle), che, dopo averli sfruttati come coristi di altri musicisti, edita Sherry, il loro primo successo e non li abbandonerà più, firmando anche le parole di molte loro hit. Comincia una stagione di crescente e delirante ascesa ma Tommy, che fa da manager al gruppo, non sa gestire i soldi e, a insaputa degli altri tre ,si indebita pesantemente con il fisco e con un finanziere della mafia, Norm (Donnie Kehr). Chiamato da Frank, Gyp fa da intermediario e ottiene da Norm una dilazione ma il gruppo si sfascia: Tommy deve andare in esilio a Las Vegas e Massi non regge più lo stress. Frank ha anche problemi personali: divorzia dalla prima moglie Mary (Renèe Marino), che non reggendo lo stress delle sua continue assenze si è data al bere e sta con Lorraine (Erica Piccininni), una giornalista che, a sua volta, mal sopporta la vita stressante di Frank e, di lì a poco, lo lascerà. Poco dopo sua figlia Francine (Freya Tingley), a cui lui aveva cercato di facilitare la carriera di cantante, muore di overdose. Frank e Bob vanno comunque avanti e nel ’67 incidono il più grande successo dei Four Seasons, Can’t take my eyes off you..

Eastwood, a 83 anni voleva assolutamente dirigere un musical (aveva già messo la musica al centro dei suoi Honkytonk man, Bird e Piano Blues ma non aveva mai messo mano ad un vero musical); inizialmente aveva pensato ad una riedizione di E’ nata una stella ma poi aveva visto Jersey boys, lo spettacolo di grande successo scritto da Marhall Brickman e Rick Elice e vi aveva trovato vari elementi di somiglianza con i temi a lui cari: l’amicizia, virile, la forza di reagire ad un destino avverso, l’etica individuale disgiunta dal rispetto delle regole. Ha preso molti degli interpreti del lavoro teatrale (oltre al protagonista John Loyd Young, Erich Bergen, Michael Lomeda, Renèe Marino, Erica Piccininni e Donnie Kehr) e ha affrontato l’ennesima scommessa della propria carriera. Il risultato è emozionante: Jersey Boys è un film nel più perfetto stile eastwoodiano (ogni inquadratura ed ogni elemento sono assolutamente essenziali) ma è anche un musical (come da tradizione, giocoso e drammatico) a tutti gli effetti, basta guardare al finale nel quale, al ritmo di Who loves you, tutto il cast balla e canta in un’ideale, travolgente passerella




Le Week-End

di Roger Michell. Con Jim BroadbentLindsay DuncanJeff GoldblumOlly AlexanderJudith Davis USA 2013

Nick (Broadbent) e Meg (Duncan) per festeggiare il trentesimo anniversario delle loro nozze decidono di passare un week end a Parigi; vanno nell’alberghetto di Momtmarte che li aveva ospitati in luna di miele e (non vedendolo più con gli occhi della giovanile passione) si accorgono che è una stamberga; si trasferiscono, quindi, nella suite di un hotel a cinque stelle e, tra affettuosità, baruffe, goliardate (scappano da un ristorante costosissimo senza pagare il conto) e qualche confessione (Nick è stato prepensionato dall’università per una frase innocentemente politically uncorrect detta ad una studentessa di colore e sospetta che Meg gli sia infedele), il fine settimana sembra mettere alla luce le varie crepe del loro rapporto. Incontrano Morgan (Goldblum), saggista di grido che li invita ad una cena per il proprio compleanno; lui è narciso e superficiale ma considera Nick, suo mentore anni prima, un grande maestro di vita e di rigore politico. Morgan vive con la nuova giovane moglie Eve (Davis) e con il figlio Michael (Alexander) e Nick, tra un sorso di whisky e uno spinello, confida al ragazzo la propria paura di perdere Meg; a cena poi, al momento dei brindisi, confessa tutti suoi fallimenti all’amico che lo idealizzava. Tornati in albergo, i due scoprono di non avere i soldi per pagare l’astronomico conto della suite e dovranno chiedere aiuto a Morgan.

La storia è ben pensata, gli attori sono bravissimi, la scrittura ha il giusto alternarsi di ironia e commozione ma la macchina nel suo insieme non funziona: Michell (Notting Hill), si direbbe, ha preso la sceneggiatura di Hanif Kureishi (l’autore dello script di My beautiful laundrette) e la ha messa in scena senza particolare sforzo di fantasia. Il risultato è un film un po’ cartolinesco, come la Tour Eiffel che occhieggia ingombrante da varie inquadrature.




Rompicapo a New York (Casse-tête Chinois)

di Cédric Klapisch. Con Romain DurisAudrey TautouCécile De FranceKelly ReillySandrine Holt   Francia, USA, Belgio 2013

Xavier (Duris), ormai quarantenne, dopo essersi misurato con la propria crescita a Barcellona (L’appartamento spagnolo) e aver fatto decisive scelte affettive e professionali tra Londra e San Pietroburgo (Bambole russe), vive a Parigi con Wendy (Relly), con la quale ha fatto due figli, Tom (Pablo Mugner-Jacob) e Mia (Margaux Mausart); il mènage ha vari scricchiolii e quando Isabelle (De France), la sua storica amica lesbica, gli chiede di donarle lo sperma perché lei e Ju (Holt), la compagna con la quale vive a New York, vogliono un figlio e lui accetta, Wendy lo lascia e parte, a sua volta, con i bambini per New York. Lui, pur avendo iniziato una buona carriera come scrittore, decide di raggiungere i figli e, per qualche tempo, viene ospitato da Isabelle e Ju. Wendy ha un nuovo compagno, John (Peter Herman),e Xavier, che nel frattempo si è insediato in un appartamentino nel quartiere cinese, si deve arrangiare a lavorare in nero come fattorino, anche per pagarsi gli uffici di uno scalcagnato avvocato (Jason Kravitz), che lo assiste nelle pratiche di affidamento dei figli. Un giorno arriva a New York Martine (Tautou), sua vecchia fiamma, che gli chiede di accompagnarla ad un meeting. Lui la ospita per una notte e i due fanno l’amore. Xavier, su consiglio dell’avvocato cerca una moglie americana per avere la carta verde e la trova nella cinese Nancy (Lin Jun Li), cugina di un tassista (Phil Lee) che lui ha soccorso dopo un’aggressione. Nel frattempo Isabelle, che ha avuto una bambina, si è invaghita della baby-sitter (Flore Bonaventura) e Xavier deve aiutarla nella tresca. Martine torna a New York per una vacanza con i suoi due figli e propone a Xavier di rimettersi insieme. Lui ha i suoi guai con l’occhiuto ispettore dell’immigrazione (Peter McRobbie), che non vede chiaro nel suo matrimonio con Nancy. Una situazione da pochade che vede tutti i protagonisti(Xavier, Nancy, Wendy, Isabelle, Ju, Martine, la baby sitter, i cinque bambini e l’ispettore)   entrare ed uscire dalla casa di Xavier, sarà l’inizio di una nuova vita.

Klapish continua (dai tempi di Ognuno cerca il suo gatto) a raccontare il quotidiano di una generazione colta e borghese ancorata ad una forte idea di libertà e di ricerca di una piccola, possibile felicità. Nella trilogia di Xavier Rousseau (L’appartamento spagnolo, Bambole russe e Rompicapo a New York), suo alter ego come l’Antoine Doinel (Jean-Pierre Léaud) di Truffaut, lo snodarsi dei racconti ed i personaggi sono vive e dolci realtà poetiche, raccontate con tenerezza, ironia e, come negarlo, un pizzico di accettabile snobismo intellettualistico (vedi l’attore Jochene Hagele che appare nei panni di Schopenauer o di Hegel a confortare il confuso Xavier).Il film è, insomma, un piccolo capolavoro da non perdere ed un oasi di sano edonismo laico in un mondo sommerso da soffocanti diktat etico-sociali.




La teoria del tutto (The Theory of Everything)

di James Marsh. Con Eddie RedmayneFelicity JonesCharlie CoxEmily WatsonSimon McBurney, Gran Bretagna 2014.

1963. Stephen Hawking (Redmayne) è un brillante studente di cosmologia nella facoltà di Fisica di Cambridge; imbranato ed impacciato, conosce ad una festa Jane Wilde (Jones), studentessa di lettere e comincia a corteggiarla alla sua goffa maniera. Finalmente, al Ballo di Maggio, i due si scambiano il primo bacio. La già brillante carriera universitaria di Stephen ha, intanto, una impennata: il prof. Dennis Sciama (David Thewlis) ha dato ai suoi allievi dieci esercizi di quasi impossibile soluzione solo per vedere come se la sarebbero cavata e lui si presenta con nove brillanti soluzioni (il decimo esercizio non lo ha fatto perché si era messo al lavoro solo un’ora prima), di lì lui si trova, di fatto, già nel giro degli scienziati. Intanto i suoi movimenti si fanno sempre più scoordinati e, dopo una caduta, gli viene diagnosticata una grave forma di atrofia muscolare progressiva che pare gli lasci solo due anni di vita. Disperato Stephen caccia via il suo compagno di stanza e migliore amico, Brian (Harry Lloyd) e tenta di fare lo stesso con Jane ma la ragazza, caparbia, lo convince a stare insieme comunque. Stephen la sposa, si laurea brillantemente e comincia una luminosa carriera di studioso, superando, sempre aiutato dalla eroica moglie, gli aggravamenti della sua malattia. Loro hanno due figli e Jane è sempre più affaticata, tanto che la madre di lei (Emily Watson) la convince a prendersi un po’ di relax, partecipando almeno un volta a settimana al coro della loro chiesa. Qui lei incontra il giovane pastore Jonathan (Cox) e ne diviene amica; una sera a casa degli Hawking lui racconta di aver perso da un anno la moglie e, anche per ritrovare una ulteriore ragione di vita, si offre di aiutarli nel loro complicato menàge (Stephen è famoso e stimato ma non certo abbastanza benestante da potersi permettere un aiuto domestico). Tra Jonathan e Jane nasce un’evidente attrazione e, alla nascita del loro terzo figlio, la madre di Stephen le chiede bruscamente se il padre sia davvero il marito. Jane si indigna ma interrompe la frequentazione con Jonathan. Qualche tempo dopo, Stephen è invitato in Francia per un concerto di musiche del suo amato Wagner e prega Jane, che non sopporta l’aereo, di raggiungerlo, facendosi accompagnare in macchina da Jonathan. Durante il concerto Stephen ha un malore e Jane, che lo ha raggiunto in ospedale, si oppone a che sia staccata la macchina che lo tiene in vita e accetta che sia sottoposto a tracheotomia. Ora lui può muovere solo una mano e non può parlare; viene assunta l’infermiera specialistica Elaine (Maxine Peake), che si rivela decisiva nella sua ripresa (Brian e gli altri amici gli hanno anche installato sulla sedia a rotelle un computer che dà voce a quanto lui digita) tanto che decide di scrivere il suo fondamentale saggio sul Tempo e, quando viene invitato ad un giro di conferenze in America, comunica a Jane che partirà con Elaine. La moglie ne soffre un po’ ma, come era nel disegno di Stephen, ora può stare con Jonathan. Quando la regina lo chiama per insignirlo, lui, grato, si fa però accompagnare da Jane e dai figli. In barba alle previsioni dei medici, Hawking è ancora vivo.

Sono in questi giorni in circolazione due biopic sulle vite di geni della scienza: questo e The imitation game (curioso notare che Benedict Cumberbatch, interprete di questo film sia stato Hawking nell’omonimo tv-movie del 2004), magari anche perché in questo non facile momento storico, non proprio caratterizzato da grande creatività, il racconto di una realtà edificante fa stare sul sicuro. James Marsh è il regista perfetto per questa operazione: il suo documentario Man on wire sul funambolo Petit aveva vinto nel 2009 l’Oscar, raccomandandolo come ottimo cronista di vite eccezionali. Gli attori sono perfetti e , su tutti, svetta la grande prova “a togliere” di Felicity Jones. Difficile gridare al capolavoro ma siamo di fronte ad un film onesto e ben fatto. Non succede poi così spesso.




Come ammazzare il capo 2 (Horrible Bosses 2)

di Sean Anders. Con Jason BatemanCharlie DayJason SudeikisJennifer AnistonJamie Foxx  USA 2014

Nick (Bateman),Kurt (Sudeikis) e Dave (Day) sono sopravvissuti ai loro horrible bosses e, in possesso del brevetto di “docciamico”, decidono di mettersi in proprio. Li raggiunge la telefonata del grande esportatore internazionale Burt Hanson (Christopher Waltz), che vuole avviare con loro un accordo commerciale; arrivati alla Hanson li accoglie il figlio Rex (Chris Pine) che propone loro di acquistare il brevetto per un bel po’ di soldi (provvederà poi lui a far costruire le docce in Cina, a prezzi contenuti); i tre, seppure allettati, resistono ed ecco arrivare Burt che smentisce il figlio e si dice disponibile ad un pre-acquisto di 500.000 pezzi del manufatto ed inoltre dà loro la possibilità di ottenere credito sufficiente per mettere su la loro fabbrica. I tre entusiasti si mettono al lavoro, assumono gli operai (Dave privilegiando lacrimosi casi umani e Kurt assumendo le ragazze più vistose, ancorché prive di qualsiasi esperienza). Completata la fornitura, ecco arrivare la disdetta dell’ordinativo e Hanson spiega loro la sua strategia: la banca, vista la loro insolvenza, ritirerà il fido e lui potrà avere fabbrica e brevetto per un boccone di pane. I tre, disperati, vanno dal loro vecchio amico, il malavitoso Fottimadre Jones (Foxx), che appoggia il piano di Dave di rapire Rex e chiedere un grosso riscatto al padre. Eccoli andare nello studio dentistico della ex-capa di Dave, la ninfomane Julia (Anniston), per rubare una bombola di etere con la quale addormentare Rex. Mentre Kurt e Dave mettono a punto il furto, Julia arriva con il suo gruppo di auto-coscienza per sessuo-dipendenti e Nick, corso in loro aiuto, per permettere loro di eclissarsi si finge gay e la dentista, eccitata all’idea di “recuperarlo”, si accoppia immediatamente con lui. Nella villa di Rex, i tre, sorpresi dall’arrivo del padrone di casa, si rifugiano in un armadio ma fanno un gran baccano per via delle esalazioni del gas esilarante. Rex, sembra non aver sentito nulla ma poco dopo si appalesa e li convince a cambiare il piano: loro lo rapiranno per finta e chiederanno un riscatto molto superiore a quello che avevano preventivato, dividendolo con lui. Alla prima telefonata appare però chiaro che Kurt tiene più ai soldi che al figlio (ha subito chiamato la polizia). Il piano, con qualche modifica va avanti e, nonostante i pasticci combinati dai tre imbranati – Kurt fa avere a Burt il suo smartphone personale, anziché il telefonino non rintracciabile che Jones aveva loro procurato e Dave viene raggiunto da Julia che ha capito tutto e pretende di far l’amore con lui e sua moglie Stacy (Lindsay Sloane), arrivata con le loro tre gemelline, fraintende e lo lascia – nel garage sotterraneo pattuito arriva Harris con la valigia piena di soldi ma ecco che Rex gli spara, getta l’arma a Dave e scappa nel magazzino dove la polizia lo troverà, innocente vittima del rapimento. Fottimadre, che li aveva seguiti per fregarsi il malloppo, insegue Rex e, grazie al telefono di Kurt addosso al finto rapito, il detective Hatcher (Jonathan Banks) capisce cosa è successo, Rex lo prende in ostaggio ma Nick lo salva. Grazie a questo eroico intervento, i tre sono scagionati e, pur perdendo la fabbrica, vi rimangono a capo per conto del nuovo padrone: Dave (Kevin Spacey), l’irascibile ex boss di Nick, momentaneamente in prigione.

Il primo Come ammazzare il capo (e vivere felici) era stato un inatteso successo di botteghino in America (dove aveva incassato più di 160.000 dollari) e nel mondo. Il sequel era inevitabile; cambia il regista, arrivano due nuovi cattivi (Waltz e Pine) ma l’impianto di base è lo stesso; un misto di goliardia, politically uncorrect e caricatura dell’ american way of life, servito da un cast di alto livello, con star di rilievo che si divertono agli eccessi dei loro ruoli; su tutti svetta la sboccatissima Julia della Anniston, che, in maturità, si conferma comedian di grande efficacia.




The Water Diviner

di Russell Crowe. Con Russell CroweOlga KurylenkoJai CourtneyYilmaz ErdoganCem Yilmaz Australia, Turchia, USA 2014

1919 Australia, Connor è un agricoltore e ha qualità di rabdomante; lo vediamo scavare un profondo pozzo in una zona apparentemente desertica e trovare una polla d’acqua. Tornato a casa, la moglie Eliza (Jacqueline McKenzie) gli chiede di leggere, come tutte le sere, qualche pagina delle Mille e una notte ai loro tre figli. I ragazzi però sono dispersi da 4 anni, dopo aver combattuto a Gallipoli in Turchia dove sono morti migliaia di soldati australiani. Il giorno dopo lui trova la moglie morta nel laghetto davanti a casa loro e, dopo aver ceduto il proprio carretto all’avido padre McIntyre (Damon Herriman) per poterla seppellire – ancorché suicida – in terra consacrata, decide di andare a cercare i corpi dei suoi figli per portarne inumare i resti accanto alla loro madre. A Gallipoli, intanto, il tenente colonnello Hughes (Courtney) ha ottenuto la collaborazione del maggiore turco Hajan (Erdogan) e del suo attendente Jemalm (Ylmaz) nell’individuare le zone della vecchia battaglia per poter dare ai tanti morti una sepoltura. Connor arriva ad Istanbul e, circuito dal furbo ragazzino Orhan (Dylan Geogiades) arriva all’alberghetto della madre di questi, Ayshe (Kutylenko) e decide di fermarvisi, La donna ha perso il marito in guerra ma, per non dover sposare il cognato Omer (Steve Bastoni), continua a dichiararsi convinta che lui è vivo e disperso. Il capitano Brindley (Dan Wyllie) del comando inglese ad Istanbul gli nega il visto per Gallipoli e Ayshe – che, dopo una iniziale ostilità per quello che era stato poco prima un nemico, si commuove per la sua disperata missione – lo aiuta a trovare un’imbarcazione. Hughes se lo vede arrivare e, dopo aver invano tentato di farlo ripartire, lo lascia cercare i corpi dei figli; individuata, con l’aiuto di Hajan, la zona dello scontro, guidato dal suo istinto di radbomante trova i resti dei due minori: Edward (James Frazer) ed Henry (Ben O’Toole) e, lì per lì, furioso, si scaglia contro l’ufficiale turco. La mattina dopo si scusa e – avendo capito da un sogno agitato che il primogenito Art (Ryan Corr) è vivo – chiede ad Hajan di aiutarlo ancora e lui gli da indicazione di un campo dove allora potrebbe essere stato portato come prigioniero. Connor torna ad Instanbul e va da Aishe (tra i due è nata una reticente ma crescente intesa e il piccolo Orhan gli si è molto attaccato). Brindley non solo non gli consente di partire per l’Anatolia, dove era il campo di prigionia (è ora zona calda del conflitto greco-turco), ma gli sequestra il passaporto intimandogli di partire due giorni dopo all’alba. Quando però la scorta militare che lo deve accompagnare al battello bussa all’albergo, Aishe lo aiuta a fuggire e lui raggiunge Hajan e, con un drappello di resistenti turchi sale su un treno diretto in Anatolia. Il convoglio viene assalito dai greci, lui salva la vita al maggiore e, a cavallo, i due riescono a fuggire. Nel percorso, Connor vede la pala a vento che aveva sognato quando aveva capito che Art era vivo. Lo trova nella moschea del piccolo villaggio e lo convince a ripartire con lui (il ragazzo si sente in colpa per essere sopravvissuto ai fratelli). Ad Istanbul trova Aishe che lo aspetta e insieme riprenderanno a vivere.

Crowe è alla sua prima regia di un lungometraggio (aveva diretto un paio di corti) ed evita, saggiamente, il rischio del confronto con Gli anni spezzati di Peter Weir del1981, anch’esso basato sulla strage di soldati australiani a Gallipoli. Qui il racconto è tutto incentrato sulle vicende – sembra basate su di un episodio reale – del contadino alla ricerca dei corpi dei figli caduti in battaglia. Il film segue (non sempre riuscendo a trovare l’amalgma) tre tracce parallele: la caparbia volontà del terragno Connor nella sua ricerca, l’ asprezza e l’irrazionalità della guerra e la difficile storia d’amore tra l’australiano e la donna turca. La parte bucolica è indubbiamente la meglio riuscita con momenti assai intensi, il capitolo bellico è (anche per ragioni di budget) più tirato via ma quello che – già in scrittura – non regge è l’appiccicaticcio intrigo sentimentale. Il cast è adeguato e composito (c’è anche la vanziniana Megan Gale nel ruolo di una prostituta turca).