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Soap Opera

di Alessandro Genovesi. Con Fabio De LuigiCristiana CapotondiRicky MemphisChiara FranciniElisa Sednaoui Italia 2014

In una sera di fine Dicembre Francesco (De Luigi) sta facendo l’amore con Patrizia (Guzzanti), una ragazza un po’ masochista che ha conosciuto da poco – lui in realtà soffre ancora per essere stato lasciato da Anna (Capotondi) – quando arriva il suo migliore amico Paolo (Memphys), al quale sta per nascere un figlio ma è angosciatissimo e chiede ospitalità per una notte, poco dopo bussa la dirimpettaia Alice (Francini),un’attrice di soap sessuomane con la mania degli uomini in divisa, per chiedere un preservativo. Patrizia se ne va offesa a morte e poco dopo si sente un colpo di pistola: un vicino si è suicidato. Il giorno dopo Francesco incontra Francesca (Sednaoui), la fidanzata del suicida e la invita a stare da lui fino al funerale. Alla cerimonia partecipano tutti, anche l’avaro padrone di casa Gianni (“Ale” Bettetini) e suo fratello Mario (“Franz” Villa), che vive con lui da quando un incidente causato dal fratello lo ha costretto su di una sedia a rotelle. Più tardi Francesco incontra Anna che gli comunica di avere un nuovo compagno e di essere incinta e gli chiede un appuntamento nel pomeriggio perchè gli deve parlare. Al ritorno, però, Francesco trova il graduato dei carabinieri Gaetano (Diego Abatantuono) che è lì per indagare sulla recente morte e che interroga tutto il condominio. Durante l’interrogatorio Paolo, che ha con sé una pistola, confessa di essere sull’orlo del suicidio perché teme di essersi innamorato di Francesco; Alice non resiste al fascino della divisa della Benemerita e si porta a letto Antonio. Francesco, dopo aver con riluttanza baciato Paolo che scopre così di non vare nessuna pulsione omosessuale, esce con Francesca (tra i due sta nascendo un’attrazione) ed Anna, che lo ha seguito per capire perché non è andato all’appuntamento, dice a Paolo che non ha nessun nuovo amore e che il figlio è di Francesco. Quest’ultimo proprio sotto casa sta per baciare Francesca in macchina ma investe Anna che sta uscendo. All’ospedale nasce il bambino di Paolo e i due ex fidanzati ritrovano l’amore. Siamo a Capodanno e, durante una festicciola dei condomini, Gianni scopre che Mario non è affatto paralizzato e Alice e Antonio decidono di sposarsi.

Genovesi aveva scritto la commedia Happy Family dalla quale Salvatores aveva tratto il film omonimo. Dopo di allora ha scritto(traendone lo spunto da una serie Warner) e diretto i successi La peggior settimana della mia vita e Il peggior Natale della mia vita . Per sua stessa ammissione, venendo dal teatro ama avere con sé sempre gli stessi attori, come a costituire una compagnia di giro. Il risultato si vede: l’affiatamento tra gli interpreti aiuta non poco a rendere con efficacia l’idea di partenza (già dichiarata dal titolo) di mettere insieme una favola sentimentale sopra le righe. L’irrealtà del racconto è inoltre sottolineata dal bel lavoro dello scenografo Tonino Zera all’interno dello studio 8 di Cinecittà – quello dove Scola ha girato Concorrenza sleale e Sorsese Gangs of New York.




Tutto molto bello

di Paolo Ruffini. Con Paolo RuffiniFrank MatanoNina SenicarGianluca FubelliAhmed Hafiene Italia 2014

Giuseppe (Ruffini) è un agente di Equitalia pignolo e maniacale ed è in ospedale per stare vicino ad Anna (Chiara Francini), la ragazza che lui ha messo incinta quando era andato a fare un’ispezione nel negozio del padre di lei, Marcello (Paolo Calabresi), detto Monte Bianco per via della stazza e dell’abbondante forfora; quest’ultimo, frenato a stento dalla moglie Flaminia (Alessandra Schiavoni), odia il futuro genero perché, oltre ad aver messa incinta la figlia, gli ha fatto una multa salatissima. In clinica Giuseppe incontra Antonio (Matano), che fa sciocchi giochetti ai neonati e gli dice di essere anche lui in attesa della nascita del figlio Ciro. Giuseppe esce per andare a mangiare, Antonio gli si incolla accanto e lo porta in una squallida pizzeria dove sono servito da un cameriere laidissimo (Niccolò Senni) e disturbati dall’ insopportabile rocker Eros (Fubelli), sfegatato fan di Pupo. Quando Eros racconta del suo infelice amore per Katia (Chiara Gensini), Antonio trascina Giuseppe a casa della ragazza, sotto le cui finestre Eros canta una insensata serenata; Katia stava facendo l’amore con il suo psicopatico fidanzato Serafino (Angelo Pintus), che si affaccia e, armato di fucile, spara ai tre malcapitati. Poco dopo, di notte, dopo essere sfuggiti alla polizia (Eros si era messo alla guida senza avere la patente), arrivano in una bisca clandestina, gestita da Calogero ( cameo di Saverio Marconi) e qui Eros, entusiasta, incontra Pupo; nel locale arriva un emiro (Hafiene) che manda l’interprete Eva (Senicar) ad invitarli ad una festa. Al loro diniego, l’arabo li fa rapire e stordire. Quando si risvegliano Giuseppe è vestito da Beep Beep e Antonio da Heidi (Eros è già in maschera da rockstar di suo): l’emiro, infatti, organizza feste a tema, nelle quali i personaggi dei cartoni si sfidano (per finta) sul ring .Il Wile Coyote (Lallo Circosta) che si misura con Giuseppe è però un contribuente che lui ha rovinato e lo aggredisce sul serio; Giuseppe riesce ad avere la meglio ed a fuggire insieme ad Antonio – Eros rimane nella villa perchè, nel frattempo ha iniziato una relazione con Pippi Calzelunghe (Claudia Campolongo) – e, dopo un alterco, questi gli confessa che due anni prima il suo bambino non era nato, la sua donna di allora era partita e che lui va tutti giorni nella clinica per ritrovare il piccolo Ciro. Quando tutto sembra perduto, Eva li porta all’ospedale e lì Giuseppe decide di chiamare Ciro il proprio bambino appena nato.

Dopo il sorprendente successo di Fuga di cervelli la produzione Colorado e Ruffini hanno messo insieme, in fretta e furia, un secondo film; solo che il rimo aveva alla base un film spagnolo di grande successo con una bella dose di sana scorrettezza mentre la sceneggiatura di Tutto molto bello fa acqua da tutte le parti e la presenza di comici di punta di Colorado ( Pintus, “Scintilla” Fubelli) e di Stracult (Circosta) – le due trasmissioni condotte da Ruffini – non basta a rimettere in sesto uno script così confuso, così come risolvono poco un paio di spunti curiosi: Pupo che fa ironicamente se stesso e Saverio Marconi, il bambino di Padre padrone ora produttore e regista di musical, che torna ad apparire in una breve figurazione. Si salva invece l’ex divo di Youtube Frank Matano che dà prova di una bella capacità interpretativa.




The Equalizer – Il Vendicatore

di Antoine Fuqua. Con Denzel WashingtonMarton CsokasChloë Grace MoretzDavid HarbourBill Pullman USA 2014

Robert McCall (Washington) lavora in un emporio di casalinghi, è salutista, gentile ed aiuta il suo giovane e timido collega Ralphie (Johnny Skourtis) a prepararsi per le selezioni che lo promuoverebbero a sorvegliante. La notte non riesce a dormire e va in un bar portandosi dietro la propria bustina di tè, qui legge Hemingway e chiacchera con Terry (Moretz), una giovane prostituta sfruttata dai russi. Una sera trova la ragazza piena di lividi dovuti all’incontro con un cliente sadico e fa due passi con lei, cercando di convincerla a cambiare vita. In strada si accosta una macchina dalla quale scendono il gangster Slavi (David Meunier) ed il suo scagnozzo Tevi (Alex Veadov) che portano via Terry. Le sere successive lei non si presenta al bar e Robert viene sapere che è stata malmenata ed è ricoverata in ospedale; lui la va trovare e conosce Mandy (Haley Bennett), una collega di Terry che gli dice che i russi l’hanno massacrata di botte perché aveva reagito alle violenze del cliente. Robert va nel bar gestito dai russi, che è la filiale a New York dell’impero del capomafia Pushkin (Vladimir Kulik), e uccide Slavi, Tevi ed altri tre gorilla. Pushkin manda il suo spietato braccio destro Teddy (Csokas) per scoprire cosa c’è dietro quella carneficina. Mentre Teddy, aiutato dal corrotto poliziotto Masters (Harbour), indaga con i suoi metodi brutali, Robert malmena due poliziotti (Thimoty John Smith e Robert Walker) che taglieggiavano la madre (Luz Mary Sanchez) di Ralphie, costringendoli a restituire il pizzo e recupera l’anello che alla cassiera Jenny (Anastasia Sanidopoulos Mousis) aveva rubato un giovane rapinatore drogato (Owen Bourke). Terry è stata messa al sicuro da Robert ma Teddy uccide Mandy ed arriva a Robert. Lui scampa ad un primo agguato e va dai due suoi ex colleghi – lui è un ex-agente della C.I.A. creduto morto – Brian (Pullman) e Susan (Melissa Leo) e ottiene tutte le informazioni che gli servono su Pushkin e Teddy. Cattura Masters e lo fa arrestare in una retata nella quale vengono sequestrate montagne di dollari, fa esplodere una nave ed un deposito di benzina di proprietà del mafioso e, ottenuto un file con tutte le coordinate dei suoi conti segreti, va da Teddy per convincerlo ad andarsene. Questi finge di accettare ma prende in ostaggio i colleghi di Robert. Lui però, con l’aiuto di Ralphie, fa fuori tutti e va a Mosca ad uccidere anche Pushkin.

Fuqua, dopo Training day, ritrova Denzel Washington in un ruolo di duro (stanno, anche, insieme ultimando il remake de I magnifici 7 con Denzel nel ruolo che fu di Yul Brinner) in questo film che, dopo Miami vice, Strasky e Hutch e Charlie’s angels, trasferisce sullo schermo una serie televisiva del passato; qui, però, il passaggio al grande schermo ha modificato profondamente il personaggio: il Robert McCall (Edward Woodward) della serie CBS andata in onda dal 1985 al 1989 – in Italia, con il titolo Un giustiziere a New York pochi anni dopo sulla Rai2 di Sodano (ed anche un po’ mia) – era, sì, un ex agente ma continuava a combattere la malavita come free-lance, sempre agli ordini di una non precisata Agenzia, mentre il nostro è un giustiziere solitario e maniacale, una sorta di killer salutista (nel senso di igiene alimentare ma anche sociale) dei malavitosi. Hopperiano nelle scenografie, carveriano nei toni è, comunque, un film da vedere.




Take Five

di Guido Lombardi. Con Peppe LanzettaSalvatore StrianoSalvatore RuoccoCarmine PaternosterGaetano Di Vaio Italia 2013

A Napoli, Carmine (Paternoster), idraulico pieno di debiti di gioco, viene chiamato per riparare una perdita dalle fogne nel caveau di una banca. Gli uomini del boss Jannone (Gianfranco Gallo), al quale deve una forte somma, gli rompono un braccio e gli intimano di pagare in pochi giorni; lui va dal ricettatore Gaetano (Di Vaio) e gli racconta della facilità con cui si può arrivare al caveau; Gaetano mette in piedi una “paranza” di 5 elementi: si aggiungono a loro, Sasà (Striano), ex rapinatore che, in seguito ad un infarto, ora campa facendo il fotografo, Salvatore (Ruocco), nipote di Gaetano, già promettente pugile professionista che, avendo rotto una sedia in testa ad un arbitro corrotto, vive di combattimenti di strada e Peppe o’ Sciomèn (Lanzetta), un tempo il miglior scassinatore di Napoli, in perenne crisi depressiva per i tanti anni carcere subiti. La rapina va a buon fine: i 5 tramortiscono due impiegati ed obbligano il direttore (Alan De Luca) ad aprire la cassaforte. Gaetano e Carmine vanno avanti con due borsoni con dentro circa due milioni in preziosi e gli altri tre li aspettano a casa di Sasà. L’attesa però si prolunga e la tensione ed i sospetti si ingigantiscono, anche perché vedono sotto casa due scherani di Jannone, Ninnillo (Antonio Pennarella) e Antonio (Antonio Buonuomo); ordinano qualcosa da mangiare e arriva il piccolo Emanuele (Emanuele Abbate), che però è seguito dai due scagnozzi, che per un contrattempo non riescono ad entrare in casa. I due uomini, sapremo, erano stati mandati da Jannone – che sapeva del colpo perché Sasà, che voleva un trapianto di cuore e sapeva che il boss poteva aiutarlo, aveva concordato di uccidere i complici per dividere con lui il bottino – per controllare ma avevano deciso di prendere per sé i gioielli.   Poco dopo arriva Carmine che spiega che Gaetano – forse morto per le esalazioni – è rimasto con il malloppo nelle fogne e lui è dovuto scappare per l’arrivo della polizia. Torna Emanuele con le sigarette che Sasà gli aveva chiesto e, stavolta, Ninnillo e Antonio entrano con lui ma, in assenza dei preziosi, telefonano a Jannone che intima loro di portargli Sasà e Carmine. Arrivati alla villa del camorrista, i due si trovano al centro di una sparatoria tra gli uomini del capo e gli amici di Ninnillo e riescono a scappare. A casa di Sasà c’è una forte tensione tra Peppe e Salvatore, perché il primo ha cercato di baciargli il sesso mentre dormiva; il fotografo prende in mano la situazione e va con gli altri a cercare le borse e Gaetano. Arrivati al tombino lui e Carmine scendono ma l’idraulico si isospettisce, minaccia Sasà con una pistola e questi lo fredda. Salvatore si spaventa e scappa inseguito da Sciomèn; il pugile quando lo vede lo chiama “Ricchione di merda!” e il vecchio bandito lo uccide, sparandosi a sua volta. Tornato a casa Sasà trova Gaetano che è riuscito a fuggire con il bottino ma arriva anche, ferito, Ninnillo che entra facendosi scudo di Emanuele. Sparatoria finale e chi si godrà il maltolto? Non è difficile immaginarlo.

Lombardi aveva avuto lusinghieri riconoscimenti con Là-bas , ispirato alla strage di Castelvolturno ed ora, con la stessa compagine produttiva, arriva sugli schermi con questa interessante seconda opera, piena di sfide: oltre alla difficoltà di far uscire, dopo la doppia Gomorra, un altro film sulla malavita napoletana, anche l’aver scelto per i protagonisti, oltre al bravissimo Peppe Lanzetta, ben quattro attori/non attori con precedenti penali; Paternoster e Striano (il Bruto di Cesare deve morire) hanno maturato in carcere la propria vocazione, Ruocco è stato davvero un pugile da strada e Di Vaio ha raccontato nel libro Non mi avrete, scritto proprio con Lombardi, la propria esperienza di ex malavitoso diventato produttore e, occasionalmente, attore. Circola nel film una interessante aria da anni’50: oltre al brano di Dave Brubeck che dà il titolo e che è del ’59, si sentono gli echi di Giungla d’asfalto, di Rapina a mano armata, di Rififì, insomma del bel noir, duro, dolente e privo di moralismi.




Sin City – Una donna per cui uccidere. Sin City – A Dame To Die For

di Frank Miller [II]Robert Rodriguez. Con Mickey RourkeJessica AlbaJosh BrolinJoseph Gordon-LevittRosario Dawson USA 2014

Marv ( Rourke), si sveglia con accanto i cadaveri di quattro teppisti, ricorda di averli uccisi e, soddisfatto, si reca allo strip bar Kadie. Qui arriva Johnny (Gordon-Levitt) che, dopo aver rimorchiato l’entreneuse Marcy (Julia Garner) e aver sbancato le slot machine del bar, raggiunge sul retro un tavolo di poker dove siede il potente sen. Roark (Powers Boothe) e lo batte, umiliandolo davanti agli altri giocatori; quando esce dal locale, gli uomini del senatore lo catturano, gli levano i soldi, lo pestano e Roark gli spezza le dita delle mano destra; Johnny va da Marcy, scopre che l’hanno uccisa e si trascina dal dottor Koenig (Christopher Lloyd), il quale, in cambio dei pochi soldi che ha in tasca lo rabbercia alla meglio. Ora lui ha solo i soldi per un caffè ma la cameriera Bertha (Lady Gaga), impietosita, gli dà un dollaro; Johnny torna al bar e, di nuovo, vince un sacco di soldi alle slot, con questi va a sfidare a poker Roark, vince, lo umilia pesantemente e il senatore gli spara in testa. Dwight (Brolin), il difensore delle ragazze dei bassifondi, ha appena ucciso Joey (Ray Liotta) che aveva aggredito Sally (Juno Temple) e da Kadie gli si presenta Ava (Eva Green), la donna per la quale in passato aveva perso la ragione, che gli chiede di salvarla dal sadico marito Damien Lord (Marton Csokas); dopo poco arriva il gigantesco autista Manute (Dennis Haysbert) che la porta via. Dwight va alla villa di Lord ma Manute e gli altri scagnozzi lo riducono in fin di vita; lui va da Gail (Dawson), prostituta killer e, lei, insieme alla feroce Miho (Jamie Chung) lo cura e lo protegge. Una volta guarito, Dwight insieme a Marv e alle due donne torna alla villa, qui Marv abbatte Manute e gli cava un occhio, le ragazze fanno fuori tutte le guardie del corpo e lui uccide Damien. In ospedale però Manute rivela che né lui, né il suo padrone hanno mai fatto del male a Ava, che ha architettato il piano per ereditare le ricchezze del marito. Lei nel frattempo seduce il poliziotto Mort (Christopher Melon) e lo convince ad andare a catturare Dwight; l’agente è talmente preso dalla donna da uccidere il collega Bob (Jeremy Piven), quando questi lo rimprovera, per poi suicidarsi. Ava tenta ancora la carta della seduzione ma Dwight le spara. La spogliarellista Nancy (Alba) si esibisce al Kadie ma beve smodatamente e ha tra gli attrezzi di scena una pistola che punta contro il senatore – il mostruoso figlio di Roark, Bastardo giallo (Nick Stahl), assassino e pedofilo, protetto dal potente padre, la aveva rapita e il poliziotto Hartigan la aveva salvata, morendo, un istante prima che lui la finisse – mentre il fantasma di Hartigan veglia angosciato su di lei. Ora, capisce di doversi liberare dei propri incubi e, dopo essersi sfregiata con un vetro, accompagnata da Marv va dal senatore e, dopo una feroce lotta, riesce ad ucciderlo.

Come il precedente del 2005 anche Sin city – Una donna per cui morire è tratto da alcuni racconti grafici di Steve Miller (Una donna per cui uccidere, Solo un altro sabato sera, Quella lunga, brutta notte e La grossa sconfitta) ma stavolta, almeno in America, Rodriguez e Miller non hanno raccolto incassi soddisfacenti, forse perché è finito l’effetto sorpresa del primo o forse perché il ritardo nell’uscita del sequel (dovuto a difficoltà finanziarie di Rodriguez) ha fatto scemare l’attesa per il sequel – nel quale, peraltro, alcuni personaggi hanno cambiato interprete (Dwight da Clive Owen a Brolin, Manute da Michael Clarke Duncan a Haysbert e Miho da Devon Aoki alla Chung). Il risultato però è sempre di alta qualità e, come il primo, alla tecnica perfetta unisce un’ interessante atmosfera di chiara derivazione dal primo Mickey Spillane: gli eroi giustizieri, il cinismo sentimentale e l’erotismo da pin-up anni’50 sono tipici dei romanzi con Mike Hammer. Il merito è sicuramente del geniale Miller, autore oltre che dei due 300, anche dei due racconti a fumetti che hanno dato vita alla recente saga Batman/Il cavaliere oscuro.




La buca

di Daniele Ciprì. Con Sergio CastellittoRocco PapaleoValeria Bruni TedeschiJacopo CullinIvan Franek Italia 2014.

Oscar (Castellitto) è un avvocaticchio e campa di piccole truffe: una buca nel selciato davanti casa sua gli dà, ad esempio, l’idea di usare un suo cliente, finto invalido (Giovanni Esposito), che al passaggio dell’autobus si dovrà buttare sotto le ruote per riscuotere un adeguato indennizzo. Armando (Papaleo) è appena uscito di galera dopo 27 anni scontati, da innocente, per rapina omicidio e non ha dove andare: la madre svampita (Silvana Bosi) non lo riconosce e la sorella (Lucia Ocone) lo scaccia perché il marito (Fabio Camilli) non vuole un assassino in casa; lo segue solo un cane (Sioux), che lui chiamerà Internazionale. Nel bar di Carmen (Bruni Tedeschi), già quasi fidanzata di Oscar, i due si incontrano e l’avvocato finge di essere stato morso dal cane per spillare ad Armando qualche soldo ma, quando conosce la sua storia- i rapinatori, guidati da Tito (Fabrizio Falco), avevano fatto irruzione, travestiti da camerieri, in una nave da crociera dove Armando e la ragazza da lui amata, Arianna (Valentina Bellè) servivano ai tavoli, era partito un colpo e Tito era fuggito lasciando la pistola nelle mani di Armando; i banditi avevano preso in ostaggio Arianna, erano poi periti nell’incendio dell’auto con la quale erano fuggiti e della ragazza si erano perse le tracce – si offre come legale per la revisione del processo con conseguente favoloso indennizzo. Armando si mette invano in cerca di Arianna ma trova una cameriera (Lucia Lisboa) sua collega sulla nave e il figlio di costei, Nancho (Cullin), ora cantante di flamenco, che, bambino, era con lei sul piroscafo e può testimoniare in suo favore. Rintracciano anche l’indirizzo di Arianna, che ora è in Svizzera e si fa chiamare Rosa ma quando arrivano a casa sua trovano la di lei figlia che dice loro che la donna è morta. Con la testimonianza un po’ forzata di Nancho i due decidono di aprire la vertenza – in fondo la condanna era nata dalla deposizione della cantante Monterosa (Silvana Fallisi) quindi una testimonianza oculare che la contraddica sarà più che sufficiente. Al processo il giudice (Teco Celio), che ha fretta di chiudere perché vuole vedere una partita in televisione , fa cadere in contraddizione Nancho e la sig.ra Monterosa (Sonia Gessner), decrepita ma caparbia, conferma la versione di allora. Tutto sembra perduto ma Tito (Franek), invecchiato e malato, si presenta a sorpresa e scagiona Armando.

E’ il secondo film, dopo E’ stato il figlio, che Ciprì firma senza Maresco (che a sua volta ha diretto il recente Belluscone) e conferma le impressioni suscitate dal precedente: Ciprì è uno splendido direttore di fotografia e tutto il cast tecnico è di primordine, a partire dalle geniali scelte scenografiche di Marco Dentici ( E’ stato il figlio lo aveva addirittura salvato) ma il film fa fatica ad uscire dai teatrini del grottesco (piacevole ma limitativo) nei quali il regista sviluppa la narrazione. Il cast, di conseguenza, è adeguato, anzi (se si esclude la incomprensibile presenza della Bruni Tedeschi) di ottimo livello (ci sono molti amici, compreso il serissimo produttore Amedeo Pagani nei panni di un’ avventore muto ed impiccione del bar) ma il grottesco, per svilupparsi in un racconto complesso, ha bisogno di una autorevolezza di regìa che a Ciprì ancora manca.




Lucy

di Luc Besson. Con Scarlett JohanssonMorgan FreemanAmr WakedChoi Min-sikPilou Asbæk USA, Francia 2014

Lucy (Johansson) è una studentessa americana, vive a Taiwan e si arrangia come può; un ragazzo con il quale sta da poco, Richard (Pilou Asbaek) le chiede di portare una valigetta ad un certo mr. Jang (Min-sik) ma quando la ragazza arriva dei figuri armati uccidono Richard e la portano, terrorizzata, da Jang. Lui apre la valigetta e ne estrae un sacchetto pieno di pillole blu e, dopo aver freddato un drogato (Pascal Loison) a cui le aveva fatte provare, la fa mettere ko. Lei si risveglia con una ferita all’addome e, quando viene portata da Jang, apprende da un sadico inglese (Julian Thin-Tutt) che a lei ed ad altri tre – un tedesco (Wolfgang Pissors),un francese (Jean Olivier Schroeder) e un italiano (Luca Angeletti)- è stato messo nello stomaco un contenitore di CPH4 (questo è il nome della droga); a ciascuno viene dato un biglietto aereo per il proprio Paese d’origine e, una volta prelevata la droga, saranno ben pagati. Lucy viene tenuta in una cella prima della partenza ma un carceriere tenta di violentarla e, di fronte alle sue resistenze, la prende a calci facendo rompere il sacchetto nel suo stomaco. Intanto in una università il prof. Norman (Freeman) sta spiegando che l’uomo usa solo il 10 per cento delle proprie facoltà intellettive e fa delle ipotesi sulla possibilità che qualcosa possa aumentare questa potenzialità. L’effetto del CPH4 su Lucy sembra essere proprio questo: lei, diventata astuta e agilissima, fa fuori tutti i carcerieri e, prese le loro armi, va in un ospedale dove, puntandogli un mitra, costringe un chirurgo (Paul Chan), a tirarle fuori il sacchetto. Dopo aver telefonato a Norman, decide di impadronirsi di tutta la droga in viaggio. Va da Jang, gli ammazza tutti i gorilla e, dopo averlo inchiodato alla poltrona con due pugnali infilati nelle mani, vede, toccandolo, le destinazioni degli altri corrieri. Telefona a Parigi, parla con il commissario Del Rio (Waked), gli comunica i nomi e le destinazioni degli altri, prende appuntamento con lui e con il prof. Norman a Parigi dove sperimenterà su di se l’effetto di tutto il CPH4. Anche Jang con un piccolo esercito, guidato dallo spietato Jii (Nicholas Phogpeth), va alla stazione di polizia per vendicarsi e riprendere le pillole. Le facoltà di Lucy, che si è fatta iniettare tutta la droga, crescono rapidamente e lei e Norman sanno che quando arriverà al 100 per 100 morirà. Dopo un violentissimo scontro a fuoco, Jang sta per ucciderla ma…

Dopo Nikita e Il quinto elemento, Besson ha messo insieme un altro block-buster: Lucy ha spopolato in Francia, in U.K. e in Spagna (sta andando bene anche da noi) ma soprattutto ha avuto grandi incassi in America, dove pochissimi film stranieri hanno un vero successo commerciale. Il regista e produttore francese ha, va detto, un senso speciale nel cogliere le tendenze del pubblico; qui mette insieme, alla brava, action, splatter, ecologismo e pillole di filosofia orientale in mix pasticciato ma efficacissimo e dà alla Johansson , dopo Under the skin e Lei ,il terzo ruolo di donna bionica. Non è tutto perfetto (ci sono buchi di script e situazioni tirate via) ma chapeu al genio del marketing.




Senza nessuna pietà

di Michele Alhaique. Con Pierfrancesco FavinoGreta ScaranoClaudio GioéRenato MarchettiIris Peynado  Italia 2014

Mimmo (Favino) è un bravo capomastro e lavora con l’impresa di suo zio Santilli (Ninetto Davoli), che, dopo la morte violenta di suo padre, lo ha cresciuto e che però è anche un usuraio e lui ha anche il compito di esattore per questa attività: spesso in compagnia del suo amico Roscio (Gioè) sollecita, anche picchiandoli duramente, i morosi a mettersi in regola. Mimmo odia questa parte del proprio lavoro mentre ama costruire le case e soprattutto detesta gli incarichi che gli dà suo cugino Manuel, figlio arrogante e sadico di Santilli. Un giorno Manuel lo incarica di portargli una giovane escort, Tanya, che dovrà allietare un’orgetta che lui ha organizzato nella sua villa con alcuni amici. Mimmo esegue di controvoglia e, per tutto il tragitto, non apre quasi bocca con la ragazza ma, arrivati alla villa, Manuel gli dice che la festa è per l’indomani e che perciò dovrà tenersela in consegna per un giorno. Lui la porta a casa sua e continua a stare sulla difensiva. Il giorno dopo la porta al cantiere e lì trova il muratore Stefanino (Renato Marinetti) disperato perché la moglie Deborah (Samantha Fantauzzi) ha passato la notte con Manuel; dopo un po’ la donna li raggiunge e i due vedono che ha un occhio nero, chiaro segno delle intemperanze di Manuel. Insieme al Roscio Mimmo porta Tanya alla villa e lì Manuel dopo averlo congedato bruscamente comincia a fare giochi aggressivi con la ragazza; Mimmo torna con una scusa qualsiasi e, accecato dal comportamento brutale di Manuel – e, forse, anche dalla gelosia – afferra uno skateboard e lo lascia a terra quasi in fin di vita. I due si rifugiano in una casetta abusiva di Ostia da Pilar (Peynado), una cubana che divide l’alloggio con altre sudamericane. L’indomani mattina Pilar, temendo le reazioni di Santilli, gli chiede di andarsene e Mimmo, che non ha contanti con se -e nemmeno un bancomat perché, orso com’è, non si fida delle banche – deve andare a prendere i soldi a casa; qui trova gli uomini di Santilli che lo aspettavano, riesce ad atterrarli ma busca una coltellata. Roscio lo fa ricucire alla bell’e meglio da un medico suo amico e Tanya lo porta da Pilar. Mimmo è un bestione e si rimette in sesto rapidamente; decide di partire con Tanya (Pilar è riuscita a prendere a casa sua i soldi e qualche vestito). Prima di raggiungerla al pullman, lui va da Santilli per scusarsi dell’aggressione al figlio ma anche per spiegargli che avrebbe voluto fare una vita onesta. Arrivato al capolinea degli automezzi, viene raggiunto dal Roscio che, pur dichiarandogli affetto, lo uccide.

Allhaique è un buon giovane attore ed è al suo primo lungometraggio come regista (aveva già diretto qualche interessante corto). Favino, che lo ha anche prodotto, ha messo molto di sé nel progetto (è addirittura ingrassato di più di 20 chili per interpretarlo) e tutto il cast è ben motivato. Manca però una credibile struttura narrativa. La storia ricorda Pericle il nero, il bel romanzo noir di Giuseppe Ferrandino e, per altro verso Un giorno speciale, la commedia amara di Francesca Comencini ma il racconto è appesantito e manicheo: il noir non consente rallentamenti di tono o, peggio, sospensioni moraleggianti: se ha una morale (Melville insegna) questa nasce dalle cose, i protagonisti vanno verso il proprio destino sospinti dalle proprie pulsioni ed incapaci di soffermarvisi. Qui anche nelle ambiguità, tutti sono ad una (al massimo due) dimensione ed inoltre quel tanto di supporto che poteva venire dalla regia – almeno quella avrebbe dovuto essere secca ed essenziale – viene a mancare per l’inesperienza ma anche la voglia di inutili abbellimenti stilistici. Era nella recente Biennale di Venezia nella sezione Orizzonti.