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Natale col boss

di Volfango De Biasi. Con Claudio GregoriPasquale PetroloFrancesco MandelliPaolo RuffiniGiulia Bevilacqua Italia 2015

Il chirurgo Alex (Greg Gregori) e l’anestesista Dino (Lillo Petrolo), sono specializzati in chirurgia plastica e vengono reclutati a forza da Fefé (Francesco Di Leva), braccio destro del Boss, il quale, mentre era a colloquio con il corrotto ispettore Zaganetti (Enrico Guarneri), è stato fotografato da due poliziotti pasticcioni ma volenterosi, Leo (Mandelli) e Cosimo(Ruffini). Sotto minaccia di essere sciolti nell’acido, i due medici cambiano la faccia del camorrista ma fraintendono le sue indicazione e, anziché dargli i lineamenti di Leonardi di Caprio, lo rendono uguale a Peppino Di Capri (lui stesso). Riescono a fuggire ma Zaganetti (che avevano visto nella tana dei camorristi) li fa arrestare, mettendo loro in tasca della coca. Leo e Cosimo sono stati a loro volta sospesi dal caso dall’ispettore ma decidono di proseguire lo stesso le indagini e, grazie alla soffiata di un informatore cieco (Gianfelice Imparato), vengono a sapere che il Boss ha cambiato aspetto .La moglie di Cosimo, Sara (Bevilaqua), ex poliziotta che vuole tornare in servizio e, per infiltrarsi nel giro della prostituzione, si esercita ad apparire provocante e Cosimo si convince che sia una vera escort e non sa come dirlo al collega. Proprio grazie ai due poliziotti, che lo hanno scortato a forza ad un concerto di Peppino Di Capri, il Boss si immedesima nella sua nuova identità e passa il tempo a studiare il repertorio del cantante tra la disperazione dei suoi uomini. Alex e Dino stanno per essere uccisi in prigione dal feroce Scassacapa (Antonio Pennarella), che però ingurgita una mistura che, secondo Dino, avrebbe dovuto dare una morte apparente e cade stecchito. In quel mentre arriva Leo e Cosimo che li fanno evadere e li nascondono a casa di Sara ma, saputa dai chirurghi la nuova identità del Boss, vanno proprio da lui – che credono il vero Di Capri – e gli spifferano tutto. Fefè e i suoi li sequestrano – dopo un duro scontro a colpi di falli finti (sono nel kit di travestimento di Sara) con la dura ex-agente – e li portano dal capo dei capi (Giovanni Esposito). Fingendosi mafiosi italo-americani, i due medici riescono a fuggire e, in teatro dove deve esibirsi Peppino di Capri, la vicenda avrà il suo epilogo.

Da consumatore , un po’ compulsivo, di cinema credo di potermi riconoscere in altri consumi: quelli di massa nei periodi festivi. E’ certamente giusto riconoscere e segnalare la qualità e la genuinità di ciò di cui fruiamo ma, se Dio vuole, c’è anche una salutare libertà nel tuffarsi nel panettone industriale ma con tanti canditi, nei tortellini pubblicizzati in televisione che sembrano fatti in casa e nel nocciolato venduto al doppio perché chiamato torrone. Vale anche per le commedie di Natale (non userò mai il termine sgradevolmente snobistico “cinepanettoni”): sono fatte in serie, cialtrone e piene di gag adolescenzialmente scatologiche ma fanno festività come un tempo gli zampognari (anche loro, talvolta, erano dei figuranti con un po’ di orecchio musicale). Non saranno il nutrimento ideale dell’anima ma riempiono la pancia e fanno allegria.




Le ricette della Signora Toku (An)

di Naomi Kawase. Con Kirin KikiMasatoshi NagaseKyara UchidaMiyoko AsadaEtsuko Ichihara Giappone 2015

Sentaro (Nagase) gestisce di malavoglia un piccolo chiosco dove prepara e serve i dorayaki (due pancake con in mezzo la marmellata an, fatta di fagioli rossi azuki). Una delle sue clienti è la studentessa Wakana (Uchida), che vive in un piccolo appartamento con la madre (Miki Mizuno) anaffettiva e riversa il suo bisogno di amore su di un canarino canterino. Una mattina si presenta da Sentaro la anziana signora Toku (Kiki), che, per un salario modestissimo, gli chiede di poter lavorare con lui, dicendogli che ha assaggiato i suoi dolcetti e ha trovato buono l’impasto ma immangiabile la marmellata, che lei sa fare molto bene. Sentaro rifiuta scortesemente – non si potrebbe permettere comunque di pagarla ed inoltre la donna è molto anziana e con le mani talmente rovinate da una specie di artrosi da non sembrare in grado di lavorare – ma lei gli lascia un contenitore con della confettura e lui, quando la assaggia, la trova buonissima. Comincia così la loro collaborazione e la Toku, dopo essersi indignata nello scoprire che lui usa una an industriale, gli impone di aprire il chiosco alle 5 del mattino perché la corretta preparazione della confettura è lunga e laboriosa (ai tempi di cottura si aggiungono le pause per ascoltare i segnali dei fagioli e per dare agli ingredienti il tempo di conoscersi e di amalgamarsi). I risultati sono immediati e i clienti si affollano entusiasti al chioschetto. Tutto sembra andare per il meglio ma arriva una visita della proprietaria (Asada) del chiosco, che gli intima di liberarsi al più presto della Toku: ha capito dall’indirizzo della donna – un sanatorio – che la malformazione alle mani è causata dalla lebbra e, anche se non è più contagiosa, se lo scoprissero, i clienti scomparirebbero immediatamente. Sentaro è disperato ma non può far nulla: in passato, in seguito ad una rissa che ha avuto gravi conseguenze, è stato in prigione – e la madre ne è morta di dolore – e quando ne è uscito, ha chiesto al marito della donna un grosso prestito, in cambio del quale lavora nel chiosco. Dopo poco si unisce a loro Wakana che è scappata di casa portandosi la gabbia del canarino, di cui la madre, in seguito alle proteste del condominio, voleva liberarsi. Sarà involontariamente la ragazza a dare notizia della reale natura della malattia della Toku e le vendite scendono precipitosamente. Sentaro non ha il coraggio di licenziare la signora ma lei capisce e, un giorno, dopo aver preparato l’ultima marmellata, scompare. Lui e Wakana – lei le porta il canarino che non può più tenere – la vanno a trovare nel sanatorio e lì conoscono la sua amica Yoshiko (Ichihara), anch‘essa malata, con la quale prendono il tè; la Toku racconta la sua storia: è stata ricoverata da quando era adolescente e lì ha conosciuto suo marito, è rimasta incinta ma i medici la hanno fatta abortire e solo dal 1996 – l’anno nel quale il Giappone ha riconosciuto ai malati di lebbra non contagiosi la libertà di andare in pubblico – ha potuto, ormai vedova e sola, uscire dal sanatorio. La padrona comunica a Sentaro che ha deciso di rinnovare l’attività, affidandola ad un suo nipote, lasciando a lui solo un angoletto per i dorayaki. Lui scompare e Wakana lo cerca disperatamente e lo trova, al colmo della depressione, vicino all’ospedale; insieme trovano il coraggio di entrare e Yoshiko comunica loro che la signora è morta e ha lasciato all’uomo che, con il lavoro, le ha dato gli ultimi momenti felici della sua vita i suoi attrezzi per la marmellata di fagioli e una lettera nella quale spiega quanto la solitudine e l’isolamento nei quali era vissuta le avessero consentito di cogliere i segnali delle cose e delle persone e che in lui, Sentaro, avesse sentito la profonda tristezza ma anche la possibilità di ritrovare se stesso.

Questo è l’ottavo film della Kawase ed è il primo che esce in Italia, grazie alla distributrice Cinema di Valerio De Paolis. Quasi tutti i film della regista – compreso questo che apriva la sezione di Un certain regard – sono stati presentati a Cannes (il primo Moe no suzaku ha vinto la Camera d’Oro nel 1997 e nel 2007 il suo Mogari no mori ha avuto il Premio Speciale della Giuria). E’ la prima volta che lei affronta la riduzione di un romanzo – An di Durian Segekawa (che aveva recitato in un suo film nel 2012) – e, rispetto alla sua tradizionale filmografia molto libera e personale, si trova a doversi confrontare con una trama confezionata. Il risultato è splendido: la poetica della natura, che le è così congeniale, fa da contrappunto ad un racconto di profonda commozione e ad una recitazione, in particolare quella dei due protagonisti, di grande efficacia. Non è facile immaginare l’esito al botteghino del film ma chi lo vorrà vedere avrà una gran bella emozione. Da sottolineare, infine, l’ottima qualità dell’edizione italiana gestita da Marzia Bistolfi.




11 donne a Parigi (Sous les jupes des filles)

di Audrey Dana. Con Isabelle AdjaniAlice BelaïdiLaetitia CastaAudrey DanaJulie Ferrier

Francia 2014

Jo (Dana) è a letto con il raffreddore e le mestruazioni ed ha disperato bisogno di sesso. Ysis (Geraldine Nakache), dopo aver accompagnato i quattro figli a scuola, porta di corsa la borsa che il marito (Gouillaume Gouix) ha dimenticato dalla stilista Lili (Adjani), dalla quale lui lavora. Lì ci sono anche Sophie (Audrey Fleurot), una donna sicura di sé ma – scopriremo – con una grande difficoltà a godere e l’occhialuta Ines (Marina Hands), moglie cornutissima – tutti sanno che il marito Jacques (Alex Lutz) ha una relazione con Jo, che è vicina di casa di Sophie, tranne lei – che sta per affrontare un intervento oculistico per correggere la forte miopia. La sorella di Lili, la ginecologa Sam (Sylvie Testud), passa un periodo di forte tensione nervosa, per placarla fa l’amore con robusti giovanotti ma è sempre in allarme; la sorella, a sua volta, teme che lei le dia la pillola alla figlia adolescente (Clara Joly): la figlia che comincia a fare sesso sarebbe per lei un segno del temutissimo arrivo dell’ età matura. Il marito di Ysis ha avuto una piccola storia con Adeline (Belaidi), segretaria-stagista-vittima della manager Rose (Vanessa Paradis), a capo della più importante società francese di sondaggi, la quale durante un intervista-scontro con un funzionario delle assicurazioni (Rodolphe Dana) si accorge di non avere amiche e incarica Adeline di rintracciargliene una. La segretaria, poco dopo, soccorre Fanny (Ferrier) – autista di autobus piena di tic con una piatta routine con il marito (Nicolas Briancon) – che, a seguito di una violenta testata ad un palo, comincia a mostrare segni di un insaziabile appetito sessuale. Ed ecco Agathe (Casta), amica di Jo, brillante avvocatessa ma con problemi con gli uomini, che è andata da un affascinante avvocato (Pascal Elbe) per un consulto – lei difende la madre di Adeline (Yvonne Gradelet) che ha ucciso il marito che per anni ha torturato psicologicamente lei e la figlia – e, innamoratasene all’istante, produce sonori gorgoglii di stomaco ed è costretta a scappare. Ysis e il marito vanno a cena fuori e al ritorno, al posto della solita baby sitter trovano la titolare dell’agenzia, la gay Marie (Alice Taglioni), la quale fa un’osservazione audace su di lei, che, turbata, si precipita in cortile e la bacia. Sam, nel frattempo ha saputo di avere un tumore e, di fronte ad un pericolo reale, trova una inaspettata forza d’animo con la quale affronta la sorella e le dice in faccia che deve farsi una ragione del tempo che passa. Ines, senza più gli occhialoni, scopre la tresca del marito e lo butta fuori casa; lui va a vivere con Jo e i due si esibiscono in mille pesanti smancerie erotiche davanti alla povera Agathe che vorrebbe rispondere alla coorte dell’avvocato ma teme le reazioni del proprio corpo – e infatti poco dopo a cena prima deve precipitarsi in bagno per vomitare e, quando lui la accompagna a casa, scappa sentendo stomaco ed intestini in subbuglio. Ysis inizia una relazione con Marie e lascia il marito (che crede che abbia scoperto la sua scappatella). Lili, disperata, decide di liberarsi di tutti i vecchi modelli della boutique promuovendo una colossale svendita. Fanny incontra per caso il divo James Gordon (Stanley Weber) – che tutti credono gay – e si accoppia con lui dietro un cespuglio dei giardini pubblici; Adeline e Rose, rivelando su whatsapp le proprie solitudini, diventano un po’ amiche; Ines manda i figli a rovinare il menage del marito e Jo e ci riesce benissimo; Ysis scopre che Marie è una seduttrice compulsiva e Agathe – dopo aver vinto brillantemente la causa – trova la forza per andare a letto con suo amato ma, per ansia, prima gli stacca quasi i capezzoli a morsi e quando lui le dice di amarla ha un attacco di meteorismo. Alla fine della svendita, Lilli, Sam, Marie, Fanny, Ines, Sophie, Adeline e Rose fanno festa in boutique e, ubriache, telefonano a Jo riempiendola di insulti e lei finisce in clinica per un attacco di nervi. Il giorno dopo è il compleanno di Ysis e lei teme di aver perso il marito ma riceve da lui un appuntamento a Place Trocadero e qui tutte le ragazze, d’accordo con lui, ballano e cantano per festeggiarla.

Audrey Dana è un attrice ben nota in Francia e, per la sua prima regia, ha messo insieme un bel po’ di star del cinema francese per una commedia allegramente licenziosa tutta al femminile ( un po’ come aveva fatto Dujardin co-dirigendo e producendo Gli infedeli) e il titolo originale – che , tradotto, recita Sotto le gonne delle ragazze – è già un programma. In Francia il film è andato bene, certamente anche per merito del nutritissimo cast, mentre da noi non ha particolare successo; è vero che la commedia non sempre è esportabile (tendenzialmente ciascun popolo ride delle proprie manie dei propri tic) ma questa è anche piuttosto slabbrata, appesantita – anziché aiutata – dalla presenza di tante dive, ciascuna delle quali deve avere, inevitabilmente, i suoi spazi di protagonismo. Nel 2003 Ozon fece un’operazione simile con 8 donne e un mistero ma la sceneggiatura – tratta dalla collaudata pièce di Robert Thomas – era solidissima e il cast (Deneuve, Huppert, Ardant, Darrieux tra le altre) ben più autorevole.




Loro chi?

51431di Francesco MiccichèFabio Bonifacci. Con Marco GialliniEdoardo LeoCatrinel MarlonLisa BorIvano Marescotti Italia 2015

Il cameriere David (Leo) porta il caffe nell’ufficio di un editor (Antonio Catania) e, all’improvviso, gli punta conto una pistola costringendolo ad ascoltare la lettura di un manoscritto autobiografico, dal titolo Loro chi?: qualche tempo prima lui, dopo aver pubblicato a proprie spese un romanzo rimasto invenduto – solo la zia (Patrizia Loreti) ne aveva acquistato una copia – si ritrova responsabile del marketing di una industria di congegni futuribili. Il Presidente (Marescotti) lo sfrutta pagandolo malissimo (1.300 euro) e gli ha promesso uno scatto di carriera ed un aumento a 1.700 euro se il lancio di un rivoluzionario aspiratore – del quale custodisce gelosamente la formula, nel timore che sia rubata dai cinesi – andrà bene. Il giorno prima della conferenza stampa, lui fa una prova generale alla fine della quale il capo lo tratta un po’ male ma viene accostato dal cameriere Marcello (Giallini), balbuziente e timido, che si congratula con lui e gli chiede di andare a bere una birra insieme (si dichiara molto impressionato dalla professionalità di David); alla fine della serata gli chiede di accompagnarlo da due splendide vicine, Ellen (Marlon) e Mitra (Bor), con cui lui non ha il coraggio di attaccare discorso. Le ragazze sono molto accoglienti e la serata promette bene ma al risveglio David si ritrova, solo e derubato di tutto, nella casa vuota. Si precipita alla presentazione ma ha dormito, sotto l’influsso di un potente sonnifero, due giorni, il lancio affidato al suo incapace e lecchino vice Melli (Vincenzo Paci) è stato una catastrofe e il Presidente lo licenzia in tronco; anche la fidanzata Cinzia (Susy Laude), che dalla sua denuncia ha saputo della notte brava, lo butta fuori di casa. Con qualche soldo e la macchina, elargiti dall’amorevole zia, David cerca, armato di martello, il barista causa della sua rovina. Questi sembra non essere mai esistito ma, quasi per caso, David viene a sapere che si esibirà quella sera con il fantomatico gruppo rock Loro. Nel locale tutti hanno la maschera di Marcello e lui sul palco canta accompagnato da Ellen e Mitra. Quando sta per raggiungerlo un gruppo di bikers suoi fan lo blocca ma lui ruba la moto del loro capo (G-Max) e lo raggiunge. Marcello, dopo aver minacciato il suicidio ed averlo minacciato con una pistola di cioccolata, prima si fa accompagnare a rubare una preziosa chitarra (ma è un falso), poi lo porta nella villa in cui vive con le due ragazze e lì gli propone di fare insieme un colpo con il quale lo risarcirà. I due vanno a Trani con una lussuosa macchina rubata e si fanno passare per un richiestissimo regista e produttore di fiction (Marcello) e il suo assistente (David) in cerca di una location per una lunga serie tv. Il sindaco (Uccio De Santis), sperando in un grande ritorno turistico, li ospita lussuosamente e il boss malavitoso locale promette loro dei sodi se faranno lavorare il figlio diplomato al Dams con una tesi su Kurosawa. Dopo un provino alla Bullitt, il colpo riesce ma David – che ha riavuto i suoi soldi – convince Marcello a fare il colpo grosso: rubare il brevetto dell’aspiratore e rivenderlo per 2 milioni ai cinesi. David si presenta, ubriaco e cencioso, al Presidente e gli dice che dietro la sua disavventura c’era un complotto dei cinesi. L’industriale, spaventato, lo riassume e, intanto, Marcello, fingendosi dirigente dei Servizi Segreti, prende il comando delle operazioni di difesa del server che contiene il brevetto, esautorando il capo della locale stazione dei carabinieri, il maresciallo Gallinari (Maurizio Casagrande). Il colpo riesce ma mentre i due compari scappano, due poliziotti sequestrano il server e Marcello (che ha sempre detto di preferire la morte al carcere) si getta da un dirupo. David disperato scappa ma…

Miccichè e Bonifaci sono entrambi alla prima regia cinematografica (il primo aveva in realtà già diretto un documentario sul padre, lo storico di cinema Lino) e vengono da storie professionali diverse: Miccichè ha al suo attivo varie fiction e Bonifaci ha scritto sceneggiature per comici importanti (Bisio, Luca e Paolo, Albanese, Siani). Si vede che nel film c’è la mano di due professionisti e tutto è piuttosto gradevole – merito anche del buon lavoro di casting della giovane Azzurra Martino, nipote del grande Luciano – anche se, rispetto alla grande tradizione che dallo Pseudulus di Plauto e l’Arlecchino servitore di due padroni (imperitura metafora dell’Italia politica) arriva al Mattatore e a Tototruffa ’62, manca l’ammiccante, ribalda complicità con un paese più furbo che serio ma genialmente consapevole dei propri limiti. Ce lo siamo meritato Alberto Sordi ma, stupidamente, ce ne siamo vergognati.




Gli ultimi saranno ultimi

di Massimiliano Bruno. Con Paola CortellesiAlessandro GassmannFabrizio BentivoglioStefano FresiIlaria Spada Italia 2015

Luciana (Cortellesi), operaria precaria in un’azienda di parrucche, vive ad Anguillara, vicino Roma, con il marito Stefano (Gassmann), bravo meccanico ma refrattario al lavoro e costantemente alla ricerca dell’affare che lo farà svoltare. In paese arriva il poliziotto veneto Antonio (Bentivoglio), trasferito per punizione perché in una sparatoria non ha reagito prontamente, lasciando morire il suo giovane partner. All’inizio del film vediamo lei, sconvolta e piangente che punta una pistola contro Antonio, raccontandogli la propria vita: qualche tempo prima, con l’aiuto del funzionario Finardi (Diego Ribon), aveva fatto assumere con un contratto di tre mesi la sua giovane amica Matilde (Lara Balbo) ma, quando rimane finalmente incinta – lei e il marito ci provavano da anni – la ragazza fa la spia e il capo del personale Saltutti (Francesco Acquaroli) non le rinnova il contratto. Gli amici – Rossana (Silvia Salvatori), Enzo ( Giorgio Caputo), Nadia (Emanuela Fanelli) e Adriano (Marco Giuliani) – li aiutano come possono: danno loro il corredo dei loro figli per il nascituro e le due donne, che condividono una piccola società di catering, la portano a lavorare con loro. Antonio, intanto, maltrattato da colleghi e superiori – difeso solo dalla sua nuova partner di lavoro Loredana (Maria Di Biase), anche lei triste e sola – si è sistemato in una camera in affitto (dai cui impianti igienici, come in tutto il paese, arrivano da pericolose e cancerogene antenne le trasmissioni di Radio Maria) e lì conosce – e se ne innamora – la parrucchiera Manuela (Irma Carolina Di Monte), che in realtà è un trans e si chiama Manuel ma lui non se ne accorge; sarà la madre (Ariella Reggio), che è venuto trovarlo, a rivelarglielo e lui, disperato per la figuraccia, la tratta malissimo. Le cose per Luciana vanno sempre peggio: Stefano ha perso i loro pochi risparmi in un affare sballato di sedie per un ristorante, il padrone di casa (Duccio Camerini) è comprensivo ma comincia a spazientirsi per la loro morosità, Finardi, che le aveva promesso di farla riassumere è sempre più sfuggente (l’azienda inoltre sta passando un periodo di crisi), quando la pancia è troppo evidente, i clienti la protestano e lei deve lasciare il catering. Una sera, dopo una lite accesa con il marito, lui se ne va e riamane fuori tutta la notte. Il giorno dopo c’è la Festa del paese e, mentre vaga, stanca e disperata alla ricerca di Stefano, Simona (Spada) la “collezionista” di uomini – che lei aveva sempre difeso dalle chiacchere malevole delle altre – la invita a casa sua per una sistemata gratuita ai capelli da parte di Manuela e lì lei trova l’accendino che aveva regalato a Stefano, che ha evidentemente passato lì la notte. Sola e disperata – anche il Professore (Franco Graziosi), vecchio amico del padre morto e suo fraterno confidente sembra avercela con lei – va come un automa alla fabbrica e, ignorando il divieto della guardia giurata Bruno (Fresi) – l’altro vigilante Ruggero (Augusto Fornari) come al solito dorme – gli ruba la pistola e va nella stanza dove Saltutti, l’Amministratore Delegato (Marco Falagusta) e la loro segretaria, signorina Graziosi (Alessandra Costanzo) sono in riunione. Parte un colpo di pistola che non colpisce nessuno ma Antonio che è lì vicino in macchina con Manuela, alla quale vuole riavvicinarsi, fa irruzione e…

Gli ultimi saranno gli ultimi nasce come lavoro teatrale, scritto da Massimiliano Bruno con Paola Cortellesi, Riccardo Milani e Furio Andreotti e la Cortellesi era sola in scena, interpretando tutti i personaggi; Bruno, per la sua quarta regia cinematografica, ha deciso di riadattarla; ovviamente alla protagonista si è aggiunto un ottimo cast e, almeno nella prima parte, ha accentuato i toni di commedia; lui si conferma un buon regista, la Cortellesi è molto brava e Gassmann continua ad essere in un buon momento ma qualcosa nell’operazione non funziona: la grande commedia all’italiana era caratterizzata, come questo, film, da buone regìe, attimi attori e caratteristi e una sottile capacità di far passare tra i sorrisi forti temi di attualità mentre qui la commedia ed il dramma sociale non si amalgamano, con il risultato di un piacevole ma altalenante ibrido narrativo.




Spectre – 007

di Sam Mendes. Con Daniel CraigLéa SeydouxRalph FiennesBen WhishawNaomie Harris USA 2015.

James Bond (Craig) è a Città del Messico e, dopo un lungo inseguimento, uccide Marco Sciarra (Alessandro Cremona), membro di un’ignota organizzazione criminale che stava pianificando un attentato. Bond prende l’anello dell’uomo e torna a Londra, dove il nuovo M, Gareth Mallory (Finnies), lo sospende per aver agito senza autorizzazione, causando un grave incidente diplomatico. Successivamente, M incontra il nuovo capo dei servizi segreti congiunti, Max Debingh (Anrew Scott) – nome in codice “C”-, che lo informa della sua volontà di unire i servizi segreti di tutto il mondo e le loro conoscenze e di voler sospendere l’ “antiquato” programma 00. M ne segue disciplinatamente le direttive ma cominci a nutrire qualche perplessità. Bond, accompagnato dall’agente Tanner (Rory Kinnear) che lo sorveglia, si reca da Q (Whishaw), che- da ordini superiori – gli inietta un trasmettitore che lo rende sempre rintracciabile e gli consegna, al posto della solita macchina piena di congegni avveniristici che stava preparando per lui, un semplice orologio esplosivo. Eve Moneypenny (Harris), va a casa sue per portargli nascostamente gli effetti di Sciarra e lì lui le mostra un video postumo nel quale la precedente M (Judy Dench) gli chiede di uccidere Sciarra e di raggiungerne la vedova. Bond –al quale Q ha garantito 48 ore di invisibilità – ruba dal laboratorio la macchina che gli era stata negata e si reca a Roma per presenziare al funerale di Sciarra e conoscerne così la vedova Lucia (Monica Bellucci). Dopo averla sedotta, riesce, grazie all’anello di Sciarra ad infiltrarsi nella riunione della SPECTRE ma, dopo aver appreso che i più importanti traffici illegali del mondo fanno capo all’organizzazione che ha anche organizzato recenti, spettacolari attentati, viene scoperto dal capo di questa, Franz Oberhauser (Waltz), che dichiara di conoscerlo da tempo. Bond atterra il capo della sicurezza Lorenzo (Peppe Lanzetta) e riesce a fuggire inseguito rocambolescamente dal feroce Hinx (Dave Bautista), un gigante con due unghie in acciaio ai pollici con le quali acceca gli avversari. La corsa finisce sul Tevere con la macchina di Bond, che si lancia furi, nel fiume e quella di Hinx distrutta. Bond ha appreso, con l’aiuto di Moneypenny, che la SPECTRE vuole eliminare il suo vecchio nemico mr. White (Jesper Chistensen) e che questi è nascosto in uno chalet austriaco. Lo trova debole e morente per un avvelenamento da tallio inflittogli dall’organizzazione e gli promettere che proteggerà sua figlia, Madeleine Swann (Lea Sydoux), la quale, in cambio, lo condurrà a L’American, dove troverà le indicazione per rintracciare Oberhauser. White, ottenuta la promessa, si suicida. James raggiunge la clinica privata sulle Alpi in cui Madeleine lavora come psicologa, e lì viene raggiunto anche da Q a cui consegna l’anello dell’organizzazione perché lo esamini. Dopo che Bond ha salvato Madeleine da Hinx, Q gli dice che l’analisi sull’anello rivela che era passato per le mani di  Le ChiffreDominic Greene, Mr. White e Raoul Silva, vecchi nemici di Bond, tutti collegati tra loro da una sola persona, Franz Oberhauser, che però pare essere morto vent’anni prima in una valanga assieme al padre. C, intanto, accompagnato dal sempre più dubbioso M e da Tanner, partecipa ad un summit che dovrebbe approvare il programma “Nove Occhi” per l’unificazione dei dati delle intelligence dei nove paesi più importanti del mondo; la votazione richiede l’unanimità e il Sudafrica vota contro ma, dopo che un violento attentato della SPECTRE colpisce Città del Capo, anche il governo sudafricano decide di aderire al programma. Madeleine e James sono giunti a Tangeri e, in una vecchia stanza dell’albergo  L’American, che un tempo White affittava per sé stesso e per la propria famiglia, trovano una mappa e delle indicazioni sulla base della Spectre. Nel treno che li porta a destinazione vengono aggrediti da Hinx e riescono a metterlo fuori combattimento. La stazione nella quale scendono è una baracca diroccata in mezzo al deserto e di lì a poco vengono raggiunti dall’ autista (Walid MumunI) di una Rolls Royce che li conduce alla base della SPECTRE, situata in un cratere. Qui, Oberhauser li prende prigionieri e, dopo aver rivelato di avere come alleato C e di aver organizzato gli attentati per far approvare il programma “Nove Occhi” con il quale avrà le notizie top secret di tutto il mondo, si appresta a torturare 007: lui è il figlio dell’uomo che crebbe Bond dopo che questi rimase orfano, e, per gelosia uccise il genitore e si finse morto, entrando nel mondo del crimine con il nome di Ernst Stavo Blofeld. L’agente, inoltre era stato il più pericoloso nemico della SPECTRE ed ora Franz si appresta a praticargli una lobotomia perché dimentichi tutto ma lui si libera grazie all’ orologio-bomba fornitogli da Q, fuggendo con Madeleine dalla base che finisce distrutta da un’esplosione. Tornato a Londra, Bond, M, Moneypenny e Tanner, si organizzano per fermare l’imminente avvio di “Nove Occhi” . Mentre M penetra nella sede di C, Bond si reca all’ex-sede della M16 e si trova davanti a Blofeld, sfigurato ma vivo. Questi, dopo aver minato l’edificio, gli dice che Madeleine è intrappolata lì dento .Q riesce a fermare l’attivazione dei “Nove occhi”, a ad uccidere C e James salva, all’ultimo istante, Madeline ed insegue con un motoscafo sul Tamigi Blofeld che sta fuggendo su un elicottero. Bond abbatte l’elicottero e, nonostante sia incitato dallo stesso Blofeld a farlo, preferisce non ucciderlo e lo consegnarlo a M. Tempo dopo, James si presenta da Q per ritirare la sua storica Aston Martin e con questa parte da Londra assieme a Madeleine.

P.G. Wodehouse nella sua raccolta di saggi umoristici Più forte e più allegro, parodiando i romanzi polizieschi di Edgar Wallace, immaginava che un cattivo di quei romanzi, volendo uccidere una zanzara, anziché assestarle una ciabattata, le facesse dare un misterioso appuntamento da un losco cinese e la legasse ad un complicatissimo marchingegno mortale. La conclusione dei film di Bond è spesso simile ma l’allegro spirito di avventura sopra le righe che li pervade rende plausibile anche la strana attitudine del malvagio di turno che lo cattura e gli rivela i suoi piani anziché – come nell’episodio del primo Indiana Jones, ripreso da Un americano alla corte di re Artù di Mark Twain – mettere fine ad ogni pantomima con un colpo di pistola. Questa considerazione – che varrebbe per tutti i 24 007 – nasce dall’incongruità del Bond del duo Mendes/Craig: al vecchio James ,fracassone, snob, allegramente e irresistibilmente macho e maschilista (in Goldfinger “guarisce”, buttandola sul fieno, Pussy Galore dall’omosessualità!) si lasciava passare qualunque incongruenza mentre Mendes, al suo secondo Bond, conferma la sua natura di autore (American Beauty e il piccolo gioiello American life) e accentua nel “proletario” Bond di Craig le caratteristiche di personaggio dolente ed empatico che già dal suo primo film della serie, Casinò Royale, gli erano state attribuite. Il racconto è un patchwork di episodi e personaggi dell’intera saga (Hinx, per dire, è un aggiornamento del Jaws di La spia che mi amava e Moonraker, Blofeld è il cattivo di tutti i primi Bond e via citando) ma 007 innamorato infelice (anche Moneypenny non lo fila per niente), che regge poco l’alcool ( talvolta beve addirittura una birra!), femminista e non violento – nel sottofinale butta la pistola – è uno sfregio al mito. Il film, è vero, sta andando bene, però anche il politically correct Soldato blu fu un buon successo ma segnò la fine del western.




Tutto può accadere a Broadway (She’s Funny That Way)

di Peter Bogdanovich. Con Owen WilsonImogen PootsKathryn HahnWill ForteRhys Ifans  USA 2014

La star emergente Isabella Patterson (Poots) racconta all’intervistatrice Judy (Illena Douglas) la propria carriera: era una squillo che, con il nome d’arte Glo, operava nell’organizzazione di Vickie (Debbie Mazar) e un giorno viene spedita nella suite del regista (Arnold Albertson), che però è in incognito. Lui è sorprendentemente gentile, la porta a cena, a letto si rivela un amante “meticoloso” e, alla fine, le regala 30.000 $ perché abbondoni il mestiere e insegua il suo sogno di diventare attrice (sapremo che un suo tic compulsivo; anche Vickie è stata tra le sue beneficate). Conosciamo, intanto, l’isterica psicoterapeuta Jane Claremont (Jennifer Anniston), che ha sostituito nello studio la madre Vivian (Joanna Lumeley) in cura di disintossicazione dall’alcool, mentre bistratto il fidanzato, il commediografo Josh Fleet (Forte); l’analista dopo poco riceve una telefonata disperata del giudice Pendercast (Austin Pendleton), paziente della madre, che, ossessivamente preso da Isabella – al punto da farla pedinare dal detective Harold (George Morfogen) – non sa darsi pace per la decisione della ragazza di smettere. Isabella, per nulla supportata nelle sue ambizioni dai genitori Al (Richard Lewis) e Nettie (Cubill Sheperd),riceve una convocazione per un provino per il ruolo di una ragazza-squillo ma quando arriva a teatro si accorge che il regista è il generoso cliente della sua ultima marchetta; fa per andarsene ma Josh (è lui l’autore della pièce) la butta in scena e lei recita con la famosa Delta Simmons (Hahn),moglie del regista, mentre il protagonista maschile Seth Gilbert (Ifans), che ha visto la ragazza uscire dalla stanza di Albert e che corteggia sfacciatamente Delta, se la ride. Il provino va benissimo e Delta, Seth e Josh – che si è innamorato della ragazza e la ha invitata a cena al ristorante “Nick’s” – insistono con il recalcitrante Albert perché le assegni il ruolo. Da “Nick’s” arrivano anche Albert e Delta, Seth con una (Allegra Cohen) delle ragazze di Vickie , il detective sempre alle costole di Isabella (che, ulteriore complicazione è anche il padre di Josh) e il giudice che, dopo una seduta complicata, ha invitato Jane a cena. Nel parapiglia che consegue a questi incontri,la gelosa Jane dà un cazzottone a Josh e Isabella scappa spaventata. Il giorno dopo Albert, che era riuscita a sviare i sospetti della moglie va con lei in un grande magazzino a fare acquisti e, mentre lei si prova un abito, viene agganciato dalla capo-commessa Margie (Jennifer Esposito) che ad altissima voce gli manifesta la propria gratitudine per averle dato 30.000 dollari, dopo una notte di sesso perché smettesse di prostituirsi. Delta ha sentito tutto e butta fuori di casa Albert. Ora, nell’albergo, nel quale è andato a dormire arrivano nell’ordine: Isabella che porta uno scoiattolino di peluche ad Albert (in riferimento alla battuta-tormentone “Scoiattoli alle noci”, tratta dal film Fra le tue Braccia di Lubitsch che lui usa dire a tutte le sue donne) e gli chiede di non darle la parte (ma lui rifiuta), il giudice che aspetta una nuova escort, la russa Kandy (Lucy Punch), la quale però, per sbaglio va da Seth, che aspetta Delta e non sa come liberarsene; Delta la trova nel bagno e vede Isabella uscire dalla stanza del marito ed è furibonda. Il giorno dopo cominciano le prove e, in qualche modo sull’onda della logica di “The show must go on”, le cose si appianano: Delta perdona Albert, Josh e Isabella si mettono insieme e così fanno il giudice e Jane. Alla prima, sono tutti in sala o sul palco, compresi i genitori di Jane, ora fierissimi di loro figlia che ha un grande successo personale. La commedia è un fiasco ma Isabella si è fatta notare e ora è da Hollywood e, lasciato Josh, si è fidanzata con Quentin Tarantino (lui stesso).

Dopo 13 anni di assenza Bogdanovich torna sul grande schermo con un film che aveva abbandonato nel 2003, alla morte di John Ritter per il quale aveva scritto il ruolo di Albert. Per l’occasione una serie di suoi amici attori recitano anche in piccoli ruoli – a partire da Cybil Shepherd, che aveva esordito insieme a lui ne L’ultimo spettacolo, e Tatum O’Neal, da lui lanciata bambina in Paper Moon e che qui fa una comparsata – per festeggiarne il ritorno. Il film è in perfetto stile Bogdanovich: un misto di pochade, commedia sofisticata satira sociale e, soprattutto, citazioni cinefile (lui, come è noto è anche un grande studioso di cinema ed i suoi saggi su Truffaut, Hitchcock e Ford sono di grande importanza): qui, oltre alla battuta “Noci agli scoiattoli” ( che, inevitabilmente tradotta alla lettera perde il senso originale: nuts vuol dire anche pazzo, sciroccato) da Lubitsch, abbiamo richiami a Colazione da Tiffany, a Wat’s new, pussycat?, a Woody Allen , ad Helzapoppin’ ma anche a …e tutti risero (il detective dai buffi travestimenti). L’insieme è forse un po’ datato ma divertente ed a tratti geniale nella sua assoluta mancanza di realismo narrativo. Nel miglior cinema, si sa, solo quello che è completamente finto è assolutamente vero.




Io che amo solo te

di Marco Ponti. Con Riccardo ScamarcioLaura ChiattiMichele PlacidoMaria Pia CalzoneLuciana Littizzetto Italia 2015

A Polignano a Mare, Chiara (Chiatti) e Damiano (Scamarcio) stanno per sposarsi; lui è il figlio un po’ vitellone del maggiorente del paese don Mimì (Placido) e lei della vedova Ninella (Calzone); i loro genitori si erano molto amati in gioventù ma, quando il fratello di lei, Franco (Antonio Gerardi) era stato arrestato per contrabbando, la famiglia di lui gli aveva imposto si interrompere la relazione e lui aveva sposato la decorosa ma non amata Matilde (Antonella Attili). Le vicende, narrate dalla pettegolissima vicina di Ninella, la signora Labbate (Crescenza Guarnieri), vedono l’inaspettato ritorno di Franco, l’arrivo da Torino dello zio Modesto (Dino Abbrescia) con a fianco l’insopportabile moglie Dora (Littizzetto) a casa della sposa e, da don Mimì, l’ansia di Damiano per l’imprevedibilità del fratello gay Orlando (Eugenio Franceschini), che era andato a Taranto per non fare coming out con la famiglia e che ora preannuncia l’arrivo di una fidanzata. Damiano cede alla corte di una ex-fidanzata, la fulva Alessia (Valentina Reggio) e Chiara si lascia baciare dal fotografo Vito (Michele Venitucci), ricomponendosi all’ultimo istante ma con un vistoso succhiotto, che invano il truccatore Pascal (Dario Bandiera) e la sua assistente Mariangela (Ivana Lotito) si adopereranno per coprire . Un capello rosso nella macchina di Damiano e il segno sul collo di lei rischiano così di compromettere il matrimonio. Intanto Orlando, che ha in paese un amante del quale non sa neppure il nome, – è l’insospettabile Antonino (Beppe Convertini), borghese e regolarmente coniugato – presenta come sua compagna Daniela (Eva Riccobono), vistosa, gay e campionessa regionale di rutti. Il giorno delle nozze Ninella, che fino a qual momento aveva subito le volontà della ricca e prepotente consuocera, si ribella e, nell’ordine, fa accompagnare all’altare la sposa dall’impresentabile zio Franco, impone come cantante nella cerimonia la figlia minore Nancy (Angela Semerano) con velleità da popstar e lascia all’abito da sposa l’ampia scollatura che Matilde aveva preteso fosse coperta. La cerimonia va fino in fondo, anche se il prete don Gianni (Uccio De Santis) ha avvertito la tensione fra gli sposi ma durante il pranzo la situazione precipita: Damiano e Chiara quasi non si parlano e Orlando, prima si fa beccare dal padre chiuso in bagno con Antonino, poi durante il discorso di auguri fa finalmente outing. Damiano e Chiara capiscono che l’amore può essere più forte delle difficoltà e chiedono all’animatore Giancarlo Showman (Enzo Salvi) di far ballare Mimì e Ninella. Nella loro nuova casa saranno accolti dalla altrettanto impicciona gemella della Labbate: la provincia è provincia.

Nell’ultimo anno il nostro sistema produttivo, preso atto della vistosa crisi di pubblico – salvo rarissime eccezioni – del cinema d’autore, si è buttato acriticamente sulla commedia (unico genere con qualche speranza di incassi) ma spesso affidandosi ad autori partiti da altre intenzioni che l’intrattenimento puro. E’ un po’ il caso di questo film: Ponti si era fatto notare con Santa Maradona e A/R Andata + Ritorno, due commedie fortemente giovanili e sociali ma gli hanno affidato prima Passione sinistra – una commediola basata sull’amore che non conosce ideologie – ed ora questo film basato sul romanzo di Bianchini che si rifà alla grande tradizione della commedia sentimental-provinciale (Pane, amore e fantasia e La nonna Sabella); il risultato – rafforzato dal ritorno della coppia Scamarcio-Chiatti dell’iper-mocciano Tre metri sopra il cielo – è piacevole ma appesantito, da un lato, dall’inserimento forzato di ruoli comici (Salvi, Bandiera, Littizzetto) fuori registro e, dall’altro, da un’inopinata scivolata nell’impegno civile – quasi una citazione (anche per la presenza di Scamarcio) del ben più adeguato e coerente Mine vaganti di Ozpetek – che non hanno altro effetto che quello di appesantire un racconto per più versi gradevole e ben calibrato.