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Batman V Superman: Dawn of Justice

di Zack Snyder. Con Ben AffleckHenry CavillAmy AdamsJesse EisenbergDiane Lane  USA 2016

Bruce Wayne/Batman (Affleck) aveva assistito angosciato alla catastrofe che lo scontro tra Superman (Cavill) e il generale kryptoniano Zod (Michael Shannon) aveva provocato a  Metropolis e, in cuor suo, è schierato con quanti lo considerano un pericolo e si prepara, insieme al fido Alfred (Jeremy Irons), un giorno, ad affrontarlo..Anche Clark Kent/ Superman nella redazione del Daily Planet – insieme al direttore del giornale Perry White (Laurence Fishburne) e alla sua fidanzata Lois Lane (Adams) – partecipa ad una campagna contro i metodi violenti di Batman. Intanto, una spedizione, finanziata dal giovane magnate Lex Luthor (Eisenberg) raccoglie i frammenti di kryptonite – micidiale per Superman – caduti nell’Oceano Indiano durante l’esplosione dell’ astronave di Zod. Lois è andata in Africa ad intervistare il ribelle generale Amajagh (Sammi Rotibi) ma viene imprigionata dal capo della sicurezza Anatoli Knyazev (Callan Mulvey) che, quando Superman arriva per salvarla, fugge ma prima fa una strage tra i rivoluzionari ed i civili. La Senatrice June Finch (Holly Hunter) – che già aveva preso di mira il supereroe – apre una commissione di inchiesta sull’accaduto e Luthor le chiede la Kryptonite e il corpo di Zod per fabbricare un arma che lo tenga a bada; lei glie li concede ma ha un ripensamento e lui corrompe un membro della commissione – il senatore Barrows (Dennis North) – e li ottiene ugualmente. Bruce Wayne ha scoperto che la LexCorp di Luthor è in possesso della kryptonite e va ad un party del magnate per carpire i dati dell’archivio dei Lex ma – dopo aver eluso con difficoltà la sorveglianza dell’assistente di Luthor Mercy Graves (Tao Okamoto) – viene preceduto dalla misteriosa Diane Prince (Gal Gadot), che, però, poco dopo gli riconsegna il file che cercava e così lui scopre che lei è una semidea e che ha combattuto come Wonder Woman nella prima guerra mondiale. Oltre ai suoi ci sono i dati di altri esseri dotati di super poteri: Superman appunto, Flash (Ezra Miller), Aquaman (Jason Momoa) , lo scienziato Sylas (Joe Morton) e la sua creatura  Cyborg (Ray Fisher). Inoltre Wayne viene a conoscenza degli spostamenti della kryptonite e decide di rubarla. Si fa costruire da Alfred una bat-car supercorazzata, con la quale abbatte tutti gli uomini che scortano il camion con il minerale ma viene fermato da Superman che lo diffida dal continuare la sua battaglia contro di lui. Successivamente la Finch ordina a Superman di presentarsi alla commissione di inchiesta per un confronto con Wallace Keefe (Scott McNairy) , un uomo che ha perso entrambe le gambe in un incidente e ne incolpa lui. Lex ha però messo una bomba nella sedia a rotelle dell’invalido ed è una strage. L’evento sconvolge Clark – che viene considerato da gran parte dell’opinione pubblica responsabile dell’attentato – che si allontana nel suo rifugio polare. Batman viene in possesso della Kryptonite e ne ricava una lancia e delle bombe fumogene. Intanto Luthor fonde il suo DNA con quello di Zod, per creare un potente essere pronto a uccidere Superman; poi rapisce la sua madre adottiva Martha Kent (Lane) e Lois Lane; getta la ragazza dal suo grattacielo e Superman corre a salvarla ma quando sta per arrestarlo, lo blocca e gli impone di uccidere Batman, minacciandolo che altrimenti Martha verrà data alle fiamme dai suoi uomini. Nello scontro tra i due supereroi, Batman grazie al vapore di kryptonite, ha la meglio e si appresta a finire Superman con la lancia ma, prima di essere ucciso, Clark lo implora di salvare Martha, come sua madre (Lauren Cohan) uccisa sotto i suoi occhi di bambino da un malvivente e lui, turbato, si ferma; giunge   Lois, che gli spiega il folle piano di Luthor e i due eroi decidono di allearsi: lui salva la madre di Clark , mentre Superman torna a fare i conti con Lex ma gli si para contro Doomsday, la versione mostruosa ed ibrida di Zod,. Il mostro sembra invincibile e neanche l’arrivo di Wonder Woman sembra servire a qualcosa. L’esercito sferra un attacco nucleare ma Doomsday ne assorbe l’energia e diventa ancora più forte. Alla fine, Superman dice addio a Lois e con la lancia alla kryptonite uccide il mostro ma muore a sua volta. Al funerale Bruce chiede a Wonder Woman di aiutarlo a formare un gruppo di difensori al fine di difendere la terra. Intanto, la bara di Clark Kent comincia a muoversi.

Snyder, dopo il successo del discusso ma interessantissimo 300, si era visto affidare la regia de L’uomo d’acciao con Cavill nella tuta, molto ornata ed elegante, di Superman. Ora sono di nuovo insieme, accompagnati dal Batman più improbabile di tutti: il bolso e incredulo Affleck. Il regista viene dai videoclip e si vede: il film è un insieme di scene e situazioni oggettivamente slegate dal contesto ed inoltre tutti si prendono troppo sul serio. E’ vero che la DC Comics (che ha diritti dei personaggi) non è mai stata caratterizzata nelle sue storie da particolare ironia (che è invece il sale della produzione Marvel e del suo fondatore Stan Lee) ma qui siamo al santino: per dire, la scena di Superman che salva una bambina durante la Festa dei Morti in Messico e viene circondato da un folla adorante con le tipiche maschere bianche sembra un affresco di quella esplosione di kitsch che è la chiesa di Santa Rita a Cascia – e che ha ispirato il primo grande successo di Paolo Poli Rita da Cascia (è morto da pochissimo ma già ci mancano la sua ironica trasgressione e il suo geniale sarcasmo). In alcuni momenti, più che ad un film, sembra di assistere ad un teaser dei già annunciati Justice League, la risposta DC ai marveliani Avengers. I primi incassi sono, comunque, ottimi.




Mia madre

biblioteca nicolini

Biblioteca Renato Nicolini – Mercoledì 23 Marzo ore 17:00

Proiezione film: Mia madre, regia di Nanni Moretti

È previsto l’intervento dell’attore Renato Scarpa, grande caratterista italiano.

Proiezione Riservata ai Possessori Bibliocard




La corte (L’hermine)

di Christian Vincent. Con Fabrice LuchiniSidse Babett KnudsenEva LallierMiss MingBerenice Sand Francia 2015

Michel Racine (Luchini), il Presidente della Corte d’Assise di Saint-Omer, benchè influenzato, preside il processo a carico del giovane Martial Beclin (Victor Pontecorvo), accusato di aver ucciso a calci la sua bambina Melissa di 7 mesi; la sua compagna Jessica (Ming) è assistita, come parte civile, da una giovane avvocatessa (Claire Assali). Il difensore dell’imputato, avv. Jourd’hui (Michael Abiteboul), si assenta spesso per telefonare e il lavoro sembra gravare sulle spalle della sua giovane assistente (Jennifer Decker); al momento della formazione della giuria Racine ha un impercettibile soprassalto al nome della dottoressa Ditte Lorensen-Cortelet (Knudesn); lui è noto per la sua imperturbabilità ed è soprannominato “due cifre” perché raramente dà condanne inferiori ai dieci anni. Inizia il processo e l’imputato si rifiuta di rispondere a qualsiasi domanda se non ripetendo: “Non ho ucciso Melissa!”; la sua compagna sul banco dei testimoni è confusa e piena di “non ricordo”: viene fuori che è stata imbottita per mesi di tranquillanti, che l’aiutavano a reggere la tensione del pianto interminabile della piccola che soffriva di coliche (lei da poco ha partorito un altro bambino). Il giudice manda un sms alla giurata chiedendole di incontrarla quella sera. Lei accetta e lui – dopo essere passato da casa, in tempo per incontrare la moglie (Marie Rivière) dalla quale si è appena separato e che non vede l’ora di andarsene – la raggiunge in un bar; la conversazione tra i due chiarisce la situazione: qualche anno prima lui era stato ricoverato in seguito ad un brutto incidente e lei lo aveva curato amorevolmente; lui se ne era innamorato ma quando le aveva scritto per dichiararsi lei non gli aveva risposto. Il giorno dopo l’avvocato Jourd’hui espone la sua tesi: il suo cliente, che aveva confessato il delitto, dopo varie ore d’interrogatorio era stato spinto a dichiarare il falso dalla Polizia. Il tenente Massimet (Raphael Ferret) quando è al banco dei testimoni nega ma Racine lo interroga personalmente e lui cade in varie contraddizioni soprattutto in merito a degli anfibi che sarebbero stati l’arma del delitto e si sono misteriosamente duplicati. Racine e Ditte si vedono ancora e lei non sembra indifferente al suo discretissimo corteggiamento; in un successivo incontro con i giurati lui li esorta a non sentirsi in dovere di scoprire la verità – quella la sanno solo l’imputato e la sua compagna – ma ha dare il verdetto più ragionevolmente giusto. Prima della fine del processo lui ha un nuovo appuntamento nel loro solito bar con Ditte ma trova anche la figlia adolescente (Lallier) di lei che ha marinato la scuola per assistere al processo. La ragazza è curiosa e maliziosa: sembra aver intuito qualcosa ma il messaggio di un amica la distrae subito. Arriva il verdetto: Martial viene assolto e la giovane cancelliera (Chloè Berthier) del tribunale che ne conosceva la fama di durezza, si congratula con Racine per l’umanità con la quale ha condotto il processo. Il giorno dopo inizia un nuovo dibattimento e lui aveva chiesto alla dottoressa di rimanere in aula anche se non fosse stata sorteggiata di nuovo come giurata. Il sorteggio la esclude e lei esce ma, poco dopo, rientra.

La Francia, come l’America, ha una grande tradizione di film processuali; basta pensare ad Andrè Cayatte che in Giustizia è fatta, Siamo tutti assassini e Uno dei tre ha affrontato il tema della Giustizia e della sua endemica contraddittorietà. La corte (ma il titolo originale, L’ermellino, rendeva meglio la distanza dal mondo del giudice) è in realtà una scommessa parzialmente riuscita: quella di inserire un tenera e lievissima commedia amorosa in un contesto processuale con al centro un crimine odioso.. A Venezia Luchini è stato giustissimamente premiato per l’interpretazione e Vicent per la sceneggiatura e non per la regia; in effetti – senza nulla togliere a Sisde Babett Knudsen e agli ottimi comprimari (alcuni dall’Academie) – senza Luchini (forse il più grande attore europeo di questi anni) il delicatissimo equilibrio dell’intreccio sarebbe franato. A lui il regista deve essere doppiamente riconoscente: per questo film e per avergli spianato la strada al suo esordio quale protagonista del suo rohmeriano (e da Rohmer l’attore ha cominciato) La timida.




Ave, Cesare! (Hail, Caesar!)

di Ethan CoenJoel Coen. Con Josh BrolinGeorge ClooneyAlden EhrenreichRalph FiennesScarlett Johansson USA 2016

Siamo negli anni ’50. Eddie Mannix (Brolin) è il fixer (lo spicciafaccende) dei prestigiosi studi cinematografici Capitol. Lo vediamo, in piena notte, correre a prelevare la divetta Gloria DeLamour (Natasha Bassett), che si sta facendo incastrare in un servizio fotografico non autorizzato e, con due schiaffi, ricordarle che deve sostenere, con la polizia che è accorsa sul luogo, di essere un’altra persona. La mattina, arrivato nel suo ufficio dove lo assiste l’efficientissima segretaria Natalie (Hethel Goldenhersch), riceve una telefonata dal boss che gli impone di assumere il divo dei western Hobie Doyle (Ehrenreich) come protagonista della commedia sofisticata diretta da Laurence Lorentz (Finnies); poi partecipa ad una riunione con un prete cattolico (Robert Pike Daniel), uno ortodosso (Amazd Stepanian), uno protestante (Allan Havey) e un rabbino (Robert Piacardo) per accettarsi che il colosssal religioso, interpretato dal divo più prestigioso degli studios, Baird Withlock (Clooney) non possa avere critiche negative dalle autorità religiose; eccolo, subito dopo, andare sul set del nuovo film della diva-nuotatrice Deena Moiran (Johansson): lei è incinta e non vuole sposare il padre del bambino, il regista europeo Arne Seslum (Christopher Lambert), ma Eddie la convince a farlo per non rovinarsi l’immagine con lo status di ragazza-madre. Hobbie, fuori dalle cavalcate e la canzoni country, è negato alla recitazione ed Eddie suda sette camicie per rabbonire il disperato Lorentz. Sul set del colossal due comparse sono in agguato e, dopo, aver drogato Withlock, lo rapiscono e lo portano in una lussuosa villa sul mare; qui lo accoglie un gruppo di sceneggiatori comunisti accompagnati da Herbert Marcuse (John Bluthal) e il loro portavoce (Max Baker) gli spiega le ragioni politiche di quel rapimento; il tonto Baird si infuoca subito a quelle idee. Alla Capitol arriva una richiesta di riscatto di 100.000 $ ed Eddie si fa dare la somma dall’amministratore Stu Scwartz (Basil Hoffman) e la mette in una valigetta. Hobbie è nel suo ufficio e quando Eddie gli rivela l’accaduto, dopo avergli consigliato di tenere sotto controllo le comparse , decide di darsi a sua volta da fare. Eddie, prima di consegnare la valigetta va da Arne, che sta girando un musical con il famoso attore-ballerino Burt Gurney (Channing Tatum), per chiedergli di sposare Deena ma questi ha già moglie e figli in patria; d’accordo con Stu, Mannix architetta di mettere in campo il fidatissimo Joseph Silverman (Jonah Hill): questi farà apparire il nascituro come suo e poi la diva lo adotterà, guadagnandosi così anche la commozione dei fan. Nei viali degli studios, arrivano anche le gemelle Thora e Thessaly Thacker (Tilda Swinton), che si detestano e minacciano di pubblicare, l’una uno scandalo di anni prima (il donnaiolo Baird, per avere il suo primo ruolo da protagonista, era andato a letto con Lorentz) e l’altra la notizia della scomparsa del divo (sicuramente – lei pensa – in una storia di alcool e sesso); a Thora Eddie promette una intervista esclusiva con l’attore e a Thessaly dà il gossip di un flirt tra Hobie e l’ attrice sudamericana Carlotta Valdez (Veronica Osorio); perciò fa in modo che Carlotta accompagni il cowboy alla prima del suo ultimo western. Durante la proiezione i due simpatizzano davvero ma, quando sono in un locale, lui nota un avventore con una valigetta uguale a quella dei soldi che aveva visto da Eddie e prende e seguirlo: si tratta di Gurney. E’ proprio il ballerino il proprietario della ville del sequestro e il capo della cellula comunista. Ora, accompagnato ai remi dai compagni, va verso un sottomarino sovietico ma il suo cagnetto Engels, fa un salto dalla barca verso di lui e la valigetta (contributo di Hollywood alla causa comunista) finisce in mare, La polizia, avvertita da Hobie arresta tutti gli altri ed Eddie – dopo aver deciso di rifiutare,, d’accordo con la moglie (Allison Pill), l’allettante offerta del talent scout (Ian Blackman) della Lockheed di un lavoro ben pagato, più sicuro e meno stressante nell’industria aereospaziale – la sera tardi fa incontrare Deena e Silverman (non ci sarà bisogno di nessuna adozione: dopo una notte di sesso lei lo sposa immediatamente). L’indomani mattina dovrà prendere a ceffoni Baird perché ritrovi se stesso dopo quel rapido lavaggio del cervello e nella scena finale del colossal lui sarà intensissimo.

Il grandissimo umorista inglese Wodehouse aveva passato alcuni anni ad Hollywood come sceneggiatore e ne ha tratto alcuni racconti esilaranti – il termine yesman, oggi di largo uso, fu coniato da lui proprio per indicare gli ossequiosi dipendenti dei tycoon cinematografici. Non so se i Cohen hanno letto qualcuna di quelle storie ma certo lo spirito è proprio quello: rappresentare la ridicola Babilonia del cinema come un mondo infantilmente semplice, nel quale risoluti personaggi riuscivano a risolvere i problemi più complessi. Non so neanche se loro hanno avuto presente il Saro Urzì di Sedotta e abbandonata di Germi ma, certo, Eddie Mannix è proprio di quella meravigliosamente ipercinetica pasta. Certo, non é il prodotto migliore dei due geniali registi; il precedente A proposito di Davis era un piccolo capolavoro di nicchia ma qui, in un film certamente più accattivante, sfogano tutta la loro sconfinata cinefilia, mettendo in scena Marcuse, e citando Dalton Trumbo (la più illustre vittima del maccartismo qui tratteggiato nel ruolo del capo degli scrittori comunisti), Gene Kelly (Burt Gurney), Esther Williams(Deena Moiran), Gene Autrey (Hobie Doyle), le pettegole Edda Hopper ed Elsa Maxwell (Thora e Thessaly Thacker) e i vari registi di origine europea Siodmak, Lang, Sirk (Arne Slesum), né manca un’autocitazione: la Capitol è la Casa di Produzione al centro degli intrighi del loro Barton Fink. Non tutto funziona in questo allegro pasticcio; alcune gag sono – vedi le buffe elucubrazioni dei comunisti – più divertenti sulla carta che sullo schermo ma l’Eddie Mannix del perfetto Brolin si aggiunge alla lunga schiera dei mediocri vincenti/perdenti della imperdibile galleria dei Cohen.




Legend

di Brian Helgeland. Con Tom HardyEmily BrowningDavid ThewlisChristopher EcclestonChazz Palminteri

1966. Nell’East End di Londra Reggie Kray (Hardy) è, insieme al fratello Ron (Hardy),omosessuale e psicopatico, un temuto boss e l’ispettore Nipper Read (Eccleston) – che si è dedicato alla sua incrimazione come ad una missione – lo pedina platealmente, facendosi sbeffeggiare da lui e dai suoi uomini. Una mattina va a prendere il suo autista Frank Shea (Colin Morgan) pronto a punirlo per essere in ritardo ma gli apre la sorella Frances (Browning) e lui se ne innamora subito e la invita a cena, facendo preoccupare la madre di lei (Tara Fitzgerald). Sabato sera la porta nel suo locale, un cocktail bar frequentato da malavitosi, nobili e star; mentre si esibisce Timy Yuro (Duffy), Reggie è chiamato dal suo braccio destro, Mel (Ian Barrie) ad occuparsi di uno scagnozzo, Jack “The Hat” McVitie (Sam Spruell), che ha fatto la cresta; lui la sbriga rompendogli il naso con un pugno e torna a fare il galante al tavolo di Frances. Ron è in prigione e, se riconosciuto insano di mente, dovrà essere internato in un manicomio criminale. Reggie spedisce il forzuto Pat (Adam Fogerty) ad intimidire il dott. Humphries, incaricato di stilare la diagnosi e Ron viene rilasciato ma il medico raccomanda a Reggie, di badare che prenda sempre delle pillole tranquillanti, perché la salute mentale del fratello è assai precaria. L’impero dei Kray è sempre più in ascesa, anche perché Ron è riuscito a coinvolgere Lord Boothby (John Sessions) in loschi affari ed in festini gay; il premier laburista Harold Wilson (Kevin McNally), venuto in possesso di alcune foto delle orge è costretto a mettere tutto a tacere: nelle immagini sono riconoscibili anche membri del suo partito e così i fratelli, che stavano subendo un nuovo processo, vengono, una volta di più, assolti. Non solo: il loro rivale Charlie Richardson (Paul Bettany), dopo aver mandato il suo vice George Cornell (Shane Atwooll) per attirare i gemelli in una trappola (ma i due, a pugni e martellati, avevano steso tutti gli uomini di Richardson e Ron l’aveva giurata a Cornell che lo aveva deriso per la sua omosessualità), era stato arrestato e condannato ad una lunga detenzione. Ora i Kray sono i padroni di Londra, anche grazie alla consulenza di Leslie Payne (David Thewlis), il commercialista della gang. Sarà questi ad organizzare il loro incontro con Angelo Bruno (Chazz Palminteri), il rappresentante a Londra di Meyer Lansky, il gangster che aveva ideato Las Vegas, il paradiso del riciclo di denaro sporco. Ron è recalcitrante (non si fida di Leslie e teme di dover avere un ruolo subalterno rispetto alla mafia USA) ma l’incontro va bene ed i due fratelli acquistano un casinò che moltiplica i loro guadagni. Reggie, però, deve scontare 6 mesi di una vecchia condanna e, appena uscito dal carcere chiede a Frances di sposarlo ma quando escono per festeggiare, trovano il locale, gestito da Ron e dai suoi due amanti, Ronnie Hart (Chris Mason) e Leslie Holt (Charley Palmer Rotwell), in piena rovina; i fratelli si picchiano selvaggiamente e Frances (che il geloso Ron aveva insultato velenosamente) scappa, decisa a troncare al relazione. Reggie le promette di cambiare vita e viene fissata la data delle nozze. Alla cerimonia la madre della ragazza si presenta vestita di nero: sa che quel matrimonio sarà la rovina della figlia. In effetti, Reggie continua la solita vita, è sempre assente e lei diventa sempre più dipendente dagli ansiolitici. Ron fa una nuova sciocchezza: Cornell picchia il proprietario di un locale sotto la protezione dei Kray e lui va nel pub dove sta bevendo e, davanti a sette avventori e alla barista (Lorraine Stanley), gli spara in testa e, tranquillo, va a prendere il tè dalla mamma (Jane Wood). Lì lo raggiunge Reggie, al quale la madre raccomanda di proteggere – come sempre – il delicato fratello. Frances prega Reggie di lasciare che la giustizia faccia il suo corso (Ron, lei lo ha capito, è ormai ingestibile e porterà alla rovina il fratello) ma poco dopo incontra casualmente la barista e, dalla sua espressione terrorizzata, capisce che gli uomini di suo marito hanno intimidito lei e gli altri testimoni. Decide di andarsene, Reggie lo scopre e la picchia ma lei, risoluta, fa le valige e si rifugia da suo fratello. Lì lui la raggiunge e le promette un viaggio ad Ibiza ed una nuova vita e lei, consapevole che non potrà liberarsi di lui, finge di acconsentire e si uccide coi barbiturici. Ora Reggie, solo e disperato, si isola e Ron, approfittando della sua assenza manda “The Hat” ad uccidere Payne. Il sicario lo ferisce solamente ed il commercialista, in cambio di protezione per se e per la sua famiglia, confessa tutto. Reggie va a casa del fratello che ha organizzato un party e, davanti a tutti accoltella “The Hat”. Moriranno entrambi ergastolani.

Dalla storia dei fratelli Kray, nel 1990 Peter Medak aveva già diretto I Krays con Martin e Gary Kemp (i gemelli leader degli Spandau Ballet) nei due ruoli principali, dando alla loro storia un forte taglio psicoanalitico – non a caso il film d’esordio del regista ungherese era stato il pamphlet edipico La classe dirigente. Helgeland nasce sceneggiatore specializzato in noir – L.A. Confidential, Mystic river, Debito di sangue – e la sua prima regia è Payback – La vendetta di Porter, violento remake di Senza un attimo di tregua di John Boorman dal romanzo di Richard Stark e qui prende le mosse dal libro The profession of violence di John Pearson per raccontare, come lui stesso ha dichiarato la leggenda dei Kray(omette volutamente alcuni episodi di efferata violenza dalla loro biografia). Forse non ne è venuto un grandissimo film ma è esemplare la forza e la briosità con la quale le fantastiche e crudeli vicende del lato oscuro della swinging London si muovono sullo schermo: insieme ai fratelli assassini vediamo, in un caleidoscopico balletto, Timy Yuro – oggi pochi la ricordano ma negli anni ’60, grazie alla canzone Hurt (portata al successo anche in Italia da Fausto Leali con la cover A chi) era una grande star– Sonny Liston, Joan Collins, Shirley Bassey, la crème della nobiltà e della politica inglese e la loro storia ci appassiona e ci coinvolge. Aiuta, certo la bella scrittura e il fantastico cast, a partire da Tom Hardy sempre più bravo (posso sommessamente notare che in Revenant quando c’è lui sullo schermo, Di Caprio scompare?), fino al sommo Thewlis, grande fool shakespeariano anche nel ruolo di un arido contabile.




Tiramisù

di Fabio De Luigi. Con Fabio De LuigiVittoria PucciniAngelo DuroAlberto FarinaGiulia Bevilacqua  Italia 2015

Antonio (De Luigi) è un informatore sanitario di scarsa fortuna: il capo della società Medicix che rappresenta, Gissi (Nicola Pistoia) non gli consente di vendere i farmaci ma solo garze e cerotti. Sua moglie Aurora (Puccini), maestra precaria, ha, però, fiducia in lui e, amorosa, gli prepara un ottimo tiramisù, per gustare il quale sono spesso a casa loro, il fratell di lei, Franco (Duro), proprietario di un avviatissimo centro di abbigliamento modaiolo, programmaticamente cinico (ma non cattivo) e puttaniere e il loro amico Marco (Farina), che gestisce una mescita-discoteca, dal nome Vini e vinili, con esiti fallimentari. Franco presenta ad Antonio il dott. Mannini (Bebo Storti), l’amministratore delegato della Salutex (un’avviata società farmaceutica), e lo fa assumere ad ottime condizioni. Ad Antonio viene affidata la linea pediatrica e lui si fa confezionare da Aurora un bel po’ di tiramisù, con i quali entra nelle grazie di vari medici, a partire da Massimo (Giovanni Esposito) che – complice la curiosità della moglie Vanessa (Anna Tognetti) per la ricetta – diventa suo amico e lo guida nella conoscenza degli altri dottori (e delle modalità con le quali possono essere corrotti): unico ostacolo l’inaccostabile prof. Galbiati (Pippo Franco), primario di pediatria una torta alla sua infermiera di fiducia, Suor Maria (Teresa Piergentili) procura il sospirato appuntamento ma Galbiati è onestissimo e profondamente convinto dell’efficacia di una dieta sana e di semplici rimedi naturali; per fortuna però lui sta per andare in pensione e, mentre gli altri suoi colleghi si arruffianano il vice più anziano, Franco gli consiglia di farsi amico il giovane dott. Casiraghi (Paolo Casiraghi), spregiudicato carrierista. Sarà proprio questi il nuovo primario e per Antonio è la svolta: ottimi guadagni, un prestigioso ufficio da dirigente, una bella villa sul lago e la corte della bella collega Stefania (Giulia Bevilacqua), alla quale lui non è certo indifferente ma – titubante come sempre – non riesce ad andare in fondo. La carriera è al culmine quando, con una fornitura di apparecchiature mediche fallate, si aggiudica un grosso appalto, sbaragliando la concorrente Medicix ma a casa le cose vanno meno bene: lui è troppo preso dal lavoro e dall’infatuazione per Stefania e la moglie si sente trascurata. E’ di nuovo Franco a sbloccarlo chiedendogli di tradire la sorella per salvare il loro matrimonio. Lui trova una scusa con Aurora e parte per il desiderato week end di sesso ma, in macchina, gli arriva una telefonata di Mannini che gli comunica che il Presidente della società, Hubner (Orso Maria Guerrini), sta per nominare il nuovo direttore generale e lo vuole suo ospite per valutarlo; è però indispensabile che Aurora sia con lui – l’antiquato e rigido Hubner tiene alla perfetta armonia familiare dei propri dirigenti. Antonio, dopo un whatsapp ultimativo a Stefania, fingendo un improvviso attacco di nostalgia affettiva, convince Aurora a partire con lui. Nella villa la moglie di Huber, Olga (Autilia Ranieri), ha modo di apprezzare le qualità di lei mentre lui con il presidente se la cava come può. Aurora, che ha saputo da Olga che il marito – ben lungi dall’averla voluta accanto per affetto – aveva semplicemente bisogno della sua presenza, la sera successiva – nella quale sono a cena da loro vari ospiti, tra i quali il Ministro della Sanità (Fabrizio Rozzi) – lo lascia all’improvviso; costringendolo a rimediare alla cena con delle pizze ordinate alla vicina trattoria gestita da due pasticcioni (Maria Di Biase e Corrado Nuzzo), che non riescono a capire la comanda. Al rientro in ufficio, lo attende un nuovo colpo: il posto di direttore è stato assegnato alla vendicativa Stefania. Deluso, disperato Antonio, incontra Galbiati che lo incita a cercare quello che realmente conta per lui; Antonio lascia il lavoro e, attraversando in bici l’Italia, raggiunge Aurora nel paese dove lei ha accettato il ruolo di supplente.

Dopo il deludente Meglio vedovo, inopinato remake dell’irraggiungibile Il vedovo, De Luigi affronta la sua prima regia con una storia molto accostabile ad un’altra pietra miliare delle cinematografia di Alberto Sordi, Il medico della mutua. Il paragone è ingeneroso ma, aldilà del raffronto tra i due comici e le due regie (il film del ’68 era dell’ottimo Luigi Zampa) salta agli occhi la differenza tra i due modelli produttivi: Sordi era servito da sceneggiature perfettamente calibrate e contornato da navigatissimi caratteristi, De Luigi si barcamena tra sketches un po’ slegati e cabarettisti della factory Mediaset (Duro da Le jene, Nuzzo e Di Biase da Zelig, Farina da Colorado), che sembrano essere lì per completare le clausole del loro contratto con il network. Non voglio, però, esagerare in negatività: l’esordio di De Luigi è piacevolmente funzionale (del resto, per mantenere il paragone, non è che Sordi fosse un gran regista) e la sua maschera – perfezionata dai Il peggior… della mia vita – mantiene una solida riconoscibilità.




Deadpool

di Tim Miller. Con Ryan ReynoldsMorena BaccarinEd SkreinT.J. MillerGina Carano  USA 2016

Un supereroe dal costume rosso, Deadpool (Reynolds), si fa portare dal tassista indiano Dopinder (Kan Soni), nel luogo dove troverà l’odiato nemico Francis/Ajax (Skrein), con la sua banda; arrivato sul posto fa una strage e inchioda Francis – che è un mutante e non sente dolore – al guardrail con una katana e, rivolto agli spettatori, racconta la storia che lo ha portato lì: il suo nome è Wade Wilson e, dopo un passato da marine  con un curriculum di quarantuno morti, si era messo a fare il mercenario. Lo vediamo, all’inizio, terrorizzare un pizza-boy (Style Dayne), su incarico di una ragazza vittima del suo stalking. Compiuta la missione, si era recato, come sempre, nel pub per sicari, gestito dal suo cinico ma sincero amico Weasel (Miller), che faceva anche contrabbando d’armi e organizzava, nel locale, una lotteria, chiamata “dead pool”, in cui si scommetteva su chi sarebbe morto prima e Wade era in testa alla classica. Qui aveva incontra la prostituta Vanessa (Baccarin) e, dopo una girandola di reciproche, pesanti allusioni sessuali, i due erano finiti a letto. Era cominciata una relazione, tutta basata su giochi erotici estremi ma che era diventata un grande amore, tanto che i due avevano deciso di sposarsi e di cambiare vita ma lui era sato colto da un improvviso malore e le analisi cliniche lo avevano rivelato affetto da un cancro terminale a vari organi del corpo. Disperato, era andato a sbronzarsi al pub e qui era stato avvicinato da un misterioso reclutatore (Jed Rees), che gli aveva detto di essere in grado di farlo curare con una tecnica che, oltre a guarirlo, gli avrebbe donato dei poteri eccezionali. Wade lo aveva cacciato in malo modo ma, dopo vare abbandonato Vanessa per non farla soffrire, era andato nel misterioso laboratorio del dottor Francis Freeman, un mutante che si faceva chiamare Ajax e, con l’aiuto della potente e sadica Angel Dust (Carano) torturava atrocemente i pazienti per far emergere in loro il gene X (quello dei mutanti) e renderli dei super-mercenari. Wade, dopo varie torture, era stato posto all’interno di una macchina che gli forniva con l’ossigeno minimo per sopravvivere; questo trattamento aveva risvegliato in lui il gene mutante che lo aveva guarito e reso fortissimo, agilissimo e in grado di guarire rapidamente da qualsiasi ferita ma lo aveva deturpato orribilmente. Wade, – che era riuscito a fuggire dal laboratorio – si era imposto di non tornare più da Vanessa per via del suo aspetto e si era messo a caccia di Francis per costringerlo a rendergli l’aspetto originario. Si era confezionato un costume da supereroe (prima bianco, poi rosso perché coprisse le macchie di sangue), aveva assunto il nome di Deadpool (in ricordo della lotteria), era andato a vivere da una vecchia nera cieca, Al (Leslie Uggams) e, facendo fuori vari membri della banda di Ajax, era riuscito a sapere dove l’avrebbe trovato. Eccolo, perciò, ora nell’autostrada, circondato da cadaveri, che minaccia il dottore perché lo guarisca ma, all’improvviso arrivano due X-Men, Colosso (Andrè Tricoteux) e l’adolescente Testata Mutante Negasonica (Brianna Hildebrand), che lo vogliono reclutare e convincere a desistere dalla violenza distruttiva; mentre i tre discutono, Ajax riesce a scappare e, poco dopo va nel pub dei mercenari e lì scopre l’esistenza di Vanessa; Weasel avverte immediatamente Wade e con lui vanno allo strip-club in cui la ragazza lavora ma Vanessa viene rapita da Francis nel retro del locale. Questi dà a .Deadpool un appuntamento per lo scontro finale e lui, dopo essersi fatto dare da Weasel tutte le armi del suo arsenale, si reca alla scuola dei mutanti per chiedere l’aiuto di Colosso e Testata. I tre si recano sul luogo dell’appuntamento e nello scontro finale, i due X-Man sconfiggono Angel Dust mentre Wade fa fuori tutti gli uomini di Ajax e questi, irridente, afferma di non poter restituire a Wade l’aspetto originale. Colosso cerca di convincere Deadpool a comportarsi da paladino della giustizia (lui per farsi aiutare aveva promessi di entrare negli X-Men) ma lui spara in testa a Francis e mostra a Vanessa – che è infuriata per come lui l’ha abbandonata- il suo vero volto; la ragazza ha un attimo di repulsione ma l’amore riaffiora e i due cominciano a limonare pesantamente, nell’imbarazzo del puritano Colosso, che copre gli occhi di Testata.

Nel 1981 – la commedia cinematografica era in forte crisi: in televisione si vedevano spettacoli divertenti, con ottimi comici e, superate le antiche restrizioni censorie, bellissime soubrette abbastanza scoperte- uscì un filmetto a budget limitato tutto basato su vecchie barzellette “sporche”, Pierino contro tutti, diretto dal non eccelso Marino Girolami e con protagonista il carattterista Alvaro Vitali; al botteghino fu un trionfo. La volgarità spicciola del film era l’unica cosa che la televisione non forniva. Ora, con l’avvento dei nuovi, diffusissimi web network (Netflix tra gli altri), pieni di serie di grande qualità creativa e produttiva, spesso assai trasgressive rispetto al passato, il cinema commerciale USA sta cercando nuove strade. Le costose operazioni, zeppe di superstar, basate sugli eroi Marvel (tipo X-Men e Avengers) si sono rivelate preziose in questa chiave e, da un altro verso, ecco il tentativo di aggiornare ai gusti dei ragazzi, un supereroe Marvel già violento e trasgressivo di suo, Deadpool appunto. L’operazione, affidata all’esordiente Tim Miller (che come produttore esecutivo aveva, però, collaborato ad Heavy metal, a Millennium e a Thor-The dark world), è consistita, non solo nel sottolineare le componenti di violenza e di ironia che erano già nel fumetto ma di aggiungervi un di più di splatter e di sesso estremo (Vanessa,ad esempio, nei comics è un combattente mercenaria mentre qui è una libidinosa prostituta). Reynolds, che aveva già interpretato il personaggio con un cameo in X-Men, le origini: Wolverine e che era stato il supereroe Lanterna verde, era stato fortemente voluto da Stan Lee (il creatore della Marvel) e si è rivelato una buona scelta: è un vero attore e rende credibile qualunque situazione, per eccessiva che sia. Il resto del cast è furbo ed adeguato alla guasconata e va dal divo di serie tv (Trono di spade, Transporter) Skrein, allo sboccato comico Miller fino alla campionessa d’arti marziali Carano. Gli incassi in America sono ottimi e anche da noi sta andando piuttosto bene.




Perfetti sconosciuti

di Paolo Genovese. Con Giuseppe Battiston, Anna Foglietta, Marco Giallini, Edoardo Leo, Valerio Mastandrea Italia 2016

La psicoterapeuta Eva (Kasia Smutniak) e il marito Rocco (Giallini), chirurgo plastico, stanno preparando per gli amici che stanno per venire a cena; sono il tassista Cosimo (Leo) e sua neo-moglie, la veterinaria Bianca (Alba Rohwacher), l’avvocato Lele (Mastandrea) sposato con la casalinga Carlotta (Foglietta) e il professore precario di ginnastica Peppe (Battiston) (la cena in realtà è stata organizzata proprio per conoscere la sua nuova fidanzata Lucilla).

Carlotta ha trovato una scatola di preservativi nella borsa della figlia adolescente, la affronta e la ragazza esce sbattendo la porta, mentre il marito sembra indifferente; Bianca e Leo, prima di arrivare, fanno l’amore e decidono di provare ad avere un figlio; Lele, in bagno, armeggia con un cellulare e la moglie beve un gran sorso di vino di nascosto e, un attimo prima di uscire, si sfila, rapida, le mutandine (sapremo, poi che ha una corrispondenza erotica con uno sconosciuto su Facebook).

Arrivano alla spicciolata, Peppe è l’ultimo e si presenta da solo: Lucilla ha un febbrone e non può muoversi. Comincia la cena e vari commensali armeggiano col telefonino, così Eva ha un’idea: metteranno tutti il telefono sulla tavola e ogni telefonata sarà condivisa da tutti. Rocco e Lele hanno qualche resistenza ma la reazione delle loro mogli e l’insistenza di Peppe, entusiasta del gioco, li convince ad aderire alla trovata. A tutti i maschi della compagnia, tranne Peppe, arriva una convocazione per giocare a calcetto e lui ci rimane un pò male; una telefonata del padre ad Eva, che le comunica di averle preso un appuntamento in Svizzera con un noto chirurgo plastico costringe lei a confessare di volersi rifare le tette e a giustificarsi con il marito, che sa che il suocero (barone della medicina) lo ha sempre disprezzato, anche professionalmente, per via delle sua umili origini.

Dopo poco, prima di servirsi del polpettone, vanno tutti in terrazza perchè per quella sera è annunciata un’eclisse e Lele ne approfitta per chiedere a Peppe di scambiarsi i telefonini: lui ha una giovanissima amante che tutte le sere gli manda una sua foto osè. Peppe, recalcitrante, accetta e, puntuale arriva la foto della bella ragazza nuda che gli vale gli sfottò degli amici. A Lele continuano ad arrivare telefonate di Marika, la centralinista della compagnia di radiotaxi, ma lui, d’accordo con la moglie, non risponde per evitare di farsi incastrare in qualche sostituzione di servizio.

Carlotta, in cucina, avverte Eva che il marito va da una psicoanalista e lei, che non ne sapeva niente, se ne risente. Poco dopo la figlia telefona a Rocco, rivelando che è stato lui a darle i preservativi e chiedendogli consiglio su come comportarsi con il fidanzatino che vuole che lei dorma con lui; lui si rivela un padre saggio e comprensivo, lasciando Eva stupita ed ammirata. Ecco arrivare un messaggio sul telefono di Lele (che in realtà è quello di Peppe) di un certo Lucio, l’avvocato si impappina e, ad ogni nuovo sms, non sa come cavarsela sino a che appare la scritta: ”mi mancano i tuoi baci” e Carlotta, stravolta, gli chiede se ha una relazione omosessuale; lui, considerandolo il male minore, conferma, facendola inorridire (non ha mai, quindi, saputo chi aveva accanto) e beccandosi gli insulti di Cosimo: lui era il suo migliore amico e non doveva tenergli nascosta una verità così importante. Cosimo, esasperato, rimane in casa mentre gli altri vanno in terrazza e qui un messaggio dell’ex di Bianca (“ho voglia di scopare”) fa infuriare Cosimo; in realtà l’altro è oramai solo un amico, vittima di una donna che lo fa soffrire ma lo domina con il sesso e lei cerca di aiutarlo ad uscire da questa dipendenza.

Il messaggio ha lasciato la coppia comunque in una situazione di tensione e, quando arriva l’ennesima telefonata di Marika, lei schiaccia l’enter e sente la ragazza che chiede aiuto al marito che l’ha messa incinta; non solo, poco dopo un gioielliere chiede a Cosimo se gli orecchini sono stati graditi e Bianca non porta mai gli orecchini. Crisi violenta della donna e Peppe, stanco del sotterfugio, confessa: lui è gay e non se la è sentita di portare Lucio alla cena, temendo le reazioni degli amici (il modo in cui hanno trattato Cosimo, peraltro, gli dà piena ragione).

Mentre Bianca è chiusa in bagno, Eva prende da un canto Cosimo, gli sputa in faccia e gli ridà gli orecchini (evidentemente era lei la destinataria del regalo). Mentre sta discutendo col marito, a Carlotta arriva il messaggio dell’amico di FB che le chiede se ha tolto le mutande e, all’ira del marito, risponde alzandosi la gonna davanti a tutti. Commiato drammatico degli ospiti ma, appena in strada, tutto riprende come prima della cena…

Negli anni ’60 il dramma Chi ha paura di Virginia Woolf ?, ripreso al cinema da Mike Nichools con Richard Burton ed Elizabeth Taylor, segnò una svolta nel raccontare i drammi familiari; certo, altri grandi autori ne avevano fatto il tema dei loro lavori (da Ibsen a Schnitzler a Pirandello) ma la claustrofobica violenza del dramma di Albee fece scuola. Di recente, il nostro cinema, con Il nome del figlio (maldestra riduzione del francese Le prenom) della Archibugi e Dobbiamo parlare di Rubini si è avventurato in quel territorio.

Genovese, da ultimo, lo inserisce in una riflessione sul (de-)privato che il telefonino rappresenta nella nostra quotidianità. Lui ha già dimostrato (con La banda dei Babbi Natale e con i due Immaturi, ad esempio) di saper gestire un set corale;  il limite del film è, però, nella scrittura molto, troppo, teatrale, soprattutto nella svolta finale, con in più un limite, direi, ambientale: i toni da commedia di boulevard non ci si addicono (vedi il citato Il nome del figlio che ha espunto tutta la levità del testo originale), noi siamo, tutti, figli della Commedia dell’Arte e, non a caso, i momenti migliori del film sono gli scambi, un po’ cazzaroni, tra Mastandrea, Leo e Giallini prima che scoppino i drammi. Gli incassi sono comunque buoni e questa è sempre una buona notizia.