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Warcraft – L’inizio

di Duncan Jones. Con Travis FimmelPaula PattonBen FosterDominic CooperToby Kebbell USA 2016

Draenor, il regno degli Orchi, sta disfacendosi e Durotan (Kebbel), il capoclan dei Lupi Bianchi (le loro cavalcature), sia pur dubbioso, decide di seguire lo stregone Gul’dan (Daniel Wu) che, con la magia del Vil (una sorta di campo magnetico verde) sta per aprire un portale che porterà tutti gli Orchi, riuniti in una Orda, alla conquista del mondo di Azeroth. Il Vil si nutre dello spirito vitale degli esseri viventi e gli Orchi usano i Draenei, gli altri abitanti di Draenor, che hanno fatti prigionieri. La moglie di Durotan, Draka (Anna Galvin), sia pur incinta, lo segue e, insieme al vice-capo Orgim Martelfato (Robert Kazinsky) e al resto del clan, si uniscono alla prima Orda, guidata dal Capoguerra Manonera (Clancy Brown). Arrivano, così, al portale e il Vil, alimentato dalle ultime essenze vitali dei Draenei, consente loro il passaggio, durante il quale Draka ha delle violente doglie e ad Azeroth mette al mondo il figlio Go’el che, quasi morente viene salvato da un soffio di Vil, praticatogli da Gul’dan. Ora il loro compito è quello di trovare nuovi prigionieri da sacrificare per far entrare il resto dell’ Orda. Intanto, ad Azerot Anduin Lothar (Fimmel) comandante militare di Roccavento e fratello della Regina Taria (Ruth Negga), mentre è a Forgiardente, il regno dei nani, dove gli viene consegnata in dono una pistola-prototipo di arma da fuoco, viene a sapere di letali attacchi nelle sue terre. Vi fa ritorno e trova numerose vittime, tra le quali si aggira il giovane mago Khadgar (Ben Schnetzer), che gli rivela che i morti sono stati contagiati del Vil. Lothar, lo porta con il suo grifone dal re Llane Wrynn (Cooper) ed insieme lo convincono a convocare il Guardiano Medivh (Foster), il cui compito è, appunto, quello di proteggere il Regno. Vanno quindi al castello del Guardiano, dove li riceve il servitore Moroes (Callum Keith Rennie) e lo trovano impegnato a costruire un golem; Lothar gli racconta l’accaduto, mentre il giovane mago si aggira, incantato nella biblioteca, dove una strana ombra lo conduce ad un libro che lui riesce a trafugare. Il Re ordina loro di indagare e di prendere qualche prigionieri per scoprire di più su questo nemico, così Lothar, Khadgar, Medivh e il figlio di Anduin, Callan (Burkley Duffiled) vanno in un bosco e lì si scontrano con gli Orchi. Lothar ferisce Manonera la pistola costringendolo a ritirarsi, mentre Medivh usa il Vil contro gli altri Orchi, Durotan riesce a fuggire con Orgrim e libera Garona (Patton), schiava mezza orchessa e mezzo draenea. Gli uomini la catturano e la portano dal re. Arrivati a Roccavento interrogano Garona e lei, dopo aver rivelato il piano degli Orchi, accetta, in cambio della libertà, di condurli nella località del portale. Nel campo degli Orchi Durotan accusa Gul’dan di aver reso gli Orchi più vulnerabili con il Vil e comincia a capire che proprio quella sostanza verde aveva distrutto il loro mondo e che Gul’dan se ne continuerà a servire per assoggettare tutti i popoli e gli stessi Orchi e confida ad Orgrim la sua intenzione di allearsi con gli umani contro il folle stregone. (in quelle ore, intanto, Garona aveva rivelato a Medivh che il Vil era stato dato a Gul’dan da un demone, proveniente da Azeroth). Khadgar, studia il libro sottratto al Guardiano e capisce che il mistero parte da Azeroth ma Medivh, infuriato per il furto, brucia tutte le pagine tranne una, con la quale il giovane cerca di convincere Lothar, che non sa se credergli. Loro due, accompagnati da Garona partono per l’accampamento degli Orchi e, durante il viaggio, la ragazza si convince che con gli umani potrà essere libera e rispettata e comincia a provare, ricambiata, un sentimento per Lothar. Arrivati all’accampamento, scoprono che il portale è già in costruzione, e che gli Orchi hanno fatto migliaia di prigionieri destinati ad esser sacrificati per aprirlo e si fa loro incontro Durotan che prende in ostaggio Khadgar e chiede di poter incontrare il loro capo clan umano per proporgli l’alleanza contro Gul’dan,, quindi libera il ragazzo e indica il luogo dell’incontro. Re Llane, che non era riuscito a convincere gli altri popoli di Azaroth ad allearsi con lui contro gli Orchi, accetta e parte con un nutrito drappello di uomini tra cui Khadgar, Medivh, Lothar e Callan. Durante l’incontro però, vengono attaccati dai guerrieri di Manonera, che Orgrim aveva avvisato, tradendo Durota. Medivh crea un potente scudo per permettere al re di ritirarsi, ma Callan rimane dall’alltra parte e viene ucciso da Manonera davanti agli occhi del padre. Medivh, esausto, torna nella sua torre e lì Khadgar nota il Vil nei suoi occhi e capisce di non poter fidarsi di lui. Durotan, intanto, viene arrestato da Manonera. Nel frattempo, Medivh si è svegliato e usa il Vil per risucchiare l’energia vitale del suo servo per aumentare le proprie forze, dopo di che va dal re e lo convince ad attaccare, gli Orchi, scontrandosi con Lothar che comincia a sospettare di lui e che gli si scaglia contro, finendo in cella per ordine del re. A Dalaran la città dei maghi, Khadgar, incontra la potente Alodi (Glenn Close), l’ombra che aveva visto nella biblioteca e scopre Medivh è posseduto dal demone della magia verde. Al campo degli Orchi, Gul’dan ordina a Manonera di eliminare il clan dei Lupi bianchi per averlo tradito e Orgrim, pentito, aiuta Draka a scappare con il piccolo Go’el, e libera Durotan, che però decide di sfidare Gul’dan ad un mak’gora, il duello degli Orchi. Draka sta per essere raggiunta da un Orco di Manonera e, dopo aver messo la culla del figlio nel fiume, lo affronta, uccidendolo e morendo a sua volta. Durotan e Gul’dan si battono ma lo stregone viola le regole del combattimento usando la magia e con questa lo uccide. Tra gli Orchi, serpeggia il malcontento ma Gul’dan li convince che il Vil è l’unico modo che hanno per salvarsi e lui comincia a sacrificare i prigionieri catturati per aprire il portale alll’Orda, mentre arriva l’esercito di re Llane. A Roccavento, Khadgar libera Lothar e insieme vanno alla torre di Medivh dove lui, posseduto dal demone, recita la formula che tiene aperto il Portale. Qui, dopo aver combattuto conto il golem lo usano contro il suo creatore, dal cui corpo scappa il demone, interrompendo l’apertura del Portale e Lothar, in groppa al suo grifone, va nel campo di battaglia. Qui Llane e Garona riescono a liberare i prigionieri mentre Medivh, ormai morente, usa le sue ultime forze per deviare il Portale verso Roccavento, consentendo così ai prigionieri di mettersi in salvo ma il re e Garona non fanno in tempo ad entrare; Llane allora chiede a Garona di ucciderlo in modo da riabilitarsi con gli Orchi ed essere in futuro in grado di aiutare un processo di pace tra Orchi ed umani. Garona, prima che il re sia ucciso da Manonera, gli conficca il pugnale nel collo. Viene così acclamata da tutti e accolta nell’Orda da Gul’dan. Arriva Lothar in groppa al suo grifone e recupera il corpo del re, vedendo su di lui il pugnale di Garona; Manonera lo afferra e lo sfida ad un mak’gora, nel quale Lothar ha la meglio. Gul’dan ordina ai suoi di ucciderlo, ma Garona, approfittando del malcontento degli orchi, gli fa notare che Lothar ha vinto lealmente e merita di essere lasciato andare. Tempo dopo a Roccavento, vengono celebrati i funerali di Re Llane dove Lothar, insieme alla Regina Taria, proclama la nascita dell’Alleanza tra i sette regni di Azeroth. Intanto un soldato raccoglie dal fiume la culla di Go’el.

Il cinema e il mondo dei videogiochi (o dei giochi tout court, vedi G.I. Joe o Transformers), sono mondi molto adiacenti – le produzioni dei migliori tra i games costano più o meno quanto un kolossal e sono di grande efficacia visiva, per non parlare dei film o delle saghe di film, che trovano nuova vita in una linea di videogames (Harry Potter, Star Wars, Il signore degli anelli). In qualche caso la trasposizione non riesce (Super Mario Bros.), alcuni film, invece sono un compiuta riscrittura in chiave cinematografica (Battleship, Prince of Persia); il segreto della riuscita, sostanzialmente è proprio in questo: il videogame, per sua natura interattivo, vive nella partecipazione fattiva dei giocatori, un film deve sollecitare emozioni a spettatori per definizione passivi. La Blizard, creatrice dal 1993 del gioco di grandissimo successo, ha invece scelto la strada di riproporre i caratteri della prima stesura del gioco, inserendoli in un set di grande ricchezza, in modo che i fan – e sono milioni sparsi nel mondo – potessero vederli come li hanno sempre fantasticati e chi non conosce il gioco possa appassionarvisi. Non a caso, il compito è stato affidato a Duncan Jones, figlio di David Bowie ed autore di sue soli film, di ispirazione fantascientifica: Moon e Source Code, che ha una buona mano ma non va oltre la corretta trascrizione dello script. Il risultato (ed è quello che la produzione si era prefisso) è una costosissima e divertente demo, sorta di omaggio affettuoso ai creatori ed ai giocatori della inesauribile saga.




Alice attraverso lo specchio (Alice Through the Looking Glass)

 

di James Bobin. Con Johnny DeppAnne HathawayMia WasikowskaHelena Bonham CarterSacha Baron Cohen  USA 2016

Alice (Wasikowska), morto il padre, ne ha preso il posto al comando della nave Wonder e torna dopo un lungo viaggio. La madre, Helen Kingsleigh (Lindsay Duncan), spera che si decida a sistemarsi ma lei la trascina – senza che siano state invitate – alla festa di Hamish Ascot (Leo Bill), il fidanzato che lei aveva platealmente lasciato e che ora è il suo armatore. Qui vengono ricevute freddamente dalla moglie di Hamish Alexandra (Joanna  Bobin) e dalla vecchia Lady Ascot (Geraldine James) e lui non solo le boccia i progetti di nuovi viaggi ma le comunica che, per salvare la sua casa gravata da ipoteca, deve cedergli il veliero. Alice, disperata, vaga per la villa e finisce in una stanza con uno specchio, qui le appare il Brucaliffo (Alan Rickman/Luciano De Ambrosis) che attraversa lo specchio e la inviata a seguirlo. Alice arriva in un mondo di scacchi, rompe involontariamente Humpty Dumpty (John Sessions/Alessandro Quarta) e, scappando, si ritrova nel Sottomondo, dove la Regina Bianca (Hathaway) le chiede di aiutare il Cappellaio (Depp), che, nel luogo dove la sua famiglia – gli Altocilindro- era stata distrutta dal drago Ciciarampa, aveva trovato il primo cappello che lui, bambino, aveva fatto e si era convinto che i suoi siano ancora vivi. Alice va da lui per consolarlo ma, quando lui le chiede di riportargli la propria famiglia e lei gli dice che è impossibile (parola che ha sempre bandito), lui la mette alla porta, dicendole che lei non è la vera Alice. La Regina Bianca e lo Stregatto (Stephen Fry/Gianni Giuliano) le suggeriscono di farsi dare dal Tempo (Baron Cohen) in persona la Cronosfera – un meccanismo che consente di viaggiare nel tempo – per tornare al giorno dell’attacco del drago e salvare gli Altociliindro. Alice arriva al cospetto del Tempo ma lui rifiuta di darle la Cronosfera, dicendole che il passato non si può cambiare ma che da esso bisogna capire. Alice, di nascosta va a cercare l’oggetto e, intanto, arriva la Regina Rossa, della quale il Tempo è perdutamente innamorato e che, a sua volta, vorrebbe la Cronosfera, per diventare potentissima. Alice afferra la piccola Cronosfera che diventa una Macchina del Tempo e, inseguita da Tempo, arriva a Sottomondo, il giorno dell’incoronazione di Iracebeth (Leila de Mezah),la futura Regina Rossa ma , quando il Mastro Cappellaio (Rhys IIfans), il padre del Cappellaio Matto, prova a metterle la corona, a causa dell’enorme testa della pricipessa questa cade e si rompe, il ragazzo scoppia a ridere e  Iracebeth, in preda una crisi di nervi, minaccia lui e tutti gli astanti e il Re (Richard Armitage), indignato, proclama erede al trono  la sorella minore Mirana (Amelia Crouch),la futura Regina Bianca. Il giovane Cappellaio, dopo una sgridata del padre, se ne va, di casa, convinto di non essere apprezzato. Alice scopre che una lite tra delle due principesse avrebbe causato un incidente, in seguito del quale Iracebeth sarebbe diventata astiosa al punto di essere la ispiratrice dei lutti causati dal drago Ciciarampa e viaggia ancora indietro nel tempo.  Scopre che Mirana da piccola aveva mangiato di nascosto un dolcetto, lasciando le briciole sotto il letto della sorella e che aveva mentito alla regina loro madre (Hattie Morahan), cosicchè  Iracebeth, ingiustamente accusata era corsa fuori dal castello e aveva battuto la testa. Alice la vede correre contro una pendola, la scansa ma la principessa sbatte contro un pozzo e la testa le si deforma, così come la personalità.  Il Tempo era stato fermato per un po’ dal Cappellaio, dalla Lepre Marzolina (Paul Whitehouse/Davide Lepore) e dalla topolina Mallymcun (Barbara Windsor) ma raggiunge Alice e la accusa di aver creato un grave pericolo, rubando la Cronosfera. Alice scappa dentro uno specchio e si ritrova in un manicomio, dove l’ha fatta ricoverare Hamish, affidandola al sadico dott. Bennett (Andrew Scott) ma, con l’aiuto della madre, scappa e torna a Sottomondo, giusto il giorno dell’attacco del Ciciarampa; scopre così  che la famiglia del Cappellaio non è morta ma è prigioniera della Regina Rossa. Quando torna nel presente, però, Il Cappellaio sta morendo ma quando gli rileva la verità lui ritorna ad essere il Cappellaio di sempre. Insieme alla Regina Bianca, la Lepre, Mallymcun e i gemelli Pincopanco e Pancopinco (Matt Lucas), loro due vanno al castello della Regina Rossa  e scoprono che  gli Altocilindro, vivono, rimpiccioliti, in una scatola-formicaio.  La Regina Rossa, allertata da Tempo,  ruba la Cronosfera ad Alice e, con quella, riporta Mirana al giorno in cui  mentì. Tempo, capisce di aver fatto un grave errore e chiede ad Alice di impedire che la Regina Rossa di cambi il passato, cosa che causerebbe la fine del mondo. Il Cappellaio e Alice arrivano troppo tardi: la Regine Rossa ha incontrato se stessa bambina e il mondo comincia a pietrificarsi.  Alice riesce appena in tempo a rimettere a posto la Cronosfera e tutto l’universo torna com’era. Il Cappellaio salva la sua famiglia, Mirana si scusa con Iracebeth e, almeno per ora, le due Regine sono riappacificate e Alice dice addio ai suoi amici torna nel suo mondo, in tempo per vedere sua madre rifiutare  di dare la nave agli Ascot. Madre e figlia, insieme all’ex braccio destro di Hamish, James (Ed Speleers) – che si è innamorato di Alice – mettono in piedi una loro compagnia di navigazione.

Ancor più che il precedente, Alice nel paese delle meraviglie, questo sequel usa il libro di Carroll Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò come puro pretesto (i titoli di coda, infatti, recitano: “basato sui personaggi di Lewis Carroll”). Stavolta Tim Burton è solo produttore ed ha affidato la regia a Bobin, autore dei due ultimi film Muppets, che mantiene la psichedelica cromaticità del precedente e il tono burattinesco di tutti i personaggi, tranne la risoluta e pre-femminista Alice.Alice nel Paese delle Meraviglie era stato scritto dal matematico Charles Dodgson (che la aveva pubblicato con lo pseudonimo Lewia Carroll), per consolare, idealmente, una ragazzina, figlia di suoi amici, che era stata sculacciata e messa in castigo ed era un giocoso insieme di nonsense logici (tipici della mente matematica dell’autore), con un trama il cui andamento era ispirato dal gioco delle carte, mentre il successivo romanzo accentuava i nonsense e le filastrocche ed era ispirato dal geometrico gioco degli scacchi. Il film di Burton, entro certi limiti, aveva mantenuto la trama originale (con molte licenze: Alice è giovanissima ma già in età da marito, i gemelli Pincopanco e Pancopinco vi appaiono ma, in realtà, sono solo nel secondo libro e, soprattutto la battaglia col drago con Alice in veste di San Giorgio, è tutta di fantasia del regista), mentre questo è completamente fuori dal racconto originale (vi è solo, accennata, subito dietro lo specchio, la presenza degli Scacchi e dell’uovo Humpty Dumpty). Rimane, dicevamo, l’impronta visiva di Burton (che ormai si diverte in ogni film a mostrificare l’amico Johnny Depp e la moglie Helena Bonham Carter) ma il racconto è una sorta di caricatura pop delle saghe dei supereroi, con i personaggi di Sottomondo nella veste di allegri e schizzati Mutanti. Uno dei pregi maggiori dei due film è il meraviglioso cast – anche nel doppiaggio originale degli animali fantastici: tra gli altri c’è anche anche Timothy Spall nel ruolo secondario del cagnone Bayard – qui impreziosito dal bravissimo Sacha Baron Cohen (che aveva già fatto coppia con la Bonham Carter ne Les Miserables). Nell’insieme un’operazione gradevole ma un po’ incerta nell’individuazione di un target di pubblico: troppo complesso per i bambini, troppo favolistico per gli adolescenti e un po’ troppo intellettualistico per il gran pubblico.




La pazza gioia

di Paolo Virzì. Con Valeria Bruni TedeschiMicaela RamazzottiValentina CarneluttiTommaso RagnoBob Messini  Italia 2016

Beatrice Morandini Valdirana (Bruni Tedeschi) è ricoverata a Villa Biondi, un istituto di recupero alternativo al manicomio criminale, è ricca, logorroica e bipolare e la psicologa Fiamma Zappa (Carnelutti) e la caposala (Luisanna Messeri) cercano di contenerla e faticano non poco a trovarle una compagna di stanza che la sopporti. Un giorno arriva al centro Donatella Morelli (Ramazzotti), proletaria, tatuata e depressa e Beatrice decide che è lei la compagna giusta. Dapprima si finge medico e le assegna cure da cavallo – Donatella è golosa di antidepressivi – poi, scoperta, le regala pezzi del suo guardaroba; l’altra resiste rabbiosamente ma poi cede e la loro amicizia sembra giovare ad entrambe tanto che la Zappa e il direttore del centro Giorgio Lorenzini (Ragno) si convincono – contro il parere dell’assistente sociale Torrigiani (Sergio Albelli) – di mandarle a lavorare in una serra nei dintorni. Beatrice parla, parla, si vanta della sua amicizia con Berlusconi, della potenza del marito, l’avvocato Pierluigi Aitiani (Messini) e racconta del folle amore per il pregiudicato Renato Corsi (Bob Randelli), che l’ha portata alla condanna penale. Alla fine della prima settimana le due ricevono 120 euro di paga e, approfittando di un ritardo del pulmino che le deve riportare alla villa, scappano a bordo di un autobus. Gli infermieri le inseguono ma al capolinea dell’autobus, un automobilista – che ha riconosciuto Donatella come la sexy cubista della discoteca Seven Apple – le carica in macchina e le porta in un alberghetto, convinto di portarsele a letto. Quando lui scende, Donatella (che ha capito tutto mentre Beatrice fa la mondana e sogna un “buon Martini”) si mette al volante e le due partono di scatto. Come prima meta, vanno da una veggente: Donatella spera di rintracciare il figlio che le è stato tolto e dato in adozione e Beatrice vuole sapere se Renato la ama ancora. Rincuorate, alla meglio, dalla ciarlatana, riprendono il viaggio e vanno a Montecatini, dove, grazie ai modi aristocratici di Beatrice, cenano a sbafo in un ristorante di lusso ma, all’uscita, le raggiunge il proprietario della macchina che se la riprende, senza però denunciarle perché non si sappia della tentata scappatella. La madre di Donatella, Luciana (Anna Galiena), d’accordo con la Zappa, le contatta e le porta nella casa di un generale in pensione al quale fa da badante. Qui cerca di convincere la figlia a farsi vedere (e toccare) dal vecchio ma le due rubano soldi e medicinali e scappano. Arrivano a Viareggio e finiscono proprio al Seven Apple e qui Donatella fa una scenata a Maurizio, il proprietario del locale che l’ha messa incinta e buttata fuori, mentre Beatrice si gioca tutti soldi all’annesso casinò. Le ragazze litigano e Donatella dà una bottigliata in testa all’amica e viene arrestata e portata in ospedale. Qui arrivano la Zappa e Lorenzini, che vorrebbero evitarle la detenzione in un OPG e contattano il padre (Marco Messeri), ex pianista di Gino Paoli (che la figlia ha sempre idealizzato al punto di convincersi che lui fosse l’autore di Senza fine e che l’avesse scritta per le)i; l’unica speranza è che lui la prenda in custodia; questi però è un fallito e un egoista e se ne va, lasciandole quattro soldi. Beatrice è arrivata alla villa dell’ex-marito all’Argentario, irrompe in una festa, fa un bagno, si mette vestiti puliti e, sedotto il marito, dopo averlo riempito di sonnifero, ruba soldi e gioielli dalla cassaforte. Grazie alle informazioni che sottrae al computer di Pierluigi, ottiene le indicazioni sulla famiglia che ha adottato. Elia, il figlio di Donatella (viene anche a sapere che era stata condannata perchè, persa la patria potestà, aveva tentato di annegarsi con il piccolo tra le braccia). Affitta un taxi e prima si fa portare da Renato, che è agli arresti domiciliari e le piscia in testa, poi grazie ai gioielli rubati corrompe gli infermieri dell’OPG e fa evadere Donatella, dalla quale si fa raggiungere nella villa della madre (Marisa Borini), che – rovinata dalle truffe di Renato – affitta il locale alle troupe cinematografiche; in quel momento stanno, per l’appunto, girando un film e le due, scambiate per comparse, si trovano alla guida di una spider d’epoca. Con quella scappano e vanno dalla nuova famiglia di Elia, ormai seienne. Beatrice, fingendosi assistente sociale, cerca, invano, di convincere i nuovi genitori di lasciare che il bambino parli con Donatella, che intanto, commossa, lo guarda da una siepe. Poco dopo bevono varie birre e si addormentano su di un muricciolo. Arriva il personale di Villa Biondi (che ha convinto il magistrato di custodia a lasciarle in propria custodia) e porta via Beatrice. Donatella scappa e viene travolta da una moto ma si rialza e va dormire in spiaggia. Qui, il mattino dopo, incontra Elia e, felice, fa il bagno con lui senza farsi riconoscere. Di lì a poco va bussare a Villa Biondi, dove l’amica la aspetta trepidante.

Giuseppe Marotta, che negli anni ’50 scriveva di cinema sulla diffusa rivista L’Europeo, parlando di Glenn Ford, scrisse “Non metterei un centesimo in quella bocca a salvadanaio”. Divertente e feroce ma, con qualche decibel in meno, qualcosa del genere mi capita di pensarla ogni volta che vedo sullo schermo la Bruni Tedeschi. Sbaglio io di sicuro, perché viene osannata di continuo ma continua a sembrarmi quanto di più lontano si possa immaginare dalla recitazione. D’altronde quando appare Marisa Borini, sua madre nel film e nella vita (come aveva già fatto in Un castello in Italia, diretto dalla figlia), la senti parlare con lo stesso birignao (un po’ da mago Othelma) del personaggio di Beatrice, a riprova di qualcosa di più simile ad un gioco di società che ad un film compiuto. Il film l’ho sentito molto attraversato da questa atmosfera di festa nel salotto buono tra amici, compagni e parenti (ci sono non pochi precedenti da Non toccate la donna bianca di Marco Ferreri a Mari del sud di Gabriele Salvatores). Ha certamente dei pregi (non la sceneggiatura di Francesca Archibugi, assai sbilenca e con echi pesanti da Thelma e Louise e Ladybird, Ladybird): una regia, ovviamente, ineccepibile, la notevole fotografia di Vladan Radovic e il bel montaggio di Cecila Zanuso. A Cannes, peraltro, è stato accolto bene e il pubblico lo va a vedere.

 




Captain America: Civil War

di Anthony RussoJoe Russo. Con Chris EvansRobert Downey Jr.Scarlett JohanssonSebastian StanJeremy Renner  USA 2016

Antefatto: nel 1991, in Siberia, Bucky Barnes (Stan), compagno d’armi ed amico di Steve Rogers/Capitan America (Evans) viene de-ibernato e, grazie a un siero che lo rende schiavo di chi pronunci una serie di parole, trasformato nel letale Soldato d’Inverno. La sua prima missione sarà quella di recuperare da un’automobile dei campioni del siero; lui la compie, uccidendo i due occupanti i due occupanti della vettura. Siamo all’oggi e Steve Rogers, Natasha Romanoff/Vedova Nera (Johansson), Sam Wilson/Falcon (Anthony Mackie)  e Wanda Maximoff/Scarlett Witch (Elizabeth Olsen) sono a Lagos per fermare Brock Rumlow/Crossbones (Frank Grillo) che ha rubato una potente arma. Per non farsi catturare Crossbones si fa esplodere e Wanda riesce, con i suoi poteri a circoscrivere il danno ma alcuni soldati del tecnologicamente avanzatissimo regno del Wakanda – che erano lì a supporto della missione degli Avengers – vengono uccisi. Tornati alla base, gli Avengers vengono raggiunti dal Segretario di Stato Thaddeus  Ross (William Hurt) che li informa che loro saranno alle dipendenze delle Nazioni Unite, come una specie di Corpo Speciale. Tony Stark  – ancora shoccato per la catastrofica battaglia di Sokovia  (vedi: Avengers – Age of Ultron) – accetta  mentre  Steve Rogers difende la libertà di movimento –senza pastoie politico-burocratiche – del gruppo; con lui si schierano Falcon e Wanda mentre Natasha, il tenente James Rhodes/War Machine (Don Cheadle) e Vision (Paul Bettany) – che avrà il compito di tenere Wanda in casa – seguono Stark. Black Widow  va a Vienna per la ufficializzazione del nuovo status degli Avengers  ma, durante la conferenza di ratifica, una bomba – piazzata da Bucky,che viene ripreso dalle telecamere – uccide  T’Chaka (John Kani) , il re del Wakanda; suo figlio T’Challa ((Chadwick Boseman) giura di vendicarsi; nasce così Black Panther, un nuovo Vendicatore. Rogers e Wilson rintracciano Bucky  a Bucarest, dove arriva anche T’Challa; ne segue una lotta, interrotta dalla polizia che li arresta tutti. Gli altri vengono rilasciati mentre Barnes viene estradato in un carcere speciale a Berlino. Qui, con le false credenziali di uno scienziato, va a parlargli il colonnello Helmut Zemo (Daniel Brull), che inizia a recitargli la sequenza che lo rende schiavo ma Rogers riesce a farlo tornar in sé; Bucky  gli rivela  che dietro il complotto c’è Zemo, che  è impazzito dal dolore per la perdita della moglie e del figlio durante gli scontri di Sokovia e ora sta andando  alla base siberiana dove  sono ibernati altri Soldati d’Inverno. I due decidono di andare a fermarlo e li raggiungono  Wanda (che si è liberata di Vision), Clint Barton/Occhio di Falco  e, portato da Falcon, Scott Lang/Ant-Man (Paul Rudd); Stark, intanto, ha reclutato il giovanissimo Peter Parker/Spiderman (Tom Holland) – minacciandolo di rivelare il suo segreto alla zia May (Marisa Tomei) – e, con lui, Natasha, T’Challa, James Rhodes e Vision raggiunge l’aeroporto di Lipsia, dal quale Rogers e i suoi stanno per partire; le due fazioni di supereroi combattono finché Natasha, presa dal dubbio, di lascia decollare Rogers e Barnes per la Siberia. Wanda, Ant-Man, Falcon ed Occhio di Falco vengono imprigionati. Natasha cerca di convincere  Tony  a  seguire le tracce di Zemo ma deve fuggire per evitare di essere arrestata e raggiunge  Rogers e Bucky in Siberia, Arriva anche Stark (mentre T’Challa lo segue di nascosto). Alla base scoprono che Zemo ha ucciso gli altri Soldati d’Inverno ed   un video che rivela a Stak che le persone uccise da Bucky nel 1991 erano i suoi genitori (John Slattery e Hope Davis). Questi  attacca Bucky, contrastato da Rogers, Durante la battaglia Bucky perde il suo braccio robotico e Capitan America disattiva l’armatura di Iron Man e, ferito, va via lasciando lo scudo in terra, in segno di rinuncia.  Zemo è convinto di aver annientato gli Avengers e, quando viene raggiunto da T’Challa, cerca di spararsi ma Black Panther lo ferma e, anziché ucciderlo, decide di  consegnarlo alle autorità. Qualche tempo dopo, Stark – che ha costruito per Rhodes, che era rimasto paralizzato nell’ultimo scontro, un esoscheletro -manda a Rogers, che ha liberato i suoi compagni con i quali su è rifugiato  a Wakanda,  un messaggio nel quale lo invita a riprendere la loro collaborazione.

Dopo Batman vs Superman, di nuovo dei supereroi si trovano ad affrontare problemi di coscienza, legati alle conseguenze letali delle loro battaglie. Certo i personaggi Marvel sono più vivaci, ironici e mossi dei loro due colleghi Dc-Comics ma non è a caso che il titolo del film sia legato a Capitan America, il più legnoso e serioso di tutti. La serie degli Avengers –e questo ne è un capitolo, essendo un sequel (e nell’antefatto, prequel) di Age of Ultron – si sta un po’, verrebbe da dire, burocratizzando, come Stark in questa avventura; gli eroi soffrono, si feriscono e, appunto, si fanno insinuare dal germe della non-violenza e di un sotterraneo, noioso pacifismo. Peccato proprio, perché le guasconate e la violenza fracassona del primo Avengers erano da culto ma la scelta dei malleabili fratelli Russo, professionisti con un curriculum cine-televisivo (la serie tv Ti presento i miei, Tu, io e Dupree, il dimenticabile remake Ghostbusters  e Captain America – The Winter Soldier) di solida medietà la dice lunga: budget alto ma sotto controllo e uno sguardo ad  un audience più matura e, quindi, al politically correct. Gli incassi sono ottimi e già sono in cartellone i due capitoli successivi: Infinity War i e II. Accontentiamoci.




Benvenuti… ma non troppo (Le grand partage)

di Alexandra Leclère. Con Karin ViardDidier BourdonValérie BonnetonMichel VuillermozJosiane Balasko Francia 2014

Si profila un inverno freddissimo in Francia ed il governo socialista emana un decreto in base al quale tutti coloro che vivono in un appartamento di oltre 100 mq, da soli o con un nucleo familiare ristretto, dovranno ospitare lavoratori a basso reddito e senza casa. Nel centrale VI arrrondisement i condomini hanno reazioni diverse: il costruttore Pierre Dubreuil (Bourdon) e la moglie Christine (Viard) cercano di correre ai ripari, prelevando la madre di lui Françoise (Michèle Moretti) dal pensionato nel quale la avevano piazzata e convincendo, a pagamento, la loro colf antillana, Philomena (Firmine Richard), a trasferirsi momentaneamente da loro, disgustando la loro giovane figlia Audrey (Pauline Vaubailon) ; i radical-chic Beatrice (Bonneton) – impegnatissima docente di economia sociale – e Gregory Bretzel (Vuillermoz) – scrittore di buon successo, anche se non fantasiosissimo (i suoi titoli sono “Paradiso Verde”, “Paradiso blu” e sta ora lavorando a “Paradiso bianco”) – hanno reazioni diverse: lui è entusiasta di quella opportunità di mettere in pratica la solidarietà che li ha visti impegnati in varie marce di protesta, lei vede la casa e d i suoi spazi compromessi da estranei invadenti; gli anziani coniugi ebrei Abramovitich (Jackie Berroyer e Anèmone), lasciano l’appartamento ad Aissa (Priscilla Adade) e si trasferiscono in un monolocale nel palazzo di fronte dal quale spiano le mosse degli altri inquilini; il tenero dirimpettaio gay dei Dubreuil, Michel (Patrick Chesnais), accoglie con gioia tre senzatetto e li accudisce amorevolmente, soprattutto il giovane William (Cedric Diomede) di cui si sta innamorando. Tutto questo sotto gli occhi esterrefatti della portinaia (Balasko), attivista del Front National. I Bretzel, grazie a M.me Poil (Lise Lamètrie), l’ impiegata comunale addetta allo smistamento ammiratrice di Gregory, riescono a sfangarla (ma lui si vergogna molto). Christine, apparentemente svagata e superficiale, vive un momento di crisi col marito e, all’ennesimo rifiuto delle sue richieste di far l’amore, si vendica denunciando se stessa e gli odiati Bretzel alla Poil; risultato: da loro arriva la vagabonda (ma lei si era dichiarata precaria) Madeleine (Sandra Zidani) e dai vicini Nasifa (Marie-Philomène Nga), giovane madre del Mali .Pierre, indignato, va a dormire in salotto e qui fa amicizia con Madeleine, che lo porta a conoscere i suoi amici clochard e si ubriaca insieme a lui. L’indomani mattina, Christine li trova addormentati insieme e, di lì a poco, la casa viene invasa dai vagabondi, invitati dal marito, che sta cambiando idea sulla solidarietà. Beatrice, inizialmente, mette Nasifa e il suo bambino in soffitta ma, dopo poco, il marito li porta a casa loro. Lei non si dà per vinta e accetta l’aiuto della portiera, che – dopo averle fatto abiurare il voto a sinistra – le propone uno scambio: Nasifa andrà da una famiglia in periferia che ama i neri e da lei arriverà un tranquillo moldavo, Kristian (Yann Sorton). Christine fa una (ingiusta) scenata di gelosia al marito e a Madeleine; lei, piccata, torna sotto i ponti con i suoi amici e lui se ne va di casa, ospitato da Aissa. I Bretzel scoprono che Kristian li ha derubati e, quando lui si appresta a denunciarla, lei è costretta a confessare lo scambio clandestino e a promettere di riportare a casa Nasifa. Beatrice e Christine, ora alleate, vanno dalla portiera per farsi dare l’indirizzo della famiglia che la ospitava ma   scoprono che non esiste alcuna famiglia: lei la ha portato in una zona di baracche. La rintracciano e lei insulta Beatrice e accetta di tornare solo se verranno con lei anche gli altri baraccati. Le case dei Dubreil e dei Bretzel divengono così dei caotici – ma allegri – bazar africani. Torna il caldo e tutto torna alla normalità ma con qualche cambiamento: Michel è triste perché William lo ha lasciato ma può essere sè stesso con i vicini, i Dubreil e i Bretzel sono un po’ più amici e la portiera si è messa con un africano e – proclamando, entusiasta, che le voci sulle dimensioni dei neri non sono leggenda – si è fatta le treccioline rasta.

La comédie de boulevard sta al cinema francese come la commedia dell’arte sta alla commedia all’italiana; quella d’oltralpe è sostanzialmente borghese mentre la nostra era più popolare; in Francia la tradizione ha retto perché gli autori, gli attori ed i registi del genere continuano ad avere spazi teatrali e pubblico mentre, da noi, la fine dell’avanspettacolo ha tolto linfa alle nostre commedie. Benvenuti … ma non troppo è esattamente in quella tradizione: l’immigrazione, con tutte le sue implicazioni, vi fa da sfondo ma il cuore del racconto sono le reazioni dei borghesissimi condomini: hanno piccole manie, piccole ambizioni, piccole crisi identitarie ma sono vivi, talora sorprendenti e umanissimi. La Leclère è autrice di sinistra ma non si esita certo a raccontare gli egoismi dell’attivista che vede messe in crisi le sue piccole certezze proprietarie. Se volessimo immaginare come da noi sarebbe affrontato un tema simile, basta pensare alla riduzione del delizioso Cena tra amici, Il nome del figlio, appesantito da un incongruo antefatto con un padre e benefattore dei protagonisti intellettuale ebreo e comunista. Il film della Leclère non è certo perfetto, il racconto va avanti un po’ a singhiozzi ma le tre protagoniste, Viard, Bonnetton e Balasko sono bravissime; non è una sorpresa mentre lo è l’ottima Zidani (meno nota da noi). Una citazione meritano i costumi di Eric Perron: la tuta rossa di Beatrice e la camicia coi draghi di Michel già ci raccontano i personaggi.




Il libro della giungla (The Jungle Book)

di Jon Favreau. Con Idris ElbaScarlett JohanssonLupita Nyong’oChristopher WalkenGiancarlo Esposito USA 2016

I nomi degli interpreti del film – a parte Neel Sethi che è Mowgli – sono quelli degli attori americani ed italiani che doppiano gli animali.

Mowgli (Neel Sethi) è un ragazzo che è stato trovato piccolissimo nella giungla dalla pantera Bagheera (Ben Kingsley/Toni Servillo) e da lei affidato alla lupa  Raksha (Nyong’o/Violante Placido), che lo ha cresciuto nel suo branco, capeggiato da Akela (Esposito/Luca Biagini). Mowgli, ora dodicenne, deve affrontare costanti sfide per essere al passo con il branco ma, per superarle, spesso utilizza “trucchi umani” – ad esempio la costruzione di rudimentali corde – guadagnandosi i rimbrotti di Bagheera e di Akela. Un giorno, durante la siccità, quando tutti gli animali osservano la Tregua dell’Acqua, che consente a tutti, cacciatori e prede, di abbeverarsi senza pericolo nell’ultima pozza d’acqua rimasta, arriva la tigre Shere Khan (Idris Elba/Alessandro Rossi), che odia gli uomini (ha sul muso e in un occhio i segni di bruciature, prodotte da un uomo) che, fiutato l’odore di Mowgli, minaccia i lupi: finita la siccità dovranno consegnarglielo, altrimenti considererà anche loro suoi nemici. Arriva la stagione delle piogge e i lupi si riuniscono per decidere il destino del ragazzo ma lui comunica loro che, per la loro sicurezza (la Legge dei lupi è inequivoca: il branco viene prima degli individui) lascerà la giungla e, accompagnato da Bagheera, andrà al villaggio degli uomini. Nel viaggio, incontrano un gruppo di elefanti e la pantera si inchina davanti a loro e dice a Mowgli di fare altrettanto: sono loro ,gli dice, con la loro forza e le loro zanne, i creatori della giungla. Poco dopo vengono trovati da Shere Khan, che ferisce Bagheera in combattimento, mentre il ragazzo riesce a scappare, mescolandosi ad una mandria di bufali . Mowgli, mentre cerca la pantera, si imbatte in Kaa (Johansson/Giovanna Mezzogiorno), un enorme pitonessa che lo ipnotizza per mangiarlo e, mentre è in trance, lui rivive il segreto della propria origiine: quando era piccolo, Shere Khan aveva ucciso uccise suo padre, che, prima di morire, per salvare il bambino aveva aggredito la tigre con una torcia (il “fiore rosso”, tanto temuto dagli animali), ferendola. All’ultimo momento, mentre Kaa sta per ingoiarlo, interviene l’orso di Baloo (Bill Murray/Neri Marcorè), che uccide il serpente. In cambio Baloo gli chiede di raccogliere il miele per lui – che ne è ghiotto ma non vuole farsi pungere dalle api – e Mowgli, grazie ai suoi “trucchi umani”, riesce a farlo con pochi danni; quando poi l’orso gli propone di rimanere con lui, il ragazzo accetta. Intanto, Shere Khan era andato dal branco dei lupi e, furioso per l’assenza di Mowgli, aveva ucciso Akela ed era rimasto nel territorio, in attesa dal ritorno della sua preda. Bagheera ritrova, una sera, Mowgli e, dopo aver litigato un po’ con Baloo, lo esorta a riprendere, l’indomani mattina, il viaggio verso il villaggio degli uomini. All’alba, però, Mowgli si allontana e, vedendo gli elefanti disperati perché un cucciolo è finito in un fosso, costruisce una sorta di imbracatura e lo salva, ottenendo così la loro riconoscenza. A questo punto, sentendosi sicuro di sé, avrebbe deciso di rimanere nella giungla con Baloo ma sarà questi che, per costringerlo ad andare a salvarsi, fingerà di non volerlo con sè Mowgli, triste e deluso, si rifugia su di un albero dove viene rapito dalle scimmie che lo portano dal loro re Louie (Walken/Giancarlo Magalli) uno orango gigante che vive in un tempio abbandonato; lo scimmione cerca di convincere Mowgli a portargli il “fiore rosso” e, quando il ragazzo gli dice di non averlo, non credendogli, lo minaccia. Sopraggiungono Baloo e Bagheera che portano fuori Mowgli ma durante la battaglia che ne segue, Louie, prima di finire sotto le macerie del tempio, rivela a Mowgli che Akela è stato ucciso da Shere Khan. Mowgli decide di tornare a vendicarsi e, raggiunto il villaggio degli uomini, ruba una torcia accesa e corre dal branco per affrontare la tigre; le scintille che escono dalla torcia, sviluppano, però, un incendio nella giungla e, quando giunge alla pozza d’acqua, dove si sono rifugiati tutti gli animali, la tigre lo accusa di essere pericoloso come tutti uomini. Lui, che non si era avveduto dell’incendio, getta la torcia nell’acqua ma così rimane indifeso di fronte a Shere Khan che lo attacca; Bagheera, Baloo e i lupi si lanciano contro la tigre, permettendo così a Mowgli di fuggire. Lui, prepara una sorta di trappola su di un albero morto e riesce a far finire Shere Khan tra le fiamme. Intervengono i suoi amici elefanti spengono che deviano il fiume, spegnendo l’incendio. I lupi hanno in Raksha il nuovo capobranco e Mowgli decide di rimanere nella giungla.

Dal Libro della giungla di Kipling sono stati tratti 7 film con attori (compresa la splendida riduzione del ‘42 di Zoltan Korda, con Sabu nel ruolo di Mowgli, la più aderente all’epica colonialista dello scrittore)    e 6 film d’animazione. Il più famoso di questi ultimi è quello del ’67 diretto da Wolfgang Reitherman – l’ultimo della vita di Walt Disney, morto durante la lavorazione – e questo ne è un remake con le bestie animate al computer. Jon Favreau (Cowboys and Aliens e i primi due Ironman) ha accettato la scommessa (comprese le variazioni rispetto al testo originale: ad esempio, il pitone Kaa è nel libro uno degli amici-educatori di Mowgli ed è lui che lo salva dalle scimmie, che peraltro vivono nella completa anarchia e non hanno nessun capo, così come il racconto nel quale il ragazzo salva l’elefantino ha un altro protagonista) ed ha seguito la traccia del cartoon – cambiandone però il finale – addirittura mantenendo due canzoni (Lo stretto indispensabile e Voglio essere come te), in un film che non è certo un musical. Non è un caso che i due brani musicali siano molto jazz: il film è una sorta di riuscita jam session tra Disney, Kipling e le nuove impressionanti tecnologie di live action. Chissà cosa ne direbbe George Sadoul – autore della fondamentale Storia generale del Cinema – che di Disney odiava i documentari come Il deserto che vive, con gli animali umanizzati. A me è piaciuto e al pubblico – si direbbe dai primi incassi – anche. E’ comunque cinema, ben fatto e pieno di fantasia. Non basta?




Il cacciatore e la Regina di Ghiaccio (The Huntsman Winter’s War)

 di Cedric Nicolas Troyan. Con Chris HemsworthCharlize TheronJessica ChastainEmily BluntNick Frost USA 2016

La perfida maga Ravenna (Theron) ha appena ucciso il re (Robert Portal) proprio marito e cerca di rendere la sorella Freya (Blunt) uguale a lei. Questa però è romantica e innamorata del Duca di Blackwwood (Colin Morgan) e, quando aspetta una figlia da lui (che è promesso ad un’altra), la sorella le preconizza un destino di tradimento ed abbandono. In effetti, poco dopo, il duca viene trovato stravolto con una torcia in mano accanto alla culla bruciata della bimba. Freya, pazza di dolore, sviluppa il potere del ghiaccio e si rifugia in un castello nell’estremo nord. Lì fa rapire tutti i bambini dei villaggi vicini perché siano duramente addestrati, lontani da ogni affetto, come un esercito di cacciatori ai suoi ordini. Tra i bambini ci sono anche Eric (Conrad Kahn) e Sara (Niamh Walter), che divengono sempre più bravi nell’arte del combattimento e che, cresciuti (Hemsworth e Chastain) scoprono di amarsi. La prima volta che fanno l’amor, la regina, che grazie ad una maschera di piume di civetta può vedere ogni cosa, li scopre e aizza gli altri cacciatori contro di loro; i due stanno per avere la meglio ma Freya fa apparire un muro di ghiaccio che li divide e attraverso di questo Eric vede la sua amata pugnalata dal loro compagno Tull (Sope Dirisu); lui, disperato, si lascia sopraffare e viene gettato – apparentemente senza vita – in un fiume. Sette anni dopo lo ritroviamo nel regno di Biancaneve -lui (vedi il film Biancaneve e il cacciatore) l’ha aiutata a sconfiggere Ravenna e a sposare il Principe (Sam Claflin) – mentre mette un fiore su un tumulo di pietre in ricordo di Sara. Lo raggiunge il re che gli dice che qualcuno ha trucidato le guardie che custodivano lo Specchio Magico e che, sicuramente, lo sta portando nel Regno di Ghiaccio dal quale l’esercito di Freya sta conquistando tutti i territori vicini e si prepara ad invadere anche le loro terre. Eric parte scortato dai nani Nion (Frost)n e Gryff (Robert Brydon). Giunti in una locanda,i tre vengono aggrediti da alcuni banditi ma giunge in loro soccorso Sara. Lei non era morta affatto e ora odia Eric perché dal muro di ghiaccio lo aveva visto fuggire ed abbandonarla; lui cerca di spiegarle che sono stati entrambi vittime degli incantesimi di Freya ma lei – che ha patito prigionia e torture – non riesce a credergli. Nel cammino sono catturati dalle nane Mrs. Browyn (Sheridan Smith) e Doreena (Alexandra Roach), che accettano di guidarli nel bosco dei Goblin, che hanno preso lo specchio, in cambio del bottino che vi troveranno. Nel combattimento con i mostri Eric e Sara si salvano coraggiosamente a vicenda e, quando si accampano e lei vede che lui ha ancora al collo il medaglione simbolo dello loro eterno amore, fanno nuovamente l’amore. L’indomani mattina però arriva Freya con i suoi cacciatori: Sara si era mossa per recuperare lo specchio e portarlo da lei. La maga, dopo aver trasformato Nion e Doreena in due statue di ghiaccio, le ordina di uccidere Eric e lei gli scocca una freccia nel cuore. Quando il manipolo della maga si allontana, Eric si alza: la freccia aveva colpito il medaglione e lui sa che Sara non manca mai il bersaglio. Il cacciatore capisce che Freya la tiene prigioniera e che deve andare a liberarla. Gryff e Mrs. Browyn si mescolano ad un gruppo di bambini da poco catturati e penetrano nel castello e, da dentro, aiutano Eric a penetrarvi. Dallo specchio intanto riappare Ravenna che convince la sorella a far muovere il suo esercito contro Biancaneve; Eric affronta Freya, aiutato da Sara ma Ravenna la salva e la Regina di Ghiaccio ordina ai suoi fidi di ucciderli ma Tull e molti altri, che sono cresciuti con loro, si schierano contro la sovrana. Durante la lotta finale Freya legge nello specchio la verità sulla morte della propria bambina: era stata la sorella che, per renderla simile a lei, aveva fatto un incantesimo al Duca, costringendolo a dar fuoco alla culla. Quando però si mette contro Ravenna, questa la ferisce mortalmente, lei riesce a trasformare lo specchio in una lastra di ghiaccio ed Eric con un colpo di lancia lo rompe in mille pezzi, distruggendo così anche la strega malvagia. Eric e Sara si riuniscono e anche le due coppie di nani, dopo mille battibecchi, si scoprono innamorate.

Le fiabe – la psicologia del profondo ci ha illuminato sulla loro importanza e sull’ intensità dei loro significati – sono da sempre una fonte di ispirazione per il cinema che ovviamente ne ha adattato il contenuto ai nuovi tempi e al pubblico, sempre però mantenendo intatto il loro impianto di fondo, consolidato da secoli di tradizione letteraria ed orale che ha scavalcato i tempi ed i confini (troviamo le stesse storie in Germania, in Francia, a Napoli ed i Russia). Per fare l’esempio più recente, Maleficent è una Bella addormentata nel bosco, vista, in chiave femminista (il bacio salvifico viene dalla maga non dall’inutile Principe), dalla parte della strega ma l’impianto di fondo rimane immutato.Peraltro, l’attenzione verso la strega cattiva è una caratteristica comune alle ultime rivisitazioni di favole: Angelina Jolie, Julia Roberts, Cate Blanchett e Charlize Theron sono ben più centrali, nei rispettivi film, della Bella Dormiente, di Cenerentola e di Biancaneve (d’altronde io ricordo che, da bambino, mi domandavo come nel capolavoro di Disney lo Specchio potesse dire che la sciapa Biancaneve fosse più bella della sexyssima Regina). Il cacciatore e la regina di ghiaccio è un prequel-sequel di Biancaneve e il cacciatore, che già era attraversato da cupi goticismi, ed è un miscuglio dei personaggi delle favole Biancaneve e La principessa di ghiaccio (la novella dalla quale è stato tratto Frozen),nel quale sembrano messi a caso nani, streghe, goblin e diafani folletti. I protagonisti recitano al minimo sindacale, l’unica che si fa notare è la “nana” Sheridan Smith, già vispa cameriera, sperimentatrice del primo vibratore nel recente Hysteria. Le fiabe sono una cosa serissima, per reinventarle ci vuole un tocco di genio (Come d’incanto e Into the woods ci sono riusciti), che lo scialbo Nicolas-Troyan (succeduto a Rupert Sanders, per via dello scandalo suscitato dalla sua relazione con Kristen Stewart/Biancaneve) non sembra proprio possedere.




Un bacio

di Ivan Cotroneo. Con Rimau Grillo RitzbergerValentina RomaniLeonardo PazzagliThomas Trabacchi  Italia 2016

In provincia di Udine vive Blu (Romani) , un’adolescente chiusa e difficile chee scrive un quotidiano diario alla se stessa di quindici anni dopo. Lei è oggetto di isolamento e scherno da parte dei suoi compagni a causa di una partouze nella quale il fidanzato Giò (Eugenio Franceschini), un po’ più grande di lei, la aveva coinvolta qualche mese prima ma, caparbiamente, si difende attaccando e rivendicando quel gesto come una scelta. Nella sua classe arriva Lorenzo (Grillo Ritzberger), un giovane gay che aveva perso i genitori da ragazzino ed ora, dopo varie dolorose esperienze, è stato adottato da Renato (Trabacchi), operaio nella fabbrica del padre di Blu – Davide (Giorgio Marchesi) – e dalla moglie Stefania (Susy Laude), cassiere in un supermercato. Lorenzo è all’apparenza forte e combattivo (già dall’abbigliamento sfida il perbenismo dei compagni, che reagiscono subito emarginandolo) e la professoressa Longardi (Sara Bertelà), intelligente ed aperta, lo mette al banco con Blu. Nella loro classe c’è anche Antonio (Pazzagli), considerato da tutti uno stupido e che ha un po’ di considerazione dagli altri solo perché è la colonna della squadra scolastica di basket; lui è, in realtà, molto condizionato dall’ ansiosa possessività dei genitori, Vincenzo (Sergio Romano) e soprattutto la madre Ines (Laura Mazzi), traumatizzati dalla morte in un incidente di suo fratello Massimo (Alessandro Sperduti). In palestra Lorenzo nota il bell’Antonio e se ne innamora; poco dopo lui e Blu, che sono diventati subito amici, lo invitano ad un party “di sfigati”, visto loro tre sono gli unici esclusi dalla festa-evento di una loro compagna molto popolare a scuola. I tre diventano inseparabili, ciascuno traendo forza da quell’amicizia: Lorenzo va scuola con le unghie smaltate di nero e quando la retrograda professoressa Messina (Lisa Galantini) lo vuole sospendere per il baccano che ne è nato in classe, lui – oltre che sulla piena solidarietà dei genitori adottivi che lo difendono – può contare sull’appoggio di Blu; lei, a sua volta, che non può contare né sul padre troppo indaffarato, né sulla madre Nina (Simonetta Solder), scrittrice mancata, alla quale lei nasconde le lettere di rifiuto degli editori, ora sembra aver ritrovato un sorriso non solo di triste sarcasmo; Antonio, infine, ha dal brillante Lorenzo un bell’aiuto nelle proprie difficoltà scolastiche e in entrambi una spinta per uscire dalla iperprotettività familiare. Un giorno decidono di vendicarsi del mobbing al quale sono soggetti e mandano su youtube un video nel quale rivelano particolari imbarazzanti sui loro persecutori e questi si vendicano mettendo a soqquadro l’aula ed incolpandoli del vandalismo. Saranno puniti con tre giorni di sospensione e, liberi dalla scuola, una mattina decidono di andare a fare un bagno nel fiume; mentre i due ragazzi si spogliano, Lorenzo non resiste e abbraccia l’amico, che reagisce violentemente e scappa via, deciso a non vederlo più. Blu, inoltre, scopre che il romanzo che la madre ha scritto e pubblicato su internet, è un’imbarazzante autobiografia nella quale dice di lei e del padre cose intime e spiacevoli e ha con lei un duro scontro. Lorenzo non si rassegna alla chiusura di Antonio e, il giorno del suo compleanno, si presenta nella palestra dove lui si stava allenando con un regalo. Il ragazzo, schernito dai compagni di squadra, lo picchia con rabbia e lui scappa. Stefania, nonostante le sue proteste, vedendolo tornare malconcio, decide che andrà a denunciare l’accaduto a scuola ma, la notte, Antonio – che ha visto che il regalo era una cornice con una foto di loro tre insieme quando erano felici, va a chiamarlo per scusarsi e Lorenzo sceso ad abbracciarlo, gli si butta tra le braccia e lo bacia sulla bocca. Antonio, che ha ricambiato il bacio, turbato scappa via. Blu, intanto, è contenta perché è tornato Giò e si mette in tiro per l’incontro. La sera, dopo aver fatto l’amore, lui le mostra, sfrontat, il video della famosa notte dell’ammucchiata e lei, rivedendosi, si rende conto di non essere stata affatto consenziente ma di aver subìto un vero stupro. In lacrime, racconta tutto alla mamma che la convince ad andare con lei a denunciare il fidanzato ed i suoi amici. Antonio, intanto, ha rubato la pistola al padre, guardia giurata, e a scuola uccide Lorenzo.

In questi anni particolarmente bui culturalmente, afflitti dal piattume conformistico di un politically correct furbetto e clientelare, le uniche possibilità che consentono di uscire appena, appena dall’ultra-seminato (a meno di non essere geni come Zalone o disperati come Caligari) sono la comicità ed il melò; la prima perché anche la più conformista (e le nostre lo sono parecchio) delle situazioni brillanti un minimo di ribalderia lo deve prevedere, la seconda perché l’eccesso porta con sé, in qualche modo, la negazione di quanto si vuole sottolineare. La grandezza registica di Matarazzo consentiva di leggere i drammi dell’onore e della purezza calpestati che erano la base del suo cinema di successo (Catene, Tormento, I figli di nessuno) anche in chiave ironicamente seriosa e di apprezzarne appieno la realizzazione. Oggi l’imperante cultura omofila ha bisogno, per poter essere tradotta in un racconto di diffusa condivisione, dei toni, dei colori e delle ingenuità tecniche (quelle farfalline che escono dalla camicia di Lorenzo) di chi, come Cotroneo – dopo il dimenticabile esordio alla regia con La krypyonite nella borsa– si è ricordato, in questo film di essere stato l’ideatore della non banale serie televisiva Tutti pazzi per amore. Certo si affaccia dalle quinte dell’impianto un bel po’ d’indigeribile fabiofazismo (Cotroneo, per dire, ha sceneggiato senza battere ciglio il veltroniano Piano,solo) ma, insomma, accontentiamoci.