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LA LA LAND

di Damien Chazelle con Ryan GoslingEmma StoneJ. K. SimmonsFinn Wittrock, John Legend, Tom Everett Scott.

Mia (Stone) è un’aspirante attrice che lavora a Los Angeles come barista presso il caffè degli studi Warner e, per due volte, si scontra con il pianista jazz Sebastian (Gosling): una volta in autostrada perché lei, intenta a studiare un copione, non si muove bloccandolo e un’altra mentre lei esce di furia dal bar per andare ad un provino e lo urta rovesciandosi addosso il caffe che lui aveva in mano. L’audizione, come mille altre, va male e le sue coinquiline (Callie Hernandez, Jessica Rothe e Sonoya Mizuno) la convincono ad andare con loro ad una tipica festa hollywoodiana. Quella falsa allegria la deprime ulteriormente e, mentre sta tornando a piedi a casa, è attirata da una musica ed entra nel locale da cui proviene. E’ Sebastian che, contravvenendo alle indicazioni di Bill (Simmons), il padrone del locale, che gli aveva intimato di suonare canzoni natalizie, si è messo ad improvvisare su di una sua composizione.   Mia fa per congratularsi ma Sebastian, che è stato appena licenziato, la ignora. Mesi dopo, Mia incontra Sebastian ad una festa dove – per sbarcare il lunario –  sta suonando in una cover band anni ’80 e, per dispetto, gli chiede di suonare il motivetto pop-punk I ran. Escono insieme dalla festa, diventano amici, lei gli racconta delle mille delusioni nella sua vita di aspirante attrice e lui le parla del suo sogno di aprire un locale dedicato al jazz, riuscendo a farla appassionare a quella musica. Sebastian, una sera invita Mia al cinema a vedere Gioventù bruciata lei accetta, ma, all’ultimo momento, il suo fidanzato Greg (Wittrock) la va a prendere per portarla a cena con suo fratello (Josh Pence) e la fidanzata (Nicole Coulon). La cena è noiosissima (i due fratelli parlano solo d’affari) e lei, lasciata bruscamente la tavola, corre al cinema, dove l’aspetta, ansioso, Sebastian; la pellicola si rompe e loro concludono la serata, ballando e baciandosi all’Osservatorio Griffith; hanno capito di amarsi. Mia, stanca di provini deludenti, decide, su suggerimento di Sebastian, di scrivere un suo monologo teatrale. Lui viene contattato da Keith (Legend), un amico musicista con il quale aveva iniziato a suonare, che gli propone di diventare il tastierista della sua band “The Messengers”. Sebastian, che aveva confidato alla sorella Laura (Rosemarie DeWitt) di essere stato tradito dall’amico, ha molte perplessità anche per la deriva pop del gruppo ma, una telefonata di Mia nella quale lei cerca di rassicurare la madre (Meagen Fay) sulle loro condizioni economiche, lo fa decidere di firmare il contratto che darà loro una stabilità. Il gruppo ha un grande successo e Sebastian inizia una lungo tour, lasciando Mia quasi sempre sola. La sera del debutto di Mia a teatro, Sebastian, costretto a sottoporsi ad un servizio fotografico con la band che il fanatico fotografo (Miles Anderson) fa andare per le lunghe, arriva a rappresentazione terminata. Mia, delusa per la sua assenza, per lo scarso pubblico e per le critiche malevole che ha sentito dal suo camerino, decide di lasciare tutto e di tornare dai genitori a Boulder City in Nevada, il paese in cui è cresciuta. Qualche giorno dopo, Sebastian riceve una telefonata della famosa casting Amy Brandt (Valerie Rae Miller), che ha assistito al monologo di Mia e la invita ad provino per un grosso film ambientato in Francia. Sebastian parte per Boulder City e convince Mia a tornare. Al provino le viene chiesto di improvvisare e lei racconta di come una zia sognatrice l’avesse ispirata a diventare un’attrice. Sebastian è sicuro del buon esito dell’audizione e la invita non lasciar cadere i suoi sogni e a cogliere l’occasione del ruolo nel film, anche se il set a Parigi e i mesi di lavorazione del film li terranno lontani. Nel salutarsi, si confessano che, comunque, si ameranno per sempre. Cinque anni più tardi, Mia è diventata un’attrice famosa, è sposata con David (Everett Scott) e madre di una bambina (Zoe Hall). Una notte, dirottando da un ingorgo, lei e il marito capitano in un locale jazz ed entrando Mia vede la scritta “Seb’s”, il nome che lei aveva suggerito a Sebastian per il suo locale. Sebastian, quando la vede tra il pubblico, suona la loro canzone, mentre Mia immagina, con tenerezza e rimpianto, come sarebbe stata la loro vita se fossero rimasti insieme. Terminata l’esibizione, Mia e Sebastian si scambiano un sorriso di intensa, prima che lei se ne vada con il marito.

Candidato a 14 premi Oscar con incassi notevoli in tutto il mondo, La La Land è il film rivelazione di questa stagione. Il trentunenne Chazelle sta bruciando le tappe: dopo un travolgente esordio con lo splendido Whiplash vincitore di 3 Oscar, rieccolo trionfare con un nuovo film incentrato sul jazz e sulla fatica della realizzazione artistica. Solo che qui la scelta è quella di costruire un musical e sin dalle prime inquadrature si parte con il numero di introduzione Another day of sun nel quale giovani aspiranti attori cantano e ballano le loro speranze e si continua con musiche tradizionali e brani scritti dal compositore-amico di Chazelle, Justin Hurwitz e dai prestigiosi parolieri di Broadway Benji Pasek e Justin Paul, culminanti in A lovely night, dichiarato (sin dalla location) omaggio al brano Dancing in the dark da Spettacolo di varietà di Vincent Minnelli. Chi però si aspettava una rivisitazione del musical ne rimarrà un po’ deluso: la forza del grande musical da Stanley Donen a Minnelli sino al coinvolgente Chicago di Rob Marshall è nella capacità della macchina da presa di danzare con i ballerini, trasportando le coreografie e i corpi in un magico universo parallelo, mentre la scelta di Chazelle è di raccontare le lacrime e il sangue (in Whiplash anche reale) della creatività. I due protagonisti, anche nella sequenza del volo sulle stelle, non fluttuano incorporei ma sentiamo, per così dire, la costruzione di ogni passo (certo anche perché  Ryan Gosling e Emma Stone non sono Ferd Astaire e Cyd Charisse) . Detto questo Chazelle si conferma un gran talento, il cast tecnico ed artistico è un’eccellenza (c’è anche un grato J.K. Simmons  – Whiplash gli ha cambiato la vita e la carriera – in un piccolissimo ruolo) e Ryan Gosling  si conferma quale miglior attore di questi anni: riesce a dare spessore interpretativo anche ai momenti di passaggio del suo personaggio: un mostro di espressività!




Poveri ma ricchi

di Fausto Brizzi. Con Christian De SicaEnrico BrignanoLucia OconeLodovica ComelloAnna Mazzamauro Italia 2016

A Torresecca vive la famiglia Tucci: il padre Danilo (De Sica) intrecciatore di mozzarelle, la moglie Loredana (Ocone) casalinga, il cognato Marcello (Brignano), perito agrario disoccupato e creatore d improbabili innesti, la suocera (Mazzamauro) fan di Gianni Garko e i figli Tamara (Federica Lucaferri) cassiera di supermercato e grande appassionata dei social (comincia ogni frase con hastag) e il piccolo Kevi (Giulio Bartolomei) – senza la enne – saggio e studioso. Sono poveri ma felici con poco: grandi friggitori di supplì, si lanciano in grida entusiastiche appena sono in tavola. Un giorno vincono 100.000.000 al Superenalotto e decidono di mantenere il profilo basso di sempre per non essere spolpati dai compaesani. Una notte, in cui marito e moglie prelevano al bancomat, con mille precauzioni, la principesca somma di 150 euro, Marcello, che era di guardia, beccato dal parroco (Giobbe Covatta), finge un’urgenza di confessarsi ma al sospettoso prete nega la vincita; qualche sera dopo, il sindaco (Fabrizio Nardi) vedendoli scaricare un enorme televisore, che la nonna aveva fortemente preteso, di fronte alla loro “confessione” di averlo rubato, li convince a gettarlo nello stagno. La situazione precipita, però, quando, all’ennesima mortificazione da parte del suo capo (Stefano Ambrogi), Danilo sbotta e dichiara davanti a tutti suoi colleghi di essere ricchissimo. I Tucci all’alba scappano ma, nella fretta dimenticano la nonna e, quando tornano indietro per riprenderla, trovano che dichiara ai tg la vincita, aggiungendo che “col cazzo!” darà soldi in beneficenza. Decidono di andare nella città dei veri ricchi, Milano e qui si accomodano in un costosissimo albergo, Marcello in una bella stanza e gli altri nella suite imperiale con maggiordomo Gustavo (Ubaldo Pantani) incorporato. Il giorno dell’anniversario del matrimonio, Danilo ingaggia Al Bano e Loredana, entusiasta, lo affitta per averlo a disposizione costantemente. Marcello ha incontrato la cameriera Valentina (Comello) e se n’è innamorato ma, al primo appuntamento, lei gli dice di odiare i ricchi (il padre, grande finanziere, è in prigione) e lui si dichiara poverissimo, accettando di farsi assumere come lavapiatti nell’albergo. Il giorno del suo compleanno i Tucci organizzano una cena nell’hotel e il capo-cameriere (Bebo Storti), vedendolo al tavolo s’insospettisce e lui e costretto a un faticoso slalom tra cucina e tavolo per non insospettire Valentina, con laquale per la prima volta quella sera farà l’amore, mettendosi definitivamente con lei. Kevi ha, intanto, fatto due conti e comunica ai suoi che, se continueranno con quello stile di vita, i soldi finiranno presto; i Tucci decidono di acquistare un attico nella zona top di Milano e di assumere Gustavo, che comincia ad indottrinarli su come i veri ricchi vivono (sono di sinistra, minimalisti, non ostentano e, apparentemente, non consumano). A Natale Valentina chiede a Marcello di presentarle la sua famiglia e i Tucci, per aiutarlo, si fingono miserabili ma dalla tv appare la loro immagine legata alla fantastica vincita; la ragazza, sentendosi presa in giro, lo pianta su due piedi. La notte di Capodanno, i Tucci organizzano una festa alla quale invitano tutti i vicini, che accettano l’invito, grazie alla signora Sleiter (Camilla Raznovic), snobissima moglie di un pittore alla moda (al quale i Tucci sono stati costretti ad acquistare un quadro da due milioni, dopo averlo imbrattato) . Danilo, a sorpresa, prepara i supplì e la moglie, alla quale Gustavo aveva detto che i ricchi non friggono mai, lo insulta pesantemente. Lui, allora, decide di farle vedere di essere in gamba e va nel lussuoso ufficio di Lallo De Bernardi (Gianmarco Tognazzi), sedicente organizzatore di eventi che aveva conosciuto alla festa, per entrare nel business della Formula 1; sulla sua garanzia di moltiplicare, con le sponsorizzazioni, il capitale, gli consegna gli 80 milioni rimastigli ma, quando il giorno dopo va a perfezionare il contratto, trova i locali vuoti: De Bernardi lo ha solato! I Tucci debbono così tornare a casa e riprendere la vita di sempre; tutti, tranne Marcello che si è rappacificato con Valentina e rimane con lei a Milano. In realtà Kevi con l’aiuto di Gustavo, ha, a sua volta, solato De Bernardi, convinto, che, con qualche aiutino ogni tanto (l’acquisto segreto del mozzarellificio per far fare carriera a Danilo, l’arrivo di Garko per incontrare la nonna, Al Bano che canta Felicità al matrimonio di Marcello e Valentina), sarebbero stati più felici con la loro vecchia, semplice vita.

Poveri ma ricchi è la commedia natalizia di maggior successo di questa non esaltante stagione. Gli astuti Brizzi e Martani si sono appoggiati a un grande successo francese di 5 anni fa, Les Touche, traendone un quasi remake. A sua volta il film francese aveva alle spalle grandi successi basati sulla stessa situazione di una famiglia proletaria che diventa ricca: I milionari (1949) di Charles Lamonte, spin-off di Io e l’uovo, con due contadini che si comprano una villa avveniristica, che ha avuto ben 8 sequel e The Beverly Hillibillies, fortunatissima serie degli anni ’60 con protagonista una famiglia di montanari trasferitasi a Beverly Hills, dopo aver scoperto il petrolio nel proprio campicello. Oltre al bell’adattamento di un film che in Francia ha chiamato 1.500.000 spettatori, Poveri ma ricchi ha ottime idee di cast (senz’altro merito della solita Barbara Giordani): De Sica e Brignano fanno il loro con grande mestiere ma sono gli altri a fare la differenza, a partire da una superba Ocone (si devono a lei molte delle risate), a un interessante Pantani, a un ottimo Nardi (del duo Pablo & Pedro), alla piacevolmente ritrovata Mazzamauro, fino a un cameo di Massimo Ferrero in chiave anti-capitalista.




Natale a Londra – Dio salvi la Regina

di Volfango De Biasi. Con Pasquale PetroloClaudio GregoriPaolo RuffiniNino FrassicaEleonora Giovanardi Italia 2016

Il Duca (Ninetto Davoli), rispettato boss della malavita romana, è nei guai con Equitalia e, attraverso il proprio braccio destro (Sergio Di Pinto), incarica il figliastro Erminio (“Lillo” Petrolo) di andare a Londra a riscuotere un vecchio debito dal Barone  (Frassica) che gestisce un loro ristorante. Erminio non è una cima ed è stato sempre aiutato nelle imprese criminali dal fratellastro Prisco (“Greg” Gregori), che però, dopo aver scontato una pena, addossandosi un reato del padre, è tornato mite e legalitario e ora fa la guida dei boy scout; Erminio, per coinvolgerlo, inventa un’urgenza clinica per il padre in fin di vita. Il Barone,intanto, ha i suoi guai e, quando i due fratelli arrivano al ristorante, lo trovano alle prese con il gangster con una mano meccanica, Mike the Hammer (Vincent Riotta), che dà a tutti una settimana per consegnargli il milione di sterline che il Barone (che deve il soprannome alla sua specialità di baro ma ora ha perso la mano) ha perso al gioco. La volitiva figlia di questi, Anita (Giovanardi), dopo aver fatto fuoco e fiamme per il guaio il cui il padre l’ha cacciata, decide – anche perché è innamorata sin da bambina di Prisco – di aderire al piano di rapire i cani della Regina (Patricia Ford), che tutti i venerdì, accompagnati da un Lord (David Brandon), vanno a mangiare nel ristorante, di fronte al loro, Monica & Enzo (Monica Lima e Enzo Iuppariello: gli Arteteca). Lo chef Vanni (Ruffini), innamorato di Anita ma incapace di dichiararsi, viene spedito dai rivali in veste di talpa e alla banda si uniscono il Barese (Uccio De Santis), depositario di tutti i congegni utili a qualunque crimine, e U’ Mago (Enrico Guarneri), scassinatore con un grande estro ipnotico. Prisco, nel frattempo, grazie ad un colpo in testa, è ritornato se stesso ed è pronto all’azione. Il piano ha, però, un problema: quella settimana si festeggia il compleanno dei cagnetti reali e loro e i loro amici banchetteranno a corte; per fortuna, Sua Maestà vuole che siano, per l’occasione, servite le famose polpette, così Monica, Enzo e Vanni vanno a Buckingham Palace, in un cafonissimo landò, al quale si aggregano, quali lacchè, Erminio e Prisco. Vanni mette del sonnifero nelle polpette, i cani si addormentano e, mentre U’ Mago distrae gli ospiti, Anita si dichiara veterinaria, il rapimento viene portato a termine e la banda si accampa nel barcone sul Tamigi del prestigiatore. Qui una telefonata del padre a Erminio fa capire a Prisco di essere stato ingannato e lui, indignato, se ne va, seguito da Anita che, all’improvviso, lo bacia, rendendosi conto di non amarlo affatto, se non come un fratello. I due tornano alla chiatta e la trovano piena di poliziotti: i due ristoratori napoletani, dopo essere stati interrogati, avevano cominciato a sospettare di Vanni e, seguendolo, avevano scoperto tutto e chiamato Scotland Yard. La perquisizione però non ha esito: i cani non sono lì. Dopo il sollievo iniziale, i nostri non sanno che pensare ma l’arrivo improvviso del Duca chiarisce tutto: consapevoli dell’impossibilità di ottenere un riscatto dalla Regina, lui e il Barone hanno venduto i can per un milione a Mike, che ha pronto un ricchissimo cliente cinese che vuole mangiarseli. Prisco, però, si ribella: lui è tornato un duro ma non permetterà quello scempio; Ermino, Anita e Vanni lo seguono. Nel covo di the Hammer, Anita e Vanni, vengono catturati e chiusi in una cella frigorifera, dove si dichiarano reciproco amore, mentre Prisco ed Erminio, dopo aver sgominato a cazzotti (Prisco, Erminio li ha solo presi) la banda, sono, a loro volta, intrappolati. Arrivano, però, i nostri: Duca, Barone, Barese e Mago armati fino ai denti che liberano i ragazzi e i cani. Sua Maestà, infine, è diventata intima di Monica ed Enzo (i suoi cagnetti hanno messo incinta la loro bastardina) e potrà, per il discorso di fine anno, sfoggiare, al posto di uno dei soliti cappellini, uno smagliante chatouche arcobaleno.

Cominciata nell’’83 con Vacanze di Natale, la serie delle commedie natalizie prodotta da Aurelio De Laurentis è andata avanti, anno dopo anno, con successo; nel 2012, però, Aurelio (che aveva avvertito i primi scricchiolamenti) ha dato una svolta al genere, lanciando in Colpi di fulmine, l’ultimo diretto per lui da Neri Parenti, la coppia Greg e Lillo (fino a quel momento attiva prevalentemente in teatro e in radio), più moderna ma anche fruibile per progetti a costi più contenuti. Gli incassi, infatti, cominciavano a diminuire, da un lato, per naturale stanchezza ma, dall’altro, per eccesso di offerta di commedia – e non solo nel periodo natalizio. Le produzioni italiane, da qualche anno, salvo poche eccezioni, hanno un mercato sempre più ristretto e la soluzione a molte produzioni – anziché sforzarsi di identificare un pubblico di riferimento e, semmai, differenziare e cercare mercati anche esterni al nostro – è apparsa quella di usare i registi e gli sceneggiatori (nati con tutt’altra vocazione) con i quali erano soliti lavorare per mettere in cantiere, alla bell’e meglio, tante commedie, nella consapevolezza che, con ogni probabilità, qualche soldo d’incasso in più sarebbe arrivato (rispetto al quasi niente di tanti film pseudo-impegnati) e che la Rai e, soprattutto, le banche – quasi unico finanziatore in chiave di tax-credit esterno – sarebbero intervenuti per un genere, i cui esiti potenziali sono certamente più facilmente dimostrabili. Risultato: da un paio di anni ogni settimana esce nelle sale una commedia, in una logica tutta nominalistica e autoreferenziale, senza nessuna reale attenzione al botteghino (tanto il film è già pagato) Ecco così che questo Natale sono usciti ben 6 simil-cinepanettoni, che si cannibalizzano a vicenda. Un peccato per Natale a Londra (vale anche per Poveri ma ricchi) che, nel suo genere, è un buon prodotto, con una bella attenzione a idee di cast: gli Arteteca sono ben usati, Davoli è una simpatica presenza e Guarneri è una bella scoperta (per il cinema: il teatro siciliano lo conosce benissimo); De Biasi, poi, ci mette di suo un piglio da cinefilo degli anni ’80, cita le scazzottate di Spencer e Hill e, tira fuori dal cilindro il minidivo degli horror di quegli anni David Brandon e il coatto Sergio “ er Parrucca” Di Pinto. Soprattutto,però, un peccato per una cinematografia che va complessivamente in decadimento.




Non c’è più religione

di Luca Miniero. Con Claudio BisioAlessandro GassmannAngela FinocchiaroNabiha AkkariGiovanni Cacioppo Italia 2016

Nell’isoletta di Porto Buio ad ogni Natale viene allestito un presepe vivente ma l’unico bambino del paese, Lupo (Giuseppe Fiale), è troppo grande e troppo grasso per interpretare Bambin Gesù. Il sindaco Cecco (Bisio) – che è tornato e si è fatto eleggere dopo aver tentato fortuna politica al nord – propone una soluzione: si chieda un bambino alla comunità islamica che vive dall’altra parte dell’isola. Il parroco, Don Mario (Massimo De Lorenzo), la suora, levatrice (finché nascevano bambini) e pizzaiola, Marta (Finocchiaro) e, soprattutto, il panettiere Aldo (Cacioppo) sono contrari: Gesù non può essere incarnato da un bimbo mussulmano. I tentativi di far dimagrire Lupo falliscono e i tre, insieme al sindaco, vanno ad incontrare gli islamici, che sono guidati da Bilal (Gassmann), un loro compaesano, che si è convertito per amore della balla Aida (Akkari) e si è cambiato il nome (tutti lo conoscevano come Mariettto). Tra Marietto, Marta e Cecco, c’è un’evidente acredine: da ragazzi erano amicissimi ma Cecco aveva baciato Marta, di cui Marietto era innamoratissimo. Un po’ per far pagare l’antico torto, un po’ per vendicarsi del razzismo dei paesani e un po’ per trarre profitto dalla situazione, Bilal pone, via via, varie condizioni: il nipote Alì (Mehdi Meskar), che lavora in nero nella pizzeria di Suor Marta, dovrà essere messo in regola, il presepe dovrà seguire alcune regole coraniche (non potrà, ad esempio, esservi San Giuseppe: essere padre di un figlio altrui è un disonore),che fuori dalla mangiatoia  campeggi una palma, che il razzista Aldo prepari anche pane arabo e, visto che il bambino prescelto è il  suo nascituro, ad Aida spetterà il ruolo della Madonna al posto della madre di Lupo, Addolorata (Paola Casella), fino a quel momento Madonna titolare. A queste, poi, si aggiunge la richiesta che tutti i portabuiesi rispettino il ramadan ma Cecco, dopo aver faticosamente convinto gli altri, rompe il digiuno con una pizzetta che aveva sequestrato a Lupo; per riparare, la chiesa dovrà ospitare anche gli oranti mussulmani. Sul piano privato, Cecco e Marietto hanno qualche problema: il primo è in ansia per la figlia, Maddalena (Laura Adriani), che è andata a studiare a Londra, l’altro non riesce a rappacificarsi con la madre (Nunzia Schiano), che, da quando si è convertito, si è chiusa in una casa di riposo e gli manda, per dispetto, pacchi di salumi. I tre vecchi amici, ogni tanto, ritrovano sprazzi dell’antico affetto e le cose sembrano procedere ma una telefonata di Aldo fa arrivare il vescovo (Roberto Herlizka) e il suo segretario (Giovanni Esposito) a supervisionare lo strano presepe; le nuove aperture della Chiesa li inducono, però, a dare il loro placet. A pochi giorni dal Natale, Maddalena torna, è incinta e non vuole dire il nome del padre. Cecco si convince che questi sia Alì e, per ripicca, decide che il suo futuro nipote sarà il bambinello e lo comunica con asprezza a Bilal e ad Aida. Maddalena, però, è buddista e così il presepe subisce nuovi mutamenti: al posto della palma, ci sarà il dio Ganesh, e tutti figuranti saranno vestiti di arancione. Durante la prova generale, Maddalena ha le doglie e Marta, che è accorsa chiamata da Alì, comunica che sarebbe meglio operare un cesareo; l’isola non ha un ospedale e il traghetto è appena partito; la barca degli islamici funge così da sala parto. Nasce, accolto festosamente da tutti, un bambino orientale.

Non c’è più religione sembra essere una sorta di summa di tutti gli errori che il frenetico proliferare di commedie italiane porta con sé; primo fra tutti, l’affannosa ricerca di temi e soluzioni assolutamente e conformisticamente buoniste ma la commedia non è questo; anni fa Moravia scriveva, con un evidente paradosso, che l’umorismo è sempre reazionario: chi vuole cambiare il mondo non ama compiacersi, ridendo, degli errori della società che vuole riformare (con questa scusa, peraltro, i dirigenti P.C.I. querelavano i satirici che osavano criticarli). Se questa affermazione è, appunto, paradossale è però vero un suo corollario: non si può ridere e far ridere se si hanno troppi paletti moralistici e di bon ton. Miniero – e con lui Sandro Petraglia (non proprio uno scrittore buontempone) e il blogger Astutillo Smeriglia – ha buttato giù una sceneggiatura, nella quale il massimo del coraggio sono delle affettuose battute (da sacrestia appunto!) sulla nuova chiesa di papa Francesco e il temine “kebabbari” in bocca al razzista Aldo. Per associazione d’idee, viene in mente il laidissimo, sconvenientissimo, nsublime bancarellaro ebreo, disegnato da Sordi in Fortunella di De Filippo: a nessuno venne in mente di sospettare Eduardo (o Fellini, Flaiano e Pinelli che lo scrissero insieme a lui) di razzismo; sordi era perfetto e tanto bastava! Miniero viene da tre grandi successi, Benvenuti al sud, Benvenuti al nord e Un Boss in salotto, che (a parte la perfetta sceneggiatura di Giù al nord, del quale il primo era un intelligente remake-fotocopia), però, contavano su Siani (che le risate se le porta da casa) e sulla Cortellesi in stato di grazia. Bisio, Finocchiaro e Gassmann sono ottimi attori ma funzionano se gira nel verso giusto il testo; non è un caso che le poche risate arrivino da un geniale comico puro come Cacioppo. Averlo scelto è, già di per sé, un gran merito.




Sully

di Clint Eastwood. Con Tom HanksAaron EckhartLaura LinneyAnna GunnAutumn Reeser USA 2016

Siamo a New York nel gennaio del 2009 e il comandante Chesley “Sully” Sullenberger (Hanks), insieme al suo secondo pilota Jeff Skyles (Eckart), si prepara all’incontro con la commissione della NTSB (l’agenzia americana che indaga sugli incidenti nei trasporti): deve convincerli che il difficilissimo e rischiosissimo ammaraggio di fortuna da lui effettuato il 15 gennaio nel fiume Hudson fosse stata la scelta migliore, dopo che i due motori del suo aereo erano stati resi inservibili da uno stormo di anatre. L’opinione pubblica è tutta con lui e lo considera un eroe: ha salvato tutti i passeggeri con una manovra che piloti provetti considerano tecnicamente impossibile. I membri della commissione – guidata da Charles Porter (Mike O’Malley), Ben Edwards (Jamey Sheridan) e Elizabeth Davis (Gunn) – lo attaccano subito, sostenendo che tutte le simulazioni al computer dimostravano che l’aereo avrebbe potuto benissimo atterrare in un aeroporto vicino, come gli era stato indicato dall’addetto alla torre di controllo Brian Kelly (Wayne Bastrup); in gioco ci sono non solo in rischi che la sua manovra comportava ma anche gli interessi della compagnia aerea e dell’assicurazione (il velivolo è rapidamente affondato nel fiume). Sully è sicuro di aver fatto la scelta migliore: glielo testimonia la riconoscenza dei 155 passeggeri che si sono salvati – una giovane mamma (Reeser) con il suo bambino, un padre (Christopher Curry), un figlio (Sam Huntington) e un loro amico (Max Adler) golfisti saliti sull’aereo all’ultimo minuto, una donna (Marcia De Bonis), che, vinta dal panico, si era gettata nel fiume ed era stata ripescata appena in tempo, le hostess Diane (Valerie Mahaffey) e Doreen (Molly Hagan), tra i tanti – così come le interviste in suo favore con Katie Couric (lei stessa) e David Letterman (lui stesso) ma anche l’entusiasmo di semplici cittadini: un entusiasta taxista egiziano (Ahmed Luncan), un barista (Michael Rappaport), che aveva creato un cocktail in suo onore e l’addetta (Purva Bedi) alle pubbliche relazioni dell’albergo, che, nel accoglierlo, non può fare a meno di abbracciarlo. Lui, però, è angosciato e nelle telefonate con la moglie Lorraine (Linney), pur tentando di tranquillizzarla, traspaiono i suoi tormenti, finché non impone alla commissione di affidare le simulazioni a veri piloti e non solo a fredde macchine All’udienza decisiva, lui e Jeff, accompagnati dal loro rappresentante legale Larry Rooney (Chris Bauer), assistono in diretta ai test, che però sembrano dar ragione alle tesi dei loro detrattori, quando Sully tira in ballo il “fattore umano”: quei piloti sanno cosa sta accadendo ed agiscono meccanicamente (dopo, si chiarirà, ben 21 prove); lui invece ha dovuto riflettere, per 208 secondi, e dopo agire. Vengono concessi solo 35 secondi di pausa ai piloti dei test ma sono sufficienti a mostrare che ogni tentativo di convergere verso un aeroporto sarebbe sfociato in una strage. Questo, e l’ascolto della registrazione dei minuti che precedevano la decisione di ammarare, fa chiudere l’inchiesta con Edwards e la Davis che dichiarano di essersi trovati al cospetto di un eroe.

Il titolo di questo pezzo è mutuato del secondo episodio delle ironiche avventure spionistiche dell’Agente Flint (interpretato da James Coburn), perché non trovo niente di più giusto che tributare ammirazione e riconoscenza per l’ultimo, grande regista americano. Intendiamoci; il cinema degli Stati Uniti ha, e avrà, bravi registi (anche sublimi registi) ma la grande scuola di Ford, di Hawks, di Hataway ha un solo erede; lui, Clint Eastwood. Sully – tratto dal libro autobiografico del pilota, scritto con il giornalista Jerrrey Zaslow – non è solo un racconto epico di un episodio realmente accaduto; è una summa della poetica di Eastwood: non a caso, l’incidente e lo spettacolare salvataggio occupano uno spazio limitato del racconto, che è invece incentrato sullo scontro tra l’eroe solo e la burocratica commissione. Qui Sully è Guinny, è il reduce di Gran Torino, è il giornalista ubriacone di Fino a prova contraria, è la madre disperata di Changeling, è tutti quegli eroi solitari e caparbi (fino ai soldati anonimi del doppio Flags of Our Fathers e Lettyere da IwoJima), cui Clint dà una dimensione omerica; tanto è suo e personale il racconto che, pur nella formale adesione ai fatti accaduti, il confronto con la NTSB ci arriva ampliato e, di fatto, distorto: nella realtà l’inchiesta era un atto dovuto e apparvero chiari da subito l meriti di Scully .Eastwood ha 86 anni ma, pur rimanendo fedelissimo alla propria ispirazione, non rinuncia a sperimentare: qui affida al suo bravissimo direttore della fotografia Tom Stern il compito di girare nel recentissimo formato IMAX con splendidi risultati e, per la prima volta, dirige Tom Hanks, che aggiunge alla sua galleria uno splendido, nuovo eroe piccolo borghese. Magari non lo si è capito, perciò ripeto: a noi piace Clint.




Snowden

di Oliver Stone. Con Joseph Gordon-LevittShailene WoodleyMelissa LeoZachary QuintoTom Wilkinson  USA, Germania 2016

2013. Edward Snowden (Gordon – Levitt) è, in incognito, in un hotel di Hong Hong, insieme alla documentarista Laura Poitras (Leo) e ai giornalisti di The Guardian Glenn Greenwald (Quinto) e Ewen MacAskill (Wilkinson) ai quali sta facendo importanti dichiarazioni. Lui, figlio di un militare, da giovane, abbondonati gli studi informatici, nel 2004 si era arruolato nelle Forze Speciali con la speranza di andare a combattere in Iraq ma il duro addestramento con uno zaino di 40 chili sulle spalle gli aveva spezzate entrambe le gambe. Congedato, aveva fatto il test per entrare nella C.I.A. e l’ufficiale Corbin O’ Brian (Rhys Ifans), che l’ha esaminato, lo ammette, pur con qualche falla nelle risposte, per il suo entusiasmo patriottico. Durante i corsi viene, però, fuori il suo enorme talento per l’informatica e gli vengono subito assegnati compiti delicati. Comincia a collaborare con Gabriel Sol (Ben Schnetzer) che gli mostra i programmi di controllo dell’Agenzia e lo prende in giro, chiamandolo “Biancaneve”, quando lui si stupisce vedendo che questi non riguardano solo possibili agenti nemici ma milioni di persone. In quel periodo conosce Lindsay Mills (Woodley), una ragazza progressista che diventerà presto la sua compagna. Stringe amicizia anche con il suo docente d’informatica, Hank Forrester (Nicolas Cage), che gli rivela di aver messo a punto in passato un sistema molto sofisticato, che però era stato misteriosamente messo da parte. Finito con successo il corso, Snowden viene inviato in Svizzera e qui comincia ad avere sempre più chiaro che la C.I.A. controlla praticamente tutti coloro che hanno un sistema di comunicazione elettronico (telefonini, mail, apps); gli viene dato in primo incarico da spia: deve trovare un banchiere che accolga conti di nazioni colluse con il terrorismo; lui aggancia Marwal Al-Kirmani (Bhasker Patel), viene a conoscenza di problemi della sua figlia quattordicenne, li segnala all’agente senior Geneva (Timothy Oliphant), con il quale lavora e questi non esita a rovinare la vita del finanziere per penetrare nei suoi conti, creando a Snowden una  violenta crisi di coscienza. Trasferito in Giappone lavora alacremente ai programmi di controllo (scoprendo che sono una versione deviata del progetto di Forrester) ma con Lindsay le cose non vanno bene: lui è troppo assente e concentrato sul lavoro e lei sta per lasciarlo. Questa situazione, in aggiunta allo stress, gli procura una crisi epilettica (lui aveva sempre trascurato questa sua malattia perché i farmaci per tenerla sotto controllo gli toglievano lucidità nel lavoro). Decide così di dimettersi e lavora presso dei privati, sempre però nell’ambito della Sicurezza Nazionale. Gira il mondo, con compiti di coordinamento dei sistemi NSA, finchè O’Brian non lo convince ad andare alla base militare Waipu, alle Hawaii, per coordinarne gli avanzatissimi programmi informatici. Qui, sotto gli ordini dell’ufficiale Trevor James (Scott Eastwood), coordina la squadra degli informatici; i dubbi che l’hanno sempre tormentato diventano certezze quando vede varie scene di civili uccisi dai droni che da lì partono, avendo come bersaglio dei terroristi – ovunque e con chiunque si trovino – e gli appare chiaro che la nazione con più individui sotto controllo (più di 5 milioni) sono gli Stati Uniti. Dopo aver racchiuso in una chiave Usb i dati della NSA e aver convinto Lindsay a tornare a casa, lui va a Hong Kong e, con una lunga intervista, fornisce al Guardian e al Washington Post il materiale per montare una travolgente inchiesta sui servizi segreti americani. Messo sotto accusa, è difeso dall’avvocato Robert Tibbo (Ben Chaplin), che lo aiuta a rifugiarsi in Russia.

Stone è la figura centrale del cinema d’impegno americano: ha raccontato, con grande partecipazione politica, tre Presidenti americani (JFKNixon, W.), ha più volte condannato le guerre del suo paese (Salvador, Platoon, Nato il 4 Luglio) , con i due Wall Street ha messo a nudo la disumanità dell’alta finanza: tutti questi titoli, a prescindere dall’adesione o meno ai loro contenuti, hanno sempre mantenuto un forte valore di qualità cinematografica (alla pari di quelli che io considero i suoi film migliori: Natural born killer e Ogni maledetta domenica). Snowden, invece, non ce la fa a prendere respiro: Gordon-Lewitt è preciso, il cast è ottimo e di grande richiamo – a partire dalla Divergent  Woodley – ma sembra di essere di fronte ad un costoso ed ottimo tv-movie. E’ probabile che la contemporaneità dei fatti raccontati abbiano costretto la produzione a rispettare le volontà dei veri protagonisti della vicenda (i personaggi C.I.A., a partire da Corbin O’Brian, sono tutti, peraltro, di fantasia) per evitare problemi giudiziari. Sta di fatto che la complessità e la tragicità di Edward Snowden e le chiare ambiguità del personaggio, sono annullate in un racconto senza chiaroscuri –in fase di scrittura ma, di conseguenza, anche dal punto di vista  registico – che dà al protagonista un ruolo di santino informatico, molto lontano dalla capacità, quasi scespiriana, di Stone di tratteggiare i suoi personaggi.




 Animali notturni (Nocturnal Animals)

di Tom Ford. Con Amy AdamsJake GyllenhaalMichael ShannonAaron Taylor-JohnsonIsla Fisher

Susan Morrow (Adams) gestisce una prestigiosa galleria d’arte d’avanguardia – la vediamo inaugurare una mostra di statue viventi e video con grassone nude (Michele Dunn, Lori Jean Wilson, Peggy Fields Richardson, Piper Major) – ed è sposata con Hutton (Armie Hammer), uomo d’affari; la sua vita, apparentemente perfetta, è in crisi: il rapporto con il marito (che sta attraversando una crisi finanziaria) è più che logoro, il suo lavoro non la soddisfa più (da giovane voleva fare l’artista ma non ne ha trovato il coraggio) e la notte non dorme praticamente mai. Un giorno le arriva per posta la copia dattiloscritta del romanzo Animali notturni, che il suo ex-marito, Edward Sheffield (Gyllenhaal), sta per pubblicare. Lei ne è un po’ sconvolta: si sente ancora in colpa per il modo in cui, al tempo, lo aveva lasciato (verremo a sapere, che, aiutata da Hutton, aveva abortito del bambino che aspettava e che lui li aveva sorpresi all’uscita della clinica). La sera lei e il marito vanno a cena dalla sua amica modaiola Alessia (Andrea Riseborough), la sua confidente ma questa – talmente  trendy da aver sposato il gay Carlos ( Michel Sheen) per non avere noie sentimentali – non può far molto per aiutarla. Durante la cena Hutton riceve una telefonata e parte immediatamente per New York. Più tardi, alle 4 del mattino, lei, mentre aveva cominciato a leggere il romanzo, lo chiama per avere notizie del viaggio e capisce che lui è con una ragazza (Imogen Waterhouse); ne è ferita ma fa finta di nulla e si rimette a leggere, sempre più coinvolta nella trama.

Il romanzo racconta di un uomo Tony Hastings (Gyllenhaal), che parte per il Texas con la moglie Laura (Fisher) e la figlia adolescente India (Elli Bamber). Di notte, in autostrada deserta, supera due macchine che camminano appaiate; alla guida di una delle due ci sono tre teppisti, Ray (Taylor-Johnson), il capo, Lou (Karl Glusman) e Turk (Robert Aramayo), che prima si fanno urtare, poi li buttano fuori strada e, infine, fingono di aiutarli, cambiando una gomma che, nella manovra, si era forata. Tony cerca di dominare la paura ma  Ray e Turk caricano le due donne sulla sua auto, mentre lui è costretto a seguirli insieme a Lou. Arriva alle viste di una baracca, vicino alla quale è parcheggiata la sua macchina ma Lou lo minaccia e lo costringe a guidare fino ad un sterrato e qui lo fa scendere. Dopo una notte nascosto al buio, Tony arriva in una fattoria e chiama la polizia. Arriva il tenente Bobby Andes (Shannon) e con lui vanno alla baracca; qui, su di un divano, trovano i corpi nudi di Laura ed India: sono state violentate ed uccise. Le indagini proseguono a rilento, sino a che, in una rapina, uno dei tre banditi viene ucciso – ed è Turk – e l’altro, Lou, viene arrestato e riconosciuto da Tony. Poco dopo, Bobby porta Tony a casa di Ray e lo arresta in base alla sua testimonianza. Ma questi viene rilasciato: le prove contro di lui sono ritenute insufficienti. Bobby allora va a parlare con Tony e gli confida di avere un tumore ai polmoni che gli lascia solo un anno di vita e che il rilascio di Ray, è una mossa dei suoi superiori per accusarlo di negligenza e sostituirlo prima del tempo; lui, però, non è disposto a lasciar libero uno stupratore e assassino e gli chiede se è disposto ad andare fino in fondo con lui. Tony accetta e i due aspettano che Ray esca dal bar dove è andato a festeggiare, lo prelevano e lo portano a casa del poliziotto, i cui uomini, poco dopo, portano anche Lou. Il tenente li minaccia con la pistola e, dopo poco, li libera, per avere una scusa per ucciderli; i due scappano, Bobby ammazza Lou,  dà una pistola anche a Tony e i due si dividono per cercare Ray; Tony lo trova nella baracca dello stupro e gli spara uccidendolo, anche se l’altro lo ha colpito con una spranga; all’alba, ferito e semicieco per la botta, si rialza, esca e, dopo pochi passi, si suicida con un colpo di revolver.

Durante la lettura Susan ha sprazzi di ricordi della sua storia con Edward: il primo incontro, la decisione di sposarsi, lo scontro con la madre (Laura Linney) che lo considera un debole senza avvenire, le crisi di lui alle prese con le prime, dure, esperienze di scrittore, la sua decisione di lasciarlo, fino all’aborto; soprattutto ricorda che Animale Notturno era il soprannome che Edward le aveva dato, per via della sua insonnia; nella galleria, intanto, lavora distrattamente e cambia idea su Alex (Zawe Ashton), una manager che considerava superficiale perché non aveva il suo stesso male di vivere e, per lei, si scontra con due aspre azioniste della galleria (Jena Malone e Kristin Bauer Van Stratten). Lei gli manda un messaggio, in cui gli chiede un appuntamento e lui risponde immediatamente, invitandola a cena. Al ristorante, però, lui non si presenta e lei rimane lì a scolarsi un whisky dietro l’altro.

Tom Ford è, come noto. un affermatissimo stilista: prima di avere un marchio proprio, ha lavorato per Gucci e per Yves Saint Laurent e, nel cinema (oltre ad un paio di apparizioni nel ruolo di se stesso) ha creato i costumi degli ultimi tre 007. La svolta, però, è stata il suo primo film, A single man, con il quale ha avuto immediati riconoscimenti e attenzioni critiche; pur essendo tratto dal romanzo di Christopher Isherwood, A single man, molto pervaso dalla sua vita personale (in particolare dalla malattia del suo compagno Richard), avrebbe potuto essere una feconda stravaganza in un percorso professionale attinente con l’arte. Animali notturni – anche questo tratto da un romanzo, Tony & Susan di Austin Wright – invece, è la prova di un vero talento registico. Non è certo un film perfetto, anzi: le ambientazioni e i personaggi che più trendy non si può, le metafore pittoriche (il quadro con la scritta Revenge, il toro trafitto dalle frecce, le ciccione oscenamente inutili) pesantemente allusive, le bellurie registiche e di montaggio, il tono dei dialoghi tra la soap Anche i ricchi piangono e un fondo di The New Yorker  potrebbero essere – e in parte sono – forti limiti narrativi ma l’insieme è un film suggestivo,  potente e, alla fin fine, sincero; quello che vediamo è il mondo di Tom Ford e lui ce lo racconta, senza mediazioni e, se ci entriamo, soffriamo, con gioia empatica, le sue sofferenze. Aiuta, certo, un cast di attori eccelsi anche in ruoli secondari ma, certamente, il Gran Premio della Giuria a Venezia non era immeritato.




Masterminds – I geni della truffa (Loomis Fargo)

di Jared Hess. Con Kristen WiigOwen WilsonJason SudeikisZach GalifianakisKen Marino  USA 2015

David Ghannt (Galifianakis) è un portavalori della Loomis ed è innamorato della collega Kelly (Wiig), anche se sta per sposarsi con la petulante Jandice (Kate McKinnon). Un giorno l’irrequieta Kelly lascia il lavoro e va a vivere dal suo amico Steve (Owen Wilson). Questi è un ladro e convince la ragazza a sedurre David perché rapini per loro la Loomis. Lui,esasperato dagli sgarbi della fidanzata e della futura suocera (Jill Jay Clements) e innamorato cotto accetta con entusiasmo. Durante il colpo ne combina di tutti i colori: si fa sorprendere dal collega Ty (Njema Williams), rimane incastrato nel furgoncino e, soprattutto, viene ripreso da una telecamera di sorveglianza. Il colpo però riesce e frutta ben 17 milioni di dollari. Steve gli procura, sottraendoli al killer Mike McKinney(Sudeikis), dei documenti falsi e lo spedisce in Messico con 20.000 dollari e Kelly gli promette di raggiungerlo al più presto con la sua parte del bottino. David, fiducioso, parte e si tiene in contatto con la sua amata ma, quando lei sta per rivelargli di non avere nessuna intenzione di andare da lui, Steve la costringe a farsi dare l’indirizzo in Messico; David è ormai, grazie alla telecamera della Loomis, su tutti telegiornali, la grintosa detective FBI (Leslie Jones), che segue il caso sta cercando i complici e Steve è convinto che farlo arrestare sia il modo migliore per calmare le acque, certo che David non farà mai i loro nomi per non compromettere l’amata. Lui sfugge, avventurosamente, all’arresto e ora vaga per il Messico, spaventato e con pochi soldi e lancia messaggi disperati a Kelly. Steve – che, nel frattempo, ha abbandonato ogni prudenza e spinto dalla moglie Michelle (Mary Elizabeth Ellis) ha comprato un’enorme villa e vive da nababbo – assolda McKinney per uccidere David; Kelly lo viene a sapere e cerca di metterlo in guardia ma il killer arriva prima e sta per farlo a fette (è un sadico); quando dai documenti (falsi) scopre che si chiama come lui e che è nato lo stesso giorno e, interpretando questo come un segno del destino, lo abbraccia come un fratellino e gli regala anche un po’ di soldi. David chiama Steve e minaccia di denunciarlo se non gli fa un bonifico in Messico di sei milioni ma questi rapisce Kelly e minaccia di ucciderla. David torna in America il giorno dell’inaugurazione della faraonica villa dell’ex-complice e riesce a liberare la ragazza e, raggiunto da Steve, accortosi che la detective è in ascolto da un furgone dentro la villa e lo induce a vantarsi delle sue gesta. Vengono tutti arrestati ma i sei anni di carcere di David saranno lievi, sia perché troverà Kelly – anche lei condannata allo stesso numero di anni – ad aspettarlo, sia perché l’entità del bottino (il più alto della storia delle rapine in America) gli riserva un trattamento di grande rispetto da parte degli altri detenuti e, non ultimo, perché ha nascosto – durante l’incursione nella villa dell’ex-complice due bei milioncini.

La rapina è uno dei soggetti che più spesso hanno ispirato film comici – vedi I soliti ignoti di Monicelli, I mitici di Vanzina, Prendi i soldi e scappa di Allen – ed ha precedenti letterari illustri, valga per tutti la saga di Donald E. Westlake con il ladro pasticcione e sfortunato Dortmunder; questo film avrebbe tutti i presupposti per essere piacevole: la storia paradossale ma  realmente accaduta (nei titoli di coda vediamo alcuni interpreti con i veri rapinatori), il regista specialista di commedie dell’assurdo (Napoleon Dynamite, Super Nacho) e un cast di ottimi comedians (Galifianakis è esplosi con i tre Notte da leoni, la Wiig è la protagonista de Le amiche della sposa, la McKinnon era la più divertente nel recente Ghostbusters  e Sudeikis lo era nei due Come ammazzare il capo e vivere felici). Però qualcosa non gira nell’ingranaggio; ogni commedia ha bisogno di un ritmo, di un beat preciso e questa non lo ha; probabilmente le difficoltà finanziarie della Relativity Media che lo ha prodotto non hanno reso possibile un indispensabile lavoro finale di pulitura e accorpamento in fase di post-produzione; sta di fatto che quello che, con due anni di ritardo dal previsto, vediamo è un insieme di gag affastellate e situazioni e personaggi minori che lascerebbero intendere un qualche sviluppo lasciati in sospeso. Peccato; un’ occasione persa.