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Il permesso – 48 ore fuori

di Claudio Amendola. Con Luca ArgenteroClaudio AmendolaGiacomo FerraraValentina BellèAntonino Iuorio   Italia 2017

Luigi (Amendola) è un ex-rapinatore e sta scontando una lunga pena per due omicidi (sono già 18 anni che è in carcere), Donato (Argentero) è stato un campione di incontri clandestini e in prigione è sempre isolato e chiuso, Angelo (Ferrara) è poco più che un ragazzino ed è stato arrestato mentre faceva da autista, per una rapina, a tre suoi amici – Sercio (Andrea Carpenzano), Gomma (Davide Argenti) e Lisca (Stefano Rabatti)- che lui non ha denunciato, Rossana (Bellè) è una ragazza di buona famiglia che è stata fermata, al ritorno di un viaggio in Brasile con la madre Charlotte (Valentina Sperli), con 10 chili di cocaina; tutti e quattro escono da Rebibbia per un permesso di due giorni. Donato, all’uscita, non trova nessuno, mentre sperava che i suoi amici lo venissero a prendere, Valentina è accolta dall’autista Massimo (Massimo Urbani) con la fuoriserie di famiglia, fa salire Angelo che le aveva chiesto un passaggio e, a metà strada, si ferma per comprarsi un gelatone; al ragazzo dà solo l’ombrellino di decorazione e, fatta fermare la macchina, ci fa l’amore ma lui, sorpreso e spiazzato dalla rabbiosa furia di lei, finisce quasi subito. Irritata si fa portare nella villa di famiglia e dice all’autista di accompagnare Angelo. Lui arriva nel quartiere San Lorenzo dove ha una casa lasciatagli dalla nonna e che ora è abitata dai suoi amici che lo festeggiano (non solo andati a prenderlo per fargli una sorpresa). Donato va a cercare la moglie, che aveva affidato al suo ex-manager, il gangster Sasà (Antonino Iuorio), che invece la ha messa in una casa di tolleranza; anche lì però non la trova e va a chiederne conto a Sasà; qui il suo unico amico Gaetano (Massimo De Santis), il bracco destro del malavitoso lo perquisisce e Sasà gli propone uno scambio: gli ridarà la moglie se combatterà quella sera per lui. Donato accetta. Intanto Luigi, dopo aver osservato da lontano il figlio Michele (Simone Liberati) che guida una costosa macchina ed è circondato da bulletti, va alla lavanderia gestita dalla moglie Rita (Alessandra Roca) e torna a casa con lei. A cena, affronta il figlio – in carcere aveva saputo che aveva rubato dei soldi e della coca al suo vecchio compagno di rapine Goran (Ivan Franek), ora divenuto un boss della droga – e capisce che il ragazzo è vissuto nel mito della sua figura e che si è messo nei guai, nella speranza di eguagliarlo. All’alba lo sveglia e lo porta in un tunnel deserto; qui tira fuori due pistole e, schiaffeggiandolo, dice al ragazzo di dimostrare di avere le palle sparandogli, altrimenti gli avrebbe sparato lui. Michele non se la sente e lui, abbracciandolo (è felice che il figlio per sua fortuna, non sia come lui), lo convince a restituire quello che è rimasto di droga e soldi a Goran. Angelo, a cena con gli amici, si vanta di aver fatto l’amore con una ragazza dell’alta società e loro, per sbugiardarlo, lo portano sotto la villa di lei e la chiamano schiamazzando; lei si affaccia e, divertita, non solo conferma il racconto ma esagera parecchio la qualità della prestazione di Angelo. La sera loro gli raccontano di aver organizzato per il giorno dopo una rapina ad un furgone portavalori e che a lui – come ricompensa per non averli denunciati – sarebbe andato tutto il ricavato, con cui avrebbe potuto partire per un paese senza estradizione. Quella stessa sera Donato, fuori allenamento ma spinto dalla rabbia e dall’amore della moglie, affronta con fatica il match e atterra l’avversario ma quando chiede a Sasà di ridargli la moglie, questi l’accoltella e dice a Gaetano di portarlo via e di finirlo. Quest’ultimo lo butta giù, semimorto, dalla macchina e, dopo aver sparato un colpo in terra, lo fa rotolare per un dirupo. Luigi va da Goran e, in nome della vecchia amicizia, gli chiede di risparmiare il figlio ma l’altro non accetta: non può tollerare che nel giro si sappia che lui ha subito uno sfregio senza vendicarsi. Non rimane a Luigi che spedire lontano Rita e Michele ed aspettare gli eventi. Rossana ha una violenta lite con la madre, che sta cercando di farle ottenere i domiciliari mentre lei le chiede 200.000 euro per scappare all’estero (non vuole più tornare in carcere, dove è costretta a fare favori sessuali alle altre detenute), alla fine della quale Charlotte le dà i gioielli di gran valore che ha indosso e la caccia di casa. Lei va da un Compro Oro ma il titolare (Renato Imbronise) le offre solo 15.000 euro. Lei lì per lì accetta ma, dopo un po’, torna a casa e ridà i gioielli alla madre abbracciandola. Donato, pesto e gravemente ferito, arriva a fatica in un cantiere abbandonato e, dopo essersi tamponato la ferita con del nastro adesivo ed aver riposato un po’ prende un piccone che trova nella baracca, va da Sasà – che si stava facendo fare un pompino dalla giovanissima Ludmilla (Alice Pagani) che lui tratta come una schiava – e lo uccide a picconate e a pugni; dopo di che fa fuggire la ragazzina e va a morire in riva al mare. A casa di Luigi, quella sera arrivano armati di mitra i killer che aspettava, lui li uccide ma Goran lo fredda con un colpo di pistola. Angelo non riesce a dormire pensando al colpo del giorno dopo e va da Valentina; la ringrazia per avergli tenuto il gioco con gli amici e, dopo averle offerto un panino in un baracchino, la porta a vedere un giardino medievale: lui in carcere si è laureato in Verde Ornamentale e fa sfoggio con entusiasmo del suo sapere, lei lo bacia e passano la notte insieme; sempre insieme, l’indomani mattina, tornano in carcere.

Amendola è alla sua seconda regia, dopo il riuscito La mossa del pinguino, e si affida al soggetto del giudice-scrittore Giancarlo De Cataldo che gli era stato proposto dal suo amico produttore Claudio Bonivento. La scelta registica è quella di mettersi semplicemente al servizio di storie di ordinaria malavita, senza le magniloquenti digressioni socio-politiche dei romanzi più noti di De Cataldo (Romanzo criminale e Suburra) e delle loro successive trasposizioni, in uno stile asciutto e nostalgico che richiama i grandi noir francesi (Il bandito della casbah, Grisbì, Rififì, fino al mai troppo citato Tutte le ore feriscono…l’ultima uccide).Certo Amandola non è Dassin o Melville – e ne è consapevole – ma gli va riconosciuto il coraggio di mettere mano ad un soggetto di genere diverso dalla affollatissima commedia e di portarlo in fondo con un cast di ottima qualità: dai cattivi, per vocazione, Iuorio  e Franek, ai ragazzi, a partire dalla quasi esordiente Bellè e lo Spadino di Suburra, Ferrara, fino alle varie caratterizzazioni tutti credibili e ben in parte. Merita anche di essere citato il produttore: Bonivento ha avuto alti e bassi (come quasi tutti in questo mestiere) ma, isolato e coraggioso, ha fatto nascere film molto importanti, quali La scorta, Mery per sempre, 20 sigarette, spesso contro tutto e tutti. Tra i meriti del film, la bella fotografia di Maurizio Calvesi e le scenografie e le scelte di location di Paki Meduri; la sceneggiatura è corretta, con qualche scivolata melò (il pistolotto sui giardini di Angelo con poesia finale di Rossana è un po’ duro da reggere) ma sono dettagli. Il titolo richiama 48 ore di Walter Hill; anche lì c’è un detenuto in permesso ma la storia era, anche se non ufficialmente, ispirata a Il trucido e lo sbirro di Umberto Lenzi, il film da cui è nato il personaggio di Monnezza; mi piace pensare che Il permesso sia un inconscio e (purtroppo!) puntuale omaggio a Tomas Milian.




Non è un paese per giovani Slam – Tutto per una ragazza

Non è un paese per giovani

di Giovanni Veronesi. Con Filippo ScicchitanoGiovanni AnzaldoSara SerraioccoSergio RubiniNino Frassica Italia 2017

Sandro (Scicchitano) e Luciano (Anzaldo) lavorano come camerieri in un ristorante e, dopo poco, diventano amici. Luciano ha rotto con la sua famiglia di intellettuali borghesi “illuminati” (qualche tempo prima aveva messa incinta la sua ragazza e loro, preoccupati solo di essere all’altezza del proprio progressismo, la avevano accompagnata ad abortire incuranti dei sentimenti dei ragazzi), mentre Sandro, ragazzo proletario con velleità di scrittore, vive con il patrigno Cesare (Rubini), giornalaio che, vista la crisi della stampa, si arrangia a vendere sottobanco frutta e verdura di scarto passandola per biologica. Luciano convince l’amico a partire con lui alla volta di Cuba, dove aprire un chioschetto-ristorante sulla spiaggia, dotato di wi-fi (il cui accesso il regime concede solo a pochi). Arrivati all’isola sono accolti da Nora (Serraiocco), una ragazza italiana che era andata lì per vivere con il suo fidanzato e, quando questi era morto in un incidente di moto, in seguito allo shock, era stata in coma tre mesi per un aneurisma; durante la malattia era stata accudita dalla numerosissima famiglia di lui come una figlia e aveva deciso di rimanere con loro. I ragazzi conoscono Felipe, che viene a loro presentato come mediatore ma ha la casa piena di merce rubata. Lui li porta ad una spiaggia con una baracca fatiscente, che dovrebbe diventare il loro chiosco; lì vive abusivamente un pescatore e quando Felipe dice loro che dovranno buttarlo fuori, Nora si ribella, dicendo loro che lui è un eroe perché ha salvato dagli squali una famiglia. Sandro – poiché la legge cubana consente di agire solo a società che siano al 51% locali – propone di far entrare il pescatore nell’affare. Luciano accetta e consegnati i soldi a Felipe, i tre ragazzi vanno a festeggiare con una gran bevuta; poco dopo capitano in un incontro di boxe clandestina e, il cui organizzatore invita Sandro a combattere chiamandolo “Italiano vigliacco!”, lui, ubriaco, accetta e sta per essere massacrato quando interviene Luciano che non solo atterra il campione ma sfida tutti. Sandro e Nora si mettono insieme e Luciano, di nascosto, va tutte le notti a combattere (la violenza del primo match ha agito su di lui come una droga). Una notte una telefonata li avverte che Felipe è stato arrestato e mentre Sandro si dispera, Luciano, intontito dai pugni e dalle pillole che prende per non sentire il dolore, si rimette rabbioso a dormire. Poco dopo Sandro decide di tornare in Italia e nulla può la disperata Nora ma, prima di prendere l’aereo va alla spiaggia; lì il pescatore lo convince ad andare in mare con lui; quella notte in barca gli fa decidere di rimanere nella baracca e di cominciare a scrivere il suo primo romanzo, incentrato su Luciano, senza rivedere né Nora né il suo amico. Per campare, si adatta a fare il cameriere nella pizzeria di Euro60 (Frassica), un italiano evasore fiscale, scappato a Cuba per evitare guai con la giustizia. Questi si affeziona a lui e, la sera del suo compleanno, gli organizza un festino con tre prostitute, tra le quali c’è un trans amico di Nora, che viene così a sapere che lui è ancora a Cuba e lo va a cercare per chiedergli di andare con lei a salvare Luciano che si sta uccidendo, incontro dopo incontro. Arrivano in tempo per portarlo, pesto e sanguinante, all’ospedale, mentre il pescatore, avendo ricevuto dalle autorità l’agognato riconoscimento del suo eroismo, riesce ad ottenere la licenza per il wi-fi. Luciano si è rimesso fisicamente ma “dentro – confessa all’amico -ancora rotto” e scompare nel nulla proprio quando il ristorante sta per decollare. Sandro, tornato con Nora, finisce il romanzo.

Slam – Tutto per una ragazza

di Andrea Molaioli. Con Ludovico TersigniBarbara RamellaJasmine TrincaLuca MarinelliFiorenza Tessari Italia 2016

Samuele “Sam” (Tersigni) ha 16 anni, ama lo skate, coltiva il mito di Tony Hawk (voce narrante) non solo come skateboarder ma anche come maestro di vita e vive con la madre, Antonella (Trinca), giovanissima (lei lo ha concepito all’età che ha lui adesso con il coetaneo Valerio (Marinelli), immaturo e un po’ coatto, che se ne è tornato a casa dai suoi poco dopo il parto). Anche la madre (Lidia Vitale) di Antonella, peraltro, la aveva avuta a 16 anni. Una sera lei si fa accompagnare dal figlio ad una festa da suoi amici alto-borghesi (Tessari e Pietro Ragusa); qui lui conosce la loro figlia Alice (Ramella) e comincia a frequentarla. Al secondo appuntamento lei lo porta a casa e, superate le sue timidezze (lei ha già avuto un fidanzato, lui invece è ancora vergine), ci fa l’amore. Diventano indivisibili ma, a un certo punto, senza un motivo, lui la lascia; dopo poco Alice lo convoca per comunicargli di avere un ritardo di tre settimane. Sam, in preda al panico scappa di casa per andare al mare, qui viene coinvolto in un party clandestino in una villa disabitata, fermato dalla polizia e raggiunto al commissariato dalla madre. A lei ed al padre racconta di essere ancora sconvolto dalla loro separazione ma, quando Alice gli conferma di essere incinta, spaventato e confuso, chiede il loro consiglio; la madre lo incita a scegliere con libertà mentre il padre lo spingerebbe a seguire il suo esempio e fuggire. I genitori di lei cercano di convincere la figlia ad abortire ma Alice è irremovibile: terrà il bambino. Sam, angosciato, fa due sogni: nel primo vive con Alice e il neonato – che si chiama Ufo – insieme ai genitori di lei, dove lui è sopportato a malapena, nel secondo, vive ancora nella materna, Antonella si è messa stabilmente con l’ultimo dei suoi numerosi fidanzati, Marco (Fausto Maria Sciarappa) con il quale ha una bambina e lui deve portare il piccolo Ufo duenne a fare le vaccinazioni. In realtà erano sogni premonitori: il bambino si chiama, in realtà, Rufus – dal nome del cantante Wainwright, il cui brano Sometimes you need ha accompagnato il parto – (Ufo sarà il suo soprannome), lui va a vivere da Alice ma – spinto da Valerio – un giorno, complice un’incipiente influenza che potrebbe contagiare il piccolo, torna dalla madre – che vive davvero con Marco ed ha una bambina- e lì resta e un giorno in cui va a riportare Rufus a casa dopo una vaccinazione, i due hanno un ritorno di fiamma e vanno a letto. Nell’entusiasmo della ritrovata intesa sessuale, sembrano decidere di tornare insieme ma l’irruzione della madre di lei li riporta alla realtà: sono troppo diversi. Pochi anni dopo alla festa di compleanno del bambino, tutti e due hanno nuovi compagni ma, con la scusa di andare a prendere la torta, si appartano a fare l’amore: sono perfetti, l’uno per l’altra, come amanti.

Il cinema italiano fa molti sforzi per accattivarsi il pubblico pregiato dei giovani e qualche volta, raramente, ci riesce (Smetto quando voglio, Lo chiamavano Jeeg Robot, in parte Scialla!). Spesso però cade in stereotipi di un giovanilismo di maniera, deformato da politicismi di altre generazione, anche in questo lontane anni luce dalle attuali. E’, sostanzialmente, il caso di Non è un paese per giovani, la cui idea Veronesi ha tratto dall’omonima trasmissione che ha condotto su Radio2 con Massimo Cervelli, prendendo spunto dalle tante dichiarazioni di ragazzi andati a lavorare all’estero. La scelta di Cuba (non è certo il primo paese in cui si può pensare di fare fortuna) travisa il punto di partenza e tutto il racconto va avanti per impervie iperboli (la ragazza fuori di testa, gli incontri clandestini – un po’ Van Damme e un po’ Il cacciatore – il pescatore hemingwayano, il trans dal cuore d’oro), sino ad un irreale happy end. I giovani e il loro vero mondo sono così poco centrali nel film che le poche scene d’effetto sono affidate ai veterani Rubini e Frassica, con il loro collaudato repertorio, quando non a battute da filmetto anni ’80 (detto da Sandro in risposta alle avances del trans: ”Perché in Italia c’è crisi, lo devo prendere in culo io?!”). Diverso il caso di Slam, che, intanto, ha alle spalle il romanzo di Nick Hornby, uno degli scrittori più usati dal cinema (Febbre a 90°, Alta fedeltà, About a boy – Un ragazzo, L’amore in gioco, Non buttiamoci giù, E’ nata una star?), ben adattato dal regista con Francesco Bruni e Federica Rampoldi all’ambientazione romana. Qui, i ragazzi protagonisti – due gradevoli rivelazioni – sono piacevolmente credibili e l’esordiente Gianluca Broccatelli, un vero skateboarder, è divertentissimo nel ruolo del fumatissimo Lepre. Detto questo, anche il più riuscito Slam racconta dei ragazzi irrealmente romanzeschi (anche – ma non solo – per la derivazione letteraria).  I primi incassi di entrambi i film, peraltro, non sembrano dimostrare che abbiano centrato il bersaglio. Magari c’entra il fatto che sia Veronesi che Molaioli abbiano, rispettivamente, 55 e 50 anni?

 

 

 




La bella e la bestia (Beauty and the Beast)

di Bill Condon. Con Emma WatsonDan StevensLuke EvansKevin KlineJosh Gad  USA

Nel Settecento in Francia, alle porte del castello di un giovane principe (Stevens) vacuo ed arrogante durante un ballo si presenta una vecchia mendicante (Hattie Morahan) che implora la sua ospitalità offrendogli in cambio una rosa. Lui la scaccia sdegnato e lei, che in realtà è una maga, getta un incantesimo sul principe, trasformando lui in una bestia e i suoi servitori in oggetti mentre il castello, del quale gli abitanti dei villaggi vicini perderanno la memoria, sarà circondato dal buio e da un inverno perenne. Prima di andare via, la maga lascia alla Bestia la rosa con la consegna che solo se fosse riuscito ad amare e a farsi amare prima che cadesse l’ultimo petalo l’incantesimo si sarebbe spezzato. Qualche tempo dopo a Villeneuve, un minuscolo villaggio lì vicino, Belle (Watson), una giovane ragazza che vive col padre artista e artigiano Maurice (Kline), fa la spesa, circondata dalla disapprovazione dei compaesani perché, a differenza delle altre ragazze del paese, è indipendente, volitiva e (scandalo: le ragazze devono restare analfabete per non avere grilli per la testa!) ama leggere. Gaston (Evans), un prestante ex-militare, che è sempre accompagnato dall’amico e commilitone Le Tont (Gad) e che è concupito da tutte le ragazze del paese (oltre che, segretamente, da Le Tont), si è incaponito a voler sposare Belle, che rifiuta le sue rozze e maldestre attenzioni. Una volta lui la salva dall’ira dei compaesani – fomentati dal Preside (Chris Andrew Mellon) – per aver insegnato a leggere ad una ragazzina (Skye Lucia Degruttula) ma lei gli concede di accompagnarla al cancello di casa per poi sgattaiolare via. Un giorno il padre parte per vendere alla fiera di un paese vicino un carillon che ha appena creato e, come sempre, la figlia risponde alla sua richiesta di cosa voglia per regalo, chiedendogli di portarle solo una rosa (il fiore amato dalla mamma morta). Al ritorno, Maurice viene sorpreso da un temporale e un fulmine si abbatte su un albero che, crollando sulla strada, blocca il cammino; a fianco si intravede un intricato sentiero sul quale, pur essendo giugno, man mano che lui vi si inoltra, comincia a nevicare; di lì a poco un branco di lupi lo assale, facendo rovinare a terra il suo carretto, lui sale sul cavallo che lo trainava, inseguito dalle bestie che, però, quando arrivano vicino al castello maledetto, tornano indietro. Maurice cerca riparo nella magione ma viene accolto da oggetti parlanti e, spaventato, scappa via, non senza essersi fermato nel giardino a cogliere una rosa da portare a Belle; qui viene raggiunto dalla Bestia, che, dandogli del ladro, lo rinchiude nella torre del castello. Al villaggio, Belle vede il cavallo che è tornato da solo e, salitagli in groppa, gli chiede di portarla nel luogo in cui suo padre si era perso. Arriva al castello e trova Maurice condannato a rimanere per sempre chiuso in una cella; lui la esorta a scappare ma Belle propone alla Bestia di tenere prigioniera lei al posto del padre, Maurice si oppone ma lei, con uno stratagemma, lo spinge fuori dalla cella, richiudendovisi dentro. Il candelabro Lumière (Ewan McGregor), l’orologio Tockins (Ian McKellen) e la teiera Potts (Emma Thompson) – accompagnata dal figlioletto Chicco (Nathan Mark) – decidono che lei può essere la ragazza giusta per spezzare l’incantesimo e, contravvenendo agli ordini, la liberano e la portano in una lussuosa stanza, che il piumino Spolverina (Gugu Mbatha Raw) provvede a rendere lustra, mentre l’armadio Garderobe (Audra McDonald) le rovescia addosso preziose stoffe, che lei però disdegna. Poi la portano nella sala da pranzo e le offrono una splendida cena, accompagnata dalle musiche del clavicembalo Cadenza (Stanley Tucci). Loro cercano di convincere il padrone a frequentarla e ad essere gentile con lei ma con scarsi risultati. Un giorno lui la sorprende a curiosare nell’ala del castello che le era stata inibita e dove è custodita la rosa fatale e la caccia via in malo modo. Belle, spaventata, fugge a cavallo e viene attaccata dai lupi; la Bestia, accorsa in suo aiuto, riesce a salvarla ma resta a terra gravemente ferito e lei, grata del suo gesto, lo riporta al castello per curarlo. Durante la convalescenza, lei viene a sapere che il principe da bambino (Rudi Goodman) era rimasto orfano della madre (Harriet Jones) per colpa di una terribile epidemia di peste – la stessa che aveva ucciso la madre (Zoe Rainey) di Belle a Parigi e convinto il padre a portarla piccolissima (Daisy Duzcmal) a Villeneuve – e che il suo crudele padre, il re (Henry Garrett), lo aveva cresciuto rigidamente, rendendolo superbo e altezzoso. Durante i giorni di convalescenza Belle, mentre lo cura amorevolmente, impara a conoscere la Bestia e inizia a provare, timidamente ricambiata, qualcosa per lui. Maurice intanto chiede aiuto a Gaston per salvare Belle dalla Bestia e conduce lui e Le Tont là dove era stato sorpreso dal temporale ma l’albero caduto è misteriosamente ancora in piedi e lui non vede più il sentiero ma insiste con Gaston per continuare le ricerche; l’altro, credendolo un po’ tocco, decide di tornare indietro a meno che Maurice non acconsenta a concedergli la mano di Belle; al suo rifiuto lo tramortisce e – tra le proteste di Le Tont che viene subito zittito – lo lascia legato ad un albero in balia dei lupi; per fortuna, viene liberato dalla vagabonda Agata e, arrivato al villaggio, accusa Gaston di tentato omicidio, chiamando a testimone Le Tont; questi però, spaventato dalle minacce dell’amico, nega tutto e Gaston convince i compaesani a rinchiuderlo in manicomio. Intanto al castello Belle e la Bestia, per la prima volta, danzano insieme. Lei però è un po’ triste perché ha nostalgia per il padre e lui glielo mostra in uno specchio magico; Belle vede così che Maurice è in pericolo e la Bestia, pur prevedendo che non la vedrà più, la lascia andare in suo soccorso, dandole lo specchio come regalo d’addio. Arrivata al villaggio, nel tentativo di convincere i paesani che il padre ha detto la verità, mostra alla folla la Bestia nello specchio ma ottiene solo che Gaston inciti tutti ad andare al castello per uccidere il mostro, facendo rinchiudere Belle (alla quale aveva offerto salvezza se lo avesse sposato, ottenendo l’ennesimo rifiuto) e Maurice in un carro che li condurrà in manicomio. I paesani arrivano al castello dove ingaggiano una grande battaglia con i servitori/oggetti del principe (durante la quale Le Tont, stanco dei soprusi di Gaston si schiera con questi ultimi), uscendone sconfitti. Sopraggiunge anche Belle, che è riuscita a liberarsi mentre il padre distrae Monsieur D’Arque (Adrian Schiller), il conducente del carro-prigione, in tempo per vedere la cruenta lotta tra la Bestia e Gaston, con quest’ultimo che muore cadendo dal tetto del castello non senza aver ferito mortalmente con ripetuti colpi di schioppo la Bestia; in punto di morte, però, una lacrima d’amore di Belle spezza l’incantesimo e Agata – che altri non è che la maga – riporta in forma umana il principe e i suoi servitori e ripristina la memoria agli abitanti del villaggio. Un grande ballo di fidanzamento festeggia l’amore di Belle e il Principe ma anche di Lumiere e Spolverina, di Cadenza e Garderobe e dei ritrovati Potts e Jean (Gerard Horan) e Tockins e la moglie Clothilde (Haydn Gwynne), nonché di Le Tont con il bel Stanley (Alexis Loizon).

La bella e la bestia è, secondo tradizione letteraria, una fiaba francese che ha avuto la prima versione nel 1740 a cura di M.me Gabrielle-Suzanne Barbot de Villeneuve (da cui il nome del villaggio nel film) e una più diffusa riduzione 16 anni dopo per la penna di Marie Leprince de Beaumont ma, in varia forma, la ritroviamo in tutta Europa ed appare nei racconti di Perrault, dei Grimm e di Basile. Lo psicanalista Bruno Bettelheim la accomuna a Barbablù come racconto di iniziazione sessuale delle fanciulle: l’incantesimo della Madre/maga fa apparire bestiale e repellente l’uomo che, solo dopo un casto percorso/fidanzamento di conoscenza può essere accettato come Principe/sposo; altri accostano la favola a Cappuccetto Rosso, in cui il maschio predatore ha l’aspetto di lupo. Al cinema è passato alla storia lo splendido film di Jean Cocteau del 1945 che dava all’amato Jean Marais la pelliccia belluina della Bestia per farne un simbolo della diversità circondata (allora più che oggi) dall’orrore del mondo; seguirono altre versioni (anche una russa del 1952) ma la migliore – e quella di maggior successo – è il cartone animato Disney del 1991, della quale il film odierno è una versione con attori molto fedele. La Disney da vari anni ha deciso di puntare su eroine post-femministe e la Belle delle due versioni non fa certo eccezione: anzi, mentre la ragazza disegnata del ’91 era risoluta e forte ma anche carina e femminile, la scelta della non avvenentissima Emma Watson, della quale è noto l’impegno in battaglie civili, rende la scelta ancora più evidente. L’operazione sta avendo grande successo, quindi niente da dire se non che, di fatto, non si può non preferire la versione disegnata a questo ottimo remake, che – a differenza del recente Cenerentola di Kenneth Branagh, pieno di ammiccante ironia – è diretto con solida ma un po’ piatta professionalità. Sta di fatto che le cose migliori del film sono la riproposizione delle due più vivaci coreografie del precedente: i numeri Gaston e Stai con noi (Be our guest); a proposito di quest’ultima canzone non si può non notare che ci troviamo di fronte al secondo rimaneggiamento di Be a clown di Cole Porter (da Il Pirata di Vincent Minnelli), dopo Make ‘em laugh , cantato e ballato da Donald O’Connor in Ballando sotto la pioggia; questa versione ha però il pregio di una splendida citazione delle coreografie di Bubsy Berkley, sia nel cartoon che nella – in questo caso ottima – trasposizione di Condon.




Questione di Karma

di Edoardo Falcone. Con Fabio De LuigiElio GermanoDaniela VirgilioValentina CenniMassimo De Lorenzo Italia 2017

Giacomo (De Luigi), è un ricco quarantenne che, traumatizzato dall’aver assistito da bambino al suicidio del padre, dedica tutta la sua esistenza a studi esoterici, nella speranza di poter ritrovare il genitore reincarnato. All’azienda di famiglia, un’industria di matite, provvedono Fabrizio (Eros Pagni), il secondo marito di Caterina (Stefania Sandrelli) – la svampita mamma di Giacomo – e la loro figlia di secondo letto Ginevra (Isabella Ragonese). Le ricerche di Giacomo sembrano avere una svolta decisiva quando trova il testo dell’eminente studioso Ludovico Stern (Philippe Leroy) che sostiene di poter individuare le generalità di coloro nei quali i defunti si sono reincarnati; lui, però, ora si è ritirato in un paesino ma l’ostinato Giacomo lo stana e lo costringe a rivelargli il nome della reincarnazione del papà. Stern, che se ne vuole liberare per mangiarsi in santa pace il maiale con patate che la governante gli ha preparato, butta lì una città e un nome: Roma e Mario Pitagora. Giacomo avvia le ricerche e trova il Mario Pitagora (Germano) che vive a Roma. Lo insegue e lui, che vive di espedienti ed è pieno di debiti con persone losche, scappa a gambe levate; quando lo raggiunge e gli rivela il motivo per cui lo cercava, Mario se ne libera credendolo un matto, per finire subito dopo nelle grinfie dell’Antiquario (Corrado Solari), uno strozzino che gli ha prestato parecchi soldi per affari strampalati (tipo una fornitura di giubbotti anti-proiettile per i curdi rimasta in cantina) e ora lo minaccia; Mario promette di trovare entro un mese 120.000 euro e torna a casa. Qui le cose non vanno meglio: viene fermato da Ernesto (De Lorenzo), un portantino vicino di pianerottolo, che gli ha dato mesi prima 3.000 euro da investire e ora li rivuole e, a casa, viene ignorato dai figli e trattato con disprezzo dalla moglie Serena (Virgilio), stanca della sua inconcludenza. Quando rincontra Giacomo e, andando nella sua villa, si accorge di quanto sia ricco ed ingenuo, Mario capisce che la sua vita può avere una svolta. Va così avanti a stoccatine continue di qualche migliaio di euro, con quei soldi restituisce i 3.000 euro al vicino e cerca, invano, di comprarsi la stima della moglie e dei figli con qualche regalino. I due ormai sono inseparabili e Giacomo confida al neo “padre” di essere innamorato di una cameriera, Alessandra (Cenni), che guarda da lontano mentre serve i clienti. La famiglia di Giacomo è preoccupata da quei costanti salassi e decide di chiedergli di rinunciare alle sue quote dell’azienda in cambio di un vitalizio. Mario è riuscito a convincere il timido Giacomo ad andare al ristorante nel quale lavora Alessandra ma, mentre sono al tavolo, arriva la telefonata di Fabrizio che ricorda al figliastro (al quale era totalmente passato di mente) che lo stanno aspettando con il notaio per la cessione. Mentre si precipitano alla riunione Mario convince Giacomo a non cedere nulla, mantenendo l’attuale tenore di vita. Alle proteste dei familiari, lui risponde che dal quel momento intende occuparsi della ditta. Così fa e, via via, lui e Ginevra cominciano a conoscersi (erano sempre vissuti in mondi separati) e a stimarsi (lui vede quanto lei lavori e lei si accorge che lui ha delle doti inaspettate). Mario che aveva rifiutato le profferte dei parenti di Giacomo, viene malmenato dagli scagnozzi dell’Antiquario, che lo minaccia di morte e, messo alle strette, promette di portare 150.000 euro in una settimana. Per metterle insieme dice a Giacomo di avere una malattia mortale e lo porta in ospedale dove Ernesto, fingendosi primario di cardiologia, conferma la diagnosi, aggiungendo che l’unica possibilità di salvezza è un luminare di Cincinnati il cui onorario è di 150.000 euro. Giacomo cede immediatamente le sue quote a Fabrizio per quella somma e si precipita a casa di Mario per consegnarli l’assegno. Qui, intanto, Serena ha trovato la falsa diagnosi e, credendola vera, commossa e pentita cambia registro con il marito; Mario trova così una famiglia felice ed unita ma, di lì a poco, arriva in pigiama e ciabatte Ernesto, che improvvisa una visita urgente. Serena si insospettisce e, appresa la verità, caccia di casa il marito. Per strada Mario rifiuta l’assegno e confessa all’amico di essere un cialtrone senza speranze. Dopo qualche tempo Giacomo, che è rimasto in azienda assunto dalla sorella (che aveva litigato con il padre, accusandolo di essersi ignobilmente approfittato dell’ingenuità del figliastro) e ha sposato Alessandra, incontra Mario e, per riconoscenza gli dà l’assegno che ha sempre portato con se. Mentre lui s’allontana, i killer dell’Antiquario gli sparano e lui cade a terra ma ben presto si rialza: aveva indosso il giubbotto dei curdi.

Questione di Karma si è trovato, inaspettatamente, al centro di un dibattito sul proliferare nel nostro mercato di commedie di non eccelsa qualità; la tesi, in buona sostanza è che a differenza di quanto predicava Billy Wilder, i nostri autori e i nostri produttori si accontentano di abbozzare una situazione e su quella costruiscono un intero film , sostenuta qualche giorno fa sul Corriere della Sera da Paolo Mereghetti che, tra l’altro, afferma: “Non basta immaginare che per sfuggire a chi li vuole morti i due musicisti testimoni del massacro di San Valentino si travestano e si uniscano a un’orchestra femminile in viaggio per la Florida: dopo quell’idea ce ne vogliono molte altre, tutte capaci di «far suonare le campane» come sosteneva Billy Wilder, per fare una commedia che sia una gioia per gli occhi e per la mente.”. Aggiunge il Mereghetti che, oltre ad essere di scarso valore artistico, queste opere da tempo non raggiungono incassi soddisfacenti. Tutto vero (ovviamente – e non è il caso dell’articolo in questione – purché non ci sia un aprioristico rifiuto della commedia tout court, per ragioni miserevolmente snobistiche) ed è una deriva che da queste righe da tempo osserviamo: il sistema di finanziamento del cinema finisce con il premiare le commedie come unico genere di film spendibile in buona collocazione televisiva e come fruitrici del cosiddetto tax-credit (la detassazione di capitali esterni investiti nel settore): a differenza del cinema d’autore,  una commedia, comunque, qualche incasso e qualche punto di share televisivo lo porta e quindi l’investirvi è assai meno rischioso. Tutto questo avviene in un sistema impazzito che ogni anno produce oltre cento film in un mercato che, in ogni caso, ne regge molti meno e che quindi non può che affollare l’unico genere con qualche speranza di rientro.  Ora non è che il secondo (le opere seconde si sa…!) film di Falcone sia un concentrato di tutti i mali del nostro cinema ma certo ha parecchi errori: non si ride quasi mai, la storia si dipana stancamente con qualche errore sintattico (il maiale con le patate ripetuto in sottofinale deve avere un qualche sviluppo, se no che senso ha?), De Luigi ripete il suo eterno personaggio e Germano (che sembra tornato alle ingenuità recitative degli esordi con i Vanzina) riprende il carattere che aveva interpretato in Suburra. Unici veri pregi il ritrovato Eros Pagni – al quale dobbiamo gli unici sorrisi – e il buon uso di Massimo De Lorenzo, che qui si conferma quale l’ottimo caratterista che sa essere.




Omicidio all’Italiana

di Marcello Macchia. Con Marcello MacchiaLuigi LucianoEnrico VentiGigio MorraSabrina Ferilli  Italia 2017

Ad Acitrullo, in provincia di Campobasso, il sindaco Piero Peluria (Macchia/Maccio Capatonda) insieme a Marino (Luciano/Herbert Ballerina), suo pelosissimo fratello e vicesindaco, mette in campo ogni sforzo per far conoscere il suo piccolissimo paese e fermare lo spopolamento (sono rimasti in 16, con un’età media di 69 anni); la sua ultima trovata è quella di metter on line il paese ma il vetusto computer, appena comprato e collegato con il telefono a gettoni della piazza, va in tilt e l’anziana contessa Ugalda Martirio in Cazzati (Lorenza Guerrieri), che aveva finanziato l’impresa, arrabbiatissima dichiara che non caccerà più un soldo. I due Peluria la sera stesa vanno dalla contessa ma, sotto i loro occhi, lei muore strozzata dal polpettone che la cameriera Concetta (Luca Confortini) le aveva preparato per la cena, mentre lei guardava in tv il suo programma preferito “Chi l’acciso”, presentato dalla criminologa Donatella Spruzzone (Ferilli). Proprio il programma fa venire a Piero un’idea: fingeranno che la contessa sia stata uccisa e Acitrullo sarà famosa come Avetrana, Cogne e Novi ligure. Portano il cadavere in piazza, salgono sul campanile con un servizio di coltelli da 12 e Marino (per fare un dispetto al fratello che gli aveva rotto il telefonino) li butta giù, facendoli casualmente finire tutti conficcati nella contessa. L’indomani, il paese viene inondato da giornalisti e troupe televisive, tra i quali si fa fatica largo Il commissario Fiutozzi (Morra), accorso sul luogo del delitto insieme all’ispettore Gianna Pertinente (Roberta Mattei) e all’agente Farina (Venti/Ivo Avido). L’arrivo della Spruzzone, che promette popolarità al commissario, lo convince, nell’indignazione della Pertinente, a farsi da parte e a lasciare le indagini nelle mani dell’anchor-woman. La poliziotta va al bar e, con la scusa di assaggiare le specialità locali (l’imbevibile Amaraccio e il pessimo babacchione, dolce tipico che, se mangiato dopo l’orrendo liquore, sembra quasi buono), interroga Marino e gli dice che dall’autopsia si chiarirà il caso. Lui allerta il fratello, che riesce a trafugare il reperto, con il quale il medico legale (Christian Iansante), chiarisce che la contessa è morta per soffocamento da cibo ma, presosi l’incarico di distruggere il documento, pensa bene di gettarlo dal campanile (“da lassù le cose vanno in mille pezzi”) e così il foglio vola da Fiutozzi, che si reca dalla Spruzzone per rivelarle la scoperta ma lei, pensando all’audience, lo convince a nascondere il referto e continuare nelle indagini. Le agenzie turistiche specializzate – come la Viaggi Sventura, il cui titolare (Ninni Bruschetta) ha confezionato il pacchetto Morì Ammazzato – mandano centinaia di turisti ad Acitrullo, come il veneto Eugenio Normale (Macchia) che con la napoletanissima moglie Fabiola (Antonia Truppo) e due bambini fa incetta di souvenir – come la maglietta “Je sus Acitrullo” – e di selfie. A “Chi L’Acciso”, la sera della trasmissione, il tele voto individua il sospettato n.1: il venditore ambulante del paese, Antonello Zumba (Fabrizio Biggio), che, essendo un po’ olivastro, viene subito etichettato come “negro” e, applaudito dai compaesani, viene portato dietro alle sbarre del programma televisivo. La Pertinente però, che sospetta del sindaco, e, dopo un esame del suo DNA coincidente con quello trovato sui coltelli, irrompe durante il programma rivelando il coinvolgimento di Peluria nel delitto. Piero è costretto a scappare e – promettendogli di portarlo nella tentacolare metropoli di Campobasso – convince Marino a seguirlo. Nel centro commerciale della città, la troupe di “Chi l’acciso?”, li rintraccia e li porta al processo della trasmissione. La Spruzzone, consapevole che quel delitto ha già stancato l’audience, cala l’ultimo asso: tira fuori il vero referto della scientifica e sputtana il povero Fiutozzi in diretta. Acitrullo viene ora abbandonata sia dai turisti che dagli ultimi abitanti che avevano, grazie delitto, vissuto un po’ di movimento e di benessere. Amareggiati, i Peluria debbono vedersela con la Pertinente, che vuole incriminarli per la messinscena ma, mentre ricostruiscono i fatti, viene fuori che la contessa era notoriamente allergica al babbacchione, la cui presenza nello stomaco della morta era stata rilevata dall’autopsia. A questo punto, i tre si recano da Concetta, che messa alle strette, cerca di scappare; Piero, però, le salta addosso, rivelando una maschera di cerone: lei, in realtà, è Concetto, il figlio illegittimo della contessa che la aveva avvelenata per l’eredità. L’assassino riesce però a neutralizzarli e a legarli, predisponendo una complicatissima trappola mortale; all’ultimo momento, però, l’intervento miracoloso del Patrono del paese, San Ceppato, fa, appunto, inceppare il meccanismo. I tre catturano Concetto ma Piero, forte della recente esperienza, convince Gianna a non arrestarlo, perché, dopo una lieve condanna, avrebbe tutti i vantaggi della notorietà. Meglio usarlo, incatenato, come lavorante nella nuova impresa che il sindaco ha immaginato per dare lustro al paese: una Casa di Mode che confeziona abiti con i peli di Marino che ricrescono ininterrottamente. Un servizio del tele cronista Salvo Errori (Pippo Lorusso), testimonierà il nuovo status modaiolo di Acitrullo.

Marcello Macchia/Maccio Capatonda, viene, come è noto, dal web, dove era seguitissimo e da lì è passato, con i suoi amici Herbert Ballerina e Ivo Avido (quest’ultimo anche producer) alla televisione e, poco più di un anno fa, ha diretto ed interpretato il suo primo film, Italiano medio, che era un po’ la summa dell’umorismo che gli aveva dato notorietà. Omicidio all’italiana è il tentativo di trasferire il suo mondo in una storia surreale ma compiuta. La confezione è certamente impegnativa, a partire dal cast: ai veterani Sabrina Ferilli, Gigio Morra, Ninni Bruschetta e, in un cameo personalissimo, Nino Frassica, si aggiungono le emergentissime Antonia Truppo (David di Donatello per Lo chiamavano Jeeg Robot) e Roberta Mattei (Non essere cattivo e Veloce come il vento) ma la risata arriva più dalla testa che dalla pancia. D’altronde, Capatonda, fingendosi naif, non risparmia citazioni colte (dal travestimento e la pettinatura di Concetta/Concetto che viene da Psycho, al cartello di avvertenza iniziale, che ricorda l’incipit di Se la luna mi porta fortuna di Campanile, fino alla macchina mortale, tipica dei gialli di Edgar Wallace, presi in giro da Wodehouse nel suo Più forte e più allegro), accumulando, talora, gag più sorprendenti ed intelligenti che realmente divertenti. Spesso la seconda prova d’autore dopo un successo è deludente; Omicidio all’italiana non fa eccezione ma non del tutto (anche, certamente, per merito degli ottimi attori che abbiamo citato, primo fra tutti l’eccellente Gigio Morra, qui in stato di grazia).




Barriere (Fences)

di Denzel Washington. Con Denzel WashingtonViola Davis (Oscar 2017), Stephen HendersonRussell HornsbyMykelti Williamson  USA 2016

Pittsburgh fine anni’50, Troy Maxson (Washington) lavora come netturbino e sta tornando a casa, con l’amico e collega Jim Bono (Henderson) un po’ preoccupato perché ha aperto una vertenza per il fatto che i camion della spazzatura sono guidati sempre da bianchi e ai neri spetta il compito di svuotare i secchi. Nel giardino di casa beve gin e racconta a Jim di come fosse bravo a giocare a baseball e di una lotta corpo a corpo sostenuta con la Morte in persona durante una malattia. La moglie Rose (Davis) un po’ si diverte, un po’ ridimensiona i suoi racconti e, fattasi seria, gli chiede di firmare l’autorizzazione per il loro figlio adolescente Cory (Jovan Adepo) perché possa frequentare gli allenamenti di baseball, ai quali lo ha convocato il selezionatore dell’università; Troy, però, è contrario; non vuole che il figlio abbia le sue stesse delusioni di ottimo giocatore non preso in considerazione perché nero. Poco dopo arriva Lyons (Hornsby), il figlio trentaquattrenne di una precedente relazione di Troy, che gli chiede dieci dollari in prestito; lui, che non è d’accordo con la sua scelta di fare il trombettista jazz, glieli nega ma Rose lo convince a darglieli. Torna a casa Cory e il padre, che lo tratta con durezza, gli impone di aiutarlo nella costruzione di un recinto intorno alla casa, voluto da Rose (che vuole, idealmente, racchiudervi la famiglia che è la sua vita intera) e quando il ragazzo gli parla della sua vocazione al baseball, lo zittisce, ordinandogli di continuare ad andare a lavorare nel locale supermercato nei momenti liberi dallo studio, invece di perdere tempo con gli allenamenti. Di lì a poco il quartiere è attraversato da un forte vociare: è Gabe (Williamson), il fratello minore di Troy che ha perso metà cervello in guerra e si porta sempre appresso una tromba perché, dice, San Pietro gli ha dato il compito di suonarla per aprire il cielo il giorno del Giudizio. L’indomani, Troy torna a casa entusiasta: dopo il colloquio con il dirigente (Christopher Mele) della società non solo non è stato licenziato come temeva ma è stato promosso autista. Rose è raggiante e lo è anche Lyons che è venuto a restituirgli i soldi ma lui non li vuole e gli dice di stare attento perché i locali nei quali suona sono delle bische nel mirino della polizia. Poco dopo, in giardino, beve gin con Lyons e Jim e racconta la sua dura infanzia in campagna con un padre violento e di come, fuggito da ragazzo, in città, si sia messo a fare il rapinatore, buscando una lunga condanna, durante la quale aveva imparato a giocare a baseball, divenendo molto bravo ma inutilmente perché nero (Rose, però, gli ha sempre obiettato che la sua carriera non ha mai decollato non per il colore della pelle ma per l’età: era uscito di prigione quasi quarantenne). Quando arriva Cory lui lo affronta duramente, perché, mentendogli, non è più andato al supermercato maa gli allenamenti e lui ha detto al coach che non lo avrebbe mai autorizzato a giocare; Corey è fortemente deluso ma obbedisce. Jim, poco dopo, chiama Troy in disparte e gli dice che ha capito che lui ha una relazione con una certa Alberta e gli chiede di non rovinare il matrimonio con Rose. Troy entra in casa e confessa a Rose di avere un’amante e di aspettare un figlio da lei. Rose è scioccata e da qual momento non gli rivolge la parola. Dopo mesi nei quali lui va a casa solo per dormire e cambiarsi d’abito, lei lo aspetta all’uscita dal lavoro per chiedergli di parlare: lei ha saputo che lui ha fatto internare Gabe (che ogni tanto veniva fermato per disturbo alla quiete pubblica ma non faceva male a nessuno) e lo accusa di averlo fatto al solo scopo di ottenere metà dei soldi della sua pensione d’invalidità. Lui reagisce rabbiosamente ma si sente in colpa. Una notte arriva una telefonata, Rose risponde e comunica a Troy che è nata la sua bambina ma Alberta è morta. Troy allora va in ospedale e porta la piccola a casa chiedendo a Rose di prendersene cura; lei accetta ma lui non dovrà più considerarla sua moglie. Nel frattempo, arriva a casa Cory e Troy, ubriaco, lo maltratta; ne nasce una specie di rissa e il ragazzo va via di casa. Troy, a questo punto, urla alla Morte di essere pronto. Pochi anni dopo, Raynell (Saniyya Sidney), la figlia di Troy, ora cinquenne, va ad aprire la porta e trova Cory, ora caporale dei marines che è venuto in licenza per il funerale del padre, in casa ci sono anche Jim e Lyons, che in permesso da una condanna per essersi coinvolto nei maneggi dei locali nei quali suonava. Cory dice alla madre che non andrà al funerale – non ha ancora smaltito l’odio per il padre – ma lei lo schiaffeggia e gli dice che Troy ha commesso vari errori ma li ha sempre amati e, a suo modo, protetti. Arriva Gabe, che soffia nella tromba per far aprire le porte del cielo al fratello e le nuvole si aprono, lasciando che un raggio di sole arrivi al giardino.

Il dramma Barriere di August Wilson fa parte dell’American Century Cycle, un ciclo di dieci commedie rappresentative della condizione dei neri in tutto l’arco del XX secolo e, tra tutti, è quello che ha avuto più successo. Washington, dopo averlo riproposto a Broadway, ha deciso di produrlo, dirigerlo ed interpretarlo al cinema con tutti gli attori (a parte, i giovanissimi Jovan Adepo e Saniyya Sidney) che erano in scena con lui. La scelta, per molti aspetti, si è rivelata vincente: il film è candidato e 4 Oscar (miglior film, miglior attore protagonista, miglior attrice non protagonista e miglior sceneggiatura non originale) e lui e la Davis hanno già avuto vari riconoscimenti. Washington ha scelto di affidare la scrittura della sceneggiatura totalmente nelle mani di Wilson, che, ovviamente, ha solo aggiornato nei movimenti il proprio testo. Qui c’è, forse, il limite del film.  Molti splendidi adattamenti cinematografici da drammi teatrali importanti hanno avuto il supporto di esperti sceneggiatori di cinema (tra i tanti esempi, pensiamo ad Oscar Paul, che ha affiancato Tennessee Williams per Un tram che si chiama desiderio di Kazan e Stanley Roberts, che ha adattato Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller per il film diretto da Laszlo Benedek). Qui la letterarietà del testo si fa un po’ sentire e il prodigio finale del cielo che si apre è perfetto per una macchina teatrale, un tantino ingenua al cinema. Io resto convinto che il passaggio dal teatro al cinema debba essere supportato da una scrittura adatta al mezzo ma, detto questo, la bravura degli attori (è stato dimenticato dai premi ma va citato il grande Stephen Henderson) e la forza del testo fanno un insieme di grande potenza.

ECCO TUTTI GLI OSCAR 2017




Manchester by the Sea

di Kenneth Lonergan. Con Casey AffleckMichelle WilliamsKyle ChandlerLucas HedgesGretchen Mol USA 2016

Lee Chandler (Affleck) è il tuttofare di un complesso di abitazioni nella periferia di Boston e vive da solo in sottoscala. Chiuso e cupo, fa il suo lavoro senza nessuna reazione alle chiacchere e alle provocazioni delle condomine (Virginia Loring Cooke, Quincy Tayler Bernstine, Missy Yager). Un giorno gli arriva una telefonata e, dopo aver preso accordi con il suo capo (Stephen Henderson), va a Manchester by the Sea, la sua città natale. E’ morto suo fratello Joe (Chandler), che soffriva da tempo di cuore. In ospedale lo aspetta George (C.J. Wilson) amico e socio del defunto, che si offre di aiutarlo e di telefonare alla ex-moglie di Lee, Randy (Williams), con la quale lui non si sente di parlare. Lui invece va a dare la notizia al nipote Patrick (Hedges), che si sta allenando ad hockey; a questo nipote lui è sempre stato molto legato e, quando era piccolo (Ben O’Brian), lo portava spesso a pescare con la barca di Joe. La sera arrivano un paio di amici del ragazzo, C.J. (Christian J. Mallen), Joel (Oscar Wahlberg) e Silvie (Kara Hayward), con la quale lui passerà la notte, raccomandando allo zio di non dire ai genitori di lei che hanno dormito nello stesso letto. Wess (Josh Hamilton), l’esecutore testamentario, convoca Lee e gli comunica che Joe ha predisposto tutto perché lui possa fargli da tutore fino al compimento del 21nesimo anno. Lee, spaventato, prende tempo e cerca una soluzione ma non è facile: della madre del ragazzo, Elise (Mol), alcolista e malata di nervi, si sono perse le tracce (in realtà, Patrick è in contatto, di nascosto, con lei via mail) e gli altri zii vivono molto lontano. I funerali sono, intanto, rinviati: la terra è troppo ghiacciata per poter scavare e il corpo è conservato il un congelatore; Pat ne soffre e una sera, aprendo il frigorifero, fa cadere della carne dal freezer ed ha un attacco d’angoscia, per il quale Lee gli sta vicino sino a che non si addormenta. Una sera lo zio lo accompagna dalla sua altra ragazza, Sandy (Anna Baryshnikov), dove prova con la sua band e la madre della ragazza, Jill (Heather Burns), lo invita a cena ma lui, schivo come sempre, rifiuta. Nel frattempo cerca lavoro ma nessuno vuole darglielo; sappiamo che tende ad essere rissoso quando beve ma, via via, scopriamo il suo segreto: lui era felice con Randy e i loro tre bambini quando, una sera in cui aveva bevuto e fumato erba con gli amici, era uscito, accendendo male il camino; nell’incendio che ne era derivato i suoi tre figli erano morti. Alla stazione di polizia, dopo essere stato interrogato, aveva tolgo la pistola ad un agente e tentato di spararsi, fermato da Joe e dal padre (Tom Kemp). Qualche sera dopo, Patrick gli chiede di tenere compagnia a Jill – che si è un po’ invaghita di lui- mentre lui e Sandy fanno l’amore per la prima volta; lui rimane muto per tutta la sera e Jill, imbarazzata, disturba di continuo i due ragazzi. Arriva il giorno del funerale e vi partecipa anche Randy, incinta al nono mese, con il nuovo marito (Liam McNeill), che, nel vederlo, si commuove. Lee, dopo aver cercato di spiegare al nipote che non possono permettersi di tenere la barca – alla quale il ragazzo tiene molto – perché non hanno i soldi per rifare il motore, trova una soluzione, vendendo la collezione di fucili di Joe. Elise si fa viva e invita a pranzo il ragazzo; ora ha un nuovo marito – il religiosissimo Jeffrey (Matthew Broderick) – e dichiara di essere uscita dall’alcool ma dopo pochi bocconi ha una crisi di panico e scappa in cucina, forse a bere. Lee sta cercando una soluzione per poter stare con Patrick, che lo vorrebbe con se ma un giorno incontra Randy mentre porta a spasso il neonato, che scoppia in lacrime, gli chiede perdono per le cose orribili che gli aveva detto dopo la tragedia e gli dice di amarlo ancora. Lui scappa e va a bere in un pub, dove fa scoppiare l’ennesima rissa. Poco dopo, compreso che non ce la fa a tornare a vivere a Manchester, chiede a George e alla moglie Janine (Jami Tennille), di ospitare Patrick, in cambio dei soldi che Joe aveva lasciato. Lui va a fare il portiere in città e promette al deluso Patrick che non scomparirà. Nell’ultima inquadratura li vediamo pescare insieme nella loro barca.

Kenneth Logan ha una storia registica complessa: sceneggiatore di successo (Terapia e pallottole, Gangs of New York), nel 1999 ha diretto Conta su di me, piccolo film di grande spessore narrativo che lo ha subito fatto apprezzare ma il suo secondo film, Margareth, per problemi legali, è uscito, un po’ in sordina, sette anni dopo la realizzazione e, perciò, solo l’anno scorso ha potuto scrivere e dirigere Manchester by the Sea, che è stato già premiato al BAFTA per la sceneggiatura e l’interpretazione di Affleck e che ha ben 6 nomination per l’Oscar. Meritatissime perché è un gran film, scritto ed interpretato benissimo ma, soprattutto, girato splendidamente. Manchester by the Sea è uno degli esempi alti di come il cinema americano sappia essere, per intero, letteratura; non tanto e non solo per qualità di scrittura ma per la capacità di “scrivere” stati d’animo ed emozioni con la macchina da presa. Qui i desolati paesaggi innevati, la misera periferia di Boston, la stessa railway, percorsa quasi in tempo reale, ci raccontano una solitudine abissale e un dolore trattenuto esattamente come la dolente fissità dello sguardo dell’intenso Affleck. Non ne uscirete allegrissimi ma, certamente, emozionati dalla straordinaria capacità di racconto.




Cinquanta sfumature di nero  (Fifty Shades Darker)

di James Foley. Con Dakota JohnsonJamie DornanBella HeathcoteKim BasingerLuke Grimes  USA 2017

Anastasia Steel (Johnson) ha trovato lavoro in una casa editrice come assistente del capo-redattore Jack Hide (Eric Johnson) e si fa valere al di là delle proprie mansioni, dimostrandosi un’acuta scopritrice di talenti. Una sera va ad un una mostra del suo amico Josè (Victor Rasuk), che è un po’ innamorato di lei, e vede che sono esposte 6 foto che la ritraggono; di lì a poco la direttrice della galleria (Elizabeth McLaughlin), comunica a Josè che proprio quei sei ritratti sono stati appena venduti. Lei capisce che il compratore è Christian Grey (Dornan) ed eccolo, infatti, venire da lei e chiederle di rivederla. Lei gli dà un appuntamento per la sera successiva e lui la va a prendere nel bar in cui lei sta bevendo una birra con Jack, che si adonta nel vederla andare via. A cena, lui le dice di amarla sempre e di essere disposto ad un nuovo contratto con lei, senza clausole e castighi e con rispetto per la sua libertà. Lei accetta e loro escono e, quando lui la riaccompagna, la lascia sulla porta con un bacio. L’indomani, prima di un nuovo appuntamento, viene fermata da Leila (Heathcote), una ragazza dall’aria angosciata e con un polso fasciato che sa il suo nome. Più tardi fanno l’amore in casa di lei e a Anastasia, di notte, sembra di intravvedere Leila che li osserva. Il loro rapporto procede ma lei è sempre sul chi vive nel salvaguardare la propria indipendenza: rifiuta di smettere di lavorare, gli impedisce di comprare la società editrice per la quale lavora e straccia l’assegno di 24.000 dollari che lui le aveva regalato (lui però le fa un bonifico per quella somma sul suo conto, del quale ha avuto – ad insaputa di lei – le coordinate). Una sera, Christian le chiede di andare ad una cena di beneficenza, organizzata dalla sua famiglia e, quando lei gli ribatte di non avere il vestito adatto e di avere i capelli in disordine; lui la porta nel salone di bellezza, gestito da Helena (Basinger); Anastasia, quando la vede, capisce che è lei la donna grande che lo aveva iniziato, adolescente, al sesso e alle pratiche sado-maso e esce di furia dal locale. Lui, dopo averle assicurato di essere ormai solo amico e socio della donna, la riporta a casa, dove fa venire un parrucchiere (Stephan Miers) e le fa trovare un guardaroba pieno di splendidi abiti da sera. Mentre lei si prepara lui le chiede di chinarsi e le mette dentro due palline d’argento, che le procureranno una forte eccitazione sessuale per tutta la serata. Durante l’asta di beneficenza, lei offrirà i 24.000 dollari per un oggetto e al commento divertito di lui che minaccia di sculacciarla, risponde che le farebbe piacere. Lui la porta nella sua stanza da ragazzo, la denuda, le toglie le palline e, dopo averla sculacciata un poco, fa l’amore con lei. Nella stanza, lei nota la foto di una ragazza triste (Carmen Dollard) che assomiglia a lei ed a Leila e capisce che è la madre naturale di Christian, morta per overdose quando lui aveva quattro anni (i Grey sono suoi genitori adottivi). In ufficio, Jack le chiede di andare con lui alla Fiera del Libro di New York e, quando lei gli dice di avere altri impegni, lui, irritato, insiste: è un’importante riconoscimento di lavoro e lei non può rifiutare. Christian è contrarissimo e Anastasia, pur difendendo la propria autonomia, accetta di non andare, perché sente una forte ambiguità da parte del suo capo; infatti, quando gli comunica di non poter partire, Jack le si butta addosso e la sta per violentare quando lei si libera con una ginocchiata al basso ventre. All’uscita trova Chistian con il fido autista Taylor (Max Martini) che la riportano a casa. Poco dopo, Christian, chiama l’amministratore delegato della editrice e fa licenziare Jack. Senza più un capo, Anastasia rischia di essere anche senza un lavoro ma Gwen (Shiraine Haas), il capo del personale, le promette un lavoro saltuario e le chiede di sostituire Jack nella riunione di redazione; qui lei convince il direttore Jerry Roach (Bruce Altman) ad azzardare su di un autore da lei scoperto e lui, colpito dalla sua competenza e passione, le dà il posto di Jack. Il rapporto tra Anastasia e Christian si va solidificando e lei, chiarito che non sarà mai una “sottomessa” – cioè, una delle ragazze che lui usava per i suoi giochi erotici, lasciandole (come aveva fatto con Leila che si era sposata ma, rimasta vedova, lo cercava ossessivamente) – comincia ad incuriosirsi della “stanza rossa” (una volta ne trae delle cavigliere che le allargano le gambe e consentono a lui di prenderla da dietro, un’altra si fa bendare, ammanettare e possedere cosparsa di un particolare unguento). Lui la convince ad andare a vivere nel suo palazzo ma, quando l’accompagna a prendere le sue cose nel vecchio appartamento, lei trova Leila che l’aspetta con una pistola; Christian, sopraggiunto, riesce a disarmarla e, imponendo ad Anastasia di andarsene, la fa mettere in ginocchi. Lei, terribilmente scossa, vaga per la città per ore e, quando torna a casa, lo trova sconvolto; discutono e lui, per farle capire quanto è cambiato, le consente di toccargli il petto (zona proibita a causa dei suoi traumi infantili). Fanno l’amore e quella notte, quando lei lo sveglia da un incubo, lui le chiede di sposarlo. L’indomani mattina lei gli dice che ci penserà. Christian alla guida del suo elicottero va ad una riunione d’affari, con la sua assistente Hannah (Ashleigh LaThrop) ma al ritorno il velivolo ha un guasto e i notiziari danno notizia della scomparsa del miliardario. Anastasia lo viene a sapere mentre è con i suoi amici Josè, Kate (Eloise Mumford) e il suo fidanzato e fratello di Chrstian, Elliot (Grimes) e si precipita dai genitori di Christian, Grace (Marcia Gay Harden) e Carrick (Andrew Airlie). Christian di lì a poco arriva, sano e salvo, e quando sono soli lei gli dice di aprire il regalo che gli aveva comprato per il suo compleanno, che cade proprio in quel giorno (è già mezzanotte). Lui apre e trova un portachiavi di plastica da due soldi ma dietro il quale lei ha scritto: “Yes!”: acconsente a sposarlo. Alla festa della sera, lui dà l’annuncio del matrimonio, scatenando l’ira di Helena, che aggredisce Anastasia e viene schiaffeggiata e cacciata di casa da Grace. La festa termina con i fuochi d’artificio e, mentre Anastasia e Christian si baciano, vediamo Helena e Jack furenti e pronti a vendicarsi.
“E.L. James aveva inizialmente messo mano ad una fanfiction (sorta di spin-off di un successo) dal titolo Masters of the Universe, che era basata su Twilight ma, avendola infarcita di scene di sesso, la ha trasformata nella trilogia 50 sfumature e questo spiega l’impianto di base del racconto: Christian, come Edward Cullen, ha una tara che lo porta ad allontanare da sé la pur amata Anastasia/Bell. Questo nel film è rimasto ma l’operazione produttiva – per altro perfettamente riuscita da punto di vista commerciale – è stata quella di puntare sul glamour piuttosto che sul sesso (che avrebbe comportato divieti, allontanando il prezioso pubblico dei teenager), diluendo ed annacquando le scene di BDSM (bondage, dominazione, sadismo e masochismo) e lasciando intatti i rimandi alla Cenerentola soft-porno che caratterizzala storia ed i suoi due protagonisti: povera e risoluta lei, ricco e potente lui.” Questo è quanto scrivevamo di Cinquanta sfumature di grigio; la James, nonostante il successo, aveva – in veste di produttore – protestato la regista Sam Taylor-Johnson e gli sceneggiatori Kelly Marcel, Patrick Marber e Mark Bomback, che, proprio pensando all’importantissima audience adolescente, avevano escluso molte scene sexy. Qui la sceneggiatura la cura il marito della scrittrice, Niall Leonard, e la regia passa dalla video-artista (e femminista) Taylor-Johnson al professionale James Foley (abile nelle trasposizioni: a lui dobbiamo l’efficace Americani, dallo splendido Glengarry Glen Ross di Mamet). Il risultato è un patinato rosa-erotico, che già, dalle prime uscite mondiali, sembra funzionare. Il precedente aveva raccolto nel mondo più di mezzo miliardo di dollari e questo (sarebbe un miracolo per un sequel) non è detto che sarà da meno. Le ragazzine (oltre alle nonne) si divertono molto.