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Nessuno ci può giudicare vs. The Beatles: Sgt Pepper & Beyond

Nessuno ci può giudicare

di Steve Della Casa e Chiara Ronchini.  Italia 2016

vs.

The Beatles: Sgt Pepper & Beyond

di Alan G. Parker. Con Freda KellyPete BestRay ConnollyAndy PeeblesSimon Napier – Bell  Gran Bretagna 2017

Alla fine degli anni ’50 nacque in Italia il fenomeno degli “urlatori” (dall’inglese “shouter”, il termine con il quale venivano indicati i primi esecutori di Rhythm ‘n blues), cantanti che a piena voce cadenzavano i brani a ritmo terzinato, con evidenti influssi dal rock ’n roll. Arrivano al successo Tony Dallara, Betty Curtis, Mina, Jenny Luna e i rocker come Adriano Celentano, Little Tony, Ricky Gianco, Ghigo. Il cinema si interessò subito del fenomeno e così vennero fuori, ad opera del prolificissimo artigiano Lucio Fulci (divenuto poi uno dei grandi maestri dello splatter all’italiana: Quella villa accanto al cimitero, Lo squartatore di New York, Zombie 3, sono alcuni dei suoi titoli), due film corali con i più noti urlatori: I ragazzi del juke-box e Urlatori alla sbarra; a queste operazioni partecipava il giornalista, sceneggiatore e paroliere Piero Vivarelli, che firmò anche la regia del terzo film del filone: Io bacio, tu baci. Vivarelli è un curioso personaggio: ex-ragazzo repubblichino, poi fervente comunista (è stato l’unico italiano ad avere da Fidel Castro la tessera del partito Comunista Cubano) appare nel documentario con alcuni interventi, nei quali – in pieno godibilissimo stile cinematografaro e canzonettaro dell’epoca –  spiega di aver contribuito, con quelle opere, ad una rivoluzione di sinistra. Steve Della Casa lo prende, ironicamente ma affettuosamente, in parola e individua – attraverso preziose immagini di repertorio, commentate con il giornalista e P.R. Massimo Scarafoni, una imperdibile cavalcata che, tra canzoni, brani selezionati da alcuni film, immagini del Piper, dichiarazioni di Shel Shapiro, Rita Pavone, Gianni Pettenati, Tony Dallara, Ricky Gianco, Mal, Don Backy e Caterina Caselli e squarci del ’68 – un’ideale percorso tra quelle canzoni, quei film e le lotte studentesche della fine degli anni ’70. Steve Della Casa è il più geniale degli intellettuali di cinema italiani di questi anni – rimanendo all’ambito documentaristico, i suoi Uomini forti (sugli eroi del genere peplum) e I tarantiniani (sui registi italiani amati e citati da Quentin Tarantino) sono, contemporaneamente, tappe fondamentali nella costruzione di una storia del nostro cinema e film divertentissimi e colmi di ironia – e in questo film (complice il contributo della montatrice Chiara Ronchini, cui Steve fa firmare la co-regia) non si smentisce. Ci sono canzoni note: 24.000 baci e Ciao ti dirò di Celentano, Il Geghegè e Cuore di Rita Pavone, Non son degno di te di Gianni Morandi, Ma che colpa abbiamo noi dei Rokes, Yeeeeeeh! di Mal, Il cielo in una stanza di Mina, Bandiera gialla di Gianni Pettenati ma anche chicche imperdibili: Renato Zero giovanissimo e magrissimo che balla per Pettenati, il dimenticato Guidone che canta Ciao ti dirò e, soprattutto, il rocker Ghigo (che arrivò al successo con una scorrettissima Coccinella, dedicata a Coccinelle, il proto-trans francese divenuto di moda nei primi ’60), che alla maniera un po’ epilettica dei rocker post Presley, canta Jenny,Jenny. A chiosa del discorso vediamo, dal film Woodstock, Country Joe che incita la platea ad urlare contro la guerra in Vietnam e (in una sequenza che, da sola, vale il film) lo scrittore beat Gianni Milano recitare una sua poesia alla maniera di Ginsberg e Ferlinghetti. Insomma non è esattamente un film sui cosiddetti “musicarelli”( per questo aspettiamo ansiosi che Steve Della Casa ci metta mano, con la sua geniale e sapiente estrosità), infatti sono citati solo alcuni film (i due di Fulci, In ginocchio da te e Non son degno di te con Morandi, i due Zanzara della Wertmulller  e Rita, la figlia americana con Rita Pavone, I malamondo di Paolo Cavara per la canzone Sabato triste di Celantano, Io non protesto, io amo, Nessuno mi può giudicare e Perdono con Caterina Caselli, Pensiero d’amore con Mal e I ragazzi di Bandiera Gialla con Gianni Pettenati), funzionali all’idea di base: quando i giovani trovano una loro musica, non più mediata dai gusti degli adulti, comincia un cammino rivoluzionario.

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Pochi giorni prima usciva The Beatles: Sgt. Pepper and Beyond, presentato come un ideale sequel dello splendido Eight days a week di Ron Howard perché è incentrato sulla costruzione di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, sull’incontro con il Maharishi e sulla morte di Brian Epstein. In realtà è un’accozzaglia di interviste, per lo più irrilenvantissime, con personaggi, spesso secondari: la segretaria di Epstein, Pete Best (il batterista sostituito da Ringo), che, pateticamente, cerca di entrare nella fotografia per aver donato un oggetto che è nella copertina del disco e un paio di critici, uno dei quali ripete più volte che Sgt. Pepper sarebbe stato assai migliore se vi avessero inserito Penny Lane e Strawberry fields forever (?!). Tutto questo senza neanche un brano delle musiche dei Beatles (oltretutto messo in giro al prezzo maggiorato di biglietto degli eventi speciali!).

Come non essere, una volta tanto, fieri della grande serietà, competenza e perfezione di confezione del film di Steve Della Casa e Chiara Ronchini?

 




Due uomini, quattro donne e una mucca depressa

Anna Di Francisca, dal suo film d’esordio (La bruttina stagionata) era apparsa come una delle autrici più interessanti del nostro cinema: era chiara la sua capacità di regia ma, soprattutto, appariva come uno dei pochi registi in grado di uscire dallo spazio chiuso del cinema nazionale: i suoi gusti da spettatrice – ma soprattutto il suo talento – sono chiaramente rivolti verso una platea più ampia, almeno europea. Questa vocazione appare non solo dalle scelte estetiche e di contenuto ma dalla capacità di organizzare il film e di governarne appieno il set. Due uomini, quattro donne e una mucca depressa sono la perfetta esemplificazione di questo assunto: il racconto di fondo non è la solita storia di cortile che continua a caratterizzare il cinema italiano (anche il migliore); l’ambientazione spagnola è un naturale portato del racconto e non un furbo espediente per rimediare soldi da un coproduttore; la sua capacità di coinvolgimento, le ha consentito di poter contare su di un cast di grandi nomi internazionali: il serbo-francese Manolovich (attore-simbolo del cinema di Kusturica), i divi spagnoli Verdù, Fernandez, Marull e, in un piccolo ruolo accettato per ammirazione per la regista, Antonio Resines. Anche il cast italiano segnala scelte non banali: da Marcorè che recita in perfetto spagnolo, all’affettuoso ed ironico recupero della Grandi, sino alla coraggiosa e vincente scelta di usare in un ruolo centrale Manuela Mandracchia, bravissima attrice teatrale, pochissimo usata dal nostro ambrangiolinicentrico cinema. Vale lo stesso discorso per il cast tecnico: la fotografia di Duccio Cimatti rende magico il paesino di Boicarent e il montaggio di Simona Paggi tiene il non facile tono di musical/non musical del film, che le belle musiche (in particolare la canzone della finale del coro, allegramente riassuntiva) e le orchestrazioni di Paolo Perna avevano sapientemente preparato. Il film, dopo un ottima accoglienza al Festival di Torino, esce solo ora, a causa di complesse vicende produttive e sarebbe un peccato perderlo.

di Anna Di Francisca. Con Predrag ‘Miki’ ManojlovicMaribel VerdúEduard FernándezLaia MarullAna Caterina Morariu Italia 2015

Il musicista Edoardo (Manojlovic) è in crisi: è stato lasciato dalla moglie, vede poco la figlia Alice (Marzia Bordi) e non ce la fa più – lui laicissimo ed anticlericale – a comporre musiche per fiction sulle vite dei santi. Dopo lo scontro con l’ennesimo produttore (A.F.) e un incontro con un vigile urbano/counselor psicologico (Massimo De Lorenzo) che lo blocca per una processione, decide di lasciare Roma e passare un periodo sabbatico dall’amico Emilio (Fernandez), ex-marito di una sua cugina ed ex-compagno di lotte sessantottine che ora vive in un grande podere a Boicarent, paesino della Valencia. Quando arriva alla villa trova solo la cameriera muta Irma (Serena Grandi) e la triste mucca Luisa. Lo trova in chiesa mentre sta provando con il coro della parrocchia, lo porta al bar e si stupisce del fatto che lui, mangiapreti e stonatissimo, canti in quel gruppo; Emilio gli confessa di andarvi perché è innamorato di una delle coriste, Victoria (Marull) che – oltre ad essere figlia del Generale (Hector Alterio), vecchio militare franchista e gran cacciatore (a dispetto dell’impegno animalista della figlia) – gestisce un’agenzia di viaggi, frequentata attivamente dal giovane Pablo (Hector Juezas), che spera di poter perdere la verginità in una crociera piena di milf. Mentre parlano, lei arriva e siede in un tavolo con altre tre coriste: Julia (Verdù), operaia con buone possibilità musicali, separata dal barbiere Carlos (Neri Marcorè), Manuela (Gloria Munoz), patronessa di tutte le attività sociali del paese e Sara (Manuela Mandracchia), fisioterapista gay, che tutte le sere va a guardare le stelle al telescopio della sua amica Marta (Morariu). Durante una prova il parroco (Ferran Gadea) cade e si rompe il femore ed Emilio ha una grande idea: sarà il famoso musicista Edoardo a dirigerli (spera così di farsi apprezzare dall’amata Victoria), al suo fermo diniego Emilio propone un patto: se dirigerà il coro, lui organizzerà una grande festa per il proprio cinquantesimo compleanno, alla quale inviterà Alice, della quale Edoardo ha una gran nostalgia. Questi accetta e comincia stravolgendo tutto il programma precedente, dando ai coristi, anziché noiose litanie di chiesa brani divertenti come Ragliabà (versione ritmatissima del vecchio Quando canta Rabagliati). Julia, intanto è presa tra due fuochi: la madre Aida (Luisa Gavasa), che la spinge a lasciare la fabbrica e tornare con Carlos – che per amore sarebbe disposto a trasferirsi a Madrid, dove lei potrebbe frequentare una scuola di canto – e le amiche, che la inducono a manifestare i sentimenti che comincia a provare per Edoardo. Lei lo invita a cena e lui la incoraggia a studiare musica ma quando lei gli chiede di darle qualche lezione, lui rifiuta: ha sempre odiato insegnare. Risultato: lei diserta il coro e lui è sempre più triste. La sera della festa diventa l’occasione di varie svolte: il grasso e timido Alvaro (Jorge Calvo), complice qualche bicchiere, chiede a tutte le donne presenti di fare un figlio con lui (nessuna però accetta); Manuela annuncia che il festival nazionale dei cori si svolgerà proprio nel loro paese; Alice e Pablo simpatizzano subito e sarà con lei che il ragazzo perderà la verginità; Julia balla con Edoardo e gli dice che tornerà a cantare se lui comporrà la canzone che il coro canterà al concorso; il gelosissimo Carlos – che tiene in pugno il Generale, avendo scoperto che ha un’amante nera, Ngari (Carmen Mangue)  – costringe il militare a tendere con lui un agguato ad Edoardo e a sparargli nel sedere con un fucile ad aria compressa (inutile dire che il Generale sarà fiero della prodezza come se avesse espugnato un fortezza in guerra); Sara, che non era stata invitata alla festa, decide di chiarirsi con Emilio e gli spiega che lei e la sua ex-moglie erano da sempre innamorate e che questa lo aveva sposato temendo le malelingue del paese, per poi fuggire in Italia da sola; Irma, infine, si mette a parlare: non è affatto muta ma la perdita di un amato torero le aveva tolto la voglia di comunicare. Arriva il giorno del concorso e per tutti – compresa la mucca Luisa, alla quale la nascita di un vitellino farà da rimedio alla depressione – arriva il lieto fine.




Ritratto di Famiglia con Tempesta  (After the Storm)

Da quando, nel 1983, uscì il libro dello psicoanalista americano Dan Kiley, La sindrome di Peter Pan, il cinema ha spesso avuto al centro protagonisti maschili chiusi in una eterna adolescenza; in realtà, gran parte dei personaggi inventati dai comici (da Buster Keaton a Stanlio e Ollio, da Sordi a Zalone) sono mossi dalla ferma volontà di rimanere ancorati al proprio mondo infantile, fuggendo dalle angosce e responsabilità dell’essere adulti. Dino Risi è stato forse il più efficace cantore dei bamboccioni all’italiana con titoli come Poveri ma belli, Il vedovo e Il sorpasso; il più esplicito e poetico esempio ne è il Walter Chiari del sottovalutato Il giovedì, che racconta gli ultimi fuochi di un padre separato che inventa mille espedienti per non sottomettersi alla routine di un lavoro fisso. Kore’eda Hirozaku probabilmente il film lo ha visto (molte situazioni sono simili, soprattutto nel rapporto di Ryota con la madre e con il figlio) ma ne ha fatto un’opera personalissima. Lui è tra i registi giapponesi quello che più possiamo considerare erede del grandissimo Ozu, maestro nel raccontare la quotidianità di piccoli uomini, delle loro gioie, dei loro disastri con un delicatissimo tratto. Certo, Kore’eda Hirokazu non ha l magica sapienza tecnica del maestro ma film come Father and son, Little sister e – sia pur, forse, in tono minore – questo sono soffusi di ispirata poeticità. Grande merito della riuscita va anche al cast: il divo Hirsohi Abe (ha dato voce al guerriero Ken nei cartoni a lui dedicati ed era il protagonista del buffo blockbuster  nippo-peplum Thermae Romae) è perfettamente in ruolo, così come Yoko Maki e Riri Furanki (presenze quasi fissi nei titoli del regista) mentre Kirin Kiki (nota da noi, soprattutto per il delizioso Le ricette della signora Toku), ad ogni apparizione, illumina lo schermo.

di Kore’eda Hirokazu. Con Hiroshi AbeKirin KikiYôko MakiRirî FurankîSôsuke Ikematsu

Giappone 2016

Siamo a Tokyo nel periodo delle tempeste. Shinoda Ryota (Hiroshi Abe) è stato uno scrittore promettente – ha anche vinto un importante premio letterario con il suo primo romanzo – ma ora, con l’alibi di cercare spunti per il suo nuovo libro, sbarca il lunario lavorando come detective in un’agenzia investigativa. Il poco che guadagna lo perde al gioco e così non può pagare gli alimenti per il figlio Shingo (Tayio Yoshizawa) alla moglie Kyoko (Yoko Maki), né a dare una mano alla madre Yoshiko (Kiki Kilin), che sogna una villetta in un bel quartiere e che, con le vicine segue le lezioni a domicilio di storia della musica di un vecchio professore (Isao Hashizume). Lui si arrangia, coinvolgendo il suo giovane collega (Sosuke Ikematsu), a guadagnare qualche extra ricattando coloro che sta pedinando: ad una moglie (Yuri Nakamura) adultera vende le foto che la ritraggono con l’amante, promettendole di portarle prove degli incontri sessuali del marito e si fa dare dei soldi da uno studente (Kazuya Takahashi) per non rivelare la sua relazione con la professoressa al marito (Kanjii Furutachi) di lei che si era rivolto all’agenzia. Ogni tanto si fa dare qualche yen dalla sorella (Satomi Kobayashi) o cerca nei cassetti della madre i soldi che lei nascondeva all’inconcludente marito e, soprattutto, un rotolo di grande valore artistico e commerciale (3 milioni di yen) di cui il padre favoleggiava. Ryota ama ancora la moglie, la pedina e, le poche volte che riesce a vederlo, chiede al figlio notizie del nuovo compagno di lei (Makoto Nakamura). Le cose non gli vanno certo bene: al gioco continua a perdere, l’uomo del banco dei pegni (Hisaya Hishiguro) gli rivela il rotolo che era un falso ma il padre, che lo aveva impegnato, era riuscito a frasi dare un po’ di soldi, inventando una grave malattia del sanissimo figlio. Inoltre, il suo capo (Riri Furanki) ha saputo dei suoi ricatti ai clienti e si fa dare gran parte dei quattrini; con il poco rimasto Ryota porta il figlio alle giostre ed a mangiare hamburger, portandolo poi a casa di Yoshiko. Qui li sorprende il tifone e la furente Kyoko è costretta ad andare a riprenderlo ma la tempesta non smette e così rimangono tutti a dormire dalla nonna. Di notte Ryota ci prova con la moglie che lo respinge e, dopo aver frugato nei possibili nascondigli e avervi trovato solo un vecchio calamaio, ripete una cosa che suo padre aveva fatto con lui: porta il figlio a nascondersi, mentre infuria il maltempo, nel vecchio scivolo monumentale davanti alla casa. Li raggiunge, preoccupata, Kyoko che sente, per la prima volta, l’ex-marito in un ruolo affettuosamente paterno. La mattina successiva una buona notizia: il calamaio è un pezzo raro di antiquariato e vale 300.000 yen. Con quei soldi, Ryota potrà pagare gli alimenti arretrati, saldare qualche debito e, accettando di scrivere sotto pseudonimo sceneggiature per i manga, lasciare l’agenzia investigativa e mettere davvero mano ad un nuovo libro.




Scappa – Get Out

di Jordan Peele. Con Daniel KaluuyaAllison WilliamsBradley WhitfordCaleb Landry JonesStephen Root  USA 2016

Jordan Peele è noto al grande pubblico americano come attore ed autore comico (in coppia con Keegan-Michael Key ha creato con grande successo la sitcom Key and Peele) ma è un grande fan dei film horro tanto che ha deciso di esordire alla regia con questa storia . Lui ha dichiarato di essersi ispirato a La notte dei morti viventi (1968) di George A. Romero ma nel racconto si trovano molti altri riferimenti: da L’isola degli zombies (1932), capofila del genere di Victor Halperin – con Bela Lugosi scienziato/stregone che comanda un esercito di morti viventi – a, tra le opere recenti, La notte del giudizio (2013) di James Del Monaco, prodotta dalla Blumhouse, la stessa di Scappa – Get out. Il film è già un caso: costato 4.500.000 $ ne ha già incassati nel mondo più di 200.000.000 e, come talora succede ai film horror, è già vsto come uno specchio delle angosce profonde di un periodo: come lo splendido L’invasione degli ultracorpi (1956) di Don Siegel apparve come una metafora della paura dell’invasione del comunismo, Scappa – Get out ci racconta dell’intrusione dei superpoteri finanziari nelle leve del comando, anche attraverso figure apparentemente tranquillizzanti come Obama. Detto questo, il film, di per sé, è un onesto prodotto con una buona suspense, la giusta dose di ironia (grazie soprattutto a Lil Rel Howey) e un bel cast, che ha raccolto varie nomination agli Mtv Awards.

Chris Washington (Kaluuya) è un brillante fotografo, è in procinto di andare con la fidanzata wasp Rose Armitage (Williams) a conoscere i genitori di lei in Alabama ed è un po’ sorpreso perché lei non ha detto ai suoi che lui è nero ma la ragazza taglia corto, dicendogli che a loro non importa affatto: non sono certo razzisti ma, anzi, fervidi elettori di Obama. In viaggio urtano con la macchina guidata da Rose contro un cervo e quando arriva la volante e il poliziotto (Tray Burvant) chiede con sgarbo i documenti di lui, la ragazza gli impone di non darglieli: non era lui al volante e la richiesta è un abuso. Arrivati nella enorme tenuta degli Armitage sono ricevuti dai festanti padroni di casa, il neurochirurgo Dean (Whitford) e la psicoterapeuta Missy (Catherine Keener) ma alcune anomalie inquietano Chris: loro sono molto liberal ma nei loro discorsi c’è un costante, sottile riferimento a parametri lievemente razzisti e la servitù è composta da due neri, il giardiniere Walter (Marcus Henderson) e la cameriera Giorgina (Betty Gabriel), entrambi con un espressione vacua. A cena il fratello minore di Rose, Jeremy (Landy Jones), è molto più esplicito dei genitori nel riempire Chris di razzistiche allusioni alla sua potenza sessuale e fisica e più tardi, a letto, Rose se ne scusa. Di notte lui si sveglia di soprassalto e scende in giardino a fumare – di nascosto: Rose è contrarissima al fumo – e viene quasi travolto da Walter che corre in tuta. Quando rientra Missy lo porta nel suo studio e lo sottopone ad una seduta del suo procedimento per far smettere di fumare: gli parla e, girando un cucchiaino in un tazza, lo ipnotizza e lui torna con la mente a quando, undicenne (Zailand Adams), aveva perso la madre. Si risveglia angosciato nel suo letto e Rose gli comunica che stanno arrivando gli ospiti per l’annuale cerimonia in onore dei suoi nonni, capostipiti della famiglia. Anche i nuovi arrivati sono, al contempo, cordiali ed imbarazzanti e Chris, dopo essere stato palpato dalla signora Philomena King (Geraldine Singer) – che ha un marito nero Andrew Logan (Lakeith Stanfield) di trent’anni più giovane di lei e, anche lui, con uno sguardo vacuo – e aver parlato con il gallerista cieco Jim Hudson (Root), che gli esprime ammirazione per le sue opere, si apparta e decide di scattare qualche foto ma, quando riprende Andrew con il flash, lui perde sangue dal naso e sviene, non prima di avergli urlato: “Scappa!”. Di lì a poco tutti i convenuti si ritirano in angolo del giardino per una specie di asta che ha come oggetto una gigantografia di Chris e il vincitore è Jim. In camera Chris, che ha la sensazione di aver già visto Andrew, ne manda la foto al suo grande amico Rod (Lil Rel Howery), agente aeroportuale che era contrario al suo viaggio in mezzo a tutti quei bianchi del sud e questi scopre che quello ritratto nella foto era un ragazzo del loro corso di studi scomparso sei mesi prima ma non riesce ad avvisare Chris perché il suo telefono suona a vuoto. Convinto che l’amico sia in mano a razzisti che vogliono farne il loro schiavo sessuale, Rod va alla polizia ma il tenente Latoya (Erika Alexander) e i suoi colleghi (Jeronimo Spinx e Ian Casselberry) gli ridono in faccia. Chris, in realtà, aveva deciso di partire quella sera con Rose ma, mentre si preparava, aveva trovato in un ripostiglio un serie di foto che la ritraevano in posa affettuosa con vari ragazzi neri (lei gli aveva detto che lui era il suo primo fidanzato di colore). Cercando di scappare, viene bloccato dall’ipnosi di Missy e si risveglia legato in una stanza davanti ad un monitor che gli comunica che – come altri prima di lui (in Walter e Giorgina, ad esempio, vivono i nonni di Rose) – sarà sottoposto ad un intervento chirurgico e gli verrà impiantata una zona del cervello di Jim, che potrà così fruire della sua vista e della sua prestanza fisica. Mentre Dean apre il cranio di Jim, lui riesce a sopraffare Jeremy che è andato a prenderlo e….




King Arthur – Il potere della spada (King Arthur: Legend of the Sword)

di Guy Ritchie. Con Charlie HunnamJude LawKatie McGrathAnnabelle WallisEric Bana USA 2017

Alla fine del V secolo, la fortezza di re Uther (Bana) è assediata dalle truppe del potente mago Mordred (Rob Knighton) ma lui, grazie alla sua potente spada Escalibur riesce a sconfiggerlo. La notte, però, viene avvertito del tradimento del fratello Vortigen (Law) che gli sta per usurpare il trono e scappa con la moglie Igraine (Poppy Delevingne) e il figlioletto Artù (Zac Barker). Mentre sta per salire su di una barca, viene assalito da un mostro – è lo stesso Vortigen che, in cambio del sacrificio della figlia Elsa (McGrath) ha ricevuto poteri magici dalle sirene (Lorraine Bruce, Eline Powell, Hermione Corfield) – che uccide Igraine. Lui, prima di soccombere, fa imbarcare il piccolo e lancia Excalibur e quando questa, ricadendo, gli si infilza addosso, si trasforma in una roccia e cade nell’acqua. La barchetta arriva a Londra e il bambino viene raccolto da alcune prostitute che lo crescono nel loro bordello. Da ragazzo (Hugh Robb) impara la dura legge della strada e, cresciuto (Hunnam), si addestra nell’arte della lotta dal maestro George (Tom Wu); diventando, in breve, un boss del suo quartiere così sfrontato da affrontare – insieme ai suoi amici Stecchino (Kinhsley Ben- Adir) e Mangiagalli (Nel Maskell) –  Kjartan (Mikael Persbrandt), il capo dei vichinghi di stanza a Londra, perché aveva picchiato la prostituta Lucy (Nicola Wren), una delle sue madri adottive. Nei suoi affari è in combutta col graduato delle Guardie Grigie (gli sgherri di re Vortigen), Jack l’Occhio (Michael McElhatton), che una volta aiuta a catturare il ribelle Bill “Grasso d’oca” (Aidan Gillen), così chiamato per la sua capacità ad evadere. Jack, però, lo tradisce non appena lui e i suoi sono ricercati per l’aggressione ai vichinghi (con i quali il re aveva stretto un’alleanza: la loro protezione in cambio dell’invio di 5.000 ragazzi); mentre fugge le guardie, non riconoscendolo, lo portano al luogo nel quale era affiorata la roccia con la spada: una profezia indica come legittimo re colui che fosse riuscito ad estrarla e Vortigen pretende che tutti i giovani del regno vi si cimentino per uccidere chi vi riuscisse. Artù, sotto lo sguardo di Trigger lo Sfregiato (David Beckham) e dei sui sbirri, estrae Excalibur ma quando le guardie gli si fanno contro, la spada agisce, quasi da sola; sopraffatto viene portato dal re che tiene prigioniere le donne del bordello e, dopo aver assassinato Lucy, si fa consegnare la spada e lo costringe a consegnarsi al boia, sotto la minaccia di uccidere tutte le altre ragazze. Al momento dell’esecuzione, però, la Maga (Astrid-Berges Frisbey) manda un aquila contro il carnefice e, nella confusione, alcuni uomini lo portano in salvo. Viene portato in una grotta dove l’ex-ufficiale fedele a Uther, Bedivere (Djimon Hounsou), Percival (Craig McGinlay), Rubio (Freddie Fox) e Bill con pochi fedeli aspettano l’arrivo del legittimo erede per detronizzare l’usurpatore. Artù accetta, poco convinto, di unirsi a loro e di addestrarsi al nuovo compito ma, quando la Maga lo spedisce nell’ Isola Nera che per l’ultima tremenda prova, dopo avervi sconfitto i mostri, annichilito, getta la spada in acqua per poi riaverla dalla Signora del Lago (Jacqui Ainsley): ora è pronto! Dalla cameriera personale di Vortigen, Maggie (Wallis), loro informatrice, i rivoltosi apprendono che questi sarà al porto di lì a poco ma il re aveva capito che la donna lo tradiva e tende loro una trappola. Artù e i suoi (a loro si sono uniti anche George, Mangiagalli e Stecchino) si rifugiano in una casa ma Mangiagalli, ferito, viene catturato e il re in persona lo interroga, minacciando di uccidergli il figlioletto Blue (Blue Landau) se non parlerà. Artù salva il ragazzino e con i suoi combatte strenuamente, riuscendo a sconfiggere le Guardie Grigie quando riesce a dominare e a guidare la potente Excalibur. Vortigen, dopo aver offerto alle sirene la sua ultima figlia (Cordelia Bugeja) per essere ancora più potente affronta Artù, che, ormai padrone dell’arte della spada sacra, lo uccide. Re Artù nomina cavalieri i suoi amici e costruisce la Tavola Rotonda.

Nel 1949 la Mondadori comincia a pubblicare nella collana Albo d’Oro Pecos Bill, scritto da Guido Martina e disegnato da Raffaele Paparella, un fumetto di grande successo che racconta le avventure dell’eroe dell’epopea west (che con il lazo deviava i fiumi e imprigionava i tifoni), con grande libertà anacronistica: lo accompagnavano Calamity Jane (non più fuorilegge ma pistolera innamorata) e Davy Crockett (l’eroe di Alamo, per l’occasione fanfarone e ubriacone). Questa citazione mi è venuta in mente perché è questo lo spirito del King Arthur di Ritchie (non nuovo, certo, a rivisitazioni ardite: sono suoi i due Sherlock Holmes, in cui il detective di Robert Downey jr. diventa un acrobatico action hero): la leggenda di re Artù è un pretesto per mischiare allegramente Amleto (il re ucciso dal fratello),Macbeth (le sirene come le tre streghe),Thor (Escalibur come il martello Mjollnir), il film di arti marziali (la scuola dell’orientale George) e i teppistelli (Artù giovane e i suoi amici) dei suoi primi film ( Lock e Stock – Pazzi scatenati e Snatch- Lo strappo), con mostri, serpentoni, elefanti in un grande circo high tech. Anche quando si richiama alla leggenda, Ritchie non resiste alla tentazione di strafare: nella scelta tra le due versioni della conquista della spada da parte di Artù: estraendola dalla roccia o avendola dalla Sirena del Lago, lui, per buon peso, le sceglie entrambe. Questi non sono necessariamente difetti ma il film, di fatto, non decolla, un po’ anche per colpa di un cast buono ma – a partire dall’imbronciato Artù/Hunnam – non coinvolgente, salvando il villain che Jude Law porta a casa con grande mestiere. Come altre volte, mi fa invece piacere – lo ripeto: è un’eccellenza italiana che non dobbiamo trascurare – segnalare l’ottimo lavoro di adattamento e di doppiaggio svolto da Carlo Cosolo e da suoi collaboratori. Gli incassi qui e in patria sembrano dar ragione alle perplessità e appare improbabile che il disegno della produzione di fare di King Arthur il capofila di una saga abbia un seguito.

 




Guardiani della Galassia Vol. 2 (Guardians of the Galaxy 2)

di James Gunn. Con Chris PrattZoe SaldanaDave BautistaVin DieselBradley Cooper

Nel 1980 un giovane alieno, Ego (Kurt Russell), fa l’amore con Meredith Quill (Laura Haddock) nei boschi del Missouri e lui pianta un seme nel terreno; da questo incontro è nato Peter Quill/Star Lord (Pratt). Trentaquattro anni dopo troviamo lui, Gamora (Saldana), Drax (Bautista) e il procione Rocket (Cooper/Christian Iansante, voce) che, assoldati dai Sovereign per proteggere delle preziose batterie, combattono con un mostro, mentre l’alberello Baby Groot (Diesel/Massimo Corvo, voce) partecipa giocosamente alla lotta ballando e affrontando insetti spaziali. Per ricompensa la regina Ayesha  (Elisabeth Debicki) consegna loro Nebula (Karen Gillan), la crudele sorella di Gamora. Quando sono a bordo della loro astronave, la Milano, i Guardiani sono attaccati dai Sovereign, perché l’incorreggibile Rocket ha rubato alcune batterie. La Milano precipita sul pianeta Berhart, dove un astronauta distrugge la flotta dei Sovereign. Si tratta di Ego, che rivela a Peter di essere suo il padre e lo invita sul suo pianeta; lui va con Gamora e Drax, mentre Rocket rimane con Groot per riparare la Milano e a sorvegliare Nebula. Intanto Yondu (Michael Rooker)  tenta di  rientrare nella consorteria corsara dei Ravager, dalla quale era stato radiato per aver trafficato bambini (tra i quali Peter, che aveva rapito su incarico di Ego, per poi tenerselo e crescerlo come un fuorilegge) ma viene scacciato dal capo Stakar Ogord (Sylvester Stallone). Subito dopo viene incaricato da Ayesha di catturare i Guardiani. Yondu e la sua banda catturano Rocket e Baby Groot ma i suoi uomini capiscono che lui non vuole consegnare Peter ad Ayesha e, guidati da Taserface (Chris Sullivan), si ammutinano e Nebula si aggrega a loro. Peter, Gamora e Drax sul nuovo pianeta conoscono Mantis (Pom Klementieff) un’aliena con poteri empatici, che è al servizio di Ego; questi rivela al figlio di essere un Celestiale: lui stesso è in realtà il pianeta e la sua forma umana è solo un avatar che gli consente di spostarsi nel cosmo e anche Peter, esercitandosi e abbandonando i suoi sentimenti umani, può usare il potere del pianeta. Tra Drax e Mantis nasce una sorta di sentimento e lei lascia capire che loro sono in un qualche pericolo. I Ravager imprigionano Rocket e Yondu, fanno di Groot il loro zimbello e indirizzano l’Elector la loro astronave, verso il pianeta di Ego, per catturare i Guardiani, mentre Nebula si propone di uccidere Gamora, per vendicarsi delle torture da lei subite dal loro padre Thanos (Josh Brolin), quando da piccole combattevano e lei soccombeva. Groot, con l’aiuto di Kraglin (Sean Gunn), rimasto fedele a Yondu, libera i due prigionieri. Insieme distruggono l’astronave, uccidendo tutti i Ravager ribelli e partono su di una capsula spaziale per il pianeta di Ego. Qui Nebula, giunta con un’altra capsula, affronta Gamora. Durante il combattimento le due sorelle cadono in una grotta con migliaia di scheletri e, capendo di trovarsi in un grave pericolo, decidono di allearsi. Ego, intanto, spiega a Peter di aver piantato dei semi su tutti i pianeti in cui era stato per poterli trasformare in proprie estensioni e, avendo bisogno di un altro Celestiale per compiere l’operazione, di aver ingravidato centinaia di donne, incaricando Yondu di portargli i bambini, nella speranza che almeno uno di loro avesse il gene celestiale. Solo Peter, però, sembra possederlo (degli altri si era brutalmente disfatto, così come aveva causato il cancro alle donne ingravidate, compresa la madre di Peter) e Ego lo ipnotizza e lo usa per attivare i semi, che cominciano a crescere e distruggere tutto quanto intorno a loro ma la rivelazione dell’uccisione della madre lo fa ridestare e fuggire lontano. Intanto Mantis ha informato Gamora, Drax e Nebula dei piani di Ego e del fatto che questi possa essere ucciso solo distruggendo il nucleo centrale del pianeta. Tutti loro, insieme a Rocket, Groot, Yondu e Kraglin atterrati sul pianeta, corrono in soccorso di Peter. La loro missione viene interrotta dall’arrivo della flotta dei Sovereign, avvisati da Taserface in punto di morte. Rocket crea una bomba usando le batterie rubate e incarica Baby Groot (abbastanza piccolo da entrare negli anfratti interni del pianeta) di farla esplodere, mentre Peter combatte con Ego e il resto dei Guardiani fugge dal pianeta. La bomba esplode, Ego muore e le navi Sovereign vengono distrutte. Yondu, che, a suo modo, ha amato Peter come un figlio e vuole riscattarsi, si sacrifica per salvarlo.  Nebula, riconciliata definitivamente con Gamora, parte con l’intento di uccidere Thanos. I Guardiani, ai quali si è unita Mantis, spargono le ceneri di Yondu nello spazio e vedono i guerrieri di Stakar, rendergli omaggio con un funerale solenne Ravenger.

Riecco i freaks dello spazio, nella stessa formazione e con lo stesso regista, in un sequel che sta raggiungendo gli stessi incassi stellari (è il caso di dirlo!) del precedente. Il meccanismo è tipicamente Marvel: eroi con problemi che vivono avventure al limite dei loro poteri, inframmezzate da storie melò. Il format del fumetto originale – tanti supereroi che si alternano nel formare la squadra dei Guardiani – aiuta a sviluppare il leit-motiv emotivo della serie: i cattivi di uno o più episodi, a un certo punto rivelano risvolti  inattesi e combattono con i buoni. In questo Guardiani della Galassia 2, a differenza del prequel allegramente fracassone, il rischio era di un eccesso di storia da romanzo d’appendice ma – oltre ai già sperimentati eroi/fool: il procione e il wrestler Bautista come Drax, – l’invenzione dell’alberello Groot (nei fumetti non c’era) consente di immettere nel racconto elementi da cartone animato che danno un tocco di ulteriore allegria e tenerezza.




Famiglia all’improvviso – Istruzioni non incluse (Demain tout commence)

di Hugo Gélin. Con Omar SyClémence PoésyAntoine BertrandGloria ColstonAshley Walters

A Saint-Tropez Samuel (Sy) fa lo skipper del cabinato di proprietà dello stabilimento balneare di Samantha (Clementine Celarié) e, soprattutto, approfitta del suo fascino presso di lei per portarsi nel motoscafo belle villeggianti e organizzare feste fino all’alba nello stabilimento. Una mattina, mentre è a letto con due ragazze (Alice David e Mona Walravens), viene svegliato da Kristin (Poésy), un’inglese che un anno prima ha passato una notte con lui e ora ha con se Gloria (Lya Bambara e Selena Diene: sul set i bimbi piccoli debbono essere sempre impersonati da due bebè), il frutto del loro incontro; lei si fa prestare 20 euro per pagare il taxi e, lasciando sul molo la bambina, va via con quello. Le due ragazze aiutano Samuel a cambiare la piccola e a darle il biberon e lui si precipita all’aeroporto per ridarla alla madre ma arriva troppo tardi e così decide di andare a Londra. In metropolitana si imbatte in Bernie (Bertrand), un produttore cinematografico gay che parla francese e gli dà le informazioni che gli servono; salendo con lui sulla scala mobile, Samuel dimentica bambina e bagagli e, quando se ne accorge, fa un volo acrobatico per riprendere la piccola e Bernie – un po’ invaghito di lui e ammirato dalla sua agilità – gli offre lavoro come stuntman; lui rifiuta: appena trovata Kristin, tornerà alla sua vecchia, piacevole vita. La ragazza però sembra dispersa nel nulla e lui, che nella metro ha perso soldi e documenti, va bussare alla porta del produttore. Per qualche tempo vive da lui, lavora come stuntman, guadagna bene e cresce con amore sempre crescente Gloria (Colston), ora decenne. Ora padre e figlia hanno una casa loro che lui ha attrezzato come un parco giochi con enormi peluches, toboga, palloncini e una parete di Lego. La preside (Anna Cottis) della scuola ogni tanto lo manda a chiamare per lagnarsi delle continue assenze di Gloria e lui la rabbonisce con pettegolezzi e gadget delle serie televisiva per la quale lavora; in realtà la ragazzina non sopporta la tristissima e noiosissima maestra (Raquel Cassidy) e lui, appena può, la porta a divertirsi. Inoltre, per consolarla dell’assenza della mamma, invia mail da un falso indirizzo di Kristin che racconta delle sue mirabolanti avventure in giro per il mondo quale agente segreto. Un giorno padre e figlia vanno a fare una visita di controllo e il medico (Jay Benedict), presolo da parte, gli dà un triste annuncio; lui ha un crollo ma si riprende subito e porta Gloria al Luna Park. Una sera in cui la bambina si mette a piangere perché vuole la mamma, lui fa un ennesimo tentativo di contattarla e, miracolosamente, ci riesce. Un paio di giorni dopo avviene l’incontro e, nonostante la confusione per tutte le bugie raccontate da Samuel su di lei, tutto va bene: Gloria è felice e lui, pur sempre arrabbiato con la donna, immagina, però, di poter dare alla figlia una vera famiglia ma lei ha un compagno, Lowell (Walters), con il quale vive a New York; nasce un litigio e Gloria che li sente viene a sapere di tutte le bugie che Samuel la ha raccontato; risentita, chiede di andare a vivere con la mamma ma dopo pochi giorni è ben felice che lui la vada a riprendere. Kristin, a questo punto, promuove un’azione legale per ottenere l’affidamento della figlia ma – alla fine di un procedimento che dimostra tutta la dedizione di Samuel – il giudice (Howard Crossley) respinge l’istanza. Tutto sembra tornato come prima ma Kristin chiede la prova di paternità e dal DNA viene fuori che lui non è il padre biologico di Gloria. Quando lei la va a prendere accompagnata da un poliziotto (Richard Kelly) la bambina, arrivata al taxi che le porterà all’aeroporto, con una scusa torna indietro e scappa con Samuel; Kristin e l’agente li inseguono ma Bernie le rivela la triste verità: la bambina soffre di una grave malformazione cardiaca e…

Da Il monello di Chaplin, alle due versioni di Little Miss marker …E io mi gioco la bambina e di Tre scapoli e un bebè la storia di un padre improbabile che si trasforma in ottimo genitore per amore di un bambino arrivatogli per caso è un ottimo pretesto per far sorridere e commuovere le platee; 4 anni fa il messicano Eugenio Derbez ha riempito le sale del suo paese con Instructions not included che ai buffi e commoventi sforzi di un Peter Pan improvvisatosi padre univa la straziante vicenda della bambina malata, un po’ come in Balocchi e Profumi, cavallo di battaglia di tutti i fini dicitori degli anni ’30. La Mars Film, produttrice del grande successo melò La famiglia Belier (che era,però, anche un piccolo capolavoro), cercando un successo analogo, ha acquisito i diritti di remake del film e ne ha affidato la realizzazione a Gelin, già fortunato esordiente con il lacrimoso Comme des freres e ha ingaggiato, per impersonare  Samuel, Omar Sy, esploso in un ruolo molto simile in Quasi amici; una pura operazione commerciale che in Francia ha dato i suoi frutti e che anche da noi è partita bene e che, comunque,  senza essere memorabile è un’ulteriore prova di come il cinema francese sia assai diverso di quello italiano (ben raccontato da un recente numero di Report): basta vedere la qualità del cast con tutti perfettamente in ruolo e l’accuratezza delle riprese, per respirare un’altra aria.




L’altro volto della speranza (Toivon tuolla puolen)

di Aki Kaurismäki. Con Sherwan HajiSakari KuosmanenIlkka KoivulaJanne HyytiäinenNuppu Koivu  Finlandia 2017

In una nave attraccata ad Helsinki, da un mucchio di carbone affiora Khaled (Haji), un siriano fuggito da Aleppo con la sorella Miriam (Niroz Haji); i due si sono persi di vista in Ungheria e lui, nel cercarla e sfuggire alla polizia si è trovato per caso in quel cargo norvegese. Nel frattempo il rappresentante di camicie Wikstrom (Kuosmanen) se ne va di casa lasciando, senza una parola, le chiavi e l’anello nuziale alla moglie (Kaija Pakarinen) alcolizzata. Khaled si da una ripulita e va alla polizia per chiedere asilo; in attesa di accertamenti viene accolto in un centro di accoglienza, dove conosce l’iracheno Mazdak (Simon Hussein Al-Bazoon), in attesa di un visto da più di un anno. Wikstrom va a giocare a poker in una bisca e vince una bella somma, che il proprietario (Ville Virtanen) gli lascia portar via a patto che non torni più. Decide di vendere tutto il proprio campionario e va da un agente immobiliare (Puntti Valtonen) per comprare un ristorante; questi lo accompagna alla Pinta Dorata, un triste locale il cui proprietario (Taneli Makela) accetta senza discutere la somma offerta da Wikstrom per poi scappare con un taxi; sono mesi che non paga i tre dipendenti: il maitre-tuttofare Calamnius ( Koivula), la cameriera Mirja (Koivu) e il cuoco – non proprio a 4 stelle (il suo piatto del giorno è una scatola di sardine servita con patate bollite) – Nyrhinen (Hyytiainen). Khaled, alla fine di giorni di estenuanti interrogatori, vede, incomprensibilmente, respinta la sua richiesta di essere riconosciuto come rifugiato e, dopo aver raccomandato a Mazdak di cercare notizie su sua sorella, riesce – con l’aiuto di un’inserviente (Kati Outinen) – a fuggire. Vaga per Helsinki, ascolta incantato un vecchio rocker (Antti Virmavirta), sfugge all’aggressione di una fronda di razzisti e finisce alla Pinta Dorata. Qui tutti si danno un gran daffare per far arrivare clienti e Calamnius, pieno di idee e di cugini intraprendenti, suggerisce di trasformare il locale in un ristorante sushi ma le riserve di pesce si riservano insufficienti e Nyhrinen tenta di rimediare mettendo nel riso aringhe salate ricoperte da un mare di piccantissimo wasabi. Mentre la clientela giapponese se ne va nauseata, arriva Khaled, accolto generosamente: Wikstrom lo assume e lo fa dormire nel suo garage, gli altri gli insegnano i rudimenti del lavoro e Calamnius gli fa confezionare da un cugino Hacker (Elias Westerberg) dei documenti falsi. Il ristorante si arricchisce di un’orchestrina e tutti si alternano nel far ballare i clienti (che sembrano gradire la novità) ma Khaled deve corre via: Mazdak ha avuto notizie della sorella: è ancora in Ungheria, è viva e sta bene. Wikstrom chiede ad un camionista (Tommi Korpela) di andarla a prender, lui la nasconde nel suo camion e, al momento del pagamento, rifiuta i soldi: ha già avuto il suo guadagno nel viaggio di andata. Wikstrom, tornado a casa, si imbatte in un chioschetto di bibite: lo ha preso la moglie che si è disintossicata dall’alcool. Lui le offre di tornare insieme e lei,felice, accetta. Khaled porta la sorella a cena e le offre di accompagnarla la mattina dopo all’ufficio immigrazione ma, mentre ritorna al garage, viene accoltellato dal capo dei razzisti (Panu Vauhkonen); si tampona come può la ferita e l’indomani mattina raggiunge Miriam sulla porta dell’ufficio e le dà le istruzioni del caso. Lo rivediamo poco dopo, in riva ad un laghetto, ferito e dolorante ma pieno di speranza per il loro futuro.

Kaurismaki, dopo Miracolo a Le Havre, torna sui temi dell’immigrazione e della solidarietà ma, stavolta, l’ambientazione finlandese gli fa ritrovare appieno il suo personalissimo stile (non che il precedente non fosse personale ma talora sembrava inoltrarsi nell’estraneo Porte delle nebbie di Carné). L’altro volto della speranza è Kaurismaki allo stato puro: drammatico, ironico, politico, cadenzato da tristi e profondi motivi rock e country suonati da vecchi, malandati ed ispirati musicisti. E’ come se la cupezza de La fiammiferaia o di Nuvole in viaggio si incontrasse con l’allegra cialtronaggine dei Leningrad Cowboys; questo rende il verdetto di Berlino – l’assegnazione del Premio alla Miglior Regia, anziché l’Orso d’Oro – che lui ha vistosamente contestato assolutamente – condivisibile: forse non è un film perfetto ma la regia è sublime. Vale di pena di spendere qualche parola sulla versione italiana (pertanto, nei titoli di testa si dichiara il pieno soddisfacimento delle richieste dell’esigentissimo Kaurismaki): abbiamo già avuto modo di apprezzare il lavoro di coordinamento di Marzia Bistolfi – responsabile del doppiaggio della Cinema di Valerio De Paolis – e ora non possiamo che confermare: siamo ai livelli della grande tradizione italiana che si era meritata – unica nazione al mondo – la definizione di “doppiaggio artistico”.