1

It

It è uno dei titoli di maggior successo di Stephen King, sia commerciale che di critica. Certamente è uno dei più personali tra i suoi successi, ambientato (come altri romanzi dell’autore), nella immaginaria cittadina di Derry, assai prossima a Portland, sua città natale, negli anni ’50 della sua adolescenza (il film sposta, però, gli avvenimenti negli ’80, più vicini all’immaginario del pubblico di oggi). La New Line -Warner, nel decidere di produrre un remake cinematografico della miniserie del 1990, ne aveva inizialmente offerto la regia a Cary Joji Fukunaga che aveva predisposto di accentuare gli elementi splatter della storia, in disaccordo con la produzione. Il progetto è cosi passato a Muschietti che già con l’ottimo La madre aveva dimostrato di saper raccontare una storia terrorizzante, senza ricorrere a sanguinolenti effettacci (anche l’iniziale morte di Georgie, molto più raccontata in dettaglio di quanto non facesse la miniserie, ha – come accadeva con l’uccisione della bambina all’inizio di Distretto 13 – Le brigate della morte di Carpenter – il compito di immetterci nell’incubo, non di colpirci allo stomaco). Il coté del film è, infatti, più quello di Stand by me, splendido, malinconico film che Rob Reiner aveva tratto dal racconto autobiografico di King Il corpo, che dei thriller più duri. La vera qualità narrativa di Muschietti è, infatti, quella di farci vedere tutto attraverso gli occhi di adolescenti, immersi nel mondo spaventoso e misterioso di adulti crudelmente incomprensivi e violenti (fisicamente o psicologicamente). Il film è il campione di incassi in USA nella storia dell’horror e, anche da noi, è partito con grandi numeri e forse la ragione è proprio nel fatto che sa raccontarci le nostre paure e ce le esorcizza, come per qualunque essere fragile, proponendoci il modello di un insieme di debolezze che forma una forza invincibile, cioè l’uscita dal sé per entrare nel mondo dei sentimenti e delle relazioni (che altro sono le favole se non questo?).

di Andy Muschietti. Con Bill SkarsgårdOwen TeagueJaeden LieberherFinn WolfhardWyatt Oleff   USA 2017

Nel 1988 a Derry, cittadina del Maine, il piccolo Georgie Denbrough (Jackson Robert Scott) esce sotto la pioggia e fa navigare lungo un rigagnolo la barchetta di carta, regalatagli dal fratello Bill (Lieberher); quando questa finisce in uno scarico fognario, dal quale appare un pagliaccio (Skarsgard) che si presenta come “Pennywise il clown ballerino” e gli offre un palloncino ma, quando Georgie cerca di recuperare la sua barchetta, prima gli strappa via il braccio con un morso, poi lo divora. Qualche mese dopo, ultimo giorno di scuola, Bill e i suoi amici – il logorroico Richie Tozier (Wolfhar), l’ipocondriaco Eddie Kaspbrak (Jack Dylan Grazer) e l’ebreo Stanley Uris (Oleff) – vengono maltrattati, come sempre, dal bullo Henry Bowers (Nicholas Hamilton) e i suoi accoliti, Patrick (Owen Tegue), Belch (Jake Sim) e Victor (Logan Thompson). Nei bagni della scuola, intanto, Beverly Marsh (Sophia Lillis) dopo essere stata umiliata dalle compagne – guidate dalla gelosa Gretta (Megan Charpentier) – che la accusano di essere una sgualdrina, si scontra, urtandolo, con Ben Hanscom (Jeremy Ray Taylor), il nuovo arrivato sovrappeso e segretamente innamorato di lei. Di lì a poco il ragazzo nero Mike Hanlon (Chosen Jacobs) – un orfano che vive con il nonno (Steven Wiiliams) allevatore di ovini che gli rimprovera di non avere il coraggio di uccidere le pecore – mentre sta consegnando della carne, vede arrivare Henry e i suoi (che sono soliti aggredirlo con frasi razziste) e, nascondendosi, viene minacciato da Pennywise. Bill non si dà pace per la scomparsa del fratellino ed è convinto – inconsapevolmente esacerbando il dolore dei genitori (Geoffrey Pounsett e Pip Dwyer) – che sia ancora rintracciabile e che potrebbe essere finito in un terreno collegato alle fogne chiamato i Barrens. Ben, mentre è in biblioteca a leggere un libro sulla storia di Derry che descrive le tragedie e le sparizioni inspiegabili che, nei secoli, l’hanno tormentata, viene attirato da un palloncino e, seguendolo nel seminterrato, incontra Pennywise, che si è materializzato in un ragazzo senza testa (Carter Musselman). Scappato dalla biblioteca in preda al terrore, Ben finisce nelle mani dei bulli ed Henry gli incide con il coltello una H sulla pancia, lui riesce a fuggire nei Barrens dove trova Bill, Richie, Eddie e Stanley che, cercando Geoorgie, hanno trovato la scarpa di una ragazza scomparsa; intanto Patrick, che lo cerca in una discarica vicina, viene ucciso da Pennywise. Ben, viene medicato dai ragazzi, aiutati da Beverly che, facendo gli occhi dolci al farmacista (Joe Bostick), consente loro di prendere i medicamenti di cui Ben ha bisogno. Più tardi, mentre sta tornando a casa, Eddie passa davanti alla casa abbandonata di Neibolt Street e viene attaccato da Pennywise sotto forma di un lebbroso (Javier Botet). Stanley, invece, dopo essere stato rimproverato dal padre rabbino (Ari Cohen) per non aver studiato abbastanza la torah, vede materializzarsi la donna modiglianesca (Tatum Lee) soggetto di un quadro che lo ha sempre spaventato, mentre Beverly, che si era rifugiata in bagno per fuggire alle attenzioni lubriche del violento padre (Stephen Bogaert), sente le voci di molti bambini scomparsi provenire dal lavandino, dal quale sgorga una quantità di sangue. Bill, a sua volta, viene attirato nella cantina di casa dall’apparizione di Georgie e, qui, attaccato da Pennywise. L’indomani, tornati nei Barrens, Bill, Beverly, Ben, Richie, Stan ed Eddie salvano Mike dalla banda di Henry, affrontandoli con una sassaiola. E’ ora completo il “Club dei Perdenti”(come hanno deciso di chiamarsi) e i ragazzi capiscono di essere stato attaccati – ciascuno nel proprio punto debole (quello di Richie è direttamente la paura dei clown) – da It, l’entità che, con l’aspetto di Pennywase, si risveglia per alcuni mesi ogni 27 anni per nutrirsi dei bambini di Derry prima di riscomparire e che si serve delle fogne per spostarsi senza essere visto. Mentre nel garage di Bill esaminano le mappe della rete fognaria, i Perdenti vengono aggrediti dal clown ma riescono a scacciarlo e decidono di andare a stanarlo nella casa in Neibolt Street; qui It riesce a separarli e, dopo aver fatto cadere Eddie, che si rompe un braccio, si prepara a mangiarlo ma gli amici arrivano in tempo a salvarlo. L’apprensiva madre (Molly Atkinson) di Eddie – che, per ansia di protezione, lo ha reso ipocondriaco – giunge sul posto e porta via il figlio mentre Richie, Stan, Ben e Mike cedono alla paura e lasciano Bill e Beverly soli. Qualche tempo dopo Beverly, per difendersi dall’ennesima violenza del padre, lo uccide e, subito dopo, arriva Pennywise che la rapisce. Henry, intanto, svergognato di fronte agli amici dal padre (Stuart Huges) poliziotto, soggiogato da It lo uccide e parte alla caccia dei Perdenti. Bill, che è stato a casa di Beverly e ha capito cosa è successo, va a chiamare gli altri e con loro giunge nella casa di Neibolt per salvare la ragazza e con loro si cala nel pozzo che è al centro della costruzione; arriva Henry, che si scaglia contro Mike che era l’ultimo a scendere ma, nella lotta, è lui a soccombere, cadendo dal pozzo e sfracellandosi al suolo. Il gruppo giunge alla tana di Pennywise e, dopo un primo scontro con lui,trovano Beverly in stato catatonico sospesa nel vuoto con accanto i corpi degli altri bambini scomparsi; i ragazzi riescono a tirarla a terra e a rianimarla. It compare sotto forma di Georgie ma Bill non ci casca e lo ferisce con la sparachiodi di Mike; dal corpo del bambino riappare Pennywise che prende in ostaggio Bill, offrendo agli altri Perdenti salva la vita se gli lasceranno l’amico; loro non accettano e liberano Bill e sconfiggono Pennywise, che non avendo più il potere di spaventarli, comincia a disintegrarsi. Un mese dopo i ragazzi fanno un giuramento di sangue: se fra 27 anni It sarà tornato, anche loro torneranno a Derry per distruggerlo una volta per tutte.

 




L’uomo di neve (The Snowman)

di Tomas Alfredson. Con Michael FassbenderRebecca FergusonCharlotte GainsbourgChloë SevignyVal Kilmer   Gran Bretagna 2017

Jo Nesbo è – insieme a Stieg Larsson, Anne Holt, Camilla Lackeberg e Henning Mankell – uno degli esponenti di punta della scuola del giallo scandinavo e a Harry Hole ha dedicato sino ad ora 11 romanzi; L’uomo di neve è il settimo e alcuni dei personaggi (in particolare, l’assassino, che non riveliamo, erano già presenti nel precedente La ragazza senza volto. Lo svedese Tomas Alfredson si era rivelato autore capace di proporre una cupa profondità nell’interessantissima vampire-story Lasciami entrare, confermata dal successivo La talpa (da Le Carrè). L’uomo di neve, invece, è una delusione: un cast di grandi nomi e un romanzo di successo servono solo a mettere insieme un giallo poco più che televisivo. Forse è anche colpa dei sopravvalutati gialli nordici: tanta tristezza, tanta cupa violenza e, soprattutto, tanta neve ma un compiacimento narrativo (vale un po’ per tutti), senza il nerbo di un andamento narrativo potente in sé (come se gli eccessi di cui si nutre spesso quella letteratura poliziesca coprissero, per accumulazione, una carenza di ritmo). Nel ridurre al formato cinematografico il film, poi, gli sceneggiatori, Hossein Amini, Peter Straughan e Soren Sveistrup, hanno lasciato buchi e semplificazioni narrative evidenti (Nesbo ne ha preso le distanze). Fa freddo, insomma, ci sono tanti morti ma pochissime emozioni.

Ad Oslo l’ispettore Harry Hole (Fassbender), alcolista e depresso ma grande investigatore, specializzato nella caccia di serial killer, viene affiancato dalla giovane Katrine Bratt (Ferguson) e, mentre indagano sulla scomparsa di Edda (Jaime Clayton), giovane mamma di una bambina, Josephine (Jetè Laurence), in crisi con il marito Filip (James D’Arcy). Harry vede che Rebecca ha con sé i file di casi simili – che non sarebbe autorizzata a tenere – in particolare, la morte a Bergen di una donna (Sofia Henlin), il cui cadavere era stato trovato scomposto e vicino ad un pupazzo di neve (in tutto simile a quello che era stato messo da qualcuno di fronte alla casa di Edda). Harry vive solo perché è finita da un pezzo la sua relazione con Rakel (Gainsbourg), che ora vive con Matias Lund-Elgesen (Jonas Karlsson) – medico molto affermato – ma il cui figlio Oleg (Michael Yates) ancora gli è legato profondamente. Quando anche Edda viene trovata morta, le indagini conducono al dottor Vetlesen (David Dencik), che lavora in una clinica che pratica aborti (e le due donne si erano rivolte a lui prima di scomparire) e che è in relazione con l’ambiguo uomo d’affari e seduttore Arve Stopp (J.K. Simmons), che è al centro dei sospetti di Katrine. Ai due detective arriva la denuncia della scomparsa di una donna in campagna, Sylvia Ottersen (Sevigny); quando però arrivano alla fattoria la trovano viva e sorpresa ma, mentre stanno tornando indietro, un telefonata ripete la denuncia. Tornano alla fattoria dove vengono accolti dalla gemella Anne (Sevigny) e Harry rinviene, in fondo a un pozzo, un pupazzo con sopra la testa di Sylvia. Anche lei era andata da Vetlesen e Katrine decide di tentare il tutto per tutto e si presenta ad una festa di Stopp, riuscendo a farsi notare e a farsi dare la chiave della sua stanza per un appuntamento galante; mentre, aspettandolo, si guarda attorno viene, però, aggredita ed uccisa dal serial killer. Harry, che era andato a Bergen, scopre che la sua partner è la figlia del detective Gert Rafto (Kilmer), che aveva indagato sul misterioso assassino ed era stato ucciso. Tornato ad Oslo e avvertito della scomparsa di Katrina, si precipita nella villa di Vetlesen ma la trova morta insieme al dottore. Distrutto torna a casa e, dopo poco, viene raggiunto da Rakel, che lo ama ancora e vorrebbe fare l’amore con lui. Una telefonato di Matias li interrompe ma…

 




Ammore e malavita

dei Manetti Bros.  Con Giampaolo MorelliSerena RossiClaudia GeriniCarlo BuccirossoRaiz Italia 2017

Non si può dire che il musical abbia in Italia una grande tradizione, se si escludono i “musicarelli”( e, prima ancora,  i vecchi film interpretati da cantanti di successo, Claudio  Villa e Luciano Tajoli tra gli altri, che erano flebili storie funzionali all’ascolto dei loro successi) e la sceneggiata (che sono però tutti film con canzoni) e, sul coté autoriale, Tano da morire di Roberta Torre e Belluscone- Una storia siciliana di Franco Maresco (in entrambi, peraltro, i brani neo-melodici hanno una funzione di contrappunto sociale). Ha avuto, certamente, punte importanti: il capolavoro Carosello napoletano di Ettore Giannini, il bel La Tosca di Luigi Magni, il colpevolmente dimenticato Per amore… per magia di Duccio Tessari e, in qualche modo, il recentissimo bel cartoon La Gatta Cenerentola ma ci volevano Antonio e Marco Manetti per dare alla nostra cinematografia un vero, grande musical. Loro, cinefili appassionati, ultimi eccezionali epigoni del nostro cinema di genere (Zora la vampira, L’arrivo di Wang, Paura), avevano già raccontato, con successo, Napoli e la sua musica (neomelodica in quel caso) in Song ‘e Napule; con Ammore e malavita compiono un passo più importante: mettono insieme un cast di cantanti e musicisti di generi diversissimi – dal re dei “cantanti di giacca” Pino Mauro, al vecchio Antonio Buonomo,  ai giovani (ciascuno innovativo a suo modo) Andrea D’Alessio, Tia Architto, Franco Ricciardi, Ivan Granatino, Ronnie Marmo e Claudia Federica Petrella, al percussionista Ciccio Merolla fino al sorprendente Raiz,  leader degli Almanegretta e musicista a tutto tondo e, qui, bravissimo attore – e, grazie alle coreografie di Luca Tommassini e alle musiche di Pivio e Aldo De Scalzi, dànno vita ad un film che rimarrà nella storia del nostro cinema. Io ho avuto difficoltà nel non alzarmi ad applaudire alla fine dell’esibizione di Pino Mauro, che canta Chiagne femmena seduto su di un trono di cornetti rossi in Piazza Plebiscito. Ovviamente, onnivori ed attenti, i bros. Non si sono fatti mancare il Rispo di Un posto al sole e Antonella Morea, la mamma della serie web Casa Surace, che come gli altri tasselli (tra cui l’ottima ressa di Buccirosso e Morelli) contribuiscono a definire un grande mosaico. Presentato a Venezia, con vari premi, era stato denominato Na Na Land (per dire: il La La Land napoletano) ma, in realtà Ammore e malavita è molto più musical del trattenuto film di Damien Chazelle). Gli incassi sono un bel segnale di controtendenza, in un periodo complicato per il cinema in Italia.

In una Napoli – nella quale la malavita è talmente centrale che l’operatore turistico Aniello (Andrea D’alessio) organizza una visita alle Vele e una delle turiste, appena scippata (Tia Architto), si mette a cantare e a ballare, felice dell’esperienza – ha luogo il funerale del boss Don Vincenzo Strozzalone (Buccirosso), “’o re d’o pesce”, ma mentre la vedova Donna Maria (Gerini), la madre Filomena (Graziella Marina), la sorella Bettina (Lucianna De Falco) e il nipote Franco Luigi (Antonio Fiorillo) lo piangono, il cadavere nella bara canta la sua sorpresa nel vedersi circondato da sconosciuti. In realtà nella bara c’è un sosia di Vincenzo, Francesco De Rosa, che il boss aveva fatto ammazzare dal suo braccio destro Gennaro (Franco Ricciardi). Qualche giorno prima Pistillo (Ivan Granatino), nipote del boss del clan rivale Nunzio (Gennaro Esposito), era andato con un gruppo di pistoleri nella pescheria per uccidere Vincenzo, ferendolo al sedere, mentre l’intervento di due killer in moto, le Tigri, Rosario (Raiz) e Ciro (Giampiero Morelli), lo aveva messo in fuga, convinto di averlo ucciso. Donna Maria, stanca come il marito degli stress di quella vita e appassionata di cinema, si ispira ad Agente 007 – Si vive solo due volte e concepisce il piano di uccidere lo scarparo Francesco e organizzare il finto funerale per potere fuggire e godersi la ricchezza accumulata, investita in alcuni preziosissimi diamanti. Con la complicità del dottor Spadafora (Marco Mario De Notaris), la notte Vincenzo si fa estrarre il proiettile in ospedale, dopo aver lasciato la guida della banda a Gennaro e la pescheria alle Tigri; l’infermiera Fatima però lo vede e lui ordina ai due killer di ammazzarla. Ciro la intercetta ma lei, a sorpresa, gli si butta tra le braccia: quando erano ragazzi (Lorena Russo e Andrea Saporito) si erano giurati eterno amore ma poi lui, arruolatosi nella malavita per vendicare l’uccisione del padre, era scomparso. Anche in Ciro si riaccende l’amore e, dopo aver sparato alle ruote della moto di Rosario per non farsi inseguire, porta in salvo Fatima, rifugiandola dallo zio Mimmo (Antonio Bonomo), un ex-contrabbandiere ora venditore di botti. Lei sta nascosta in casa di Mimmo e lui di notte affronta, via via, tutti i sicari mandati da Don Vincenzo e ne uccide parecchi, finché Rosario – interrogando la donna (Rosalia Porcaro) che ha cresciuto Fatima e, soprattutto, il cartolaio (Patrizio Rispo) del quartiere, che è arrabbiato con Mimmo per dei botti che da giorni doveva consegnare – capisce tutto. Arrivato in casa dell’ex-contrabbandiere, non trova nessuno ma una foto e delle lettere gli forniscono l’indirizzo di Mariellina (Claudia Federica Perella), la figlia di Mimmo che studia a New York; al cugino di Don Vincenzo, Frank (Ronnie Marmo) che gestisce lì una pizzeria, viene dato l’incarico di andare a casa della ragazza e di minacciare per telefono il padre che se non consegnerà Ciro e Fatima, vivi o morti, lui ucciderà Mariellina.  Fatima – che, stanca di stare chiusa in casa si era nascosta nel motoscafo – sente tutto e corre da Ciro, che è al porto per sistemare i conti con altri killer. Lei cerca di fermarlo ammanettandolo ma è costretta a fuggire con lui e ad assistere ad una sparatoria nel corso della quale lui uccide Gennaro e tutti i suoi uomini. Ora però sarà lei a prendere in mano la situazione: ruba i diamanti, fa arrestare Don Vincenzo e Donna Maria e, grazie ai trucchi teatrali di Hope (Juliet Essey Joseph), fa credere Ciro ucciso da Mimmo. Ora loro e lo zio possono partire, ricchi e liberi, ma ovunque vadano … Nun è Napule.




Baby Driver – Il genio della fuga (Baby Driver)

di  Edgar Wright. Con Ansel ElgortKevin SpaceyLily JamesEiza GonzalezJon Hamm USA 2017

Baby (Elgort) è in macchina con 3 gangster: il duro Griff (Jon Bernthal) e gli innamorati cocainomani Buddy (Hamm) e Darling (Gonzalez). I tre mascherati ed armati rapinano una banca e lui, con le cuffie eternamente alle orecchie, elude, a ritmo di Bellbottoms di Jon Spencer, con abilità prodigiosa tutte le auto della polizia che li inseguono. Nella fuga cambiano auto e Griff dimentica il fucile nella macchina che lasciano per strada. Arrivano al covo del loro capo Doc (Spacey) e si spartiscono in parti uguali i soldi ma quando scendono in garage, Doc, dopo avergli ordinato di portare allo sfascio la macchina dal cui portabagagli spunta il cadavere di Griff (che ha pagato per la sua pericolosa distrazione), si riprende la sua parte del bottino, tranne un mazzetto di banconote, comunicandogli che con il colpo successivo avrà saldato il debito – qualche anno prima, ancora ragazzetto, aveva rubato la macchina di Doc (ignorando chi fosse il proprietario e che contenesse un prezioso quantitativo di droga) e ora ripaga il danno facendo da autista nelle rapine che questi organizza. A casa Joseph (C.J. Jones) il vecchio sordomuto che lo aveva adottato quando, bambino (Hudson Meek), era stato coinvolto in un incidente nel quale i suoi genitori (Sky Ferreira e Lance Palmer) avevano perso la vita e a lui era venuto un costante fischio all’orecchio che solo la musica in cuffia riesce ad attutire. Joseph sa che lui corre dei pericoli ed è preoccupato ma Baby lo tranquillizza e va allo snack bar dove la mamma serviva ai tavoli e cantava. Qui incontra Debora (James), la nuova cameriera e se ne innamora ricambiato. Doc lo chiama per il nuovo colpo: dovrà accompagnare lo sciroccato Eddie (Flea), l’asiatico J.D. (Lanny Joon) e il rabbioso Bats (Jamie Foxx) ad una rapina ad un portavalori. Anche stavolta la sua guida li porta in salvo – lui ha anche deviato, sterzando, il colpo con cui Bats stava per uccidere un inseguitore. Doc gli conferma che ora il suo debito è saldato e lui, felice, telefona a Debora per invitarla a cena in un ristorante di classe; alla fine della cena, il cameriere (D.L. Lewis) comunica che il conto è stato saldato da Doc; preoccupato Baby lo raggiunge e il boss, minacciando ritorsioni su di lui, Debora e Joseph, lo costringe a ritornare a lavorare per lui. L’indomani vanno di fronte all’ufficio postale che Doc vuole rapinare dove, facendolo accompagnare dal nipotino Samm (Brogan Hall) per non destare sospetti, lo spedisce a valutarne le difese. Grazie anche all’aiuto di una gentile ed ignara impiegata (Allison King), Baby ha tutte le notizie che servono. Baby e i tre rapinatori – Bats, Budd e Darling – vanno dal Macellaio (Paul Williams) a ritirare le armi per il colpo ma Bats si accorge che i suoi uomini sono poliziotti e, insieme agli altri, ammazza tutti. Dopo essersi fermati a bere una Coca Cola nel locale dove lavora Debora (e qui, nonostante gli sforzi di Baby per dare a vedere di non conoscere l’esterrefatta ragazza, gli altri capiscono tutto), ritornano da Doc che arrabbiatissimo (gli uomini del Macellaio erano agenti corrotti da lui), vorrebbe far saltare tutto ma si convince a proseguire a patto che loro quattro dormano lì. Baby prova a scappare per fuggire con Debora ma Bats e Buddy lo bloccano. L’indomani mattina il colpo riesce ma al momento della fuga si frappongono vari intoppi e Bats spara ad un vigilante (Joe Loya), mentre Baby riesce a fermare la gentile impiegata che stava tornando al lavoro. Nella fuga a piedi (la macchina è sotto il tiro della polizia) Darling viene uccisa e Buddy, folle di dolore, fa una strage di polizotti. Muore anche Bats e Baby – che è riuscito a fuggire con la macchina di una anziana signora (Andrea Frye), alla quale restituisce, prima di sgommare, la borsetta – prima va a prendere Joseph e, lasciandogli tutti i soldi dei precedenti colpi, lo porta in una casa di riposo e poi va da Doc al quale chiede aiuto. Il boss, che in qualche modo gli si era affezionato, gli dà una macchina e una pistola ma, ferito e feroce, arriva Buddy che lo uccide. Baby riesce a scappare con Debora ma Buddy li segue ovunque, fino allo scontro finale. I due innamorati partono ma sulla strada un posto di blocco li ferma. Baby, per non coinvolgere Debora, ferma la macchina e si arrende. Al processo le testimonianze di Joseph, dell’impiegata delle poste e della proprietaria della macchina gli faranno avere una condanna relativamente lieve.

L’uscita di Bullitt di Peter Yates nel 1968 ha segnato una forte svolta nel poliziesco, instaurando una escalation di rocamboleschi inseguimenti in macchina, fino all’apoteosi dei Fast and Furious. In qualche modo anche il nostro poliziottesco ha avuto un percorso parallelo: nei primi anni ’70 i nostri registi di genere, quelli amati da Tarantino, hanno supplito alla mancanza di mezzi con geniali espedienti artigianali (nel suo godibile libro Il bianco spara Enzo G. Castellati ne elenca alcuni) e con degli stunt-men espertissimi e spericolati ma poi, le costosissime tecnologie americane hanno reso impossibile la realizzazione di action italiani. L’eclettico Edgar Wright (va dall’horror demenziale – L’alba dei morti dementi e il corto Don’t, finto trailer in Grindhouse di Tarantino e Rodriguez – alla commedia – Hot Fuzz– e al film per ragazzi – la trilogia Scott Pilgrim)  aveva già, realizzando il video di Blue Song dei Mint Royale, immaginato un autista-rapinatore musicomane e qui dà al suo protagonista una sorta di autismo: è bravissimo alla guida e, apparentemente, assente di fronte al mondo e gira tutte le scene in cui lui appare, in macchina o a piedi, virandole sulle canzoni che lui ascolta in cuffia. Le compilation nei suoi i-pad sono più che una colonna, sono una parte vitale del racconto: il citato Bellbottoms , Brighton rock dei Queen, Knocking on heaven’s door dei Guns n’ Roses, Let’s go away for a while dei Beach Boys e Harlem shuffle di Bob and Earl, tra gli altri, danno il tempo delle fughe in macchina, Tequila dei Bottom Down Brass, sottolinea la sparatoria dal Macellaio e i due innamorati si dedicano, rispettivamente, Debra dei Commodores , Debora dei T.Rex ,  Baby I’m yours di Barbara Lewis e Baby Driver di Simon and Garfunkel. Forse è poco più che una trovata ma l’impianto musica-azione, non certo nuovo, in questa chiave funziona benissimo e il film è una delle rare sorprese al botteghino americano di questa non eccelsa stagione.

 




Dunkirk

di Christopher Nolan. Con Fionn WhiteheadTom Glynn-CarneyJack LowdenHarry StylesAneurin Barnard USA, Gran Bretagna, Francia 2017

Dunkerque, 1940. Dopo la disfatta, il soldato inglese Tommy (Whitehead), unico superstite della sua compagnia va alla spiaggia per cercare di imbarcarsi per l’Inghilterra, qui incontra il silenzioso Gibson (Barnard) che sta spogliando un cadavere; vicino al molo si sono migliaia di militari in fila, in attesa di una nave inglese. I due mettono su di una barella un altro soldato morto e, con quel carico, attraversano il molo sotto continui attacchi aerei e riescono ad imbarcarsi nell’unica nave in partenza ma, appena depositano la barella, vengono rimandati a terra. Si rifugiano nei tralicci del molo nella speranza di riuscire a salire su di un’altra imbarcazione. La nave sulla quale avevano tentato di partire viene bombardata ed affonda e loro tirano su il soldato Alex (Styles). L’ammiraglio Bolton (Kenneth Branagh), intanto, da al colonnello Winnant (James D’Arcy), con il quale segue le operazioni dal molo, poco rassicuranti notizie sull’arrivo di navi militari: ne arriveranno pochissime, supportate da imbarcazioni civili che sono state reclutate allo scopo. I tre ragazzi salgono su di un’altra nave e vengono rifocillati con tè e coperte ma Gibson si allontana per starsene da solo sulla tolda; per i suoi due compagni è una fortuna, perché, di lì a poco, un siluro affonda la nave e lui, aprendo un oblò, li fa uscire dalla trappola. Dopo una lunga nuotata i tre ed altri commilitoni di Alex decidono di rifugiarsi in un peschereccio spiaggiato, in attesa che l’alta marea lo metta in mare. Arriva il proprietario della barca, un olandese (Jochum ten Haaf), che li avverte che i tedeschi sono lì vicino. Infatti, poco dopo, la barca è crivellata di colpi dei nemici che la usano come bersaglio. Arriva la marea ma lo scafo, pieno di buchi dei proiettili, imbarca acqua. L’olandese dice che bisogna diminuire il carico e Alex propone di gettare a mare Gibson, sospettando che non parli mai perché è una spia tedesca, Tommy lo difende e Gibson rivela di essere un soldato francese e che aveva preso la divisa al morto per fuggire dall’inferno di Dunkerque; mentre sale la tensione (Alex e gli altri lo vogliono sacrificare lo stesso, non essendo inglese) la barca affonda, Tommy ed Alex si salvano e Gibson non ce la fa.

In Inghilterra, mr. Dawson, proprietario di un piccolo yacht requisito per il salvataggio, parte per Dunkerque con il figlio Peter (Glynn-Carney) e con un amico di questi, George (Barry Keoghan), senza aspettare l’arrivo dei marinai della Royal Navy. In mare recuperano un soldato sotto shock (Cilian Murphy) su di un relitto e, questi, quando apprende che loro sono diretti a Dunkerque dà fuori da matto e nell’agitazione colpisce George che cade nella stiva e, per effetto della caduta, perde la vista. Poco più in là, Dawson e il figlio raccolgono altri superstiti di un siluramento e quando questi scendono in cabina si accorgono che il ragazzo è morto; Peter, che ha capito il dramma del soldato spaventato, alla sua domanda risponde che George sta bene.

Intanto dall’Inghilterra, si alzano in volo tre Spitfire, per contrastare l’attacco aereo tedesco ai soldati inglesi. Al primo scontro, il loro caposquadra (Luke Thompson) viene abbattuto e i piloti Farrier (Tom Hardy) e Collins (Lowden) proseguono la missione, anche se l’aereo del primo ha la spia del carburante rotta. Anche l’apparecchio di Collins viene colpito, lui riesce ad ammarare ma lo sportello non si apre e, mentre sta affondando, un colpo di remo lo spalanca: è Peter che lo trae in salvo. La loro barca è presa di mira da un aereo tedesco ma Farrier, con l’ultima riserva di carburante, lo raggiunge e lo abbatte; per poi atterrare sulla spiaggia e distruggere lo Spitfire, prima di essere preso prigioniero dai tedeschi. Ora che più di trecentomila soldati inglesi sono tratti in salvo (e tra questi Tommy ed Alex), il colonnello Winnant si imbarca a sua volta, mentre l’ammiraglio decide di rimanere a combattere con i francesi. Alex è sempre più torvo (si sente colpevole per la sconfitta) e quando, al porto di Dover, un vecchio cieco (John Nolan) si congratula con i soldati, si schermisce irritato. All’arrivo a Londra, però, i festeggiamenti dei connazionali ed un giornale che riporta il discorso di Churchill che, rigettando la proposta di resa da parte del Fuhrer, proclama – anche grazie allo spirito di patriottismo, dimostrato nel duro momento della sconfitta – la volontà del popolo inglese di combattere strenuamente sino alla vittoria finale, danno a lui e agli altri reduci la forza di guardare avanti. Peter, di lì a poco, riesce a far riconoscere George quale Eroe di Guerra.

Da ragazzi i film di guerra li classificavano in due categorie: con le donne e senza donne; i primi erano da evitare perché le scena d’azione sarebbero state rallentate da noiosi intermezzi sentimentali; i secondi – il cui prototipo era Obiettivo Burma di Raoul Walsh (peraltro grandioso e meglio noto a Roma come “Tana p’er cinese!” dall’esclamazione con cui i ragazzini accoglievano il primo piano del giapponese in agguato) – erano perfetti! Al di là delle nostre scelte adolescenziali, Dunkirk (in cui le scarsissime presenze femminili, sono sporadiche apparizioni di crocerossine) è un vero, grande, film di guerra, che rimanda con grande potenza narrativa l’eroismo del popolo inglese. L’episodio di mr. Dawson (il film è scandito da tre capitoli: Il molo – Una settimana, Il mare- Un giorno e Il cielo – Un’ora), ad esempio, richiama la parte centrale de La signora Miniver di William Wyler (altro grande affresco dello spirito nazionale inglese) con Clem Miniver che parte, con la sua barca da pesca per Dunkerque. Qui forse sta il limite, non del film in sè ma di quanto gli estimatori di Nolan si aspettano da lui: che l’autore dei meravigliosamente labirintici Memento, Inception ed Intersetellar si accontenti di una, sia pur perfetta, operazione di montaggio di storie non esattamente contemporanee per poi ricondurle ad unità per un nolaniano puro è quasi una delusione. A ben vedere però c’è un robusto filo conduttore che unisce Dunkirk, i tre titoli citati e la trilogia Batman- Il cavaliere oscuro: tutti disegnano un diverso ma altrettanto complesso labirinto, quello del costante senso di colpa e di inadeguatezza che accompagna ogni azione umana. In questo film (come d’altronde nel ciclo Batman) non ci sono buoni e cattivi (come nei più agiografici film precedenti che raccontavano lo stesso episodio: Dunkirk di Leslie Norman del 1958 e Weekend a Zuydcoote di Henri Verneuil del 1964) ma esseri umani che seguono il proprio destino, talora spaventati dalla potenza degli eventi e consapevoli della propria fragilità ma forti di un invincibile – e spesso doloroso- senso di appartenenza. Non è forse il miglior Nolan ma è certamente un gran film.

 




7 Giorni

di Rolando Colla. Con Bruno TodeschiniAlessia BarelaGianfelice ImparatoAurora QuattrocchiMarc Barbé Italia, Svizzera 2016

Lo svizzero Colla non è un regista facilissimo. Non lo sono i suoi film che talora peccano di didascalismo (Oltre il confine), talaltra (Giochi d’estate) di sovraffollamento di personaggi e situazioni e – soprattutto, sin dall’esordio con Una vita alla rovescia – di astrattezza intellettualistica. Non è sempre agevole, inoltre, lavorare con lui: rigoroso al limite del maniacale, quasi incontentabile tanto da aver messo su una sua società di produzione – la Peackok – per essere sicuro di poter girare con la massima libertà. E’ però un regista vero e la sua capacità di girare e di raccontare con la macchina da presa è innegabile. 7 giorni è, in qualche modo, una vera svolta nella sua cinematografia: il tema della difficoltà di dichiarare ed accettare i sentimenti – molto centrale nella sua narrativa – qui esplode in un racconto molto più conchiuso e raccolto degli altri suoi film. L’erotismo delle scene d’amore – a differenza della freddezza, ad esempio, di Oltre il confine – rimanda una grande, rabbiosa, essenziale poeticità; cosi come le scarne scene subacquee (con i fiori finti che si depositano nel fondo) raccontano un mondo chiuso, povero ma non disperato. Anche alcuni limiti didascalici del racconto (gli abitanti dell’isola tutti buoni e generosi, il figlio piccolo teneramente down di Giuseppina, un incongruo pugno chiuso con il quale Ivan saluta il fratello), diventano accessori retorici accettabilissimi in un contesto di gran respiro.  Certamente il risultato è dovuto alla sua determinazione autorale (ha preteso che gli attori e la troupe rimanessero nell’isola – nella quale ha girato anche gli interni – senza confort, per tutto il periodo delle riprese più quattro settimane di prove), alla sua grande attenzione nella costruzione del cast, che vede attori professionisti (come la splendida Quattrocchi) e veri isolani ma anche alla saggezza produttiva della Solaria di Emanuele Nespeca (coproduttore) e della Movimento (produttore di Mario Mazzarotto (produttore esecutivo e anche distributore per l’Italia). Un film – è banale dirlo – è sempre un’opera collettiva e una seria capacità produttiva è importante e creativa quanto la scrittura e la regia. Queste considerazioni mi suggeriscono un’associazione di idee: la nuova legge sul cinema potrebbe, se non accompagnata da importanti correttivi nella stesura dei decreti applicativi, mortificare il tessuto artigianali di chi fa il cinema con capacità professionale. Speriamo proprio che non sia così.

Ivan (Todeschini) e Chiara (Barela) sbarcano nella piccola isola siciliana di Levanzo; lui è il fratello di Richard (Barbè) e lei la migliore amica di Francesca (Linda Olsansky), due ex-tossicodipendenti che si vogliono sposare lì perché la visone di una coppia di sposi sul faro dell’isola aveva dato a Richard la forza per uscire una prima volta dalla droga. Ivan e Chiara, che si sono presi l’incarico di preparare l’occorrente per le nozze in 7 giorni, vanno nell’unico albergo, ormai in disarmo, gestito da Giuseppina (Quattrocchi) per predisporre il pranzo e le camere degli ospiti. Lui è un botanico e lei una costumista teatrale – sarà lei a preparare il vestito di Francesca – e il loro incontro è molto poco cordiale; Ivan è scortese, scorbutico e polemico con l’idea di metter in piedi la cerimonia in quella terra quasi deserta e, apparentemente, senza nulla. Oltretutto, bisognerà anche rendere agibile il faro dove la coppia vuole passare la prima notte di nozze e quando lo vanno a visitare, accompagnati dal figlio di Giuseppina, Luigi (Fabrizio Pizzuto), lo trovano in completa rovina e, di nuovo, litigano aspramente. Cominciano, comunque, a darsi da fare e, mano a mano che lavorano, a provare una forte, reciproca attrazione. Prima di fare all’amore, però, lui le detta una condizione: passati i 7 giorni non si vedranno più, perché, lui dice, il tempo uccide l’amore. Lei ci pensa un po’ e poi accetta ma un scatto di rabbia di lui verso un negozio chiuso la fa fuggire via. Dopo poco però lei, dopo un primo approccio interrotto dalla donna delle pulizie, si fa trovare nuda nel suo letto e incomincia tra i due una storia di grande partecipazione sessuale tanto che Ivan le chiede di non tener conto del loro accordo e di stare insieme più a lungo. Ora è lei a rifiutare: ha una figlia ed un compagno, Stefano (Imparato), che forse non ama più ma al quale deve molto perché la ha salvata in un periodo difficile. Questo rifiuto – e la sofferenza che gli causa – mette Ivan di fronte alla propria incapacità di vivere l’amore, come confessa in una disperata telefonata alla sua ex Gertrud (Catriona Guggenbuhl) ma comunque lui e Chiara continuano ad alternare grandi momenti di passione erotica e malumori. Il giorno delle nozze tutto è pronto – ci sono anche musicisti e coristi ad accompagnare il pranzo di nozze con canti tradizionali – e, oltre agli sposi, arrivano i genitori di Ivan e Richard (Armen Godel e Laurence Montandon), gli ex-tossici del centro di riabilitazione nel quale Richard e Francesca si sono conosciuti e Stefano, che rapidamente intuisce l’intesa tra la compagna ed Ivan. Al pranzo tutti sono felici tranne Ivan che dovrà dire addio all’amore. La sera lui si appresta a partire con la barca che porta i musicisti a Trapani e Chiara si offre di seguirlo fino alla barca (lei però gli starà dietro e lui non dovrà voltarsi). Lui sale sull’imbarcazione e….




Transformers – L’ultimo cavaliere (Transformers: The Last Knight)

I giocattoli della Hasbro ne hanno fatta di strada dal 1984: sono da subito un cartoon, nel 1992 diventano un fumetto della Marvel, dal 1990 al 2000 sono – solo per i giapponesi – un manga, dal 2002 sono protagonisti di videogames di grade successo editati dalla Dreamwave e, successivamente, dalla IDW; dai videogames Steven Spielberg e la Universal hanno tratto nel 2007 il primo film della serie diretto, come tutti i successivi dal solidissimo Michael Bay (The Rock, Armageddon, Pearl Harbor). Ora siamo al quinto capitolo e gli alieni-macchina, che hanno fatto e visto di tutto, diventano un pezzo di Storia: combattono (con qualche anacronismo: il mito di Artù è collocato in po’ dopo il 484) al fianco dei Cavalieri della Tavola Rotonda, decidono, con una sortita nel quartier generale di Hitler, delle sorti della Seconda Guerra e sono alla base del mistero di Stonehedge. Gli autori, consapevoli dell’appesantimento che questa svolta dà alla storia, hanno accentuato le parti comiche, negli altri film affidate, principalmente, ai battibecchi tra i Transfomers soldatacci (Hound in testa): le gag del manierato Cogman che ad un certo punto viene chiamato da Cade: “Jeeves” (dal nome del celebre maggiordomo creato da Wodehouse ) e, soprattutto, una serie di doppi sensi tra Cade e Vivian; questi divengono addirittura vaudeville nella scena in cui la madre  (Sara Stewart), la nonna (Maggie Steed) e le zie (Phoebe Nicholls e Rebecca Front) della ragazza equivocano, eccitatissime, le esclamazioni dei due mentre cercano indizi nella stanza del padre (“Tiralo fuori!”, “Deve essere più duro!”). Anche questo è però un segno di stanchezza della serie che non sta producendo incassi incoraggianti (anche se, come il precedente, può sperare nel ricchissimo mercato cinese). Come sempre mi fa piacere constatare l’ottima resa del non facile adattamento e del doppiaggio, curati dal mago Carlo Cosolo. Non è forse un caso che, nonostante la difficoltà stagionale, in Italia il film stia reggendo bene.

 

 

 di Michael Bay. Con Mark WahlbergAnthony HopkinsLaura HaddockJohn TurturroStanley Tucci USA 2017

E’ il 484 e re Artù (Liam Carrigan), insieme a Lancillotto (Martin McCreadie) e ai suoi uomini sta strenuamente combattendo contro un esercito molto più numeroso del suo e aspetta Merlino (Tucci) che gli ha promesso di arrivare con un’arma potentissima; il mago, intanto, ubriaco fradicio è all’ingresso di una grotta e prega qualcuno di venire ad aiutarlo; ecco che arriva, in forma di drago meccanico, un Transformer/Drago che distrugge i nemici del re. Ora siamo in tempi moderni e l’America ha dichiarato fuorilegge i Transformers (sia i buoni Autobot che i perfidi Decepticon), creando un corpo speciale, il TFR, che li combatte e li tiene prigionieri in speciali recinti; in uno di questi, gestito dal capo del TFR, il colonnello William Lennox (Josh Duhamel), penetrano, curiosi, quattro bambini (Benjamin Flores jr.,Juliuscesar Chavez, Samuel Parker e Daniel Iturriaga); i militari li scoprono e del parapiglia che ne segue approfitta Izabella (Isabela Moner), un’orfana che vive in quel campo in compagnia di alcuni Autobot, per cercare di far scappare Bumblebee (voci: Eric Aadahl/Saverio Indrio) e il piccolo Topspin, un Transformer/Vespa Piaggio; gli uomini di Lennox li bloccano ma arriva Cade Yeager (Wahlberg), l’amico e protettore degli Autobot, con Hound (voci: John Goodman/Francesco Pannofino) e Drift (voci: Ken Watanabe/Andrea Lavagnino) e li salva. Giunto al suo deposito di auto, nel quale, aiutato dal recalcitrante assistente Jimmy (Jerrod Carmichael), nasconde e cura gli Autobot, con l’aiuto di Izabela rimette in sesto Bumblebee e la ragazzina ottiene il premesso di rimanere lì con lui ma, poco dopo, l’arrivo delle truppe del TFR li costringe a scappare. Intanto Optimus Prime (voci: Peter Cullen/Alessandro Rossi) è su Cyberthrone, un pianeta che si sta sfaldando e che lui pensa essere la sua patria, e la Trasfomer-Medusa Quintessa (Gemma Chen) lo convince che, solo distruggendo la Terra, che ne avrebbe provocato la rovina, il pianeta potrà risorgere. Lui rapisce due agenti della CIA e, per rilasciarli, chiede ed ottiene la liberazione di Megatron (voci: Frank Welker/Luca Biagini) e di altri pericolosi Decepticon; con il loro aiuto Quintessa spera di poter trovare il bastone di Merlino e, grazie alla sua potenza, di far sparire la Terra. Cade viene, intanto, prelevato dal Trasformer Cogman (voci: Jim Carter/Paolo Marchese) – un maggiordomo inglese pieno di sussiego e di manie – che lo porta al castello del suo padrone, sir Edward Burton (Hopkins). Qui c’è anche la giovane Professoressa di Storia Inglese Vivian Wembley (Haddock), il cui padre (Stephen Hogan) era stato un’autorità negli studi del mito di re Artù. Il lord spiga loro che il mondo è in pericolo e che solo loro (lui perché un Transformer morente gli aveva dato il talismano che lo indicava come l’ultimo Cavaliere della Tavola Rotonda e lei in quanto ultima erede del mago Merlino) possono salvare il mondo trovando il bastone del mago. Poco dopo da Cuba arriva al Pari una telefonata dell’ex-agente Simmons (Turturro), che si sta godendo lì con alcuni Transformers rifugiati i proventi del suo libro, che in cambio della nomina a baronetto rivela il luogo ove trovare la chiave del rapporto tra la Terra e Cyberthrone. Cade e Vivian – che sono un po’ cane e gatto ma anche molto attratti reciprocamente- e, guidati da Burton, si impadroniscono di un sommergibile   con il quale insieme a Cogman, scendono verso le coordinate che hanno trovate tra le carte del padre di lei, inseguiti da Lennox. Arrivano alla tomba di Merlino ma, appena prendono il bastone, Otimus Prime e i suoi li raggiungono e portano via l’arma. Quintessa ha già mosso i resti di Cyberthrone contro la Terra, che sta per essere distrutta e il generale Morshower (Glenn Morshower), il capo della difesa, è indeciso tra le indicazioni misticheggianti di Lennox (che ha deciso di fidarsi di Cade e Vivian) e i suggerimenti del fisico della Nasa (Tony Hale), che propone di usare una quantità enorme di energia nucleare. I nostri (anche sir Burton che viene ucciso dai Transformers) sono intanto arrivati ai dolmen di Stonehedge, indicati dalle profezie, quale luogo dell’impatto definitivo e qui Optimus Prime si scontra con Cade ma, quando sta per ucciderlo, si rende conto di essere stato raggirato da Quintessa e si rimette a capo degli Autobot.  Nella battaglia finale – nella quale Izabela e Topspin sono eroicamente decisivi – Vivian e Cade riescono a strappare il bastone alla Medusa e ad annientarla, salvando la Terra.

 

 




Lady Macbeth

Lady Macbeth del distretto di Mcensk è un romanzo scritto nel 1865 da Nicolaj Leskov e pubblicato quello stesso anno dalla rivista Epoch, diretta da Dostoeskij, che era un grande ammiratore dello scrittore. Nel 1934 Shostakovich ne trasse un’opera lirica, che il regime comunista bloccò (lo stesso Stalin scrisse di suo pugno un attacco contro la musica del compositore, considerata troppo “occidentalmente” moderna). Nel 1961 il regista polacco Andrzej Wajda ne trasse il film Lady Macbeth siberiana, trasposizione assai fedele del racconto originale. Oldroyd è un famoso regista teatrale inglese e dirige il prestigioso London’s Young Vic Theatre e per, questo suo primo lungometraggio ha usato, come sceneggiatrice, la brillante autrice di teatro Alice Birch, che ne ha modificato non solo l’ambientazione ma anche il finale: nel romanzo i due amanti vengono deportati in Siberia e lì lui la tradirà con un’altra reclusa. Nel film si avvertono anche echi di tragiche eroine della letteratura e del cinema francese: Madame Bovary, certamente, ma anche la Therese Desqueyroux di Francois Mauriac; in particolare Il delitto di Therese Desqueyroux di Franju del 1962 sembra aver suggerito l’atmosfera di rarefatta cupezza che si respira nel film. Lady Macbeth è certamente un’opera interessante ma non riesce a riscattarsi del tutto dall’imprinting teatrale dei suoi autori. Sono perfetti i costumi di Holly Weddington, gli attori (tutti poco noti) sono, a partire dalla bravissima Florence Pugh – che recita con tutto il corpo (il suo sedere offerto all’onanismo del marito è già un racconto di frustrazione) – sono perfettamente in parte e ottimamente diretti ma il racconto è, talora, più emblematico che scorrevole, più un insieme di belle scene che uno snodarsi di vicende conseguenti. Nel complesso, però, è un film che merita di essere visto ed una regia dalla quale si possono aspettare ottime cose.

di William Oldroyd. Con Florence PughCosmo JarvisPaul HiltonNaomi AckieChristopher Fairbank Gran Bretagna 2016

Inghilterra del nord, fine ‘800. La giovane Katherine (Pugh) va sposa al possidente Alexander (Hilton) e la prima notte di nozze, lui, dopo averle ordinato di spogliarsi, si caccia a letto lasciandola in piedi nuda e impietrita. E’ ben presto chiaro che in casa comanda il vecchio Boris (Fairbank), vero padre-padrone che tratta con disprezzo la nuora, rimproverandola di non ottemperare ai propri doveri coniugali; il realtà il sesso tra lei e il marito si riduce al suo stare in piedi nuda e con la faccia al muro, mentre lui si masturba furiosamente. Un giorno Alexander parte per un’incidente ad una miniera di proprietà della famiglia e il suocero continua a trattarla con disprezzo. Anche lui parte per affari e Katherine ha come unica compagnia la cameriera di colore Anna (Ackie), costantemente impaurita dalle durezze dei padroni. Un giorno Katherine sente dei rumori venire dalle stalle e sorprende Anna nuda, mentre lo stalliere Sebastian (Jarvis), insieme ad altri servitori la pesa per gioco con una rudimentale bilancia per maiali; lei ordina alla cameriera di andare a casa e agli uomini di riprendere il lavoro ma Sebastian le risponde sfacciatamente, prendendola in braccio. Poco dopo lui bussa alla porta della sua camera e, mentre lei lo sgrida aspramente, la abbraccia e, dopo poche resistenza della donna, i due fanno l’amore con violento trasporto. Ora sono amanti ma Boris torna e, avvertito dello scandalo – anche il Pastore (Cliff Burnett) aveva cercato di far ragionare Katherine ma era stato congedato con alterigia – prima cerca invano di far parlare la terrorizzata Anna, poi bastona selvaggiamente Sebastian e lo fa rinchiude in un fienile. Lei allora lo avvelena con i funghi e, sotto lo sguardo di Anna, lo chiude in una stanza a morire senza soccorsi. La povera serva, per lo shock diventa muta e lei corre a liberare il suo amato, leccandogli le ferite. I due adesso vivono apertamente insieme ma una notte torna Alexander e lei – dopo che Sebastian è uscito seminudo dalla stanza – lo riceve come se nulla fosse ma lui la insulta, dicendole che è divenuta “grassa e puzzolente” per aver aperto “le gambe e la fica” ad un estraneo ma, quando la minaccia di rinchiuderla per sempre in casa con un libro di preghiere, lei apre la porta e fa entrare il suo amante; i due uomini lottano e lei, armata di un pesante attizzatoio, spacca la testa al marito. Sebastian ne seppellisce il cadavere e lei spara al suo cavallo. Quando il marito scomparso è dato per morto, si presenta alla magione una donna di colore, Agnes (Golda Rosheuvel), con il nipotino Teddy (Anton Palmer) e documenti che comprovano che il bambino – la cui madre è morta da poco – è figlio di Alexander e che, quindi, è loro diritto vivere in quella casa. Katherine accetta, apparentemente di buon grado la situazione (con Teddy, che le si è subito legato, sembra esserci qualcosa di simile ad un affetto), mentre Sebastian, nuovamente relegato nelle stalle, è inferocito e quando lei cerca di comunicargli di aver scoperto di essere incinta non la fa nemmeno parlare. Un giorno lei lo vede passare e, per inseguirlo, spintona via il bambino che voleva giocare con lei. Il piccolo, angosciato, scappa nella brughiera e tutti gli abitanti del palazzo vanno a cercarlo. Lo trova Sebastian seduto su di una scogliera sopra una cascatella e lo spinge di sotto, per poi riportarlo a casa assiderato. Ad Agnes che lo veglia da ore, Katherine offre di sostituirla per lasciarla riposare un po’. La nonna accetta e lei, rimasta sola con il bambino, fa entrare Sebastian e, mentre lui lo tiene fermo, lo soffoca con un cuscino. Arrivano il detective Logan (Ian Conningham) ed il dottore (Bill Fellows) e questi rileva sul corpicino dei segni che comprovano i suoi tentativi di difendersi da un’aggressione. Sebastian, devastato dai sensi di colpa, confessa ed accusa Katherine anche degli altri due crimini ma lei ribalta le accuse contro di lui e la sua vecchia amante Anna, che non può parlare a propria discolpa; Agnes e gli altri le credono e lo stalliere e la serva sono condotti su di un carretto al carcere mentre lei allontana dal palazzo tutti e rimane lì sola come in una prigione.