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CORSO GRATUITO: “LE ARTITERAPIE INTEGRATE A SOSTEGNO DEL DISAGIO E DELLA DISABILITA'”

arteL’Associazione Arianna organizza un corso di specializzazione finanziato dalla Regione Lazio
completamente gratuito:

Le metodologie dell’arteterapia integrata
a sostegno del disagio e della disabilità

Il corso è rivolti a diplomati e/o laureati occupati e disoccupati
Il corso è a numero chiuso
le iscrizioni si chiudono il 19/20 SETTEMBRE

Già da ora sono aperte le pre-iscrizioni che devono contenere: nome e cognome, luogo e data di nascita, codice fiscale, luogo di residenza, titolo di studio, occupazione.

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Per info e iscrizioni:
320 1630860
(dal 3/09 anche 06 79350732)
email: associazione.arianna@gmail.com




Regno Unito. È epidemia di morbillo. La causa? Paura dell’autismo

Qualcuno continua ad essere convinto che l’immunizzazione causa la comparsa di disordini dello spettro autistico. Nulla di più errato, eppure c’è chi ci crede. Tanto che, a distanza di 15 anni da quando in Galles si è dato ampio risalto a uno studio “irresponsabile e disonesto” che lo affermava, è scoppiata un’epidemia.

morbillo

29 LUG – 15 anni fa la diffusione di una credenza errata sul legame tra vaccini per il morbillo e autismo. Oggi una grande epidemia di morbillo, con centinaia di contagi. Questo, in poche parole, quello che è accaduto nel sud-est del Galles negli ultimi mesi. Una storia emblematica, raccontata anche sulle pagine delWall Street Journal, che dimostra come un’informazione scientifica errata, con la dovuta risonanza mediatica, possa causare molti danni.

La vicenda è iniziata nel 1998, quando un dottore inglese, Andrew Wakefield, ha ipotizzato che l’immunizzazione da morbillo, orecchioni e rosolia potesse causare autismo. In un piccolo studio pubblicato su The Lancet, il medico aveva infatti descritto come alcuni bambini “precedentemente sani” avessero sviluppato problemi gastrointestinali e disordini comportamentali (compreso il disturbo tanto temuto) a seguito della somministrazione del vaccino trivalente, concludendo che fossero “necessari ulteriori studi per investigare il possibile legame tra immunizzazione e sindromi dello spettro autistico”.
Un legame che non esiste, come dimostrato da numerosi studi, il più recente dei quali è uscito lo scorso aprile su Journal of Pediatrics, ma che aveva avuto ampio risalto su giornali locali nel sud del Galles, tanto che una parte consistente della popolazione si era convinta della sua fondatezza.
Nonostante la comunità accademica avesse immediatamente precisato che si trattava di una ricerca incompleta con una conclusione speculativa, e che non vi fosse alcuna reale evidenza di un collegamento, nel Galles la paura si era irrimediabilmente diffusa, soprattutto a causa di una copertura mediatica piuttosto ampia data alla notizia dal quotidiano locale The Post. Tanto che, secondo le stime, entro il terzo trimestre del 1998 la diffusione del vaccino era crollata del 14% nelle zone di maggiore distribuzione del giornale, contro una diminuzione di appena il 2,4% nel resto della regione.

A nulla è valsa anche la tardiva smentita dello studio da parte del Lancet stesso, arrivata nel 2010 dopo che il General Medical Council britannico aveva concluso che  il lavoro pubblicato da Wakefield fosse talmente “irresponsabile e disonesto” da rendere necessaria la radiazione del medico dall’ordine.
Ci possono volere anni prima che scoppi un’epidemia a seguito di un calo delle vaccinazioni: nella regione del Galles oggi colpita, ad esempio, dal 1999 al 2008 i casi di morbillo si sono attestati tra 104 e i 223, per poi arrivare a 567 nel 2009, e ridiscendere nel 2010 e nel 2011 a 117 e 105 casi rispettivamente. Finché, nel novembre 2012, il numero di casi è ricominciato a salire, e i medici hanno osservato dozzine di nuovi casi a settimana, fino ad arrivare al numero record di 1219. La maggior parte dei quali sono proprio ragazzi dai 10 ai 18 anni che avevano saltato la vaccinazione negli anni in cui si era diffusa la paura dell’autismo tra gli abitanti della regione.

Un problema economico e sociale per la regione del Regno Unito, visto che tra coloro che hanno contratto il morbillo circa il 10% è stato anche ricoverato in ospedale per l’insorgenza di complicazioni (come disidratazione grave o polmonite) ed una persona è morta. Ma la questione non riguarda esclusivamente il Galles: la patologia è estremamente contagiosa e può superare i confini nazionali abbastanza facilmente dando luogo ad una epidemia, mettendo a repentaglio i risultati ottenuti grazie  allo sforzo dell’Oms nella lotta alla sua eradicazione.

Le morti causate da questa malattia infettiva sono infatti crollate del 71% dal 2000 al 2011, passando da 542 mila a 150 mila, secondo gli ultimi dati pubblicati a gennaio scorso all’interno del Morbidity and Mortality Weekly Report dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC) statunitensi. Ma il risultato potrebbe essere ancora oggi a rischio, proprio per via di una opposizione “filosofica” ai vaccini che ancora oggi è latente. Ciò è pericoloso per i paesi in via di sviluppo, più che per le nazioni occidentali: il Galles è una regione piuttosto moderna che garantisce alla popolazione accesso alle cure mediche, ma in altri luoghi la situazione è diversa. Secondo le stime dell’Oms, ad esempio, nel 2011 erano ancora 20 milioni i bambini che non avevano fatto neanche il primo richiamo del vaccino, di cui circa la metà si trovano in sole cinque nazioni: Congo, Etiopia, India, Nigeria e Pakistan.

Insomma, questa epidemia potrebbe essere solo una sorta di “canarino da miniera”, come ha spiegato James Goodson, esperto di morbillo dei CDC: le persone che si rifiutano di vaccinarsi potrebbero mettere a rischio anche la salute di chi gli è intorno. “Nonostante sia una delle misure sanitarie più importanti mai inventate da un uomo o da una donna, sembra che ci sia ancora una parte dell’umanità che si oppone all’idea stessa dell’immunizzazione”, ha commentato Dai Lloyd, uno dei medici che nel Galles in questi mesi ha cercato di curare i pazienti vittime dell’epidemia di morbillo.
Senza contare che questa epidemia è qualcosa di molto frustrante per chi tenta di fare buona sanità nel Regno Unito, come ha concluso Paul Cosford, direttore medico di Public Health England, agenzia governativa per la salute pubblica in Gran Bretagna: “È piuttosto irritante il fatto che fossimo vicini all’eradicazione e invece ora il problema si sia ripresentato”. Soprattutto per questo motivo.

Laura Berardi

29 luglio 2013

da: http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=16271




Sanità Lazio, on line i dati sulla valutazione delle cure

downloadSaranno presto pubblicati su un sito internet tutti i dati relativi alla valutazione della qualità delle cure della sanità del Lazio. Stiamo parlando degli indicatori di esito che sono stati elaborati dall’Agenzia nazionale di sanità pubblica (Agenas) per conto del ministero della Salute. Il dipartimento di epidemiologia della Asl Rme ha elaborato d’accordo con il Programma nazionale di valutazione di esito (Pme) per conto della regione Lazio i dati che metterà a disposizione dei cittadini sul proprio sito. I dati nazionali saranno presentati ufficialmente alla presenza del ministro Lorenzin a settembre ma oggi in un convegno nella sede della giunta regionale del Lazio a Roma ne sono stati resi noti alcuni aggiornati al 2012.

Significativi quelli relativi alla frattura del femore: quando l’intervento chirurgico viene effettuato entro le 48 ore riesce a garantire un decorso dalla patologia particolarmente positivo. La proporzione degli ospedali regionali varia da meno del 5% negli ospedali di Tarquinia, Frosinone, Rieti e Tivoli a più del 50% nell’ospedale di Latina, nella casa di cura città di Aprilia, al Policlinico Gemelli, Al CTO, al Fatebenefratelli e al Sant’Eugenio, in cui quasi l’80% delle persone con frattura di femore vengono operate entro le 48 ore dall’accesso all’ospedale. I dati regionali sono in miglioramento negli ultimi anni: nel 2004 si toccava appena il 10% dei casi, nel 2012 si è toccato il 24%. Gemelli, CTO, Sant’Eugenio e ospedale di Latina negli ultimi anni sono passati da valori vicini al 10% a valori superiori al 50%.

Particolarmente significativi sono anche i dati relativi ai parti cesarei nel Lazio, uno degli indicatori di qualità più usati a livello internazionale. L’organizzazione mondiale della sanità raccomanda l’uso del taglio cesareo nel 10-15% dei parti. Allo stato attuale la percentuale di parti cesarei registrata in Italia è la più alta d’Europa. Nella Regione Lazio nel 2012 una donna su tre ha un parto cesareo primario: più del 40% al Policlinico Umberto I, all’ospedale S.Pietro Fatebenefratelli, agli ospedali di Alatri, Rieti, Monterotondo e Colleferro e alla casa di cura accreditata Villa Pia e meno del 20% negli ospedali C. Cristo Re, S.Eugenio di Roma, S. Maria Goretti di Latina e Belcolle di Viterbo.

di red/ped – 25 luglio 2013 11:56fonte ilVelino/AGV NEWS




Finanziamenti europei a Corviale!

tettiEcosistema digitale  e sistema sociale: l’Europa mette in connessione il mondo della rete e il disagio sociale destinando obbligatoriamente il 20% dei suoi fondi a quest’obiettivo.

Per Corviale, con il suo terrazzo più grande del mondo, firmata la convenzione tra l’ATER e l’Università del Molise per sfruttare il suo spazio per orti urbani e produzione di energia.

 




Perugia Social Photo Fest 2013

perugia

Perugia Social Photo Fest 2013

Il PERUGIASOCIALPHOTOFEST è il primo festival di fotografia sociale e terapeutica che realizzerà la sua seconda edizione anche grazie al tuo aiuto. Il festival si svolgerà a Perugia dal 15 al 24 novembre 2013, organizzato dall’Associazione LuceGrigia. Il festival sarà allestito presso il CERP – Centro Espositivo della Rocca Paolina e presso alcuni spazi del Centro di Cultura Contemporanea di Palazzo Penna.  Questa seconda edizione nasce dopo l’enorme successo dell’edizione 2012 che si è svolta a Spello presso Villa Fidelia. Un successo decretato dai numerosi visitatori e dalla risonanza sui media locali e nazionali.

Perché il festival?

  • Perché crediamo che nella società attuale  ci sia una profonda esigenza di ricreare una cultura dell’immagine.
  • Perché crediamo che la fotografia sia un mezzo insostituibile per “fare memoria visiva”.
  • Perché la fotografia è indispensabile per comunicare idee e culture di singoli e comunità.
  • Perché la fotografia può ispirare un cambiamento sociale
  • Perché la fotografia può essere uno strumento  di comunicazione, di riattivazione della percezione e di una spinta interiore
  • Perché la fotografia può essere   strumento di inclusione sociale soprattutto in quelle persone che “non hanno voce”

Il festival si sviluppa su due canali distinti: fotografia sociale e fotografia terapeutica.

Fotografia sociale come mezzo capace di coinvolgere l’osservatore in una presa di coscienza su tutto ciò che nella propria società appare come straordinario, anomalo, non comune e che proprio per questo, pur essendo sotto gli occhi di tutti, viene spesso ignorato. Strumento di denuncia e riflessione, di riscatto di identità individuali e collettive, mezzo per dar voce agli “esclusi”

Fotografia terapeutica intesa come mezzo di riattivazione di una spinta interiore personale soprattutto laddove c’è una difficoltà di comunicazione per attivare un processo di autocoscienza e di esplorazione del sé.

Questi i numeri dell’edizione 2012.

  • 28 mostre fotografiche di autori provenienti da tutto il mondo
  • 4 workshop dedicati alla fotografia terapeutica e alla fototerapia
  • 1 conferenza internazionale
  • Oltre 1500 i visitatori provenienti da tutta Europa
  • Ospiti internazionali provenienti da Canada, Inghilterra, Finlandia, Spagna, Russia.
  • Il sottotitolo dell’edizione di quest’anno è DISUMANO dove il prefisso Dis rimanda a concetti come DISuguaglianza, DISfunzione, DISabilità, DISinformazione, DISinteresse, DISobbedire,   etc… il termine Umano vuole invece riportare l’attenzione sul rapporto tra l’io umano e l’umano territorio.
  • Anche per l’edizione 2013 il Festival mostrerà il suo duplice volto della fotografia sociale e della fotografia terapeutica. La definizione del programma e la selezione degli artisti sono  ancora in corso, tuttavia abbiamo alcune importanti conferme come la continuata collaborazione con il collettivo Shoot4Change, Photovoice, il collettivo Synap(see), Erik Messori, il vincitore del World Press Photo Fausto Podavini, Alessandro Imbriaco, Maurizio Gijivoich, e molti altri. 

    Due le novità importanti per quest’anno:

    Progetto “Cosmorama – paesaggi da un mondo plurale”: il coinvolgimento di quattro città italiane (Perugia, Modena, Catania, Pesaro) che saranno impegnate nella in un progetto di fotografia terapeutica indagando la relazione tra “l’uomo e il suo paesaggio”  come l’uno influisca l’altro e come l’uno genera l’altro. L’obiettivo del progetto “Cosmorama” è quindi l’integrazione tra le diverse realtà territoriali e lo scambio di esperienze per favorire la costruzione di una rete che ha come motore comune l’azione e l’integrazione sociale, valorizzando allo steso tempo il territorio e il capitale umano. Il progetto vedrà la realizzazione di una mostra collettiva in occasione del Perugia Social Photo Fest che sarà poi promossa, per tutto il 2014, nelle città coinvolte nel progetto.

    Presentazione in anteprima nazionale dell’edizione italiana del libro di Judy Weiser “PhotoTherapy Techniques: Exploring the Secrets of Personal Snapshots and Family Albums” pubblicato dalla Franco Angeli Ed. Judy Weiser è psicologoa, psicoterapeuta, fondatrice e direttrice del “PhotoTherapy Center” di Vancouver (Canada).

    E ancora workshops, incontri pubblici e una conferenza internazionale sull’uso della fotografia sociale e terapeutica. Il programma è in via di definizione. Il festival è sostenuto dalla Regione Umbria, Provincia di Perugia e Comune di Perugia.

  • A cosa servono i fondi ?

    ADOTTA IL FESTIVAL 

    Abbiamo deciso di organizzare il festival proprio per non soccombere alle drammatiche conseguenze di una crisi globale, che non è solo economica. Crediamo infatti che in un momento storico come questo sia assolutamente importante dimostrare che sia possibile “fare” qualcosa tutti insieme.

    Adotta il  festival. 

    • perché ami l’idea che esista,
    • perché ami la cultura
    • perché sai  che  è un bene di tutti e  in primo luogo un tuo  bene
    • perché ritieni  geniale  che i cittadini possano partecipare per  creare cultura

    e se Adotti il festival 

    • Entri a far parte del network  Quelli del Perugia Social Photo Festival
    • Ne farai parte liberamente  portando dentro le  competenze   che hai
    • Sarai rappresentato dentro il  festival e  sul web (blog o gruppo fb)
    • Sarai informato sulle nostre scelte  e le tue opinioni avranno un peso
    • Il festival avrà bisogno di te. Si  impegna a servirsi delle  tue  competenze professionali se queste sono presenti.
    • Sarai coinvolto, nella prossima edizione, alla realizzazione di un progetto di arte sociale partecipata.

     

    A COSA SERVONO I FONDI 

    Il tuo contributo sarà fondamentale per:

    • comunicazione e promozione: grafica e stampa cataloghi, manifesti, lacandine, gadget
    • media e press: ufficio stampa, video e foro report
    • logistica: allestimenti, mezzi di trasporto ospiti, attrezzature tecniche per le proiezioni
    • ospitalità: viaggi, vitto e alloggio per gli artisti 

    Informazioni sull’autore

    LuceGrigia è un’associazione di promozione sociale che a sede a Perugia. Nasce nel 2010 ma in poco tempo abbiamo promosso progetti che hanno avuto un riscontro a livello nazionale e internazionale. Il nostro scopo è quello di promuovere e realizzare progetti di solidarietà sociale per diffondere la cultura come strumento di inclusione sociale, con particolar attenzione alla fotografia.




Appuntamento, Appia antica caffè a due passi dal mausoleo di Cecilia Metella

Forse non tutti sanno che da qualche giorno è aperta la nostra gelateria artigianale. Presi dalle mille incombenze non abbiamo avuto modo di organizzare qualcosa prima, e allora abbiamo deciso di festeggiare mercoledì 17 luglio, a partire dalle 20,30. A unirci sarà la voglia di stare insieme a goderci il fresco della sera, davanti a un piatto pieno di cose buone e a un bicchiere di vino. Abbiamo pensato di proporre ai nostri amici – e agli amici dei nostri amici – una cenetta a prezzo ridotto, così composta: una panzanella, un tagliere di salumi e formaggi laziali selezionati con attenzione e cura più altri stuzzichini, un bicchiere di vino biologico e una coppa del nostro gelato artigianale, il tutto a soli 12 euro. Speriamo di vedervi numerosi, così numerosi che vi preghiamo di prenotare con anticipo, grazie.
Appia Antica Caffè – Via Appia Antica n. 175(angolo via Cecilia Metella), Roma – 06 89879575, 338 3465440, 340 3198060 – info@appiaanticacaffe.it – www.appiaanticacaffe.it

 




“Io, criminale sopravvissuto vi mostro l’inferno di Scampia”

 

Gaetano Di Vaio è un produttore cinematografico con un passato pesante alle spalle: rapine, furti, carcere e lo spaccio di migliaia di dosi nella piazza di droga più imponente d’Europa. Per raccontarlo ha scritto un libro, “Non mi avrete mai”, insieme al regista Guido Lombardi. E ha realizzato un videoreportage esclusivo per Repubblica.it.

“Sono stato un delinquente, ho spacciato, fatto furti, rapine: ma sono sempre stato un indipendente, una vera e propria affiliazione alla camorra non l’ho mai voluta avere. Perché si può uscire dalla criminalità, si può uscire dalla droga, ma non si può uscire dalla camorra. Se sei camorrista muori fra i 30 e i 40 anni: io invece di anni ne ho 45. E  già per questo sono un sopravvissuto”. Capelli grigi, mascella decisa, volto tosto, voce con spiccato accento partenopeo insieme dura e gentile, Gaetano di Vaio racconta così – in un videoreportage realizzato in esclusiva per Repubblica.it – la sua prima vita: quella di maxi-pusher nell’inferno di Scampia, bravo ragazzo nel senso scorsesiano del termine, capace di controllare lo smistamento e lo smercio di cinque-seimila dosi al giorno. Nella più grande piazza di vendita di stupefacenti d’Europa, simbolo universale del potere dei clan.

“COSI’ VIVEVO DI DROGA”: IL VIDEOREPORTAGE ESCLUSIVO

Ma poi – dopo un percorso fatto di carcere, comunità di recupero, latitanza – Gaetano si è liberato dalle sue pendenze penali, ha voltato pagina e ha cominciato la seconda fase, quella attuale, della sua esistenza. Diventando produttore cinematografico, con l’associazione Figli del Bronx: tra le pellicole uscite dalla  sua scuderia ci sono il docufilm Il loro Natale, Napoli Napoli Napoli di Abel Ferrara (presentato alla Mostra di Venezia), e LA-BAS, emozionante che sempre al Festival della Laguna ha vinto, nel 2011, il premio come migliore opera prima. Ed è proprio col regista di quest’ultimo film, Guido Lombardi, che Di Vaio ha scritto un libro (appena pubblicato da Einaudi Stile Libero) in cui racconta la sua avventura umana, il suo autentico romanzo criminale.

Il titolo è già un programma, Non mi avrete mai, ed è una storia forte come il suo protagonista, a suo modo unica nel panorama letterario. Non solo per temi veri che tratta, personali e insieme capace di descrivere in presa diretta un grande male italiano; ma anche per la lingua utilizzata nei tanti dialoghi sparsi nelle 344 pagine del libro. Un dialetto molto colloquiale, comunque comprensibile da chi non è napoletano. E poi ci sono i tanti personaggi che incontriamo, andando avanti nella lettura: dai detenuti a cui il protagonista fa da scrivano in carcere al carabiniere che in cambio di due dosi al giorno lo avverte di eventuali blitz, e dei giorni a rischio cattura in cui è meglio non uscire a spacciare.

Ma non basta. Perché, in occasione dell’uscita del volume, i due autori hanno accettato di realizzare, davanti e dietro la macchina da presa, un videoreportage in esclusiva per Repubblica.it. Cinque minuti e mezzo di docu-cinema, in cui Di Vaio racconta ai nostri lettori alcuni momenti clou della sua vita. Mostrandoci le location autentiche in cui quei fatti si sono svolti. A partire da Scampia, dove Gaetano ci mostra il punto preciso in cui sovrintenteva alla vendita delle dosi a partire dalla fine degli anni Sessanta. “Materialmente non ho mai spacciato, lo facevano i ragazzi per me, io la droga la andavo a comprare e la preparavo”, dice davanti alla telecamera. Mentre nel libro spiega: “Qui ho rapinato, rubato, spacciato. Qui ho visto nascere la più grande piazza di droga d’Europa. Qui è nato mio figlio, che ora ha sei anni e mezzo. Qui sono nati i miei amici”.

Non solo Scampia, però: nel video realizzato per noi vediamo anche il casale di Villa Literno di proprietà del fratello, dove è stato nascosto da latitante. E l’ingresso del carcere di Poggioreale dove è stato l’ultima volta nel ’97. Un luogo che lui, nel filmato, definisce “Una vera e propria scuola, un moltiplicatore di criminalità là dentro, nella cella, dalla mattina alla sera si parla solo di crimini, e di come farli”.

Tutti luoghi, e temi, che il volume ovviamente approfondisce. Raccontandoci un’umanità brulicante, quasi sempre disperata, fatta di criminali e camorristi ma anche di immigrati. E insieme a tanta vita, nelle pagine di questa particolarissima biografia aleggia anche, e in maniera pesante, il suo opposto. La morte. Fatti di violenza, omicidi.  “Cose che succedevano sempre e comunque – si legge in un passaggio – anche se non c’era guerra tra i clan. A volte sgarri anche piccoli bastavano a provocare la punizione del Sistema. Secondo quella giustizia antica e animale che regna sempre nelle zone nostre”. E a cui lui, ex ragazzo balordo di periferia, a un certo punto ha detto no: “Non voglio sparare, non voglio picchiare, non voglio uccidere. Non voglio morire”. E ci è riuscito: diventando un Sopravvissuto, con la S maiuscola, come confessa davanti alla telecamera.

di CLAUDIA MORGOGLIONE

repubblica.it




Il welfare è un costo?

Il contributo delle politiche sociali alla creazione di nuova occupazione in Europa e in Italia

 

Scheda di sintesi del documento introduttivo alla ricerca promossa dalla Rete “Cresce il Welfare, cresce l’Italia

Gruppo di lavoro:

 

 

Andrea Ciarini Sapienza Università di Roma (coordinatore), Roberto Fantozzi Istat

e

 

Sapienza Università di Roma,

 

 

Silvia Lucciarini Sapienza Università di Roma, Anna Maria Simonazzi

Sapienza

Università di Roma,

 

 

Emmanuele Pavolini Università politecnica della Marche, Sara Picchi

Sapienza

Università di Roma,

 

 

Michele Raitano

Sapienza Università di Roma

 

Il taglio della spesa pubblica che continua ad insistere sulle istituzioni del welfare deriva dalla convinzione

che i servizi e le prestazioni sociali rappresentino un costo improduttivo se non uno spreco che alimenta la

spirale del debito pubblico.

Al contrario investire oculatamente nel welfare non significa solo migliorare la qualità di vita delle persone

e delle loro famiglie (evidenti i problemi dell’invecchiamento della popolazione, della non autosufficienza,

della conciliazione vita-lavoro, della cura e assistenza all’infanzia), ma anche favorire celermente ed

efficacemente l’occupazione.

La forte domanda di questi servizi è testimoniata da un dato: tra il 2008 e il 2012 (nel pieno della crisi) a

fronte di una perdita di occupazione nei comparti manifatturieri di 3 milioni e 123 mila unità (Eu 15)

l’incremento nei servizi di welfare, cura e assistenza è stato pari a 1 milione e 623 mila unità (+7,8%).

I Paesi europei hanno reagito in modo diverso a questa evidente crescita della domanda. Alcuni hanno

puntato decisamente sull’occupazione formalizzata, pubblica o privata. Altri hanno preferito lasciare questa

domanda nell’informalità e cioè “delegando” alle famiglie la ricerca di risposte. Gli esiti sia per la qualità di

vita dei cittadini che per la qualità e quantità di occupazione sono stati conseguentemente diversi.

La Francia, ad esempio, ha puntato su una strategia di integrazione tra politiche di welfare e politiche per la

creazione di occupazione regolare nella cura e assistenza alle persone attraverso strumenti volti a rendere

solvibile la domanda, cioè a mettere le famiglie in grado di pagare i servizi con sgravi contributivi, voucher,

titoli d’acquisto. Queste scelte, hanno concorso a fare emergere dal mercato informale molte delle

prestazioni sociali a domicilio, contribuendo a sviluppare l’occupazione regolare nei servizi alle persone.

Il settore dei servizi alle persone si è andato rapidamente sviluppando. Nel 2011 sono state 3,4 milioni (il

13% del totale) le famiglie che hanno usufruito di servizi di cura e assistenza personale, con un incremento

rispetto al 2005 dell’8%. E il numero dei lavoratori salariati è giunto a 1,8 milioni.

In parte diverse le politiche della Germania. Nell’ambito delle misure adottate per stimolare l’occupazione

dei segmenti più marginali del mercato del lavoro e per l’emersione del sommerso, il sistema dei cosiddetti

 

minijobs

 

 

(impieghi remunerati per un massimo di 450 euro/mese privi di versamenti fiscali e contributivi)

ha accompagnato l’introduzione di procedure semplificate per l’assunzione di personale al domicilio da

 

parte delle famiglie, le quali possono beneficiare di sgravi contributivi e fiscali. Nel 2012 i

 

minijobs

sono

arrivati a più di 243 mila unità andando tuttavia ad ingrossare un segmento di forza lavoro strutturalmente

 

2

 

confinata in occupazioni a bassi salari e bassi livelli di protezione sociale.

 

L’altro lato della medaglia è che lo sviluppo dell’occupazione nei servizi sociali – che potrebbe essere ben

 

maggiore in particolare in Italia – ha premiato soprattutto la crescita numerica degli impieghi, senza un pari

 

sviluppo sul versante della qualificazione dell’occupazione creata, spesso a più bassi salari o sprovvista di

 

adeguate tutele. L’effetto certamente positivo dell’emersione del lavoro sommerso non è sufficiente: gli

 

investimenti sulla crescita dell’occupazione nei servizi di cura devono puntare anche alla qualificazione e

 

alla tutela sociale dei lavoratori.

 

Ma qual è la situazione nel nostro Paese? L’Italia si trova in ritardo su molti fronti, sul piano dello sviluppo

 

dei servizi di cura, ma soprattutto rispetto alla individuazione di una vera strategia nazionale di sviluppo del

 

welfare che abbia in animo la promozione dell’occupazione, oltre che la prioritaria tutela di nuovi e vecchi

 

bisogni sociali. E ci sono degli elementi distintivi che contraddistinguono questo ritardo.

 

La “delega” alle famiglie e l’attribuzione ad esse del lavoro di cura è forse l’elemento di maggiore impatto.

 

In Italia sono più di 15 milioni (il 38,4% della popolazione tra i 15 e i 64 anni) le persone impegnate

 

regolarmente nel lavoro di cura nei confronti di figli coabitanti di meno di 15 anni, altri bambini della stessa

 

fascia di età e/o di adulti anziani, malati, non autosufficienti, con disabilità.

 

Questa attività di cura familiare interessa soprattutto le donne, sia in valore assoluto (8,4 milioni di donne

 

contro 6,8 milioni di uomini), sia in termini percentuali (il 42,3% a fronte del 34,5%). Secondo stime

 

dell’Istat sono ben 240 mila le donne occupate che scelgono il part-time invece dell’orario a tempo pieno

 

per mancanza di servizi all’infanzia adeguati. 489 mila sono invece le donne non occupate ostacolate

 

all’ingresso nel mercato del lavoro per mancanza di alternative di conciliazione.

 

Ma oltre a questo impegno diretto, le famiglie ricorrono spesso a “badanti” o assistenti. Alcune stime

 

indicano che la spesa delle famiglie per il lavoro di cura privato, nel 2009, è stata pari a 9,8 miliardi di euro

 

contro i 7,1 miliardi di euro dell’intera spesa sociale dei Comuni registrata nello stesso anno. L’insufficienza

 

di questi servizi e la bassa capacità di pagamento delle famiglie hanno fatto esplodere il fenomeno delle

 

“badanti”, il vero pilastro del welfare all’italiana.

 

Ma si tratta spesso di lavoro sommerso. Detrazioni e deduzioni fiscali per chi assume regolarmente una colf

 

o una badante sono molto limitate. Al contempo voucher e buoni lavoro non sono stati ideati per il settore

 

specifico della cura e dell’assistenza alle persone, ma piuttosto per altre prestazioni occasionali e

 

accessorie, dai servizi personali al lavoro in agricoltura.

 

Anche in questo è evidente l’assenza di una strategia di sviluppo dell’occupazione dei servizi di welfare che

 

lascia intatti molti dei meccanismi che alimentano appunto il ricorso al mercato sommerso e al “welfare faida-

 

te”.

 

L’invecchiamento della popolazione e l’innalzamento dell’età media generano nuovi bisogni spesso

 

correlati alla non autosufficienza. L’Italia è uno dei pochi Paesi a non avere ancora elaborato una politica

 

 

 

ad

hoc

 

 

 

per la non autosufficienza: si pensi che nel pur ridondante corpus normativo italiano non esiste

nemmeno una definizione giuridica univoca di “persona non autosufficiente”. Nel 2007 era stato istituito

 

uno specifico Fondo nazionale per la non autosufficienza, la cui copertura è giunta all’azzeramento nel

 

2010, per poi essere rifinanziata nel 2013. Fra il 2008 e il 2012 la destinazione di risorse ai Fondi sociali è

 

crollata del 90%. Solo nel 2013 il Fondo nazionale politiche sociali è stato rifinanziato per un totale di 300

 

milioni, a cui vanno ad aggiungersi 275 milioni di euro per il Fondo non autosufficienza. E per il 2014, al

 

momento, il Fondo nazionale politiche sociali e il Fondo per la non autosufficienza risultano azzerati.

 

In questo scenario il costante taglio dei fondi ha lasciato incompiuta la prospettiva di crescita delle

 

prestazioni sociali e della conseguente occupazione, innescando una spirale al ribasso anche per le

 

organizzazioni del terzo settore, di fatto messe alla stretta dalla drastica diminuzione della spesa sociale.

 

Infine, nell’ambito delle prestazioni sociali si evidenzia un profondo squilibrio da Nord e Sud con distanze

 

che tendono ad allargarsi in un quadro di regionalismo a scarso coordinamento dal centro. Emblematica è

 

3

 

la condizione dei servizi di cura per la prima infanzia. I tassi di copertura degli asili nido sono nettamente al

 

di sotto delle reali dimensioni della domanda. L’indice di presa in carico 0-2 anni (anno 2010) è dell’11,8% a

 

livello nazionale, ma con forti variazioni regionali, dal 25,4% dell’Emilia-Romagna e 22,3% dell’Umbria, al

 

2,3% della Calabria e 1,9% della Campania. A fronte di regioni (nel Centro-Nord) vicine agli obiettivi fissati

 

dal Consiglio europeo di Barcellona del 2002 (il 33% di copertura dei servizi in tutti i Paesi europei entro il

 

2010), ve ne sono altre, tutte nel Mezzogiorno, in pesante ritardo.

 

La stessa percezione dei Cittadini rispetto alla loro salute si modifica al mutare della quantità e qualità dei

 

servizi sociali. Incrociando i dati dell’indagine ISTAT sugli interventi e servizi sociali dei comuni con la

 

percezione delle condizioni di salute emerge chiaramente una correlazione negativa tra la spesa nei servizi

 

sociali e il grado di disuguaglianza nella salute percepita dai Cittadini. Laddove la spesa sociale è più alta, più

 

basso è il grado di disuguaglianza nella salute percepita dai Cittadini. In altri termini l’aumento della spesa

 

sociale (o meglio nelle regioni che spendono di più in cura e servizi sociali) diminuisce la disuguaglianza

 

nella percezione delle condizioni di salute.

 

Come è stato di recente sottolineato da alcuni studi, l’uso della spesa pubblica per creare lavoro (in

 

particolare nei settori ad alta intensità di lavoro e tra questi certamente il welfare dei servizi) ha effetti

 

sull’occupazione molto più alti e in tempi più rapidi rispetto ad altri tipi di misure: fino a 10 volte superiori

 

rispetto al taglio delle tasse, da 2 a 4 rispetto all’aumento di spesa negli ammortizzatori sociali o alla

 

riduzione dei contributi sul lavoro per le imprese.

 

Sarebbe una “ricetta”, quindi, diversa (o forse solo complementare) rispetto alla prevalente, concentrata

 

quasi esclusivamente sulle agevolazioni fiscali e gli incentivi all’assunzione. In sintesi: per rilanciare

 

l’occupazione si stanno preferendo politiche che agiscono sull’offerta, mentre – e nell’ambito del welfare

 

ne abbiamo l’esempio – sarebbe vincente puntare anche sulla “domanda”, laddove ce ne siano i

 

presupposti. Se bene congegnato l’investimento nei servizi di welfare è un fattore che non solo migliora il

 

grado di salute per quote tendenzialmente ampie e omogenee di popolazione, ma aiuta anche a bilanciare i

 

processi di de-ospedalizzazione e gli interventi di “razionalizzazione” sulla rete ospedaliera, destinatari, in

 

seguito all’ultima

 

 

spending review,

di forti tagli.

Gli interventi per favorire l’occupazione non sembrano andare in questa direzione. C’è una forte enfasi

 

sull’investimento in educazione e formazione e sulle politiche attive del lavoro come leva strategica per la

 

ripresa occupazionale. Il settore dei servizi sociali viene visto come uno degli ambiti nei quali innovare

 

l’intervento dei programmi dell’Unione, con particolare riferimento – tra l’altro – alla promozione di buona

 

occupazione. Si continua però a puntare sostanzialmente sul miglioramento delle condizioni di occupabilità

 

e adattabilità dei lavoratori. Insomma siamo ancora dentro un paradigma di politiche solo offertiste. Di

 

contro niente è rimesso alla creazione diretta di occupazione attraverso un innalzamento degli investimenti

 

finanziari nelle politiche sociali, come leva strategica per la creazione di nuovo lavoro.

 

Positivo anche il recente vertice europeo di fine Giugno 2013: sono previste misure innovative per il

 

contrasto della disoccupazione, soprattutto quella giovanile con 6 miliardi per l’istituzione della

 

 

 

Youth

european guarantee

 

 

 

nei Paesi (tra cui l’Italia) con tassi di disoccupazione giovanile superiori al 25%.

Tuttavia il problema appare lontano dall’essere risolto se affrontato con soli strumenti che intervengono

 

sull’offerta di lavoro (più flessibilità, più occupabilità), senza politiche in grado di incidere anche sulla

 

domanda.

 

In questa prospettiva sarebbe invece opportuno raccogliere l’opportunità offerta dalla decisione della

 

Commissione UE che ha concesso, proprio in queste ore, all’Italia una maggiore flessibilità di bilancio nel

 

2014 per investimenti produttivi e per rilanciare la crescita.

 

cresce_il_welfare_cresce_l_Italia