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La sostenibilità secondo gli architetti europei

sostenibilitaSebbene vi siano visioni diverse del concetto di sostenibilità da paese a paese, dal report di Arch vision emerge che non si dà più importanza solo all’efficienza energetica ma soprattutto la sostenibilitá economica
Di cosa parliamo quando parliamo di sostenibilità? Se nel 2012 gli architetti di tutta europa tendevano ad associare il termine al risparmio energetico, le cose sembra stiano cambiando. E il concetto di sostenibilità diventa un contenitore in cui far confluire una serie svariata di elementi, primo fra tutti il risparmio economico. A rivelarlo è l’ultimo report di Arch Vision “Q3 2013 European Architectural Barometer”, un sondaggio trimestrale svolto su un campione di 1600 architetti di otto paesi europei.
IL RUOLO-CHIAVE DEGLI ARCHITETTI. L’obiettivo dello studio è chiaro: dal momento in cui gli architetti hanno un ruolo fondamentale e trainante per il settore delle costruzioni e dal momento in cui la sostenibilità rappresenta il vero trend del settore, è importante capire il significato che viene dato a questa parola. Anche perché il mondo delle costruzioni prevede l’interazione di svariati soggetti, tra committenti, clienti, investitori, che dovrebbero “parlare la stessa lingua”.
LA SOSTENIBILITA’ SMETTE DI ESSERE SEMPLICEMENTE RISPARMIO ENERGETICO. E infatti il report conferma che il concetto di sostenibilità non solo cambia da paese a paese ma è mutato anche nell’arco del tempo, diventando sempre più complesso. Da semplice sinonimo di risparmio energetico, il termine viene oggi associato anche ad altri elementi, che comprendono il risparmio di denaro, la riciclabilità, i bassi costi manutentivi, l’utilizzo di materie prime naturali. Certo, il risparmio energetico rimane la maggiore caratteristica citata (sopratutto per gli architetti italiani e spagnoli), grande importanza viene data anche al risparmio economico (primo fattore per Regno Unito e Polonia) e agli altri elementi sopracitati, con percentuali in costante aumento.
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Concorso Rebuild, i premiati

park associatiI progetti in gara sono stati selezionati secondo una complessa griglia di valutazione di efficienza energetica, sostenibilità ambientale, comfort e qualità costruttiva, sostenibilità economica e sociale
Il 26 Novembre, durante l’Aperitivo REbuild, è stato assegnato il Premio REbuild, il primo concorso in Europa per progetti di riqualificazione sostenibile. A classificarsi per primo è stato il progetto di Lombardini 22 presentato da Marco Amosso. Secondo e terzo rispettivamente Laboratorio di Architettura, presentato da Andrea Rinaldi, e Park Associati, presentato da Filippo Pagani.
IL RUOLO PRIMARIO DELLA RIQUALIFICAZIONE. «Lead by example, i migliori progetti che fanno da esempio per il mercato: questo il senso del Premio REbuild 2013», spiega Alberto Ballardini di Habitech, uno degli ideatori di questo contest. «Il premio è stato concepito per dare visibilità a quelle realizzazioni che in una fase di contrazione degli investimenti e di disorientamento hanno dimostrato la capacità mantenere la rotta verso una realtà di mercato dove il lavori si sposteranno dai nuovi volumi alla riqualificazione degli esistenti.».

L’80% DEI VOLUMI CHE AVREMO NEL 2050 SONO GIÀ PRESENTI OGGI. La prima edizione del premio, ideato da Habitech e Fraunhofer Institute per REbuild, intercetta i recenti sviluppi nel mercato della riqualificazione e la sensibilizzazione verso un consumo più consapevole delle risorse energetiche e del territorio. Un concorso per dimostrare come la riqualificazione sostenibile del patrimonio esistente rappresenti una risorsa immensa per l’ambiziosa sfida di riformare il mercato, limitare gli impatti e migliorare il paese. Secondo una ricerca di Think Project, infatti, l’80% dei volumi che avremo nel 2050 sono già presenti oggi.

CRITERI DI VALUTAZIONE. La griglia di valutazione è stata appositamente elaborata da Fraunhofer Italia con il supporto di Habitech per poter misurare i progetti di qualificazione e costituire un primo database di benchmark di progetti. Spiega Gabriele Pasetti Monizza, del Fraunhofer Institute, ideatore della griglia di valutazione del premio REbuild: «la metodologia messa a punto per il premio deve necessariamente evidenziare che gli aspetti prestazionali sono un elemento imprescindibile di un complesso quadro che include anche aspetti ambientali, economici e sociali. Sulla base di questa riflessione, i candidati sono stati valutati attraverso una griglia multicriteria, pesando algebricamente parametri che dovrebbero sempre essere considerati in occasione di interventi di risanamento.»

PRIMO PREMIO. In prima posizione troviamo il progetto Segreen Business Park, un’idea della società di progettazione architettonica Lombardini22. Si tratta di un esempio di riqualificazione immobiliare improntata al futuro e alla sostenibilità, posizionato in un’area che da sempre è un nodo strategico per il settore terziario direzionale, a 10 km dal centro di Milano e a 5 Km dall’Aeroporto di Milano Linate. Uno sviluppo di CBRE Global Investors, progettato interamente da Lombardini22.

SECONDO PREMIO. In seconda posizione ecco “Brennone21″, un’opera di architettura realizzata a Reggio Emilia da Laboratorio di Architettura Architetti Associati ed esempio reale di sperimentazione sul recupero a zero emissioni della città storica.

TERZO PREMIO. Il terzo premio è andato infine allo studio Park Associati Architetti per la loro ristrutturazione dell’edificio per uffici “La Serenissima”, sito in Via Turati, nel centro di Milano, una struttura progettata negli anni ‘60 da Ermenegildo e Eugenio Soncini.
* Sono state inoltre consegnate 5 menzioni speciali ad altrettanti progetti che hanno saputo eccellere in una delle 10 aree di valutazione. Le menzioni speciali vanno: Efficienza Energetica a Laboratorio Architettura, Sostenibilità e Ambiente a Agenzia CasaClima Srl, Comfort e qualità costruttiva a Park Associati Srl, Sostenibilità Economica a Lombardini22, Sostenibilità Sociale a C+D Architetti Associati.
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Video > Pensando a Corviale: allegoria storica di Segesta, un racconto di Tullio Sirchia

Il tempio di Segesta

Il tempio di Segesta

 

I viaggiatori di “Corviale domani” incontrano i giardinieri del re, esponenti della scuola alfamediale di Erice, leggono e discutono il manifesto di Corviale

 

 

 

 

Un giardino sul tetto a Corviale e un giardino sul tetto di un’area pseudonaturale del parco di Segesta. Realtà lontane, certo, ma forse un filo le lega. Nel primo si deve inventare una natura sulle”rocce”di cemento nel secondo la natura spontanea colonizza le rocce naturali. Una forza comune , la Natura, in cui si ci vuole riconoscere, una forza con cui dobbiamo fare comunque i conti sia se progettiamo ex novo sia se recuperiamo un paesaggio culturale che la natura tende ad assorbire. I tetti di Corviale , come le rocce di Timpone, possono essere e sono madri che aspettano di accogliere i semi della natura che il vento porterà. Certo nel primo esempio ci sarà l’intervento dell’uomo ma dopo la selezione naturale avverrà e potranno starci solo le piante che possono, come avviene nel giardino/parco di Segesta tra quei pochi centimetri di suolo che le rocce conservano. Le associazioni , allora, non sono più così piccole o modeste perché in entrambi i casi sarà la nostra abilità a scegliere con sapienza che farà la differenza come la stessa abilità ci dirà cosa togliere e cosa lasciare. Vento e sensibilità nelle scelte di arredo e di recupero naturalistico saranno le occasioni su cui misurare questi due potenziali esempi di umanità e naturalità…anche provocata.

 

hanno partecipato all’incontro: Tullio Sirchia, presidente scuola Alfamediale di Erice – Giovanna D’angelo, insegnante – Sonia Fermo, attrice, assistente al centro rifugiati politici di Calatafimi – Daniela Artioli, giornalista – Pietro Pedone, architetto paesaggista botanico – Sandro Zioni, Corviale domani




Consumo netto di suolo zero

suolo«Entro il 2020 le politiche comunitarie dovranno tenere conto dei loro impatti diretti e indiretti sull’uso del territorio, a scala europea e globale, e il trend del consumo di suolo dovrà essere sulla strada per raggiungere l’obiettivo del consumo netto di suolo zero nel 2050». Ma cominciare domani è già troppo tardi
La necessità di limitare il consumo di suolo e in particolare di suolo agricolo (8 metri quadrati al secondo, secondo i dati di ISPRA) è ormai entrata a tutti gli effetti nell’agenda politica nazionale. Dopo il DDL Catania, presentato dall’omonimo Ministro del governo Monti e arrivato fino all’approvazione della Conferenza Stato-Regioni, nell’attuale legislatura sono stati depositati tre disegni di legge di iniziativa parlamentare che hanno come obiettivo dichiarato la limitazione del consumo di suolo, a cui va aggiunto un ulteriore disegno di legge promosso direttamente dal governo Letta.
Questi disegni di legge hanno suscitato un acceso dibattito sui principali quotidiani trovando critici e sostenitori. Senza entrare nel merito del dibattito, un dato abbastanza sorprendente è che nessuna delle quattro proposte pare prendere le mosse dagli indirizzi e dai principi espressi in tema di consumo di suolo a livello comunitario. Nella comunicazione della Commissione Europea “Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse” [COM(2011) 571] uno specifico capitolo viene dedicato a terra (Land) e suoli (Soils). Per queste risorse, considerate a un tempo strategiche e vitali, viene fissato un obiettivo molto ambizioso e insieme di vasta portata per quanto comporta a livello urbanistico e territoriale: entro il 2020 le politiche comunitarie dovranno tenere conto dei loro impatti diretti e indiretti sull’uso del territorio, a scala europea e globale, e il trend del consumo di suolo dovrà essere sulla strada per raggiungere l’obiettivo del consumo netto di suolo zero nel 2050.
Purtroppo nella versione italiana della Comunicazione questo fondamentale principio del consumo netto di suolo zero (no net land take) non viene adeguatamente riportato e forse ciò può spiegare il suo mancato richiamo nei disegni di legge citati. Manca infatti nella traduzione italiana la parola chiave “netto”, un aggettivo solo all’apparenza accessorio che è stato invece volutamente inserito per le profonde implicazioni che sottende.
Consumo netto di suolo zero non significa infatti congelare l’infrastruttura urbana impedendo in assoluto di occupare nuovo territorio. Al contrario esso consente l’occupazione di spazi liberi purché questo avvenga a saldo zero, de-sigillando o ripristinando ad usi agricoli o seminaturali aree di pari superficie in precedenza urbanizzate e impermeabilizzate. E’ questa una specificazione fondamentale che introduce anche nella pianificazione urbanistica e territoriale il principio del riciclo e dell’economia circolare, già espresso nella strategia Europa 2020, con l’obiettivo finale di disaccoppiare lo sviluppo urbano dal consumo della risorsa suolo.
Con l’introduzione del termine “netto”, l’obiettivo del consumo di suolo zero da vincolo di fatto impraticabile si trasforma in motore di una nuova stagione di trasformazione urbana, fondata sulla riqualificazione dell’esistente e sul ridisegno del territorio urbanizzato, che non deve essere più considerato come un dato acquisito e irreversibile, ma come un corpo suscettibile di essere ridisegnato e ricucito secondo nuove e più funzionali orditure in grado anche di recuperare i guasti di uno sviluppo passato, di carattere spesso incontrollato e disperso, rivelatosi alla fine inefficiente ed anti-economico.
La sfida qui, più che fissare degli obiettivi quantitativi di consumo di suolo o enunciare principi generali di riuso che vengono poi sistematicamente disattesi, è quella di trovare gli strumenti e i meccanismi regolativi che consentano di avviare questo processo di rigenerazione urbana a consumo netto zero garantendo l’indispensabile sostenibilità economica degli interventi edilizi e infrastrutturali, sia per gli operatori immobiliari privati che per i soggetti pubblici.

E’ in quest’ottica, e come strumento di accompagnamento all’obiettivo fissato dalla Comunicazione sull’uso efficiente delle risorse, che la Commissione Europea ha successivamente pubblicato le Linee guida sulle migliori pratiche per limitare, mitigare e compensare l’impermeabilizzazione del suolo [SWD (2012) 101].
Il documento si rivolge agli Stati membri, agli enti locali, agli operatori del settore e in generale ai cittadini e ha come fine quello di fornire informazioni sul livello di impermeabilizzazione del suolo nell’Unione Europea, sulle cause e gli impatti, nonché sugli esempi di buone pratiche per contrastarlo. L’impermeabilizzazione del suolo è uno degli effetti del “consumo di suolo”, ma non coincide con quanto usualmente si intende con questa espressione, che riguarda piuttosto l’occupazione di aree agricole o semi-naturali per usi urbani (land take). In media circa la metà delle superfici urbanizzate risultano effettivamente impermeabilizzate con totale perdita delle funzioni del suolo. Anche in questo caso l’ordine delle parole del titolo non è casuale o secondario, ma stabilisce una precisa gerarchia di priorità in vista del raggiungimento dell’obiettivo più generale di fermare l’incremento di superfici impermeabilizzate e quindi il consumo effettivo di suolo.
Limitare l’impermeabilizzazione resta il principio di fondo che deve avere sempre la priorità su mitigare e compensare gli impatti, in quanto la perdita di suolo è di fatto irreversibile . Ai fini della limitazione è importante fissare obiettivi quantitativi che devono però essere accompagnati da adeguate misure di monitoraggio e controllo. La mitigazione interviene quando si occupano nuove aree per ridurre in situ le conseguenze negative dell’impermeabilizzazione del suolo, ad esempio utilizzando materiali di copertura permeabili che garantiscano l’invarianza idraulica. La compensazione dovrebbe essere utilizzata solo quando non è possibile limitare e mitigare e si traduce in interventi in aree diverse da quelle occupate per “compensare” su scala territoriale la perdita di funzioni dei suoli impermeabilizzati. Esempi di compensazione sono: il riutilizzo del suolo rimosso per ripristini in altri luoghi, la bonifica di siti contaminati, la rimozione o sostituzione di coperture impermeabili (manti stradali, edifici) con ripristino a verde (de-sealing), l’imposizione di un extra onere da utilizzare per interventi di tutela e risanamento dei suoli. In Europa, in particolare in Olanda e Germania, la compensazione è già oggi obbligatoria sia per gli interventi infrastrutturali che per le nuove lottizzazioni.
Sebbene la compensazione venga ultima come ordine di priorità nella gerarchia delle linee guida, essa agisce da rinforzo per limitare il consumo di suolo e può diventare la chiave per attuare la politica del consumo netto di suolo zero, soprattutto se intesa come ripristino di aree precedentemente occupate. E’ quello che succede in città come Dresda o Stoccarda dove sono stati introdotti regolamenti urbanistici che vincolano la costruzione sul terreno libero al recupero e ripristino, da parte del soggetto attuatore, di altri spazi già impermeabilizzati presenti all’interno del Comune.
Si tratta di fatto di una sorta di perequazione che attribuisce crediti di impermeabilizzazione a spazi costruiti relitti o inutilizzati (edifici e strutture con relative pertinenze in disuso quali parcheggi, aree cortilizie, piazzali) che una volta acquisiti attraverso il ripristino preventivo possono essere sfruttati per nuova occupazione di suolo in altre aree individuate dalla pianificazione comunale. E’ un modo questo di attivare un motore di riciclo delle aree urbane che consente di ridisegnare le città a parità di occupazione di suolo.
La priorità nelle politiche di contenimento del consumo di suolo rimane comunque quella di favorire la rigenerazione e riqualificazione del tessuto urbano esistente intervenendo sulle aree dismesse e sul patrimonio edilizio. Questo si interseca con un altro pilastro della strategia di Europa 2020 che è quello della de-carbonizzazione dell’economia e della transizione energetica. Un terzo dei consumi energetici, a livello nazionale come comunitario, proviene dal settore domestico e abitativo. La stragrande maggioranza degli immobili sono stati costruiti prima degli anni `90 e presentano pessime prestazioni energetiche (in molti casi consumi superiori di 10 volte alla classe A), bassa qualitá abitativa, inadeguati accorgimenti antisismici. Se si vogliono raggiungere gli obiettivi comunitari di riduzione delle emissioni e del consumo di combustibili fossili è soprattutto lì che bisogna intervenire
La “grande opera” del futuro deve quindi essere la riqualificazione edilizia promuovendo il riciclo delle aree e dei materiali di costruzione, nonché l`uso di tecniche di bio-edilizia che valorizzino le filiere produttive locali. Per fare questo bisogna approntare adeguate politiche regolative, fiscali e di facilitazione al credito con l`obiettivo di rendere più conveniente il recupero dell`esistente piuttosto che la costruzione del nuovo e orientare di conseguenza il mercato immobiliare. Tra queste azioni, oltre al vincolo del consumo netto di suolo zero, si annoverano:
defiscalizzazioni per interventi di ristrutturazione, di adeguamento sismico e di miglioramento energetico sulla base del modello già sperimentato con successo del 55 e ora 65%;
esenzione dal pagamento degli oneri di urbanizzazione, riduzione di altri oneri (occupazione di suolo pubblico, permessi, conversioni di uso), possibilità di incentivi volumetrici per interventi di riqualificazione, recupero, ristrutturazione che comportano un significativo abbattimento dei consumi energetici e delle emissioni;
forme agevolate di finanziamento e di ulteriore esenzione fiscali per condomini che deliberano di investire nella riqualificazione dell`immobile;
promozione e facilitazione d interventi sullo schema ESCO (Energy Service Company) con rafforzamento dello strumento incentivante dei certificati bianchi e del conto termico;
riforma della fiscalità comunale con disaccoppiamento delle entrate dal consumo di territorio e divieto di utilizzo degli oneri di urbanizzazione per la spesa corrente;
Ecco quindi che l’obiettivo comunitario del consumo netto di suolo zero va inteso non solo come un vincolo di una politica ambientale tesa a tutelare una risorsa strategica e vitale come il suolo, ma anche come stimolo e propulsore per avviare il grande cantiere della riqualificazione e del riassetto urbano in grado di rilanciare il settore delle costruzioni e di rendere al contempo più sostenibili e vivibili le nostre città. E’ solo su queste basi che si può uscire dalla crisi e costruire un reale e duraturo sviluppo coniugando le esigenze di sostenibilità e di tutela ambientale con quelle altrettanto stringenti di garantire lavoro e reddito di impresa.

postilla
Mi domando quale sarebbe il risultato di questa compensazione in Italia, dove l’unica legge rispettata dai forti è l’elusione della legge, deve la rendita e i “diritti edificatori”imperano, e dove la pubblica amministrazione è sempre meno motivata, autorevole, competente e attrezzata.
di NICOLA DALL’OLIO
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La bottiglia con la candeggina che illumina gratis trionfa nelle periferie di tutto il mondo

bottigliaAlfredo Moser è un meccanico brasiliano che ha avuto un’idea brillante nel 2002, dopo aver subito uno dei frequenti black-out che interessano Uberaba, la città dove vive nel sud del Brasile.

Stanco di guasti elettrici, Moser ha iniziato a giocare con l’idea della rifrazione della luce solare in acqua e in poco tempo ha inventato la “lampadina dei poveri”. “Wit” è semplice e disponibile a chiunque: una bottiglia di plastica riempita d’acqua da due litri a cui si aggiunge un po’di candeggina per preservarla dalle alghe. Il flacone è stato posto in un foro nel tetto e dotato di resina poliestere.

Il risultato? Illuminazione libera e organica durante il giorno, particolarmente utile per gli edifici e baracche che a malapena hanno finestre.

A seconda dell’intensità del sole, la potenza di queste lampade artigianali si aggira tra i tra 40 e i 60 watt. “E ‘una luce divina. Dio creò il sole e la sua luce è quindi per tutti “, ha riferito Moser alla BBC . “Non costa un centesimo ed è impossibile che si fulmini.”

Anche se l’inventore ha ricevuto piccole ricompense per le installazioni di Wit nelle case e in aziende locali, la sua idea non lo ha reso ricco.
Un grande senso di orgoglio: «Conosco un uomo che ha inserito le bottiglie e in un mese aveva risparmiato abbastanza per comprare beni di prima necessità per il loro bambino appena nato”, dice soddisfatto.
Un’idea che si è diffusa in tutto il mondo.

Ma la lampadina geniale non si è fermata a Uberaba. Negli ultimi due anni l’invenzione ha subito una grande espansione in tutto il mondo.

Ad esempio, la Fondazione MyShelter (mio rifugio) nelle Filippine ha accolto con entusiasmo l’idea. MyShelter è specializzata in costruzioni alternative utilizzando materiali come il bambù, pneumatici o su carta.

In Cina, dove il 25% della popolazione vive sotto la soglia di povertà e l’elettricità è particolarmente costosa, ci sono 140.000 famiglie che hanno fatto ricorso a questo sistema di illuminazione.

Il direttore esecutivo del MyShelter, Illac Angelo Diaz spiega che bottiglie-lampadine sono diffuse ad almeno quindici paesi, tra cui India, Bangladesh, Fiji e Tanzania.

“Non ho mai immaginato che la mia invenzione avrebbe avuto un tale impatto”, afferma Moser. “Solo a pensarci mi viene la pelle d’oca.”
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La bonifica, sessione plenaria del forum Corviale (22 novembre 2013)

Alfonso Pascale scrittore romano

Alfonso Pascale scrittore romano

Il Progetto Corviale 2020 si fonda sull’idea che la coesione sociale è una premessa, non l’esito dello sviluppo.

A Roma – ma anche in altre parti del Paese – questa idea si può considerare come una tradizione innovativa. Oggi la stiamo riscoprendo, ma è antica almeno quanto Roma Capitale d’Italia.

Se andiamo a vedere i progetti di bonifica integrale elaborati nei primi decenni del secolo scorso nell’Agro romano e poi, successivamente, quelli riguardanti la riforma agraria del secondo dopoguerra – che hanno interessato anche una porzione importante del Comune di Roma – notiamo che alla base dello sviluppo della nostra città, per un lungo periodo, c’è stata una visione sistemica del territorio. Una visione in cui  i legami comunitari, le relazioni umane, le forme dell’abitare, l’istruzione, la cultura, l’arte, i servizi socio-sanitari precedono e condizionano le iniziative per la crescita economica.

E’ una tipicità della cultura tecnica, economica e sociale della prima metà del Novecento quando si produssero significativi esperimenti di bonifica integrale con interventi idraulici, civili, urbanistici, socio-educativi e igienico-sanitari di grande spessore. Un filone utopico che è stato colpevolmente rimosso dalla memoria storica.

I guai seri per la nostra città sono iniziati quando si è abbandonata la visione sistemica dello sviluppo territoriale e si è imposta quella urbanocentrica, caratterizzata dalla separazione e frammentazione delle funzioni urbane e dalla riduzione delle aree agricole, di fatto, ad un ruolo di mera riserva in attesa di essere edificate.

E così da una visione integrata del paesaggio agrario – nel senso che ad esso dava Emilio Sereni come “forma impressa dall’uomo, nel corso e ai fini delle sue attività produttive agricole, al paesaggio naturale” – si è passati ad una visione meramente naturalistica del paesaggio. E tale cambio di ottica ha prodotto una sorta di “divisione del lavoro”  (un perenne e infruttuoso armistizio!) tra chi pianifica e realizza i quartieri e i servizi a questi connessi e chi gestisce le aree agricole sempre più residuali, a partire dalle aree protette.

Più che all’idea di rigenerazione – che richiama la falsa mitizzazione nostalgica dei bei tempi di una volta – dovremmo rifarci all’idea di bonifica integrale come processo perenne di trasformazione territoriale – abbandonando ovviamente ogni risvolto dirigistico e utopico del passato – da declinare, mediante l’utilizzo diffuso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, come bonifica della crosta urbana.

Europa 2020 è una grande opportunità per impostare con siffatta visione la crescita dei territori della nostra città. Una grande opportunità se il Comune di Roma e la Regione Lazio sapranno coglierla scegliendo di adottare l’approccio integrato nell’utilizzo dei Fondi europei.

Sei anni fa, quando si negoziò con Bruxelles la Programmazione 2007-2013, l’Amministrazione capitolina si disinteressò di questi aspetti e non pose al centro della propria iniziativa il ruolo che avrebbe potuto svolgere l’agricoltura urbana al servizio della città e l’esigenza di una strumentazione specifica plurifondo.

Subimmo così l’esclusione dagli incentivi destinati dalla politica di sviluppo rurale alle attività multifunzionali e di diversificazione che avrebbero offerto una qualche prospettiva alle aziende agricole della Campagna romana e, al contempo, una risposta concreta alle nuove sensibilità per lo sviluppo sostenibile manifestate in modo crescente dall’insieme dei cittadini.

Questa volta, è augurabile che Roma non perda di nuovo il treno.

Spetta alla Regione Lazio decidere se estendere l’approccio Leader, finora utilizzato solo nelle aree rurali, anche alle città e se i Partenariati pubblico-privati che nasceranno potranno utilizzare contestualmente i diversi Fondi comunitari. Il Comune di Roma farebbe bene a sollecitare la Regione a compiere questa scelta se vuole creare nei territori cittadini delle vere e proprie comunità.

E’ ormai sempre più palese che le trasformazioni territoriali non si possono più né programmare né pianificare con gli strumenti che abbiamo utilizzato finora. Si possono solo accompagnare con percorsi partecipativi condivisi, da progettare “ad alta risoluzione”. Ma questa modalità richiede una rigenerazione – qui è proprio il caso di usare questo termine! – della funzione pubblica che deve acquisire la cultura partecipativa e quella della sussidiarietà e la capacità di riconoscere alla società civile la funzione di autorganizzarsi sulla base di valori comunitari per gestire i beni collettivi.

In sostanza, ci vogliono nuovi occhi perché gli spazi aperti, quelli edificati, le attività non vanno più visti come entità rigide, separate e monofunzionali, ma vanno scomposti e ricostruiti in modo polivalente. I singoli soggetti e i gruppi che li compongono non vanno più separati per categorie e ingabbiati in determinati interessi specifici. Si tratta, invece, di cogliere la molteplicità e, al contempo, l’unitarietà dei bisogni degli individui, ricomponendone i frammenti.

Oggi l’agricoltura non è più soltanto un settore produttivo – come lo abbiamo immaginato quando eravamo pervasi di cultura fordista – ma è anche un’attività che fornisce alla città servizi sociali, culturali, ricreativi e ambientali e che ha pertanto bisogno di spazi edificabili.

Oggi il Welfare in trasformazione non è soltanto il vecchio Stato sociale redistributivo ma è anche un Welfare produttivo.  Altro che fine del sociale! Siamo ad un suo rilancio ma su nuove basi: un Welfare che dismette le forme assistenzialistiche del passato per produrre esso stesso – in forme imprenditoriali – ricchezza, occupazione, benessere collettivo.

Dobbiamo, dunque, progettare gli spazi e le attività come insediamento nell’antispazio delle reti informatiche, come nodi delle reti, polivalenti, interscambiabili. Senza rigidità e separatezze. Dobbiamo costruirli come sensori, quasi interfacce di computer.

Per costruire le interconnessioni bisogna praticare senso di comunità e fraternità civile e avere sotto gli occhi le mappe del territorio. Più un territorio autorappresenta le sue funzioni sotto forma di mappatura in continuo divenire, più il suo destino evolve in un processo di ri-appropriazione collettiva dell’identità. Un’identità perennemente mutevole perché aperta al diverso.

Il Progetto Corviale 2020 non ha più nulla di utopico perché la sua realizzazione avviene nella concretezza quotidiana della pratica relazionale generativa di fiducia e dell’utilizzo diffuso delle tecnologie di nuova generazione. E’ questo il significato dello slogan “Il territorio è la sua mappa”. E qui si colloca anche un’evoluzione della logica distrettuale, che diventa capacità di una comunità in movimento di autodefinirsi, modificando continuamente – con l’innovazione sociale – la mappa delle sue funzioni.

 

 




Le città volanti, le funivie alla conquista dei centri urbani

funiviaMolto più economiche, ecologiche, veloci e perfino belle le cabinovie stanno diventando sempre più un’alternativa a metro e tram. Dopo Londra, Rio e Medellin, nuovi progetti sono pronti per decollare in mezzo mondo, da Lagos ad Ankara, da Amburgo a La Mecca
È nei dettagli che si nasconde il diavolo. Così, tra un futuro visionario e uno molto più banale, la differenza può farla un semplice filo. Intere generazioni di autori di fantascienza hanno immaginato città avveniristiche dove il traffico è sparito, sostituito da un viavai di navicelle che si muovono libere nell’aria. Effettivamente è ciò che sembrano riservarci gli anni a venire, ma il merito non sarà di qualche rivoluzionario sistema di trasporto capace di vincere la gravità. A trasferire buona parte degli spostamenti a qualche decina di metri da terra sarà piuttosto una tecnologia vecchia di oltre un secolo: la funivia. Più ecologica, più economica, più semplice da gestire e spesso decisamente più bella, la funivia sta emigrando dalle cime delle montagne per conquistare sempre più spazi in città, dimostrando di essere anche nelle zone di pianura una validissima alternativa a bus, tram e metropolitane.

LE IMMAGINI

“Le cabinovie e i sistemi di transito a cavo sono al momento una delle tecnologie più dinamiche e a più rapida diffusione al mondo”, spiega Steven Dale, urbanista canadese a capo del Creative Urban Projects. “Mano a mano che un numero crescente di città fa a gara per realizzare reti di trasporti sempre più complesse, aumenta il ricorso alle funivie per risolvere i loro problemi”, sottolinea.

“È una tendenza generale, ma a trascinare il boom è soprattutto l’America Latina”, conferma Carlo Iacovini, manager di Clickutility e curatore di un recente convegno dedicato al tema dalla fiera Citytech. “L’economicità delle linee – osserva – consente l’accessibilità per quelle aree localizzate in collina e poco raggiungibili con servizi di terra. Spesso si tratta di periferie degradate ad altissima densità abitativa che si possono raggiungere solo sorvolandole. Medellin Metrocable in Colombia è in servizio dal 2006; ha reso accessibile il quartiere Aburra Valley trasportando seimila passeggeri all’ora e risollevandolo da una situazione di degrado e isolamento. Rio de Janeiro ha inaugurato la prima Teleferica Do Aleman nel 2011 con 3,5 km di lunghezza e sei stazioni che collegano alcuni quartieri residenziali con il centro, con una capacità di tremila persone all’ora. Il successo è stato tale che si è replicato con una seconda linea aperta in queste settimane che unisce il quartiere di Morro da Providencia (la più antica favelas di Rio) con il centro in pochi minuti”.

I numeri dei collegamenti via cavo sono sorprendenti. Ogni chilometro costa tra i tre e i quattro milioni di euro contro i cento di una linea metropolitana, ma può garantire lo spostamento anche di tre o quattro mila persone all’ora, con punte fino a ottomila. “Ancora più interessanti sono i costi di gestione, davvero bassissimi visto che queste linee hanno bisogno di poco personale di controllo e solo alle stazioni del capolinea “, sottolinea Maurizio Todisco, manager della Leitner, azienda altoatesina leader del settore. Molto più silenziose e meno inquinanti grazie ai motori elettrici, le funivie hanno anche tempi di realizzazione decisamente più rapidi visto che, se il percorso non prevede ostacoli particolari, un classico tracciato cittadino da 5-6 km richiede meno di un anno per la sua realizzazione mentre tram e metropolitane possono avere bisogno di oltre un decennio. Così, a fronte di questi vantaggi, la lista delle città che hanno già scelto o che si accingono a scegliere la mobilità via cavo si allunga di mese in mese.

“Nel giro di pochi anni la parte del nostro fatturato derivante da cabinovie urbane è passato dal dieci al venti per cento del totale e siamo convinti che il business del futuro ormai sia sempre più questo”, sottolinea ancora Todisco. La Paz, Tolosa, Groningen, Lagos, Amburgo, La Mecca sono solo alcuni dei nomi di un elenco di progetti che tocca ormai i cinque continenti, ma il caso più clamoroso è forse quello di Ankara dove è in via di realizzazione un vero e proprio reticolo di linee aeree che anche nella mappa ricorda a tutti gli effetti la tipica ragnatela di un efficiente sistema di metropolitane. E chi non passa alle funivie per risolvere i problemi di traffico lo fa per richiamare turisti, come Londra, dove la linea che sorvola il Tamigi inaugurata in occasioni delle Olimpiadi del 2012 è diventata una delle principali attrazioni.

Sostanzialmente assente da questo grande fermento l’Italia, malgrado abbia in casa un’azienda come la Leitner che insieme agli austriaci della Doppelmayr si spartisce il mercato mondiale del settore. Da noi, da Segrate a Genova, dal Ponte sullo Stretto all’Eur di Roma, siamo fermi a qualche progetto a corto di soldi o in attesa di passare dalle tante forche caudine burocratiche. Eppure non mancano le idee d’avanguardia. L’architetto Stefano Panunzi, docente di Ingegneria edile all’Università del Molise, sponsorizza da anni la proposta di una “circolare volante ” che unisca i vecchi forti dismessi che fanno da corona al centro di Roma, ma davanti allo stop della sovrintendenza collabora ora alla battaglia per la realizzazione di una cabinovia che unisca una zona periferica (Casalotti) al capolinea di una linea della metro (Battistini). “Ma non bisogna farne una questione ideologica, le funivie non sono una panacea, occorre promuoverle partendo dal basso, sulla spinta dei cittadini e dei comitati di quartiere finalmente consapevoli che esistono delle valide alternative, economiche ed ecologiche, per riqualificare i loro quartieri”.

Anche quest’ultimo progetto per il momento è solo un sogno, ma come spesso accade, nel paese dove il normale è quasi sempre impossibile, a volte succede qualcosa di eccezionale. È il caso di Perugia, dove dal 2008 è in funzione il primo esemplare al mondo di “minimetro”, una teleferica composta da 25 vagoni privi di conducente che adagiati su un binario vengono tirati da un cavo lungo un percorso di 4 km articolato in sette fermate, compresi i capolinea.
di VALERIO GUALERZI
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Napoli, inaugurata la metro Quartieri Spagnoli: «È la più bella d’Europa»

metroLa metro arriva nel cuore dei Quartieri spagnoli a Napoli: la seconda uscita della stazione Toledo della Linea 1 è stata inaugurata oggi.
La seconda uscita, aperta ai passeggeri a partire dalle 14, completa il tema del progettista catalano Oscar Tusquets Blanca che attraverso i colori ha indicato sui muri della metro i livelli di profondità: il nero per la terra, l’ocra del tufo, l’azzurro dell’acqua. Due tapis roulant conducono da Toledo a Montecalvario e sui pannelli retroilluminati ci sono gli scatti del fotografo Oliviero Toscani, raccolti nell’opera Razza Umana.
Dai 50 metri di profondità si risale con la scala mobile più lunga d’Europa, circa 60 metri, superando un dislivello di 31 metri. I pannelli in nero portano la firma dell’artista statunitense Laurence Weiner e l’ingresso è decorato dal pannello in mosaico di ceramica di Francesco Clemente.
«La stazione rientra nel piano di completamento – spiega il presidente della Metropolitana di Napoli, Giannegidio Silva – della linea che ci porta a inaugurare due stazioni all’anno con un ritmo regolare».
L’intera Linea 1 Dante-Garibaldi ha costo complessivo di più di 1,3 miliardi di euro ed è inserita tra i Grandi Progetti approvati dall’Unione Europea. La Regione Campania ha assegnato più di 700 milioni di euro di risorse Por, cui si aggiungono 659 milioni di altre risorse (fondi statali, fondi privati e mutui del Comune di Napoli). Dal Por sono stati già erogati 434 milioni.
«Un’opera funzionale che collega via Toledo con i Quartieri spagnoli e che ha portato a una riqualificazione importante» ha detto il sindaco di Napoli. Fatti salvi imprevisti dell’ultim’ora, «il prossimo 30 novembre ci sarà l’inaugurazione della stazione metropolitana, sempre Linea 1, di piazza Garibaldi» e «dal primo dicembre partiranno i cantieri per la tratta Centro direzionale-Capodichino».
«Non è un caso che abbiamo inaugurato l’uscita di Montecalvario durante la settimana della mobilità sostenibile – ha affermato -. Ed è frutto del lavoro sinergico e forte tra Regione Comune e metropolitana».
«Questa stazione verrà premiata in settimana a Londra come la più bella stazione d’Europa – ha concluso il sindaco – un bel segnale per la città».
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