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Il più grande ponte solare del mondo inaugura a Londra

ponte tamigi apre4.400 pannelli fotovoltaici che forniscono la metà dell’energia necessaria per la stazione ferroviaria di Blackfriars

La stazione ferroviaria di Blackfriars, nel centro di Londra, trae metà della sua energia da 4.400 pannelli solari installati sul tetto.

Dopo quasi cinque anni di lavoro, Network Rail (l’Ente ufficiale delle ferrovie inglesi) ha inaugurato qualche giorno fa quello che è già stato a più voci definito “il più grande ponte a energia solare del mondo”, il Blackfriars Bridge che attraversa il fiume Tamigi.

TAGLIARE 511 TONNELLATE ALL’ANNO DI EMISSIONI INQUINANTI. Nell’ambito di un progetto condotto in collaborazione con la società di impianti solari Solarcentury, il tetto del ponte è stato rivestito con 4.400 pannelli fotovoltaici.
First Capital Connect, gruppo che gestisce di Blackfriars, ha fatto sapere che ci si aspetta che i pannelli arrivino a tagliare le emissioni di carbonio della stazione di circa 511 tonnellate l’anno.

PUNTO DI RIFERIMENTO ICONICO. “I treni elettrici sono già la forma più verde di trasporto pubblico: ora, con questo tetto, forniamo ai nostri passeggeri un viaggio ancora più sostenibile,” ha commentato David Statham, amministratore delegato di First Capital Connect. “Il tetto ha anche trasformato la nostra stazione in un punto di riferimento iconico visibile per chilometri lungo il Tamigi.”

UN PROGETTO SOLARE CHE SI SPERA SARÀ DA ISPIRAZIONE. Il progetto è stato uno dei più complessi feffettuati fino ad oggi per l’azienda Solarcentury, che ha installato i pannelli in una serie di fasi successive nel corso degli ultimi due anni, fermandosi durante i Giochi Olimpici del 2012. Un progetto complesso che si spera possa essere da esempio, ispirando altre infrastrutture del genere e non solo a Londra (da anni impegnata per diventare una città modello per sostenibilità).

“Il fatto che un’istituzione storica come Network Rail abbia investito fondi nel progetto è un grande segno per l’industria solare” ha commentat Statham di First Capital Connect.

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Realizzata presso il Campus universitario di Savona la prima microrete energetica intelligente

microreteSi tratta del primo esempio di microrete energetica intelligente in Italia: è la Smart Polygeneration Microgrid (SPM), progettata dall’Università di Genova e sviluppata da Siemens.

Realizzata presso il Campus universitario di Savona, è stata inaugurata oggi alla presenza delle più importanti istituzioni locali, di rappresentanti del MIUR, dell’Ateneo di Genova e del top management di Siemens.

Laboratorio per testare la città intelligente

La microgrid di Savona rappresenta un laboratorio per sperimentare la smart city, in futuro replicabile su più ampia scala. È “smart” perché in grado di gestire in modo efficiente l’energia prodotta al suo interno, bilanciando generazione e carichi con conseguenti risparmi economici e riducendo l’impatto ambientale dal punto di vista delle emissioni di CO2.

Autonomia quasi completa per consumi elettrici e riscaldamento

Paragonabile a un quartiere cittadino con funzioni urbanistiche differenziate, il Campus è ora quasi completamente autonomo per consumi elettrici e riscaldamento. Questo risultato è ottenuto grazie al collegamento di diversi impianti di generazione, rinnovabili e ad alta efficienza, governati da un software centrale, per una capacità complessiva di 250 kW elettrici e 300 kW termici.

“Dal 2011 investiamo nelle tecnologie per lo sviluppo delle smart grid, tassello fondamentale per costruire la città del futuro. Il lavoro portato avanti negli ultimi anni dal team di ingegneri di Milano ci ha permesso di maturare esperienze e know-how importanti. Per questo la nostra casa madre ha deciso che fosse proprio l’Italia il centro di competenza mondiale sullo sviluppo di soluzioni per la gestione dell’infrastruttura di ricarica dei veicoli elettrici”, spiega Federico Golla, Presidente e Amministratore delegato di Siemens Italia. “Una gestione dell’energia intelligente è il presupposto per mettere al sicuro la nostra rete nazionale, ridurre gli sprechi e in ultima analisi abbassare i costi della bolletta”.

Sala di controllo e piattaforma DEMS

Il cuore della microrete di Savona è la sala di controllo situata sempre all’interno del Campus. Da qui è possibile supervisionare l’intero sistema e garantirne la gestione intelligente, seguendo strategie operative ideate e validate con successo dall’Università di Genova.

La piattaforma di energy management DEMS (Decentralized Energy Management System) sviluppata da Siemens permette di prevedere i consumi globali, la generazione da fonte rinnovabile e di effettuare la pianificazione dell’esercizio, controllando in tempo reale le unità di generazione tradizionali presenti in campo ed ottimizzando i cicli di carica e scarica dei sistemi di accumulo per valorizzare al meglio la produzione da fonte rinnovabile.

Vantaggi ambientali ed economici

All’impatto positivo sull’ambiente dovuto alla riduzione complessiva delle emissioni di CO2, stimabile in 120 tonnellate/anno, si uniscono vantaggi anche dal punto di vista economico. Prima di tutto per quanto riguarda la gestione corrente, in quanto, grazie all’energia elettrica e termica autoprodotte, è possibile ridurre considerevolmente i prelievi di elettricità dalla rete esterna e il consumo di gas nelle caldaie tradizionali per il riscaldamento degli ambienti.

Risparmi che potranno essere impiegati dall’Università di Genova per il finanziamento di integrazioni tecnologiche ed impiantistiche ed in generale per ulteriori attività di ricerca sperimentale e dimostrativa.

Le componenti

Le componenti della micro rete si snodano all’interno del polo universitario. Nello specifico, vi sono tre microturbine a gas ad alta efficienza, un chiller ad assorbimento per la produzione contemporanea di elettricità, calore per il riscaldamento in inverno ed energia frigorifera per il raffrescamento in estate; una rete di teleriscaldamento; due colonnine di ricarica, due veicoli elettrici e due biciclette elettriche; tre parabole per la produzione di energia da solare a concentrazione un impianto solare fotovoltaico; quattro quadri elettrici collegati tra loro ad anello; un sistema di accumulo elettrochimico in grado di bilanciare generazione e carichi e, senecessario, compensare gli sbilanciamenti dovuti alla variabilità della generazione da fonte rinnovabile; una dorsale di comunicazione basata su unità di raccolta dati, collocate nei quadri principali.

Progetto Energia 2020

“Con l’inaugurazione della nostra rete energetica intelligente si completa il primo tassello del progetto ‘Energia 2020’, un intervento ambizioso dell’Università degli Studi di Genova nell’ambito delle direttive comunitarie sull’energia sostenibile, che prevede la realizzazione presso il Campus di Savona oltre che della Smart Polygeneration Microgrid, di uno smart building completamente eco-sostenibile ed automatizzato e di una serie di interventi di riqualificazione energetica degli edifici esistenti, con l’obiettivo di disporre di una struttura universitaria all’avanguardia dal lato del risparmio energetico e del comfort lavorativo”, spiega Federico Delfino, Responsabile Scientifico per l’Università degli Studi Genova del progetto Smart Polygeneration Microgrid.

“Nel corso del prossimo biennio 2014-15 – continua Delfino – contiamo di rafforzare la collaborazione virtuosa università-impresa con Siemens, per consolidare presso il nostro polo ciò che è ormai diventato un importante centro di competenza nel settore delle smart grids e della smart energy, con possibili ricadute formative per i nostri studenti”.

“Metteremo a frutto le esperienze di Savona nella sperimentazione di questa microgrid, e quanto stiamo già facendo in altre città come Torino, Milano e Genova, come partner del progetto Smart city, per sviluppare iniziative future – prima fra tutte Expo 2015”, conclude Golla.

http://www.casaeclima.com/ar_17139_ACADEMY-Energia-Ambiente-microgrid-smart-city-siemens-Inaugurata-a-Savona-la-Smart-Polygeneration-Microgrid-SPM.html




Cohousing, a Milano nuovo progetto “social” da cinquanta appartamenti

cohousing_6401Orti e frutteti in comune, spazi per i bambini o il bricolage. Presentato a Milano un piano edilizio,vicinio all’abbazia di Chiaravalle, secondo la formula della condivisione e del “mutuo soccorso” tra vicini. “Uno stile di vita sostenibile”

Cinquanta nuovi appartamenti nei pressi dell’abbazia di Chiaravalle, poco fuori Milano, ricavati da una cascina del ‘600. E spazi comuni da condividere con gli altri condomini. E’ il nuovo progetto che dovrebbe nascere in cohousing entro la primavera del 2016, se tutto va bene. Il terreno che circonda la cascina potrebbe essere destinato a orti e frutteti, gli spazi comuni accogliere depandance per gli ospiti, spazi riservati ai bambini o al bricolage, piscina e fitness room. L’uso, comunque, lo decideranno gli acquirenti nel corso delle riunioni partecipate. Perché il cohousing prevede proprio questo: partecipazione, condivisione. Pur vivendo ciascuno nel proprio appartamento.

I prezzi non sono esattamente popolari: si va dai 2900 ai 3000 euro al metro quadrato. Ma è incluso il plus dei servizi comunitari, assicurano i promotori. E il risparmio si dovrebbe misurare sul lungo periodo in termini di consumi energetici: geotermia e pannelli fotovoltaici consentirebbero di riscaldare e raffreddare lo stabile praticamente a costo zero.

Il cohousing è una pratica già ampiamente diffusa nel Nord Europa che da qualche anno sta prendendo sempre più piede anche a Milano. Una sfida, in tempi di crisi, il cui obiettivo è favorire l’unione di forze e risorse. In fondo la si potrebbe vedere come la versione evoluta dei rapporti di buon vicinato, in passato improntati alla solidarietà e allo scambio e ormai scomparsi – o perlomeno resi sempre più anonimi – dagli orizzonti delle grandi città come Milano.

Ma non si tratta solo di questo. Perché lo spirito del cohouser prevede di collaborare all’organizzazione di attività collettive, dalla cura dell’orto alle feste di compleanno, ma anche di promuovere la creazione di gruppi di spesa a chilometro zero e incentivare forme di mobilità alternativa come il car sharing. Un “lavoro” quasi a tempo pieno (che inevitabilmente taglia fuori individualisti e pigroni). I progettisti, dal canto loro, dovrebbero impegnarsi a utilizzare fonti di energia rinnovabili per contenere consumi ed emissioni. Partecipazione, insomma, ma anche innovazione.

Il nuovo progetto di Cohousing Chiaravalle è stato presentato oggi da Newcoh, la stessa società che ha già realizzato 5 edifici tra capoluogo lombardo e hinterland, tra cui quello di Milano Bovisa e il più recente Terra Cielo a Rodano, in classe energetica A+.

Il cohousing, sostiene il responsabile del progetto Marco Bolis, nasce come risposta a un desiderio sempre più forte di socialità e di condivisione, oltre al bisogno di uno stile di vita sostenibile. “A Milano i vicini mi salutavano a malapena, la qualità della vita, con due bambini, era bassissima”, spiega Massimo Annibale Rossi, presidente di una Ong e tra gli abitanti del complesso Terra Cielo di Rodano. “Con il cohousing ho scoperto i vantaggi della vita comunitaria senza rinunciare alla privacy. Anche se le porte di casa mia sono quasi sempre aperte”.

A Chiaravalle resta un’incognita: la cascina è occupata da famiglie rom, che dovrebbero venire sgombrate e sistemate altrove prima dell’inizio dei lavori. Per loro niente cohousing.

di 




PARTECIPAZIONE, DAVVERO

partecipazione

Romasperimenta –  Trasformarelacittà

 

Cinema Tiziano 11 febbraio dalle 17 alle 19.30

 Si parla molto di partecipazione, ma  ben pochi sanno veramente in che cosa consiste.

Molti hanno capito  come “non deve” essere – una pseudo consultazione che non coinvolge i cittadini nelle scelte – e  molti credono che sia una specie di “democrazia diretta”, in cui sono i cittadini che decidono tutto.

Per cominciare con il piede giusto l’esperienza che decollerà a breve al Flaminio per la trasformazione dell’area della ex caserma di Via Guido Reni, Carteinregola e  Cittadinanzattiva Flaminio organizzano un seminario sulla partecipazione,  invitando i comitati e i cittadini del quartiere ma anche della città, nella prospettiva di rendere il Flaminio-Villaggio Olimpico, oltre a  un laboratorio di  trasformazioni urbane, anche un laboratorio di cittadinanza attiva.

Saranno chiamati a intervenire  diversi comitati cittadini che hanno vissuto esperienze di progetti partecipati autogestiti o avviati insieme alle istituzioni, saranno raccontati esempi viurtuosi e fallimentari, saranno invitati  i responsabili del processo di partecipazione del progetto del Flaminio insieme a  esperti, autori di studi e seminari sulla partecipazione.

Sul sito di Carteinregola verrà inaugurata una sezione con un censimento delle esperienze passate e in corso nell’area di Roma Metropolitana

Partecipano:

Luca Lo Bianco Capo segreteria Assessorato alla Trasformazione Urbana di Roma Capitale.Esperto di sviluppo locale partecipato

Carlo Cellamare  docente di urbanistica della Sapienza, autore di libri e  pubblicazioni su progetti partecipati (tra cui Progettualità dell’agire urbano. Processi e pratiche urbane Editore: Carocci)

Mirella Di Giovine Direttore Dipartimento Patrimonio – Sviluppo, Valorizzazione di Roma Capitale. Come Direttore del Dipartimento XIX Politiche per lo sviluppo ed il recupero delle Periferie  ha gestito  politiche integrate di cui facevano parte processi partecipativi

Riccardo D’Aquino docente  di progettazione University Rome Center,  è nel direttivo di Cittadinanzattiva Flaminio

Alessandro Giangrande già docente Roma 3 – Associazione PSP, Progettazione Sostenibile Partecipata – COORDINAMENTO CITTADINO PROGETTO PARTECIPATO EX RIMESSA ATAC VITTORIA

Emma Amiconi, Direttore Fondaca  Fondazione per la Cittadinanza Attiva

Maurizio Colace, Rinascimento di Roma

Paolo Gelsomini, Coord. residenti Città Storica Carteinregola

Mario Spada come  consulente del Comune di Roma ha promosso dal 1994 al 1998 le prime sperimentazioni di partecipazione dei cittadini ai programmi di rigenerazione urbana realizzando una rete di laboratori di quartiere.

I COMITATI CITTADINI*

Coordina Carlo Infante Urban Experience

La partecipazione non è direttamente proporzionale alla quantità degli interventi su un palco. Utilizziamo il blog di Romasperimenta come piattaforma collaborativa di orientamento e aggregazione per tutte le realtà che vogliono raccontare esperienze di  partecipazione attiva alle trasformazioni urbane, sia come buone pratiche, sia come esempi fallimentari. INVITIAMO I COMITATI CITTADINI A INVIARE LINK ALLE PAGINE WEB CHE RACCONTANO I PERCORSI PARTECIPATI VISSUTI  a romasperimenta@gmail.com

Cominciamo da martedì un percorso di riflessione collettiva sulla “partecipazione” dei cittadini alle trasformazioni urbane e non solo, partendo dal Flaminio, al Cinema Tiziano  (> vai alla pagina) di fronte alla ex caserma di via Guido Reni, che  nelle prossime settimane diventerà protagonista di un  laboratorio partecipato con i comitati di quartiere. Cominceremo da qui a raccontare e a raccontarci come si può partecipare, ma continueremo  in altri quartieri della città, in più incontri, fino a organizzare una iniziativa che coinvolga tanti comitati e tante esperienze prima dell’estate.Intanto cominciamo ad accumulare informazioni, suggestioni, riflessioni alla pagina “partecipazione”. E a proporvi  due  video: il primo a cura di Mario Spadaracconta il “Progettare con i cittadini”  , il secondo un’esperienza gestita da Urban Experience in Puglia…

http://carteinregola.wordpress.com/2014/02/08/partecipazione-davvero/

RIFLESSIONI E ESPERIENZE DI PARTECIPAZIONE

http://www.statigeneralinnovazione.it/online/dare-forma-alla-partecipazione-23-novembre-citta-dellaltra-economia-nuova-tappa-della-roadmap-del-progetto-roma-smart-city/

http://www.urbanexperience.it/eventi/roadmap-per-roma-smart-citydare-forma-alla-partecipazione/

SULLA EX CASERMA DI VIA GUIDO RENI AL  FLAMINIO

https://cittadinanzattivaflaminio.wordpress.com/progettoflaminio/casermadiviareni/partecipazione-al-flaminio-il-diario/

 

 




Arco di Travertino, i residenti chiedono servizi contro il degrado

arco travertinoCi sono voluti 8 anni di analisi, studi e lavori (interrotti e poi ripresi) per ridisegnare piazzale dell’Arco di Travertino e il risultato finale lascia l’amaro in bocca ai residenti del quartiere.

Finiti i lavori nell’agosto 2012, a lungo si è temuto che la struttura nel piazzale – per anni capolinea Atac – rimanesse una cattedrale nel deserto ma a fine ottobre il parcheggio di scambio è stato inaugurato. I posti auto a disposizione sono per ora 900 e le tariffe sono agevolate per gli utenti Atac: per gli abbonati metrebus la sosta è gratis mentre per gli automobilisti il costo del parcheggio (che è aperto negli orari della metro ed è gestito da Atac) è di 1 un euro e 50 per le prime 12 ore. Le linee 85, 409, 657, 671 e 765 sono tornate ad effettuare il capolinea nei nuovi stalli del piazzale antistante la stazione metro mentre la linea 661 è stata soppressa.

La cerimonia di inaugurazione si è svolta in sordina per sottolineare come la struttura, costata finora circa33 milioni di euro, debba ancora essere completata. Per definire quest’ultima fase dei lavori, modalità di finanza della spesa e servizi che ospiterà, si è già costituito un tavolo tecnico con gli assessori alla Mobilità, Improta, all’urbanistica, Caudo, e il presidente del VII Municipio, Susi Fantino. Ma la maggior parte dei residenti del quartiere è scontenta di quanto realizzato finora e i comitati che hanno osteggiato dall’inizio l’apertura dei cantieri, tornano all’attacco.

Per il comitato Arco di Travertino sarà fondamentale realizzare la piazza coperta con i servizi utili ai residentianche come argine al degrado del quartiere. Sottolinea Fabrizio Carnevale del Comitato: “Marino ha mantenuto gli impegni, ora si devono concludere i lavori, in primo luogo una biblioteca e una nuova Asl, dopo la chiusura della vecchia sede in Via di Acqua Donzella e il suo dislocamento in posti diversi”.

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Manifesto delle città metropolitane

metropoli

Un Manifesto delle città metropolitane, che potrebbero essere motore di crescita per il Paese. Il documento è il risultato del lavoro della Rete delle associazioni industriali metropolitane, un network di 10 realtà confindustriali.

Il Manifesto per le città metropolitane è un documento di lavoro con le priorità e le aspettative del mondo produttivo. Le Città metropolitane – si legge nel documento – sono il motore delle economie nazionali, fondamentali per le prospettive di sviluppo del sistema industriale, come dimostrato dalle esperienze europee di Barcellona, Lione, Monaco, Stoccolma, Amsterdam. Il Manifesto è frutto dell’impegno del territorio, nato dal lavoro della rete delle Associazioni industriali metropolitane di Confindustria, un network costituito da dieci associazioni confindustriali: Assolombarda; Confindustria Bari e Barletta-Andria-Trani; Confindustria Firenze; Confindustria Genova; Confindustria Reggio Calabria; Confindustria Venezia; Unindustria Bologna; Unindustria – Unione degli industriali e delle imprese di Roma, Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo; Unione industriali della Provincia di Napoli e Unione industriali Torino

Aree metropolitane motore delle economie nazionali

Le aree metropolitane – si legge nel Manifesto – sono il motore delle economie nazionali e hanno un ruolo sempre più rilevante negli scenari economici, sociali e istituzionali. È necessaria una geografia amministrativa coerente con la geografia economica e sociale del territorio. Nelle aree metropolitane si concentra gran parte di popolazione, prodotto interno lordo, gettito fiscale e investimenti pubblici. La frammentazione dell’organizzazione territoriale e amministrativa al loro interno è un problema di interesse nazionale che deve essere superato. Questo visto che la scala più efficiente per attrarre investimenti è quella metropolitana.

Una volta costituite le Città metropolitane possono svolgere meglio alcune funzioni fondamentali: migliorare la produzione e la regolazione di beni e servizi pubblici locali; realizzare una maggiore dimensione delle economie di scala, costruire politiche urbane più integrate e una pianificazione solidale del territorio, aumentare gli investimenti pubblici e ridurre la loro duplicazione; esercitare il potere unitario nella negoziazione di accordi con le amministrazioni periferiche per la realizzazione di interventi di interesse nazionale, quali infrastrutture e trasporti.

Correggere il ddl in Parlamento

È all’esame del Parlamento l’iniziativa del Governo assunta con il ddl “Disposizioni su città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni”, che istituisce direttamente le città metropolitane, senza prevedere il rinvio alla volontarietà dell’iniziativa da parte degli enti locali interessati. Il ddl, già approvato dalla Camera e ora in discussione al Senato, non raggiunge l’obiettivo di snellire la burocrazia – si legge nel Manifesto – e rischia di trasformare le aree metropolitane in un ulteriore livello politico e amministrativo. La cornice legislativa risulta, infatti, per alcuni aspetti ancora inadeguata , in particolare dove prevede la possibilità di istituire ulteriori città metropolitane rispetto a quelle previste dal progetto originario.

Si rischia così di snaturare il concetto stesso di Città metropolitana, che diventerebbe una semplice variante della Provincia invece che un’istituzione speciale di governo destinata a caratterizzare le maggiori aree urbane del paese. Questo potrebbe creare gravi difficoltà nell’individuare politiche che possano caratterizzare in modo differenziato le più importanti realtà urbane, a partire dal Pon (Programma operativo nazionale) di utilizzo dei fondi strutturali europei per le città metropolitane previsto per il periodo 2014-2020. La Città metropolitana non deve creare un ulteriore livello politico e amministrativo aggravando la complessità e la frammentarietà del contesto istituzionale che le imprese italiane fronteggiano ogni giorno.

Le priorità del mondo produttivo

La Città metropolitana dovrà mettere in moto strumenti di programmazione e pianificazione strategica, capaci di individuare risorse, tempi, soggetti e modalità attuative, valorizzando la progettualità locale e delineando una visione condivisa delle vocazioni e delle prospettive di sviluppo dei territori. Dovrà accorciare – si legge nel Manifesto – i tempi della decisione pubblica; raggiungere una maggiore efficienza tecnico-amministrativa.

Dovrà attivarsi per lo sviluppo metropolitano e locale, realizzando interventi incisivi per la competitività del territorio e il sostegno delle imprese su temi strategici come: il marketing territoriale e l’attrazione degli investimenti; la realizzazione degli obiettivi dell’Agenda digitale; l’accompagnamento alla localizzazione di nuove imprese; la realizzazione di aree produttive e poli tecnologici attrezzati; le politiche attive di lavoro, formazione e ricerca; la valorizzazione di tutte le opportunità finanziarie, collegate alle Politiche europee per la ricerca, l’innovazione, lo sviluppo, la coesione territoriale e sociale. La costituzione delle Città metropolitane è una condizione essenziale per non perdere queste grandi opportunità e sviluppare iniziative in un’ottica di smart city e smart community che rappresentano il futuro dell’organizzazione degli enti locali.

Gli impegni delle Associazioni industriali metropolitane di Confindustria

Le Associazioni industriali metropolitane di Confindustria – anche alla luce dei principi del “partenariato rafforzato” previsti dal Codice di condotta europeo sul Partenariato – si impegnano affinché: le Città metropolitane diventino protagoniste di una nuova politica nazionale per le aree urbane, intesa come asse fondamentale della politica industriale del Paese, catalizzatori di progetti e interventi provenienti dagli enti di governo locale, ma anche dalle Regioni, dallo Stato e soprattutto dall’Unione europea; si valorizzi la straordinaria ricchezza in termini di offerta rappresentata dalle diverse peculiarità delle Città metropolitane italiane per lo sviluppo sostenibile del Paese.

Ricchezza che, sulla traccia del modello collaborativo sviluppato dalla rete delle Associazioni industriali metropolitane, occorre valorizzare in termini di complementarietà, geografie funzionali e in un’ottica di competitività internazionale. L’auspicio è che le Città metropolitane italiane vengano avviate contemporaneamente e con tempestività.

di Nicoletta Cottone

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Puglia, il project manager che ha trasformato un’ex fabbrica in un’officina di idee

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Roberto Covolo è il project manager responsabile del progetto di riqualificazione e trasformazione di un ex stabilimento a San Vito dei Normanni (Brindisi) in uno spazio culturale e sociale innovativo chiamato “Ex Fadda”, un’officina di idee al servizio del territorio. “Ex Fadda-Idee Extralarge” è un luogo restituito alla comunità: da spazio degradato e inagibile, in cui era proibito persino giocare, a luogo di tutti.

 L’ex stabilimento enologico “Dentice di Frasso“ è un bell’esempio di archeologia industriale come ce ne sono tanti in Italia: un immobile di pregio – di circa 3.000 mq coperti e 15.000 scoperti – simbolo di un grande passato industriale. Dopo che la proprietà venne trasferita alla Regione Puglia, però, l’ex fabbrica fu più utilizzata e rimase in stato di totale abbandono fino al 2011, quando un gruppo di ragazzi, professionisti e imprenditori locali capeggiati da Roberto Covolo ha avuto un’idea “folle”: trasformare una fabbrica abbandonata in un luogo pubblico per l’aggregazione, la creatività e l’innovazione sociale, riqualificarne gli spazi a costo zero attraverso l’auto-costruzione e coinvolgere il territorio sui temi dello sviluppo locale e del sostegno alla cultura.

Il progetto prende il nome da Renato Fadda, ultimo direttore dello stabilimento e marito dell’ultima erede dei Dentice di Frasso, e se oggi “Ex Fadda” è uno spazio pubblico gestito da una trentina diorganizzazioni e imprese attive nei campi della comunicazione, della cultura e del sociale, lo si deve ad un’iniziativa nata “dal basso”, dalla cittadinanza: “E’ stata una scommessa a partire da un’idea che avevamo in testa: quella di provare a creare, lontano dai flussi principali di persone e cose in Puglia, uno spazio che potesse ragionare come se fosse in una grande città europea”, ha spiegato Roberto alla stampa locale. Roberto è uno dei protagonisti di questa rinascita e ci ha creduto fin dal primo momento, tanto da lasciare il posto fisso in Regione Puglia per dedicarsi a tempo pieno al progetto. Dal 2012 coordina tutte le attività e le “idee extralarge” che nascono in questa “officina del sapere”, con l’obiettivo di farla diventare lo “spazio culturale e sociale più bello della Puglia”.

ExFadda4 150x150 Puglia, il project manager che ha trasformato unex fabbrica in unofficina di idee“In questo momento”, ha detto Roberto, “utilizziamo circa 2.000 mq della struttura: li abbiamo resi fruibili attraverso un cantiere di auto-costruzione in cui abbiamo coinvolto designer e architetti di tutt’Italia, insieme a volontari locali. Ad ispirare il cantiere sono state le pratiche del recupero dei materiali, della sperimentazione di architetture con materiali naturali, della partecipazione diffusa alla riqualificazione. Gli spazi sono dedicati a uffici, laboratori, aule, sala prove, gallerie di esposizione, spazi per le performance. È uno spazio modulare, un posto così flessibile da poter essere, al tempo stesso, uno spazio per concerti e una palestra, un laboratorio di ricerca e una galleria d’arte”. Ma non è tutto: un aspetto fondamentale del progetto riguarda anche l’inclusione sociale. A fine febbraio, infatti, nelle cosiddette “stalle del Principe” aprirà “XFood”, il “ristorante sociale” che darà lavoro a persone con disabilità e che servirà cibi locali a km zero.

Il progetto “Ex Fadda” è promosso dal Comune di San Vito dei Normanni e dalla Regione Puglia ed è gestito, dicevamo, da realtà locali: “Siamo una comunità di una trentina di organizzazioni: associazioni, giovani imprese, gruppi informali e singole persone che sviluppano progetti all’interno di “Ex Fadda”. Stiamo progettando una serie di attività che riguardano il rapporto tra impresa, cultura e sviluppo sul nostro territorio, perché la prossima frontiera da raggiungere è convincere il tessuto attivo di imprenditori della zona a mettere la faccia su questa operazione e a trovare un pensiero condiviso sul sostegno dei costi della cultura”.

Il progetto “ExFadda”, ha continuato Roberto, “è basato su meccanismi di carattere comunitario: non vogliamo concepirci come uno spazio che eroga servizi, quanto piuttosto come un luogo in cui costruire relazioni tra le persone e i progetti e creare opportunità. Ospitiamo progetti e aziende che lavorano assieme, ma abbiamo un concetto differente rispetto al co-working tradizionale. Il nostro obiettivo non è “affittare scrivanie”: noi vogliamo condividere idee. Lasciamo che siano le persone stesse a stabilire quanto “vale” la loro presenza all’interno di ExFadda. In pratica, siamo qualcosa a metà tra uno spazio di co-working, un incubatore di idee e uno spazio sociale”.

“Io penso che in Puglia abbiamo qualcosa in più: è la nostra capacità di relazione, la nostra capacità di stare insieme ad altre persone e costruire contesti comunitari, dalla famiglia al gruppo di amici”,ha concluso.“Questa cosa, che è sicuramente un lascito della nostra tradizione, può essere una straordinaria risorsa contro la crisi. In questo contesto proprio il tema delle relazioni e del capitale sociale presente in Puglia può essere un ottimo motivo per venire qui, facendo leva sulla comunità come strumento indispensabile per affrontare la crisi”.

Laura Pavesi

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Il Parco di Centocelle è il vero polmone di Roma La riqualificazione è un investimento per tutti

ParcoCentocelle_fullE’ uno dei polmoni verdi più grandi di Roma. Ma i suoi 120 ettari aspettano ancora di essere riqualificati e diventare il sogno di cittadini e associazioni: il primo “Ecomuseo urbano”. Autorottamatori con distese di carcasse di auto e materiale inquinante sono ancora lì, a soffocare il lato del parco su via Togliatti. Tutto resta nell’immobilismo tra delibere non rispettate e fondi stanziati che, però, non vengono utilizzati. Martedì 11 un tavolo fra Regione, Comune e Municipio prova a far ripartire la bonifica

Un polmone verde, uno dei parchi più grandi di Roma. Villa Ada? Villa Borghese? No, è il Parco di Centocelle. Centoventi ettari da riqualificare, immersi nel Comprensorio Casilino, nel cuore del sud-est della città, tra l’omonima strada, via Casilina, via Togliatti e via Papiria.

UN PASSO VERSO LA CINTURA DEI PARCHI – Una porzione di agro romano recuperata solo in minima parte, connessa al Parco da Villa De Sanctis e villa Gordiani, che si estende fino alla Stazione Prenestina e al Parco di Tor Cervara. Una risorsa naturale che, se valorizzata e bonificata, potrebbe chiudere il cerchio della prima ‘Cintura dei Parchi’ della Capitale, costituita dalla Caffarella, la Riserva della Valle dei Casali, Villa Doria Pamphili, Parco del Pineto, Riserva di Monte Mario, Villa Ada e la Riserva della Valle dell’Aniene. Ad oggi però quella che potrebbe diventare una grande opera naturale è una grande ‘incompiuta’.

UN PARCO DA SALVARE – Nonostante le proteste di associazioni, cittadini e comitati, che da anni si battono per la riqualificazione, solo 33 ettari di parco sono stati restituiti alla città, altri 15 ettari dovrebbero ancora essere sistemati e attrezzati dal ‘Servizio giardini’. Degrado, incuria e inquinamento la fanno da padroni e nonostante sull’area, tra i Municipi V, VI e VII, ci sia un vincolo archeologico-paesaggistico per le antiche ville romane presenti, gli autorottamatori che per un chilometro occupano viale Togliatti, sono ancora lì. Montagne di carcasse, di metalli e scarti potenzialmente inquinanti che, secondo una delibera, la 451 del dicembre del 2009, dovevano essere spostati fuori dal grande raccordo. Sfasci incompatibili anche con il Piano particolareggiato adottato dalla Regione nel 2006. Mentre la delibera n. 220 del Consiglio comunale il 5 novembre 2007 stanziava sei milioni di euro per “la progettazione e realizzazione degli interventi di natura ambientale previsti nei comprensori direzionali di Pietralata, Tiburtino e Centocelle – Quadraro, in attuazione degli strumenti esecutivi approvati per il Parco di Centocelle” e  per “ la valorizzazione delle Ville romane”. Fondi ridotti poi a 4 milioni e 100 mila euro nel 2009, con una delibera successiva. A nulla sono valse le proteste e le manifestazioni per portare il problema all’attenzione di amministrazioni e dell’opinione pubblica.

“FUORI GLI SFASCI DAL PARCO” – E dire che la giunta Alemanno aveva anche individuato cinque siti dove gli ‘smorzi’ avrebbero dovuto traslocare. Il “Centro integrato via Prenestina-viale P. Togliatti”, di proprietà di Impreme s.pa./Mezzaroma, avrebbe avuto nuova sede vicino alla Centrale del Latte oppure tra via Palombarese e il confine con il Comune di Guidonia. “A tal riguardo il Consorzio autodemolitori e rottamatori di Roma Est e Roma Est 2 – si legge nella delibera  – il 20 luglio 2009 in assemblea pubblica hanno accettato il nuovo sito”. Dov’è finita “l’urgenza e la delicatezza della situazione”, che descriveva la delibera? E dove è finita la giunta annunciata ad inizio anno dal sindaco marino per affrontare “la ferita di viale Togliatti”?

UN PASSO VERSO L’ECOMUSEO? – Uno stallo, che potrebbe iniziare a sbloccarsi il prossimo 11 febbraio quando Regione Comune e Municipio V siederanno ad un tavolo per sboccare l’iter impantanato. Un passo importante per dare vita al progetto partecipato di “Ecomuseo urbano”, per valorizzare la storia e la cultura di una parte della città, recuperare i beni archeologici come quelli che gli scavi della metro C hanno portato alla luce e anche a dare vita a nuove attività imprenditoriali legate al turismo.

DI ELEONORA FORMISANI

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