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Un’innovazione sociale per la gestione del Lago ex Snia

Dopo dieci anni di inerzia il Comune di Roma apre un varco per accedere al Lago ex Snia. E’ l’occasione per affrontare con un dibattito pubblico il tema della gestione dei beni comuni.

Il vicesindaco di Roma Luigi Nieri ha tentato “in articulo mortis” di scongiurare l’esercizio del diritto di retrocessione da parte della società proprietaria dell’area in cui si trova il Lago ex Snia dopo un decennio di inerzia della pubblica amministrazione.

Sull’efficacia giuridica di quanto sta facendo il Comune di Roma per tutelare l’interesse generale sarà necessario un approfondimento tecnico.

È aperto, invece, il confronto sulle soluzioni da dare ai problemi gestionali dell’intera area parco, in cui oggi sono insediate le attività del Comitato ex Snia, quelle svolte all’interno della Casa del Parco delle Energie e quelle che potranno nascere con la valorizzazione del Lago naturale.

Si confrontano due linee.

La prima è quella tradizionale che punta alla gestione diretta del parco da parte dell’Amministrazione comunale con affidamenti di singole attività ad associazioni locali, mediante bandi pubblici o incarichi diretti.

Una linea che a Roma è stata fallimentare, se si guardano alle esperienze delle aziende agricole pubbliche Castel di Guido e Tenuta del Cavaliere o a quella dell’Ente Roma Natura. E tuttavia ancora trova difensori tra coloro che non intendono innovare il rapporto tra politica e società.

La seconda soluzione è quella di promuovere, mediante un processo partecipativo dal basso, un soggetto gestore del parco, la cui assemblea sia formata da tutti i cittadini residenti del quartiere e i cui amministratori siano eletti democraticamente, sulla base di un confronto sul piano di valorizzazione dell’area.

Con la seconda ipotesi sarà possibile far confluire e valorizzare in un’innovazione sociale le esperienze di autogestione realizzate in questi anni, con l’impegno e la passione di decine e decine di volontari.

 

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Io rom romantica – La prima regista rom italiana

 

io romdi Laura Halilovic. Con Marco BocciClaudia Ruza DjordjevicAntun BlazevicDijana PavlovicGiuseppe Gandini  Italia 2014

Gioia (Djordjevic) è una rom diciottenne e vive con la famiglia in una casa popolare a Falchera nella periferia di Torino; il padre Armando ( Blazevic) cerca di combinarle un matrimonio (pe la comunità rom lei è già troppo grande per non essere sposata) ma lei non vuole accettare il destino che la famiglia vorrebbe imporle e rifiuta tutti gli aspiranti fidanzati. Gioia ha un’amica gagè (non-rom), Morena (Sara Savoca) con la quale fa provini e piccole comparsate e sogna di entrare nel mondo del cinema; Morena è innamorata di Alessandro (Bocci), un meccanico trentenne che ha molto viaggiato. Venuta a sapere che Alessandro conosce un regista, lei sabota il furgoncino del padre per incontrare il meccanico ed ottenere un appuntamento con il cineasta Enrico (Gandini), che è un documentarista sfigato ma grazie a lui, Gioia fa qualche lavoretto di set e, soprattutto,  vede Manhattan di Woody Allen e decide che farà la regista come lui e che lo incontrerà. Sua madre Veronica (Pavlovic) la pensa come il marito ma lo convince, anziché cercare di  combinare un matrimonio secondo tradizione, di farla corteggiare dal prossimo candidato come “fanno i gagè”. La scelta cade su Elvis (Simone Coppo), anche lui incompreso dalla famiglia perché vuole fare il musicista e suona con ragazzi non rom. Il primo incontro tra i due non funziona – Gioia si è un po’ innamorata di Alessandro – ma un giorno in cui i due sono ad un matrimonio Elvis la aiuta a scappare (lei ha il suo primo impegno come aiuto–regista di Enrico)  Saputo che Woody Allen è a Roma, lei si fa dare un passaggio da una automobilista (Lorenza Indovina) che la riempie di luoghi comuni sugli “zingari”. Arriva a Roma giusto in tempo per intravedere Allen che si allontana in una macchina. Tornata a casa, trova la famiglia arrabbiata ma, anche grazie alla nonna (Zema Amidovic), tradizionalissima ma intelligente e sensibile, i suoi le lasceranno seguire la sua vocazione.

La Hailovic è una giovane cineasta di origine bosniaca e racconta, quasi fedelmente, la propria storia, come già aveva fatto nel documentario Io, la mia famiglia rom e Woody Allen;per questo suoprimo lungometraggio si è fatta aiutare da due sceneggiatrici di livello, Silvia Ranfagni e Velia Santella, ed ha messo insieme un film di grande piacevolezza, anche grazie alla giovanissima e credibilissima protagonista – ma la parte rom del cast, a partire dalla nonna, è perfetta, assai più efficace degli attori professionisti che vi partecipano. Insomma, una piccola, gradevole sorpresa, nella falsariga anglosassone di East is East e di Sognando Bekham, all’interno della  quasi generale desolazione della programmazione estiva di film italiani.




Segna la data > Prove generali di una nuova società civile

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Parco dell’ex aeroporto di centocelle via casilina 708, 00100 Roma




Stencil dedicato a Vittorio Arrigoni realizzato durante il terzo campo di mediattivismo di E!State Liberi

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 Biografia di V. Arrigoni




Libera: al via il Campo di Mediattivismo Vittorio Arrigoni- Isola del Piano

 

 

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Isola del Piano (PU) – Castelgagliardo
Fattoria della Legalità
Dal 8 al 15 luglio 2014

http://www.libera.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/9280

Gli hashtag per seguire il campo sono #mediattivati

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gruppi di lavoro dal Campo di Mediattivismo Vittorio Arrigoni – Isola del Piano

#estateliberi




Ritorno a Roma Est: partecipato e originale, il Klamm Circolo

Intervista a Klamm Circolo

 

interno del KLAMM

interno del Klamm, il soffitto, decorato a quadrettoni, è speculare al pavimento. I tavoli, arredamento anni 80, sono quelli della bisca del quartiere che aveva sede qui.

 

L’idea per cui è partito il locale è che le attività culturali non siano una scusa per vendere birra, ma che siano il centro propagante. Anche il modo in cui abbiamo organizzato lo spazio per le mostre è fatto in modo da farti sentire, tu artista, libero di esporre nel miglior modo possibile.
Lo spazio lo abbiamo pensato a disposizione per gli altri, plasmabile sugli altri e sulle attività culturali.

 

Emiliano, parliamo dell’organizzazione del Klamm

“5 persone: Sandro, un musicista, Carlo uno scrittore, e poi c’è un altro ragazzo che c’è meno qui, socio come tutti gli altri. Ed io, che sono Emiliano”.

 

Come è nato questo posto e perchè?

“Siamo da un sacco di anni sul quartiere e qui intorno ci sono tanti circoli, molto spesso ARCI, che hanno sempre fatto attività incentrata sulla parte notturna e sul discorso musicale, dei live. Con Fabio, invece, da un anno, ci eravamo posti come questione l’idea che mancasse uno spazio diurno che funzionasse bene, di impreditoria sociale, un ARCI, che promuovesse attività culturali, come il teatro. Al Pigneto c’è tantissima offerta di musica ma mancano gli spazi espositivi per i giovani artisti”.

 

Quindi l’idea è di farlo divenire un distretto dell’arte e della cultura?

“Sì, un luogo che racchiuda tutto, pensando anche alla musica.
Nella zona “divani” pensavamo di organizzarla con dei concerti live, ma niente amplificazione: un falò senza fuoco insomma! 
Deve diventare, perchè così è stato pensato, un luogo meno legato al discorso della movida, legato soprattutto all’attività quotidiana. Ad agosto, avevamo pensato di chiudere lo spazio dietro l’attuale spazio-mercatino per trasformarlo in sala teatro e cinema ma anche per altre attività (corsi, laboratori). E’ un luogo accessibile a tutti perchè versatile. L’idea è di dare lo spazio espositivo andando contro le gallerie che per esporre chiedono tanto denaro. Invece qui puoi esporre gratuitamente e mantenere le tue opere per dieci – quindici giorni”.

 

Parliamo di tutte le attività che proponete
“La mattina apriamo alle 9 con coworking: oramai è pieno di ragazzi che lavorano senza avere un ufficio e che posso usufruire dello spazio con rete wifi gratuita. 
Poi ci sono le proiezioni, il cinema, il teatro e usare quella sala che è chiusa con attività varie. La mattina si fa colazione, si può lavorare, c’è un piccolo spazio cucina in cui facciamo panini, insalate, piatti semplici per il pranzo. Oppure puoi venire dopo pranzo e fare la merenda, stare fino alle 7 e dalla sera, alle 7 d’estate, magari d’inverno un pò prima, l’attività di cinema, di teatro, le inaugurazioni delle esposizione. Partirà ufficialmente il tutto a settembre perchè non è ancora pronta la sala teatro, non avendo quello spazio non può partire tutto. Abbiamo aperto due settimane fa”!

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Il banco del Klamm propone drink e analcolici e un’ampia gamma di spuntini per tutti gli orari del giorno. Dietro il bancone uno dei fondatori del locale.

C’è un’iniziativa che mi è sembrata interessante e originale: “Rassegna cecagna”, che si intende?

È una rassegna nata per il post pranzo della domenica. Tutte le domeniche alle 3 proietteremo un film di cinema d’autore nella sala da attrezzare, con i divani. Deve essere un film post prandiale che accompagni la digestione! È perfetto per il dopo pranzo domenicale: ti vedi un bel polpettone, un bell’Antonioni e dormi se ti sale la cecagna o stai sveglio se vuoi vederlo!

Il tutto gratuitamente?

sì.

E poi c’è un mercatino…
“L’idea del mercatino è quella di organizzare dei mercatini dell’usato in cui ci sia l’abbigliamento e gli accessori unito alla liuteria, gli strumenti musicali e i vinili. Giovedì, per esempio, l’inaugurazione l’abbiamo fatta con Luca Sapio, nostro amico e l’ex leader dei Quintorigo, che fa una serata soul e lui tutti i giovedì sera ha progettato di fare una serata. Ha fatto un disco solista e ha collaborato con persone importanti nel campo della musica, come Charles Bradley. L’idea nostra era “Ti va di mettere i dischi l’apertura?” E lui ha preso talmente bene la prima serata, gli è piaciuto il posto, la gente che mi ha detto “ho una cassetta con una marea di vinili, mi piacerebbe scambiarli o venderli quindi iniziamo che il giovedì scambio o vendo i vinili”. Qui c’è blutopia, radioaction tante realtà che lavorano con i vinili. L’idea sarebbe di unire altre realtà, tra cui un giro di collezionisti, di appassionati che vengono qui per scambiare i loro vinili e rimangono per ascoltare un pò di ritmh and blues.
E il mercatino è tutto questo e tutto in progress, è solo un’idea, che riguardi musica e altro”.

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KLAMM – Il mercatino: work in progress…!

Parliamo del locale: come mai avate scelto proprio questa sede?

“Cercavamo e giravamo cercando un posto che ci piacesse e tra quelli che avevamo visto questo ci piaceva dal punto di vista estetico. È stato un colpo di fulmine!
Il soffitto era tutto bianco, i quadrettoni li abbiamo fatti noi per farlo speculare al pavimento. Era l’unica cosa che non ci convinceva! Era asettico, un pò da ospedale. Mettendoci i quadri bianchi e neri ha preso ancora più carattere. Questa è una bisca storica, non sono convinto dell’età, ma c’era probabilmente da 20 – 30 anni. Ci piaceva l’atmosfera che si respirava, l’arredamento fine anni 70, anni 80, tutto come era ! Infatti non c’è vintage ricostruito, tutto è rimasto così, perchè dovevamo stravolgerlo? Ci siamo inseriti noi. Abbiamo tolto i biliardi, sì, perchè non ci interessavano, abbiamo messo qualcosa di nuovo che veniva da noi, ognuno ci ha messo qualcosa. Abbiamo dipinto qualche colonna di nero, abbiamo risistemato un pò il bancone. Era talmente bello di per sè e funzionava dal punto di vista estetico che non aveva bisogno di grandi modifiche! Abbiamo portato i divani, per alimentare l’idea dell’ozio, lavorando sulla solidarietà: abbiamo scritto ad alcuni amici perchè non avevamo un grande budget da investire, e dopo qualche giorno di ricerca ci sono arrivate le risposte “abbiamo un divano! Mia zia ha buttato il divano, lo volete?”

E’ stata una cosa participata.

E il nome invece “klamm” che può diventare anche “kalm”, il luogo del riposo e dell’ozio ?
“Ci piaceva dal punto di vista onomatopeico, non facciamo il discorso movida quindi tu vieni qui con l’idea di passare una serata tranquilla, sentire un pò di musica, leggere un libro, fare due chiacchiere, bere una cosa. E invece il caos, lo sfascio non era nostra intenzione gestirlo, nè organizzarlo. Il nome nasce da un personaggio del Castello di Kafka, ci piaceva più che altro il suono, ci suonava bene in testa. Siamo stati fino alla settimana scorsa senza nome: avevamo il posto, avevamo l’idea, ma come lo chiamiamo? Quando è così, vai nel panico perchè il nome è importante. Un giorno eravamo in una sorta di riunione, chiacchieravamo e alla fine è uscito tra mille proposte questo nome, klamm. Anche perchè è un posto dove i libri ci sono, come vedi, all’entrata proprio”.

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“Se sei stanco e vuoi leggere un libro, noi ti offriamo anche il divano” Sembra lo slogan di una pubblicità, in realtà Emiliano mi racconta anche che la zona ozio – divani è utilizzata per “Fuoco senza falò” concerti acustici, la sera.

Come funziona lo spazio libri ? È una sorta di biblioteca?
“No, biblioteca no. Più uno spazio lettura, dal momento che è aperto tutto il giorno. Puoi venire qui per leggere un posto, è un circolo frequentato da soci, se un socio mi dice questo libro mi piace, posso portalo a casa? Te lo riporto la settimana prossima. Io dico “sì, va bene”. Anche se in linea di massima è un posto di consultazione. La musica è in sottofondo, puoi scegliere di sdraiarti su un divano e leggere. L’idea è quella di fruirne qui”.

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“Spazio libri: prendi, usi e lasci. Ma, in casi straordinari, te lo possiamo prestare qualche giorno! “

E il discorso musica invece? Il dj set tutte le sere diverso?
“Lo chiamiamo dj set per convenzione anche se in realtà non è un vero e proprio dj set .
Nella logica del locale non deve esserci la musica alta, è una musica su cui le persone possono parlare, o, eventualmente, ascoltarla. Non è proprio fare il dj set, piuttosto accompagnare l’apertivo con playlist scelte da noi, preparate a tema. Per dire l’altra sera abbiamo cenato con wrustel e crauti e abbiamo messo musica kraut, stasera c’è la partita abbiamo messo musica brasiliana. Però l’idea è anche di creare percorsi musicali d’ascolto, scegliere dei dischi, parlarne insieme a delle persone competenti. E ci beviamo su. Fare un percorso guidato, non che sia didattico ma che abbia una logica, hai presente i circoli dei lettori ? Una cosa simile”.

 

 

 

 

(Intervista, foto e articolo di Elisa Longo )




Video > Corviale città invisibile

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Viaggio a Roma est: Pigneto

Intervista a Max, barman di CO.SO,

Via Braccio da Montone, 80, Roma.

 

Max, barman di CoSo

Massimo D’Addezio, barman di CoSo e Gabriella Trinco, barman

 

CoSo? Che significa?

“Cocktail and social: social inteso come il nerd della tecnologia che si perde nei meandri della comunicazione e sia come concezione di sociale, condivisione in un posto gradevole, l’idea di scambiarsi due chiacchiere umane, non virtuali”.

 

Parliamo del martini cocktail..

“Il Martini cocktail è un esempio di social. Se oggi il social lo ascriviamo a un Facebook, ad un Twitter, il Martini cocktail è il facebook o il twit di 60 70 anni fa.
Prima il bar era il modo per parlare, per interagire, legato alla condivisione. Esperienza che in Italia non è mai arrivata, che potremmo trovare, forse!, nell’ombra veneziana o nel bicchiere di vino ad Udine, ma che al Sud non è mai arrivato come concezione di vita, per condizioni culturali, climatiche o socioambientali”.

“Esperienza che, invece, nel resto del mondo, in Occidente, nell’ Europa del Nord ma anche in America c’è sempre stata: il Martini cocktail è un concetto, uno stile di vita, è una “cosa” che ti appartiene.
Un bar di questo standard non può prescindere da un basic così famoso”.

 

Perchè, questo, che tipo di bar è ?

Coso è il cocktail bar per eccellenza. Possiamo creare una metafora: pensiamo a tre tipi di macchine: una macchina da corsa, un 4×4 per fare la legna e una macchina da città. Con la macchina da città ci si può fare un po’ tutto, ti ci apparti con l’amante, vai a fare la spesa, porti il bambino a scuola, vai al cinema, e questo è paragonabile ad un autogrill, un bar di strada, dove trovi l’aranciata, il caffè ma anche un gelato”.

Mmm..

“Poi invece ci sta il 4×4, che è un bar ristorante dove hai una connotazione, un arredamento di un certo tipo, che in qualche modo ha una specializzazione, caffè o primi piatti che siano.
E poi c’è la macchina da corsa, che ha una misse, deve essere leggera. La macchina da corsa è un locale dove il bancone è fatto solo per i cocktails, per andare in velocità, dove tutto è posto davanti al barman in modo da non perdere il contatto con il cliente. Perchè il barman guarda negli occhi. Sempre”.

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Il banco di CO.SO. è ricco, anzi ricchissimo: “Quello che tu vuoi sarà servito nel modo migliore che posso. E anche se non corrisponde oggettivamente ad un meglio, stabilito da chissà quale scala, qui dentro troverai il meglio”

Guardare negli occhi il cliente, rapporto con il cliente, fondamentale? Perchè?

“È un’ altra pagina che si chiama il barman è come uno psicologo.

Perchè fa 5 cose contemporaneamente: ti accoglie quando entri, è l’oste-hostess, ti fa accomodare quindi diventa il meitre di sala, ti vende quindi è un venditore dietro il bancone, ti prepara e diventa lo chef , e controlla la sala, si rende conto se stai bene.
Dopo queste 5 cose che succede? Ricomincia da capo e l’accoglienza diventa un parlare con te, un intrattenerti con un “ciao come stai, bella questa borsa, questo accessorio” . E la porta per capire veramente una persona qual’è ? l’occhio.
Il barman lavora con la fisiognomica: in pochi secondi deve capire che tipo sei, che cosa bevi, qual’è il tuo stile di vita, se deve dire “Vattene!” oppure “Sei la benvenuta! non te ne andare mai più”.
La fisiognomica è il mio strumento di lavoro perchè definisco tutto ciò che ho davanti e tutto ciò che vuoi. “Stasera non hai sete? Vuoi dell’acqua?” Io ti darò l’acqua più buona del mondo, perchè la prossima volta che hai voglia di qualcosa sai che qui, la cosa più semplice o la più complicata, la avrai al meglio di quello che puoi ottenere”.

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Arredamento new age e colori sgargianti, ambiente lounge, divanetti e pouff per chi preferisce stare al tavolo o comodo, come se fosse a casa!

 

E il tuo meglio qual è?

“Quello che tu mi chiedi. Quello che tu vuoi sarà servito nel modo migliore che posso. E anche se non corrisponde oggettivamente ad un meglio, stabilito da chissà quale scala, qui dentro troverai il meglio”.
“Come quando qualcuno mi chiede quale sia il migliore gin? Il migliore rum? io rispondo sempre È quello che piace a te!” “Io devo fare l’affabulatore, l’incantatore di serpenti. Devo conquistare te e devo fare in modo che tu creda che meglio, di quello che stai prendendo, non c’è”.

 

E invece il tuo preferito? Cosa ti piace servire di più? Perchè, come lo servi?

“Il mio preferito è il Bloody Mary perchè è sapido, ha una connotazione da aperitivo, si beve prima di un pasto e non dopo, per una questione di meccanica fisica, di funzionamento del corpo. Sarebbe riduttivo però dire questo: A me piace servire te. Mi piace servire e non esser servile! Mi piace la tua soddisfazione, che è la risposta che devo leggere nei tuoi occhi”.

 

Da quanto tempo è aperto questo locale?

“Da 7 mesi”.

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E tu hai lavorato in molti locali?

“Ho cominciato facendo il carrozziere e poi ho fatto un corso da barman! (ride)
Non ho lavorato in moltissimi posti, quello che mi è servito è stato viaggiare molto e conoscere l’animo umano. Quello che ti da soddisfazione è fare qualcosa, non necessariamente lavorare. Lavorare è relativo, tu lo fai in qualsiasi ambiente, non è importante farlo dove, ma il farlo come.
Ma ho servito più di un milione di persone in 10 anni”.

 

 

Parliamo delle nuove leve.

“Pochissime, ahime! Il problema è alla base: manca la furbizia non capiscono che quello che facciamo è un lavoro in cui bisogna vendere. Perchè a fine serata il cassetto deve essere riempito, vuoi del tuo padrone o del tuo locale, devi promuoverti e promuovere gli altri. Se vai a criticare chi hai accanto non vai avanti. Quindi le nuove leve sono tante e buone ma poco furbe.

C’è l’incapacità di autoprodursi. Mettiamo caso che aprire un bar è come fare un film, quello che produci hai, ma non hai modo di reinvestire. Non ci sono stimoli!
Negli USA, invece, c’è la remunerazione in base a quello che produci, lì tutto il personale è coinvolto. In tutto il mondo quando vai da un cliente che sta bevendo e chiedi “Vuoi qualcosa da bere?” è un servizio; in Italia è maleducazione e viene intesa come perchè manca il social. È proprio un discorso culturale che manca”.

 

Manca il social!

 

(intervista, foto e articolo di Elisa Longo)