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Urban Reverse Engineering
STEFANO PANUNZI,
Università del Molise, Facoltà di Ingegneria
Grazie all’ascensore, il ventesimo secolo ha visto l’edificio trasformarsi in un moltiplicatore di suolo artificiale per il tessuto urbano verticale. Il ventunesimo secolo vedrà restituire al sole delle coperture il suolo naturale coperto dagli edifici. Per conquistare questa frontiera interna ora abbiamo i mezzi per smontare e rimontare concettualmente le nostre città così come sono (Urban Reverse Engineering). L’inizio di questo processo rigenerativo partirà dalle periferie di singole città attraverso piattaforme collaborative immateriali che metteranno in rete tutti gli attori in gioco (Web Aided Design) e piattaforme rinaturalizzatrici autoportanti che coinvolgeranno in una rete fisica di infrastrutture architettoniche e urbane tutte le coperture degli edifici. Aumenterà enormemente la resilienza dei sistemi urbani e la loro capacità autopoietica fino ad assumere le sembianze di una vera e propria glocalopoli planetaria. L’irresistibile immagine del pianeta Terra, ipertestuale, ipervisibile, interscalare, sta generando una nuova cultura basata sulla lettura/scrittura georeferenziale. L’immagine Mondo – Territorio – Città prodotta, consumata e condivisa a scala globale si è imposta come interfaccia universale per indicizzare l’informazione globale. L’anello di retroazione del sistema cittadini-amministrazione è sempre più mediato da una rappresentazione dinamica del territorio. L’osservazione, reciproca e indiretta, per il monitoraggio delle trasformazioni architettoniche e urbane, può utilizzare un’interfaccia non immediatamente conflittuale, che al contrario è capace di mappare in tempo reale la geografia delle tensioni per poter intervenire prima dell’accumulo e della distorsione dei normali fenomeni di adattamento e di salvaguardia.