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Una tazzina di poesia
di Cristiano Bortone. Con Ennio Fantastichini, Dario Aita, Miriam Dalmazio, Michael Schermi, Hichem Yacoubi Cina, Belgio, Italia 2016
Episodio belga: l’ex-profugo iracheno Hamed (Yacoubi) ha un piccolo banco di pegni che gestisce con grande generosità verso chi ha bisogno di piccole somme per tirare aventi, offrendo loro anche un caffè con una preziosa caffettiera, antico lascito della sua famiglia. Una sera, durante una manifestazione di protesta, un paio di teppisti mascherati fanno irruzione nel suo negozio rubando anche la caffettiera. Uno dei due ha però lasciato cadere il portafogli con i documenti e Hamed – che ha capito che la polizia non farà niente per aiutarlo – va a casa del ragazzo: si chiama Vincent (Arne De Tremerie), vive con la nonna malata ed è costantemente in lite con la sua ex-ragazza, con la quale ha fatto un figlio del quale lui si disinteressa. Hamed entra in casa di nascosto e trova la caffettiera ma il balordo lo sorprende, lui lo colpisce alla gamba con una mazza da baseball ma la nonna lo tramortisce con una bottiglia ed aiuta il nipote a legarlo ed imbavagliarlo. Il complice del furto, Danny (Tim Taveirne), accompagna Vincent all’ospedale e Hamed, mentre la nonna è distratta dalla televisione, prova a liberarsi ma i ragazzi tornano e, nella colluttazione seguente, Danny lo accoltella. Ora lui è ferito e la situazione si è fatta ancora più grave. Arriva il padre (Koen De Bouw), che decide di caricare il ferito in macchina, di portarlo in un luogo deserto e di ucciderlo. Nel viaggio, però, l’auto ha un brutto incidente. Danny e il padre di Vincent muoiono mentre Hamed riesce a trascinarsi fuori e fa per andarsene, quando sente le suppliche di aiuto di Vincent. Lo tira fuori e lo lascia a suo destino, portando con se la caffettiera.
Episodio cinese: Fei (Xiaodong Guo) è un giovane manager di Pechino in ascesa, è fidanzato con la figlia (Sarah Yimo Li) del padrone ed aspetta di essere mandato a dirigere la filiale europea dell’azienda ma, a sorpresa, viene spedito nella fabbrica dello Yunnan – sua terra di origine – dove un guasto sta fermando la produzione. Il capo-operaio (Tongsheng Han), gli spiega, disperato, che le apparecchiature sono vecchie e c’è il costante rischio che una fuoriuscita delle scorie allaghi tutta la valle, seminando la morte. Lui chiama il suocero ma questi non intende ragione: dovranno essere fatti solo piccoli lavori di rappezzamento. Fei non può disobbedirgli ma una mattina investe con l’auto una ragazza, A Fang (Zhuo Tan), lei non si è fatta nulla ma la bici è rotta e lui la accompagna a casa. Lei è una pittrice e, per dipingere, usa lo speciale caffè della valle; gliene fa sorbire una tazza e la mente del manager ritorna alla propria infanzia di figlio di un contadino, che coltivava quel caffè e si era disperato quando il figlio era andato cercare fortuna in città. Lui torna in fabbrica e decide di disobbedire al suocero e di avviare i lavori necessari per la messa in sicurezza degli impianti. Ha perso così il lavoro e la fidanzata e quando va a cercare A Fang, scopre che è morta di leucemia (aveva scelto di dedicare gli ultimi momenti della propria alla salvaguardia della valle). Lui rimane lì e proseguirà l’opera della ragazza e del padre.
Episodio Italiano: Renzo (Aita) è un giovane conoscitore ed appassionato di caffè ma ha appena perso il lavoro e lo stesso è successo alla sua ragazza Gaia (Dalmazio). Decidono così di andare a Trieste: lì la lavorazione e la vendita del caffè è molto avanzata e lì abita un suo caro amico, Stefano (Michael Schermi), che li può ospitare in un appartamentino in attesa di demolizione. In una cena di amici di Stefano Renzo conosce Enrico (Ennio Fantaschini), un operaio ex-sessantottino, che cerca di smontare tutti suoi entusiasmi. In effetti, la crisi è forte e lui trova solo lavoretti saltuari come facchino e Gaia, che ha scoperto di essere incinta, pensa di abortire. Qualche sera dopo, durante un’altra cena, lui racconta di aver scaricato 8 casse di preziosissimo e costosissimo caffè cinese, ricavato dalle feci dello zibetto. Enrico propone di rubarlo, così si sistemeranno un po’; Renzo, che ha perso ogni speranza, accetta (in fondo si tratta solo di portarlo via dal deposito e lui ha visto la combinazione che apre la porta del magazzino). Anche gli altri si aggregano e il ragazzo va avanti, nonostante le paure di Gaia che ha saputo tutto. Tutto, però, va male: Enrico si è portato una pistola La così riprendere le speranze con Gaia e il bambino, che alla fine lei ha deciso di far nascere.
Cristiano Bortone è una figura anomala nel nostro cinema: regista e produttore, ha capito subito che il nostro cinema non può rimanere confinato nei confini del paese. Si è trasferito in Germania, ha sempre una grande attenzione alle coproduzioni (di recente, insieme ai fratelli Dardenne ha prodotto Marina, primo incasso in Belgio per molte settimane) e, da un paio d’anni ha deciso di investire in Cina una parte importante della propria attività, facendosi promotore dei rapporti tra produttori europei e cinesi. Caffè è il primo frutto di questo lavoro e, dopo la presentazione all’ultima Biennale di Venezia, è arrivato in sala. Quello che soprattutto colpisce del film è che, nonostante le inevitabili difficoltà produttive di un progetto così ambizioso, Bortone fa trasparire da molte sequenze una poeticità rara (che già si era vista nel suo film più personale: Rosso come il cielo). La valle dello Yunnan accarezzata dal vento, le desolate conversazioni tra Renzo ed Enrico davanti ad una birra ed un kebab – ad esempio – sono sprazzi di vita dolente raccontati con grande efficacia. Una segnalazione merita la splendida fotografia di Vladan Radovic, ormai uno dei migliori nel suo campo. Vale proprio la pena di vedere il film, uno dei rarissimi casi di opera italiana sgravata da ogni provincialismo (non solo perché si dipana in vari paesi ma per forza intellettuale intrinseca) e di ampio, liberatorio respiro.