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Sembra proprio un film di Woody Allen
di Woody Allen. Con Jeannie Berlin, Steve Carell, Jesse Eisenberg, Blake Lively, Parker Posey USA 2016
Los Angeles, metà degli anni ’30: l’agente di divi Phil Stern (Carell), mentre è ad un party con la moglie Karen (Sheryl Lee), riceve un telefonata da New York: è la sorella Rose (Berlin) che gli chiede di trovare un occupazione a suo figlio Bobby Dorfman (Eisenberg), che sta arrivando ad Hollywod in cerca di fortuna. Lui lo fa riempire di scuse dalla segretaria (Tess Frazer) e, un giorno, il timido Bobby si fa convincere dal fratello malavitoso Ben (Corey Stoll) a telefonare ad un’agenzia di squillo; poco dopo gli arriva l’imbranata Candy (Anna Camp), che è alla sua prima esperienza e, quando lei gli dice di essere ebrea come lui, lui le dà i 20 dollari pattuiti e la manda via senza toccarla. Dopo tre settimane lo zio lo riceve e lo assume come tuttofare, dando incarico alla propria assistente Veronica (Christen Stewart), Vonnie per gli amici, di fargli conoscere la città. Quasi subito i due diventano amici – lei che, come tante ragazze, era andata ad Hollywood per far l’attrice ma ora che lo conosce ha la giusta distanza dal vacuo mondo del cinema – e lui se ne innamora ma lei gli dice che ha un fidanzato giornalista. In realtà è l’amante di Phil e aspetta sempre che lui si decida a lasciare la moglie. Una sera che, dopo l’ennesima titubanza dell’amante, ha accettato di andare a cena da Bobby, riceve una telefonata da Phil che vuole festeggiare con lei il loro primo anniversario e lei disdice la cena (alla quale il povero Bobby si era dedicato con grande cura) e va da lui con una lettera autografa di Rodolfo Valentino come regalo. Phil però le dice che non ce la fa a parlare con la moglie e le annuncia che vuole troncare la relazione; lei disperata va da Bobby e dorme con lui. Inizia così il loro amore e il ragazzo la convince a partire con lui per New York; intanto lo zio gli confida le proprie pene d’amore e lui – non sapendo che la donna di cui gli parla è la sua ragazza – lo consola e lo sprona a far trionfare le ragioni del cuore. Una sera Phil va nel locale nel quale adesso Vonnie lavora come guardarobiera e le dice che ha lasciato la moglie; lei, indecisa, non gli risponde. Poco dopo, lui, nel suo ufficio, si confida con Bobby – che gli ha appena comunicato che partirà per New York con il suo amore – e, mentre parlano, il giovane vede la lettera di Valentino, di cui Vonnie gli aveva parlato a proposito dell’ex-fidanzato giornalista; capisce tutto e si precipita al guardaroba per porre alla ragazza un ultimatum: o lui o lo zio. Lei sceglie quest’ultimo e lui, con il cuore a pezzi, torna a casa. Qui ritrova la famiglia: la madre ed il padre (Ken Stott), che battibeccano in continuazione accusandosi a vicenda di scarso ebraismo, la sorella Evelyn (Sari Lennick), sposata a Leonard (Stephen Kunken), marxista e con velleità intellettuali, e Ben, che ora è un gangster a tutti gli effetti e gli offre di lavorare nel night che ha appena aperto. Grazie agli amici snob Rad (Posey) e Steve (Paul Schneider), che aveva conosciuto a Los Angeles, il locale diventa alla moda e gli affari vanno benissimo e lui è ora un affabile ed efficacissimo direttore di sala. Una sera Rad gli presenta la bella modella Veronica (Lively) reduce da una delusione d’amore e lui la corteggia spudoratamente. Si frequentano, si mettono insieme e, poco dopo lei gli dice di essere incinta e lui, felice, la sposa. Ben continua la sua attività di malavitoso e, una volta che la sorella, gli confida che Joe (Brendan Burke) un vicino aggressivo e maleducato la spaventa, lui lo fa prendere dai suoi scagnozzi (Raymond Franza e Michael Elian) e, come sua abitudine, gli spara e lo sotterra nel cemento. Bobby è in piena forma – gli affari prosperano (anche se le attività del fratello sono sotto la lente della parte non corrotta delle forze dell’ordine) e lui è felice della propria vita familiare – quando al locale si presentano Phil e Vonnie con due amici; lei ora sembra essere quello che ha sempre odiato: la tipica moglie stronza hollywoodiana. Lei trova una scusa per parlargli, lui la tratta male ma Vonnie continua a cercarlo e alla fine si incontrano. Il loro amore si riaccende, quando Ben viene arrestato e tutta la famiglia si mobilita perché abbia la migliore difesa; i suoi omicidi però sono stati scoperti ed i cadaveri dissotterrati – Evelyn e Leonard tremano perché se venisse alla luce anche il corpo del loro vicino potrebbero passare seri guai – e lui viene condannato a morte. In prigione il cappellano (Nick Plakias) lo convince a convertirsi al cristianesimo, così potrà sperare nel Paradiso e questo anima una nuova discussione teologica tra Rose e il marito. Vonnie deve ripartire e né lei né Bobbie hanno il coraggio di troncare i rispettivi matrimonio. Una sera di capodanno, mentre tutti festeggiano, tutti e due, all’apparenza felici, guardano nel vuoto il loro sogno d’amore svanito.
Allen mantiene il proprio impegno a girare un film all’anno e – come abbiamo già visto da qualche tempo – i risultati sono, inevitabilmente discontinui. Cafè Society non è tra i peggiori (niente a che vedere con i modesti Vicky, Cristina, Barcellona e Irrational man, il – secondo me – sopravalutato Midnight in Paris o il pessimo To Rome with love) ma sembra, più che altro, un film “alla maniera di Woody Allen”. C’è, come ne La rosa purpurea del Cairo o in Radio Days , il richiamo al cinema degli anni’30, non solo per le citazioni de La signora in rosso (Wonan in red, 1935), La donna del giorno (Libeled lady, 1936) di Jack Conway e Voglio danzar con te (Shall we dance, 1937) di Mark Sandrich, oltre ai costanti riferimenti a Barbara Stanwyck, Irene Dunne, Ginger Rogers ed Erroll Flynn ma per il tono generale (compreso la desueta e tenerissima dissolvenza incrociata del finale) che si rifà ai registi amatissimi da Allen: Ernest Lubitsch, Frank Capra e Gregory La Cava. La scelta delle musiche poi è particolarmente accurata: vere e proprie chicche di nostalgia con brani come The paenut vendor, I didn’t know what time it was, The lady is a tramp, Jeeper Crepers o Taki Rari, interpretate dalla sublime e dimenticata Yma Sumac, Benny Goodman e Count Basie. Insomma una bella operazione di accurato ed elegante trovarabato ma il racconto è poca cosa e, una volta tanto, il cast non è splendente come in altri film, anche non riusciti, di Allen; Steve Carell è un po’ una maschera, mentre Eisenberg e la Stewart sono poco più che corretti. I migliori – e non è un caso – sono gli yddish Berlin, Stott e Lennick; con loro Allen innesta il pilota automatico e lì il film fila piacevolissimo.