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Che denti grandi hai!
di Bryan Singer. Con Rami Malek, Lucy Boynton, Gwilym Lee, Ben Hardy, Joseph Mazzello, Aidan Gillen Gran Bretagna, USA 2018.
A Londra nel 1970, alla fine di un concerto degli Smile, il bassista e cantante Tim Staffel (Jack Roth), se ne va e ai due musicisti restanti – il chitarrista Brian May (Lee) e il batterista Roger Taylor (Hardy) – si presenta Farrokh “Freddie” Bulsara (lui è Parsi e la sua famiglia zoroastriana è fuggita dalle persecuzioni mussulmane), che si offre come frontman. La sua improvvisata esibizione li convince e lui – seguito poco dopo dal bassista John Deacon (Mazzello) – entra nel gruppo, che assume il nome The Queen, e lui cambia il proprio cognome in Mercury. Dopo un po’ di concerti di routine, la band decide di vendere il furgone, mettere insieme i risparmi e incidere un disco. La demo incuriosisce il potente agente Ray Foster (Make Meyers), che li prende in agenzia, affidandoli al manager John Reid (Gillen). Cominciano i primi album e i primi successi, mentre Freddie si sposa con l’amatissima Mary Austin (Boynton). 4 anni dopo, i Queen, spinti dalla costante ricerca di nuove sonorità di Mercury, incidono l’album A night at the Opera, che contiene il complesso ed eccentrico Bohemian Rapsody: Freddie è convinto che vuole che questo brano debba essere il singolo di lancio dell’LP ma Foster è contrarissimo: il pezzo – oltre ad essere fuori dai canoni del rock – dura 6 minuti e le radio non lo trasmetterebbero. Mercury non demorde e su questo si consuma la rottura con l’agenzia. Ora i Queen, rappresentati da Reid, entrano nella scuderia EMI e –anche grazie al brano incriminato – hanno un successo enorme. Mary è abituata alle sue lunghe assenze, dovute ai trionfali concerti nel mondo, ma comincia a sentire che in lui sta venendo fuori qualcosa: Freddy ha costanti e ripetuti incontri omosessuali e, quando, messo alle strette, confessa, dichiarandosi bisessuale, lei gli dice con chiarezza: “No! Sei gay!” e, con dolore, lo lascia. Per lui comincia un periodo di eccessi da tutti i punti di vista, nei quali lo accompagna Paul (Allen Leech), il mellifluo braccio destro di Reid, che gli altri Queen mal sopportano. Una sera Reid gli propone un vantaggiosissimo contratto da solista e lui, furioso, non solo rifiuta ma licenzia l’agente, affidando l’incarico all’avvocato della band Jim “Miami” Beach (Tom Hollander). Ora Freddie è completamente gestito dal Paul, che è il suo amante e che – dopo aver preso le distanze dalle proposta di Reid – riesce a fargli firmare l’impegno per due album da solista e a staccarlo dagli altri della band, nascondendogli, inoltre, le continue, preoccupate telefonate di Mary – che ha un nuovo compagno, David (Max Bennett) ma che gli vuole sempre bene – e anche i messaggi di Miami, che lo invita a partecipare, con i Queen, al Live Aid di Bob Geldorf (Dermot Murphy). Mary rompe gli indugi e lo va a trovare e, quando Freddie si rende conto dell’isolamento al quale lo stava riducendo Paul, lo scaccia di casa. Prega poi Miami di organizzare un incontro con May, Taylor e Deacon, durante il quale, dopo essersi scusato con loro, li convince a partecipare insieme all’evento di Geldorf. Mentre fervono le prove, gli viene diagnosticata l’AIDS; lui lo comunica ai membri della band, va a cercare un cameriere gentile che aveva amato, Jim Hutton (Aaaron McCusker), e con lui va dai suoi genitori (Ace Bhatti e Meneka Das), riconciliandoli con la propria eccentricità ed omosessualità. Il concerto è un trionfo e l’esibizione dei Queen registra il picco più alto di ascolto mondiale.
Le biografie di musicisti sono un capitolo importante della storia del cinema, non a caso il primo film sonoro accreditato è Il cantante di Jazz del 1927 sulla vita di Al Jolson, interpretato da lui stesso. Dopo di che Benny Goodman (Il re del jazz), George Gershwin(Rapsodia in blu), Glenn Miller (La storia di Glenn Miller), Cole Porter (Notte e dì), Rodgers e Hart (Parole e musica), Charlie Parker (Bird), The Four Season (Jersey Boys), Liberace (Dietro i candelabri), i Doors (The Doors), Brian Wilson (Love and Mercy), Johnny Cash (Quando l’amore brucia l’anima) , Ray Charles (Ray), i Sex Pistols (Sid and Nancy) Janis Joplin (The Rose) e John Lennon (Nowhere boy), per citarne solo alcuni, sono stati celebrati da film, spesso di bel successo popolare. Poteva mancare un omaggio ad una delle ultime grandi star del pop come Freddie Mercury? E così Bryan Singer (I soliti sospetti, X Men), dopo varie vicissitudini produttive, di scrittura e di ricerca del protagonista (doveva essere Sacha Baron Cohen ma ci sono state delle incomprensioni), sceglie l’emergente Malek (Mr. Robot, Papillon) e dà il via ad uno dei maggiori successi tra i biopic musicali (secondo solo, negli Stati Uniti agli incassi di Straight Outta Compton del 2015 sul gruppo rap N.W.A.). Boemiean Rapsody ha avuto anche critiche negative: da un lato, sono stati sottolineate vistose licenze temporali: tra tutte, l’aids nella realtà gli era stato diagnosticato due anni dopo il Live Aid; (di contro, del concerto vengono riprodotti con cura maniacale anche gli oggetti presenti sul palco); si è considerato il ruolo di May e Taylor quali produttori esecutivo un ostacolo per una narrazione meno agiografica; i dentoni (oggettivamente imbarazzanti) del trucco di Malek sono stati visti come un segnale di riproduzione quasi caricaturale del divo. Non sembra così importante tutto questo: è un omaggio ad una rockstar e ad una band mitica ed ha – Dio (o chi per lui) e renda merito a Singer – tutte le sane ingenuità di ogni musical: quando Fred Astaire sembra volare danzando a metà di un dialogo con Ginger Rogers o quando (in Accadde a Brooklyn) Frank Sinatra e Kathryn Grayson improvvisano Là ci darem la mano dal Don Giovanni di Mozart non ci importa di sapere quante prove e fatica abbia richiesto quell’esibizione, ce la godiamo e lasciamo che ce la presentino come una naturale esplosione di artisticità. Singer si è preso una pausa rilassata (sempre per mantenere la metafora) da assassini e mutanti e a noi sta bene così.